Corpo

IndiceA

Sommario

Introduzione.
I. La riappropriazione del corpo:
1. La politica del corpo nelle controculture;
2. Il corpo al femminile;
3. Psicoterapia con il corpo;
4. La salute come autogestione del corpo.
II. Corpo e vita spirituale:
1. Salvezza per il corpo nel rinnovamento carismatico;
2. Meditazione corporea.
III. Conclusione.

Introduzione

Ogni cultura evoluta mostra la tendenza a passare da un atteggiamento implicito verso il corpo a una riflessione tematica su di esso.

È possibile, in tal senso, stabilire un'analogia tra il bambino che si apre alla coscienza scoprendo il suo corpo e il processo di riflessione esplicita sulla dimensione corporea dell'esistenza che avviene nelle varie culture.

Ogni sintesi culturale ha il suo modo proprio di vivere il corpo e di parlarne.

I problemi che sorgono nello stadio attuale di civiltà industriale avanzata sono inediti.

Perciò anche il nostro approccio al corpo non ha precedenti nella storia culturale dell'umanità.

Superato il momento di riflessione fìlosofico-etica volta a superare la tradizione dualista che contrapponeva l'anima al corpo,1 il punto di partenza attuale è legato piuttosto alle varie forme di disagio connesse alla nostra situazione nel mondo.

Si diffonde la convinzione che a un rapporto sbagliato con la natura, oggetto del vivace dibattito ecologico [ v. Ecologia ], si accompagni la perversione del rapporto con la concreta struttura biologica del nostro corpo.

La perdita dell'armonia corporea è una delle malattie più gravi della civiltà.

Abbiamo disimparato il linguaggio delle funzioni vegetative.

Il corpo sembra aver perso la sua trasparenza; ci è diventato estraneo, quasi nemico.

L'alienazione ha assunto un aspetto biologico ben definito, che passa attraverso il rapporto che abbiamo col nostro corpo.

Presa coscienza del pericolo, movimenti culturali diversi propugnano con estrema decisione una riappropriazione del corpo.

E i cristiani? Come si situano in questa questione cruciale per la nostra civiltà?

Talvolta tradiscono un senso di spaesamento.

Tanto nel consumismo dilagante, quanto nei movimenti di controcultura, predomina un'accentuazione del corpo - con valenze opposte - che sembra estranea alla tradizione cristiana.

All'ascetica che promuoveva la mortificazione del corpo [ v. Ascesi III,1 ] tende a contrapporsi una pagana celebrazione di esso.

Eppure esiste un terreno di incontro con le istanze più valide della cultura moderna.

È necessario mettere in evidenza l'intenzione profonda che anima i vari movimenti di appropriazione del corpo.

Si troveranno in essi scintille dell'unico fuoco dell'umanesimo.

D'altra parte i cristiani di oggi, accogliendo una considerazione positiva della corporeità, possono riscoprire la verità dell'effato patristico: « caro cardo salutis », con cui si è espressa tradizionalmente la fede nel mistero dell'incarnazione.

Di fatto, una reinterrogazione della bibbia con il corpo è in corso tra i cristiani.

Le guarigioni attraverso la fede e i nuovi modi di pregare lo attestano.

Due tempi scandiscono dunque la nostra trattazione.

Dapprima [ I ] passeremo in rassegna il tema della riappropriazione del corpo in alcuni movimenti tipici della nostra cultura.

In un secondo momento [ II ] lasceremo parlare l'esperienza dei credenti che hanno scoperto nuove espressioni corporali della vita cristiana.

I - La riappropriazione del corpo

1. La politica del corpo nelle controculture

Nel labirinto che costituisce la geografia culturale del nostro tempo emergono alcune tendenze dominanti.

Da una parte la civiltà tecnologica occidentale esporta i suoi modelli di vita e i suoi valori, sostituendosi alle culture tradizionali; dall'altra, l'uniformità nell'ambito di questa civilizzazione planetaria della macchina è rotta da forti resistenze, che si strutturano come controculture.

Tra le numerose trasformazioni che avvengono in questo complesso magmatico ce n'è una che riguarda direttamente il nostro tema: cambia il rapporto che, individualmente e socialmente, intratteniamo con il corpo.

