Specchio di perfezione |
[1792] 116. Sebbene da molti anni fosse afflitto dalle infermità che abbiamo detto sopra, era Francesco così devoto e rispettoso nella preghiera e nell'ufficio divino, che mai si appoggiava al muro o alla parete mentre pregava o recitava le ore canoniche.
Stava sempre dritto, a capo scoperto, e talvolta in ginocchio.
La maggior parte del giorno e della notte si abbandonava alla preghiera.
Quando andava per il mondo, a piedi, sempre sospendeva il cammino al momento di recitare le ore.
Se poi, a causa della malattia, andava a cavallo, scendeva regolarmente a terra per recitare l'ufficio.
Una volta, che pioveva a dirotto, Francesco, obbligato dalla malattia, andava a cavallo.
Era tutto bagnato, e scese dal giumento, quando volle dire le ore canoniche e le recitò con fervente devozione e concentrazione, stando immobile sulla strada mentre la pioggia veniva giù senza sosta, come fosse in chiesa o in una celletta.
Disse poi al compagno: « Se il corpo esige di prendere in tutta pace e comodità il suo cibo, che insieme con lui diventerà pasto dei vermi: con quanta pietà e devozione non deve prendere l'anima il suo cibo, che è Dio stesso! ».
[1793] 117. Francesco s'impegnò sempre con ardente passione ad avere, fuori della preghiera e dell'ufficio divino, una continua letizia spirituale intima ed anche esterna.
La stessa cosa egli amava e apprezzava nei fratelli, ché anzi era pronto a rimproverarli quando li vedeva tristi e di malumore.
Diceva: « Se il servo di Dio si applica ad acquistare e mantenere, sia nel cuore che nell'espressione, la letizia che proviene da un'anima pura e si ottiene con la devozione della preghiera, i demoni non gli possono far danno, e direbbero: – Dal momento che questo servo di Dio è felice nella tribolazione come nella prosperità, noi non troviamo adito per entrare in lui e nuocergli –.
Ma i demoni esultano allorché possono estinguere o impedire in un modo o nell'altro la devozione e la gioia che provengono da un'orazione pura e da altre azioni virtuose.
Poiché, se il diavolo possiede qualcosa di suo nel servo di Dio, quando non sia attento e svelto nel distruggerla e sradicarla al più presto, con il potere attinto dalla preghiera, dal pentimento, dalla confessione e dalla riparazione, il demonio in breve tempo saprà trasformare un capello in una trave, a forza di ispessirlo.
E per questo, miei fratelli, siccome dalla innocenza del cuore e dalla purezza di una incessante orazione, sgorga la letizia spirituale, sono queste due virtù che bisogna soprattutto acquistare e conservare, affinché la gioia, che con ardente desiderio amo vedere e sentire in me e in voi, possiate averla nell'intimo e nell'espressione, per edificare il prossimo e sconfiggere l'avversario.
A questi, infatti, e ai suoi seguaci si conviene la tristezza; a noi di godere ed essere felici sempre nel Signore ».
[1794] 118. Diceva Francesco: « So che i demoni mi odiano per i benefici concessimi da Dio, so ancora e constato che, non potendo danneggiarmi direttamente, mi insidiano e si accaniscono a nuocermi per mezzo dei miei compagni.
Se poi non riescono a farmi del male né per mezzo mio, né per mezzo dei miei fratelli, allora si ritirano scornati.
Infatti, se a volte mi avvenisse di trovarmi tentato o accasciato vedendo la gioia del mio compagno, subito riesco a riavermi dalla tentazione e dalla depressione, a causa della letizia che ammiro in lui, e così anche in me rifiorisce la letizia intima ed esteriore ».
Rimproverava con vigore quanti mostravano di fuori la loro tristezza.
Una volta che uno dei compagni aveva un'espressione tetra, lo redarguì: « Perché mostri fuori il dolore e la tristezza delle tue colpe?