« Usciamo da una società in cui le norme erano sopra; il corpo, e l'io come complesso biopsichico, "sotto"; oggi tende ad accadere il contrario: è l'esperienza di noi stessi che, sempre più di frequente, costruisce, almeno nei desideri, l'immagine del mondo ed i significati dell'esistenza…

Oggi la società, dopo aver negato e trasceso il corpo, vi ritorna.

I valori si calano nel sociale, diventano invisibili, si mescolano alle nostre esperienze, la realtà contingente diventa spazio, simbolo, significato, dell'esperienza del nostro corpo e del corpo degli altri ».2

La rivendicazione dei diritti del corpo è il postulato indiscusso su cui si basa l'organizzazione della vita sociale.

La promessa di "vivere meglio", che aggrega gli uomini e li induce a sottomettersi alle limitazioni che impone la cultura, si dettaglia come diritto al benessere del corpo, allo sviluppo fisico e alla felicità sensuale.

Lo spiritualismo e l'ascetismo nelle forme tradizionali sembrano definitivamente banditi.

Anche gli esponenti della controcultura che perseguono ideali che chiameremmo mistici, non lo fanno seguendo la via della repressione della "libido".

Il loro è un misticismo mondano, un'estasi corporale che abbraccia e trasforma l'esistenza terrena.

L'esperienza vissuta, anche quando è riflessa nell'arte e nel pensiero, proclama che il corpo è il mediatore della cultura.

Basti pensare al ruolo cha il corpo gioca nella psicoanalisi e nella medicina psicosomatica, nel teatro - che è lo spazio privilegiato della coscienza corporea - e nella danza, nella letteratura e nel pensiero fenomenologico tedesco e francese.

Contemporaneamente, a livello di costume, la società si fa sempre più permissiva.

Il corpo trionfa nella sua nudità.

Il corpo sportivo - "sano, bello e forte" - è la più recente creazione mitologica.

La civiltà, che si fondava sulla rimozione del corpo, sembra ora riabilitarlo.

Ma tale riabilitazione è reale o solo apparente?

Questo è il punto in cui si inseriscono criticamente le controculture.

Sono opera delle masse giovanili, influenzate da pensatori eterodossi rispetto al sapere accademico.3

Sorte nell'ambito della lotta per la qualità della vita, le controculture hanno prodotto un fuoco d'artificio di nuove esperienze e modi espressivi.

Traducono un modo alternativo d'intendere l'umanesimo del corpo, una diversa visione di cos'è umano.

« La rivalutazione di antiche pratiche artigianali e l'instaurarsi di rapporti umani non convenzionali, gli esperimenti coraggiosi compiuti nell'organizzazione di comunità deliberatamente fondate, le esperienze di vita tribale, i nuovi stili e colori nell'abbigliamento, un desiderio di allegria percepibile anche nei suoni, il profumo stuzzicante dell'incenso e dei fiori, i riti organizzati prendendo a spunto forze e cicli cosmici reali o presunti, tutti questi aspetti della controcultura, per quanto insignificanti e goffi, costituiscono dei tentativi di ricatturare i valori antichi e duraturi che la civiltà industriale è in procinto di distruggere ».4

La festosità esteriore dei movimenti giovanili che difendono la sensualità della vita non deve trarre in inganno.

Essi hanno coscienza che stanno conducendo una battaglia per la sopravvivenza in un mondo in cui la carne e lo spirito vengono sistematicamente calpestati dalle macchine.

I maìtres a penser dei giovani sono quei pensatori radicali che hanno demistificato l'umanesimo del corpo inalberato dalla civiltà tecnologica, mettendo a nudo l'alienazione che cresce coi consumi di massa.

Anche il corpo è diventato una mercé che si consuma.

Lo dimostra la meccanizzazione del corpo che avviene nello sports.5

Si assiste allo sfruttamento sistematico e razionale delle attitudini psicomotorie di un individuo in vista del raggiungimento di prove eccezionali.

La meccanizzazione del corpo più gravida di conseguenze è quella che avviene nel lavoro [ v. Lavoratore I ].

Con l'avanzare della civiltà tecnologica l'uomo è espropriato del proprio corpo, ridotto a una macchina cibernetica a servizio del rendimento industriale.

La liberalità nei confronti degli istinti sessuali è uno specchio per le allodole.

In realtà la libido è controllata come valore commerciale.

La scarica sessuale è permessa solo perché, ristabilito l'equilibrio della personalità, l'uomo possa investire di nuovo le sue energie nella produzione.

Lui stesso sarà il consumatore forzato di ciò che è prodotto al di là dei bisogni: ad allettarlo al consumismo penserà l'erotismo pubblicitario, che a sua volta si serve disinvoltamente del corpo.

« Desublimazione repressiva » della sessualità, ha chiamato questo processo Marcuse, uno dei profeti più ascoltati della controcultura giovanile.

Le articolazioni del pensiero di Marcuse sono estremamente complesse.6

Ma la generazione giovanile che ne ha fatto la propria bandiera per la battaglia di destabilizzazione istituzionale del '68 ne aveva individuato e volgarizzato il pilone portante: il problema-chiave dell'"alienazione" ha assunto oggi un significato diverso da quello che è stato tradizionalmente indicato dal marxismo.

La dialettica della liberazione non passa per la lotta di classe, ma per il corpo umano.

Esso è un eterno campo di battaglia dove si combatte la lotta degli istinti, antecedente a quella delle classi sociali.

La "logica del dominio" che domina nelle lotte di classe si innesta su un'alienazione più fondamentale che riguarda l'uomo nella sua vita psichica e nel suo rapporto con la natura.

L'alienazione è il risultato di profondi e segreti atti repressivi che non saranno eliminati da un semplice rimescolamento delle strutture istituzionali della nostra società.

La liberazione individuale, come diverso progetto di vita a partire da un rapporto alternativo con il corpo, è il presupposto per una liberazione intesa come costruzione di una società diversa.

Di queste istanze si fanno portatrici le controculture giovanili quando difendono la sensualità della vita.

Denunciando il valore-feticcio attribuito al corpo in modo mistificatorio dalla cultura consumistica di massa, esse intendono affermare il significato umano del corpo: epifania della persona, a non sofisticato monumento funebre di essa.

I "cantori del corpo" nell'auspicare la rinascita della valenza corporale prospettano un progetto di emancipazione propriamente politica.

È una politica del corpo che ha però un chiaro valore di contestazione delle strutture entro le quali il corpo viene rinchiuso ideologicamente o programmaticamente.7

Si oppone ai modelli culturali dominanti, tanto nei Paesi socialisti che in quelli dove prevale la borghesia.

Alla società superciliosa della rigida ortodossia comunista, che riduce tutto il problema del corpo e del desiderio a una manifestazione piccolo-borghese, discorso "sovrastrutturale" e quindi reazionario dell'arsenale ideologico della borghesia decadente, le giovani generazioni contrappongono un progetto di società costruito sulla festa piuttosto che sul lavoro.

Rifiutano di rimandare la danza a… domani, vale a dire a quando si saranno risolti i problemi della produzione e della giustizia.

Interpretando acutamente la portata politica dell'approccio giovanile dei problemi, R. Garaudy ( in Danzare la vita ) si domandava: « Che succederebbe se, invece di costruire solamente la nostra vita, avessimo la follia o la saggezza di danzarla?

Questa è forse una delle questioni più importanti che pone oggi la gioventù nella sua contestazione dei fini stessi del mondo che noi le trasmettiamo ».

La riaffermazione del corpo è meno ostile ai modelli cui si ispirano le culture capitaliste occidentali.

Qui il problema del desiderio non è eluso, bensì sfruttato sul piano consumistico.

Il corpo fa parte dei prodotti intorno ai quali si organizza una specie di liturgia pubblicitaria.

Per contro, il corpo è diventato il luogo fisiologico e psicologico della solitudine.

« Il privato è politico ».

Questo slogan della controcultura esprime la volontà di unire militanza e gioia di vivere.

La politica da promuovere è quella che non ignori o non strumentalizzi il corpo, ma si costruisca su quelli che sono i soggetti reali della storia e tenga conto di tutti i livelli dell'esperienza umana.