Tieni questa mestizia fra te e Dio, e pregalo che, nella sua misericordia, ti perdoni e renda alla tua anima la gioia della sua grazia, che hai perduto per causa del peccato.
Ma davanti a me e agli altri, mostrati sempre lieto; poiché al servo di Dio non si addice di mostrare malinconia o un aspetto afflitto dinanzi al suo fratello o ad altri ».
[1795] 119. Non si deve però supporre o immaginare che il nostro Padre, amante di ogni perfezione ed equilibrio, intendesse che la letizia si palesi con risa o parole oziose, poiché in tal modo non si esterna la letizia spirituale, ma piuttosto la vanità e la fatuità.
Nel servo di Dio egli detestava le risa e le ciarle: non solo non voleva che ridesse, ma neppure che offrisse agli altri la minima occasione a frivolezze.
In una delle sue Ammonizioni, Francesco definì chiaramente quale doveva essere la gioia del servo di Dio, con queste parole: « Beato quel religioso che non trova felicità e piacere se non nelle parole sante e nelle opere del Signore, e se ne serve per eccitare gli uomini all'amore di Dio, in gaudio e letizia.
Ma guai a quel religioso che si diletta in conversazioni oziose e vuote, e con queste muove la gente a sciocche risa ».
E attraverso la gioia del viso si manifestano il fervore, l'impegno, la disposizione della mente e del corpo a fare volentieri ogni cosa buona; da simile fervore e disposizione, gli altri talvolta sono incitati al bene più che dalla stessa azione buona.
E se l'azione per quanto buona non appare fatta volentieri e con slancio, provava piuttosto fastidio che incitamento al bene.
Non voleva quindi leggere sui volti quella tristezza che sovente riflette indifferenza, cattiva disposizione dello spirito, pigrizia del corpo a ogni buona opera.
Amava invece caldamente in se stesso e negli altri la gravità e compostezza nell'aspetto e in tutte le membra del corpo e nei sensi, e induceva gli altri a ciò con la parola e con l'esempio, per quanto poteva.
Conosceva per esperienza come tale equilibrio e maturità sono simili a un muro, a uno scudo fortissimo, contro le frecce del diavolo; e che l'anima, non protetta da questo muro e da questo scudo, è come un soldato disarmato in mezzo a nemici forti e ben armati, accanitamente vogliosi di ucciderlo.
[1796] 120. Francesco era convinto che il corpo è creato per l'anima, e gli atti corporali vanno considerati in funzione di quelli spirituali.
Per cui diceva: « Il servo di Dio nel mangiare, nel bere, nel dormire e nel soddisfare le altre necessità corporali, deve provvedere con discrezione al suo fisico, in maniera che fratello corpo non abbia a protesta re: " Non posso stare in piedi, né perseverare nell'orazione, né essere lieto nelle tribolazioni dello spirito, né fare al un'altra opera buona, perché non soddisfi le mie necessità! ".
Ma se il servo di Dio soddisfa convenientemente il suo corpo, e fratello corpo volesse poi fare il negligente e il pigro e il dormiglione nella preghiera, nelle veglie e nel bene operare, allora deve castigarlo come un giumento cattivo e fiaccone, che vuol mangiare ma non lavorare né portare il carico.
Se però, a causa della miseria e povertà, fratello corpo sano o malato non potesse avere l'indispensabile, pur chiedendolo con umiltà e dignità al fratello o al superiore per amor di Dio e non gli fosse concesso: sopporti pazientemente la privazione per amor di Dio, il quale pure sopportò, e cercò e non trovò chi lo confortasse.
Tali tristezze sopportate con pazienza, il Signore gliele terrà in conto di martirio.
E poiché seppe fare quello che era suo dovere, cioè chiedere umilmente il necessario il Signore non gli imputerà ciò a peccato, anche se per l'indigenza il corpo cadesse in grave malattia ».
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