2. Il corpo al femminile

Nella tendenza del nostro tempo a un ritorno al corpo e ai suoi valori, il movimento femminista si inserisce con una carica particolare di novità e fresca irruenza.

Il tema che abbiamo assunto come filo conduttore di questa prima parte: riappropriazione del corpo, è propriamente uno slogan del femminismo.

Come tale ha una reputazione di estremismo e provocazione battagliera.

È stato associato ad altri slogans ( come quelli che rivendicano alla donna un potere arbitrario sull'aborto: « Il ventre è mio… » ).

Questa interpretazione dello slogan è però molto restrittiva.

Sotto la bandiera dell'appropriazione del corpo le militanti femministe più coscienti hanno condotto una battaglia culturale di vitale importanza.

L'obiettivo era quello di recuperare la sensazione del corpo come propria casa.

Il primo ostacolo è stato individuato nella prevaricazione della corporazione medica, composta prevalentemente di uomini.

La dipendenza e la passività nei confronti della scienza medica sono comuni tanto agli uomini che alle donne.

Le conseguenze sono però più gravi per le donne.

Mentre gli uomini fanno ricorso al medico soltanto quando intervengono fatti patologici, le donne gli affidano anche una serie di manifestazioni che fanno parte della loro normale vita sociale e biologica ( mestruazioni, parto, allattamento, menopausa ).

Le leaders dei movimenti femministi si sono fatte portavoce del senso di frustrazione e di rabbia di tante donne, private delle conoscenze necessarie per un rapporto cosciente col proprio corpo ed esposte alla gestione paternalistica di esso da parte dei medici.

Scoprire il proprio corpo, il suo linguaggio e le sue necessità, e assumerne il controllo, è diventato un obiettivo prioritario nel programma femminista.

È un presupposto per l'autogestione della salute.

Vasta risonanza ha avuto, ad esempio, il manuale Noi e il nostro corpo, scritto da un collettivo di donne di Boston.8

« Scritto dalle donne per le donne », precisa il sottotitolo.

Le autrici parlano dell'effetto liberante che ha questa forma di educazione del corpo.

Essa comunica consapevolezza ed energia che cambiano la vita.

La conoscenza del proprio corpo ha infatti una risonanza psicologica immediata.

Come l'ignoranza, la paura e l'insicurezza dell'identità fisica bloccano le energie, così la presa di coscienza mette in grado di raggiungere la completezza umana.

La conclusione dell'introduzione del libro può essere assunta come espressione tipica del cammino di liberazione percorso da molte donne del nostro tempo:

« Immaginate una donna che cerchi di fare un lavoro o di avere un rapporto paritetico e soddisfacente con altre persone, ma intanto si sente fisicamente debole, perché non ha mai tentato di essere forte;

esaurisce tutta la sua energia cercando di cambiare faccia, figura, capelli, odore, cercando di uniformarsi a qualche modello ideale stabilito dalle riviste, dai film, dalla televisione;

si sente disorientata e si vergogna del sangue mestruale che ogni mese fluisce da qualche oscuro recesso del suo corpo;

sente i processi interni al suo corpo come un mistero che viene a galla solo come fastidio ( una gravidanza non voluta o un cancro cervicale );

non capisce e non le piace il sesso e concentra le sue energie sessuali in romantiche fantasie senza scopo, pervertendo e facendo cattivo uso della sua potenziale energia perché è stata educata a negarla.

Se impariamo a capire, ad accettare, a essere responsabili della nostra identità fisica, possiamo liberarci da alcune di queste preoccupazioni e possiamo cominciare a fare uso delle nostre energie disinibite.

L'immagine che noi abbiamo di noi stesse avrà una base più solida, saremo migliori come amiche e come amanti, come persone; avremo più fiducia in noi, più autonomia, più forza, saremo più complete » ( p. 13 ).

Questa nuova coscienza di benessere e autorealizzazione a partire da un rapporto armonioso col proprio corpo si è tradotta nello slogan squillante: « Woman is beautiful » ( Donna è bello ).

La "riappropriazione del corpo" porta il movimento femminista a combattere battaglie ancora più decisive.

Per vivere con gioia il corpo non basta infatti un rapporto diverso con la medicina ginecologica: è necessaria una trasformazione culturale.

La mancanza di informazione sul funzionamento del corpo e in genere il silenzio su tutti gli argomenti che riguardano il sesso non sono che un aspetto di quel complesso di comportamenti e valori che costituiscono l'ideologia patriarcale.

Per giustificare l'egemonia maschile sono state maggiorate le differenze di comportamento tra uomini e donne e spiegate per lo più in modo fisiologico, facendo cioè riferimento alle diverse funzioni fisiche, in particolare alla maternità.

La funzione riproduttiva è servita a giustificare, anzi a mascherare agli occhi stessi delle interessate, l'oppressione culturale.

Le donne sono state in larga misura confezionate artificialmente dall'uomo.9

Se la donna è un fatto di natura, la femminilità è un fenomeno sociale.

Per usare un'immagine efficace di Jean Rostand: il fatto di aver giocato con la bambola o con i soldatini di piombo è altrettanto importante nella storia dell'individuo quanto la presenza del cromosoma X o Y.

Il condizionamento culturale dei ruoli ha un'incidenza immediata sul corpo.

La donna ha vissuto il suo corpo come schiavitù non tanto per la sua dipendenza dai fatti biologici, quanto per l'espropriazione che ha subito.

A questo proposito Dacia Maraini parla di « sessualità vissuta per conto di terzi, mai fine a se stessa ».

Il potenziale di gioia e di piacere è stato esorcizzato mediante una serie di tabù che hanno portato la donna a guardare il suo corpo come qualcosa di estraneo.

Il corpo della donna è uno strumento di procreazione in mano all'uomo.

La situazione è stata giustificata con argomenti di ordine biologico: tale sarebbe la "natura" della donna.

La divulgazione degli studi di antropologia culturale ha permesso di rendersi conto che i ruoli maschili e femminili in altre culture hanno assunto forme diverse, meno opprimenti per la donna.

Va dunque smascherato il pregiudizio secondo cui i ruoli sociali propri della cultura patriarcale sarebbero stati definiti secondo la vera natura dell'uomo e della donna.

Piuttosto è la natura rispettiva che è stata definita a posteriori, in funzione dei ruoli assegnati dal sesso dominante.

Questo ha trovato nella cosiddetta natura un comodo alibi.

E non sono mancati miti, religiosi e profani, forgiati per giustificare sovrastrutturalmente il ruolo di dipendenza della donna.10

Se le donne non si riappropriano della autodeterminazione personale, che comporta una ridefinizione dei ruoli culturali, la semplice rivendicazione del corpo potrebbe rivelarsi un boomerang pericoloso.

Infatti è proprio la definizione della donna a partire dal lato biologico ( il che non esclude la parallela idealizzazione e la mistica della femminilità ), che ha costituito l'asse centrale della mentalità patriarcale.

Il programma delle avanguardie femministe, di comprendere la donna a partire dal suo corpo riconquistato, non equivale dunque a ciò che intende il sessismo dilagante: presentare la donna in riferimento all'uomo, per offrirgli un corpo associato a un prodotto, in vista del consumo.

Si può definire la donna a partire dal corpo, ma solo dopo che si è concluso il processo della liberazione.

La prospettiva della "liberazione" amplia quella della "emancipazione" femminile, così come è stata tradizionalmente intesa e promossa dal movimento operaio.

Il raggiungimento dell'uguaglianza dei sessi è stato uno dei fini dell'umanesimo marxista, da quando Engeis nell'Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato ha denunciato che la moderna famiglia singola è fondata sulla schiavitù domestica della donna, aperta o mascherata.

Integrare le donne nel mondo della produzione equivaleva a liberare le donne dalla schiavitù domestica.

Per un lungo periodo la proposta politica e culturale del movimento operaio si è limitata a scalzare l'atteggiamento ostile dell'inserimento della donna nell'ambiente del lavoro, per ottenere che le venisse riconosciuto il diritto ad essere produttrice, oltre che riproduttrice.

Sembrava che bastasse assicurare alla donna il lavoro, per fare tutto quanto era necessario per garantirle la piena valorizzazione in quanto persona umana ".11

Ci si batteva per il diritto della donna al lavoro, tralasciando di occuparsi di lei come persona intesa nella sua totalità.

Il movimento femminista, attaccando il tradizionale rapporto uomo-donna, ha riproposto la questione femminile in termini nuovi: come problema personale e politico, culturale e biologico insieme.

Lo sfruttamento non è mai soltanto economico.

La società patriarcale ha fatto un uso repressivo della funzione riproduttiva, e quindi del corpo femminile.

Per questo la liberazione della donna è oggi un cammino che passa attraverso il superamento dei tabù che vietano la conoscenza del proprio corpo e coartano la libertà personale.

Ma l'obiettivo finale della riappropriazione del corpo è la creazione di nuovi modelli culturali per i rispettivi ruoli maschile e femminile.

La donna, che ha usato il corpo per compiacere l'uomo secondo le regole del gioco stabilito dall'uomo stesso, si sta dando oggi il permesso di scoprire le potenzialità inedite della sua esistenza corporea.

Il cambiamento di mentalità in atto non avviene senza difficoltà e conflitti.

Se occorre una educazione nuova della donna nei confronti della maternità e della sessualità, non è meno necessaria una rieducazione dell'uomo nei confronti della donna.

Ma c'è una speranza che sostiene la rivoluzione dei ruoli sessuali: quella di uomini e donne più umani [ v. Femminismo ].

3. Psicoterapia con il corpo

Il corpo ci appartiene più che ogni altra cosa.

Esso si agglutina talmente col nostro "io", che entra nella sua sfera di identità e incomunicabilità.

I fenomenologi ( in particolare Merieau-Ponty ) hanno messo in evidenza che noi abbiamo la percezione non solo di "avere" un corpo, ma di "essere" il nostro corpo.

Questo rapporto individuale con il proprio corpo deve essere integrato con una prospettiva sociale.

La società in cui viviamo, infatti, struttura il nostro corpo con le sue norme e valori; influisce sulla sua conservazione ( pratiche igieniche e culinarie ), sulla sua presentazione ( cure estetiche, abbigliamento ), sulle espressioni affettive ( segni emozionali ).

Per designare i modi in cui gli uomini, nelle diverse società, usano tradizionalmente il loro corpo, il sociologo Marcel Mauss ha coniato l'espressione "tecniche del corpo" ( journal de psychologie, 1936, n. 3-4 ).

Anteriormente alla tecnica propriamente detta, esiste l'insieme di tecniche per l'uso del corpo come "il più naturale strumento dell'uomo", nelle attività e nei movimenti vitali più abituali.

L'educazione è, per buona parte, la messa in forma del nostro corpo secondo le esigenze della società nella quale viviamo: l'apprendimento, appunto, delle "tecniche del corpo".

Nella nostra civilizzazione tecnologica la strutturazione sociale del corpo non avviene più con la spontaneità e l'immediatezza che riscontriamo nelle culture tradizionali.

Ne è derivato uno squilibrio generalizzato.

La principale causa è stata individuata nell'accelerazione del mutamento, che ha un effetto disastroso sul complesso della vita umana.

Si è parlato di "shock del futuro" ( A. Toffler ).

Data la totale interdipendenza dei processi fisici, emozionali e ambientali, l'incapacità del corpo umano di sostenere l'accelerazione del mutamento servendosi delle "tecniche" tradizionali si ripercuote su ogni aspetto della vita dell'uomo.

La mente, il corpo e i sensi devono funzionare al di sopra della loro capacità, con un aumento costante della tensione.

Lo stress permanente ha effetti distruttivi diffusi.

Si manifesta nell'angoscia e nelle malattie psicosomatiche, nei disturbi del sonno e nell'uso crescente di farmaci ( tranquillanti ed eccitanti ).

L'aumento impressionante delle malattie mentali è l'ultima tappa di questa disgregazione.

La liberazione dallo stress psicofisico è diventata un imperativo del nostro tempo.

Di qui il boom delle tecniche di rilassamento che suppliscano all'inadeguatezza delle "tecniche del corpo" tradizionali.

Gran parte delle terapie attuali tendono a far riprendere contatto con quelle sensazioni fisiche che armonizzano tra loro la mente e il corpo e ci mettono in grado di funzionare in modo più armonioso.

Mirano a liberare il corpo dallo stress e quindi ad aprire le riserve di energia che permettono un rendimento migliore.

Si tratta, in sostanza, di terapie dell'integrazione umana.

L'orizzonte problematico delle controculture [ I,1 ], che risalgono dal malessere della civiltà ai progetti politici e culturali che la sottendono, per lo più rimane loro estraneo.

Alcune di queste terapie affondano le radici nella tradizione orientale.

Approdate in Occidente, hanno perduto qualsiasi connotazione mistico-religiosa.

Il pragmatismo occidentale le ha considerate esclusivamente come efficaci discipline psicosomatiche.

La più diffusa è indubbiamente lo Yoga.

In realtà ciò che praticano gli occidentali è lo "Hatha Yoga" ( cioè lo Yoga del corpo fisico ), che in India è considerato come una disciplina secondaria per raggiungere piani superiori di coscienza.12

Da noi invece viene praticato semplicemente per riceverne vantaggi fisici e mentali, senza prefiggersi alcuna evoluzione spirituale [ v. Yoga/Zen I-III ].

Di matrice orientale è anche la "meditazione trascendentale".13

È stata introdotta nel 1959 negli U.S.A. dal maestro indiano Maharishi Mahesh Yogy; più di un milione di persone la praticano già quotidianamente.

"Trascendentale" non ha alcuna implicazione metafisica o religiosa.

Indica solo che questa tecnica di meditazione porta coloro che la praticano oltre il livello familiare della loro esperienza di veglia, in uno stato di profondo riposo a cui si aggiunge un'accresciuta attenzione.

È convinzione di Maharishi che fondamento della salute mentale sia una integrazione organica della mente e del corpo.14

Nella tecnica che egli ha diffuso il coordinamento mente-corpo avviene grazie allo stato di profondo riposo in cui il soggetto induce se stesso.

Il meditante lascia che la sua mente faccia esperienza di uno stato rilassato e gradevole.

Lo stato ipometabolico determina l'eliminazione spontanea dello stress, con acquisto dell'energia tanto del corpo che dello spirito.

Normalizzando lo stato del sistema nervoso, la meditazione trascendentale promuove, al pari di una psicoterapia, la soluzione di conflitti emozionali.

I suoi adepti la considerano una scorciatoia della psicoterapia, in quanto l'autointegrazione si determinerebbe da sola, saltando il lungo travaglio del processo terapeutico in psicoanalisi.

Numerose altre tecniche di rilassamento, senza alcuna parentela con la tradizione religiosa orientale, agiscono sul corpo per indurre uno stato di benessere psichico che controbilanci la tensione patologica.

Accenniamo alle più note.

Il "training autogeno" è stato messo a punto dal neurologo berlinese L H. Schuitz partendo da esperienze ipnotiche.15

Il suo inventore iniziò domandandosi che cosa sarebbe successo se le sensazioni fisiche descritte dai soggetti ipnotizzati ( calore e pesantezza agli arti, calma delle attività cardiaca e respiratoria, sensazione di caldo a livello dell'addome e di fresco a livello della fronte ) fossero state comunicate ad un soggetto sveglio con un linguaggio a formule calmo e penetrante.

Lo stesso stato di rilassamento fisico-psichico dell'ipnosi sarebbe stato trasmesso a colui che pratica la "autodistensione concentrativa".

Praticamente si tratta dunque di una autoipnosi.

La sua efficacia terapeutica è ormai comprovata, come pure i benefici effetti sui soggetti sani.

Anche le terapie comportamentali hanno elaborato metodi di rilassamento volti allo scioglimento di tensioni intrapsichiche e di spasmi fisici.16

La terapia più diffusa è la "desensibilizzazione sistematica" proposta da Wolpe e Lazarus.17

Essa stessa è uno sviluppo della tecnica di rilassamento proposta da Jacobsen, che si proponeva di alleviare svariate malattie psicosomatiche e forme di tensione per mezzo di un rilassamento muscolare "progressivo e differenziale", grazie alla presa di coscienza successiva delle sensazioni cinestesiche corrispondenti ai diversi gruppi muscolari dell'organismo in stato di contrazione e di rilassamento.18

La tecnica di desensibilizzazione si fonda sul concetto della reciprocità dell'inibizione.

Vale a dire: se l'angoscia impedisce il rilassamento, questo, a sua volta, blocca l'angoscia.

Il paziente viene dunque fatto rilassare; in questo stato gli vengono progressivamente presentate le sensazioni e le immagini che lo atterriscono, finché l'angoscia non è stata eliminata.

Un capitolo in grande sviluppo è attualmente quello della terapia della Gestalt e la bioenergetica.19

Queste tecniche mirano a eliminare i blocchi emozionali e fisici che interferiscono con la consapevolezza del presente.

La persona è condotta a penetrare nel "qui e ora", a stabilire un contatto immediato con la pienezza delle sue sensazioni, dei suoi movimenti fisici e della sua energia vitale.

Ciò che è comune a questo gruppo così eterogeneo di tecniche terapeutiche è la presa di coscienza che il malessere della civiltà si iscrive nel corpo.

Come un sismografo sensibile, il nostro organismo registra uno stato di tensione permanente che lo inceppa nelle sue funzioni più essenziali: come organo motore e come strumento per la comunicazione interpersonale.

Riappropriarsi del corpo vuoi dire intraprendere una paziente rieducazione di esso al fine di raggiungere di nuovo il sentimento dell'unità della persona.

Essere presenti al proprio corpo vuoi dire essere a proprio agio in esso e nelle relazioni interpersonali.

Le varie tecniche mirano congiuntamente a rendere possibile un diverso modo di essere.

Usando la terminologia di Erich Fromm: dal corpo vissuto "secondo la modalità dell'avere" al corpo vissuto "secondo la modalità dell'essere".

4. La salute come autogestione del corpo

La società industriale avanzata crea condizioni di vita da cui molti si sentono oppressi.

I suoi difensori presentano i disagi come un prezzo ragionevole da pagare, in rapporto ai benefici attribuiti al progresso.

Al progresso si accredita in modo speciale la tutela efficace della salute.

Se la società sviluppata stritola valori e vita spirituale, in compenso sembra offrire una vita più lunga e un'assistenza sanitaria garantita.

Alcune voci critiche si sono però levate contro questa falsa apparenza.

Illustri biologi hanno denunciato l'illusoria ambizione di produrre industrialmente una "salute migliore".20

Più radicale di tutti, il sociologo Ivan Illich ha accusato la medicina moderna di essere la più grande minaccia per la salute dell'uomo.

Prendiamo in considerazione queste contestazioni dell'imperialismo della medicina in quanto protestano contro un decurtamento antropologico e propongono una riflessione fondamentale sul concetto stesso di salute come fatto umano globale.

La riappropriazione del corpo passa anche attraverso la riappropriazione della forza spirituale necessaria per essere in salute.

Una fatale deformazione del concetto stesso di salute avviene implicitamente quando la si concepisce come qualcosa che dipenda dalla cura di una corporazione professionale a ciò dedita.

Durante le ultime generazioni il monopolio medico sulla cura della salute si è imposto, travolgendo le risorse naturali dell'individuo e gli espedienti terapeutici tradizionalmente trasmessi dalla cultura popolare.

Più la società è progredita, più tende ad assomigliare a un grande utero plastico in cui l'individuo è preso in cura dai tecnici in camice bianco, dalla nascita ( anzi, dal concepimento o anche prima, se si considerano il trattamento fetale e il consiglio eugenetico ) alla morte.

Nell'architettura delle città l'ospedale ha sostituito la cattedrale come simbolo centrale della convivenza civile.

La crescita a dismisura della macchina sanitaria ha agito, paradossalmente, non a favore della salute, ma contro di essa.

La supermedicalizzazione sociale della vita ha paralizzato i meccanismi comunitari ed interiori che garantiscono la salute.

La salute umana, infatti, è qualcosa di diverso dalla semplice assenza di fatti morbosi che minacciano l'equilibrio di una struttura biologica.

La salute è un compito; come tale la salute dell'uomo non è paragonabile all'equilibrio fisiologico degli animali.

Essa è un'espressione culturale.

Implica la capacità personale di far fronte alla vita in modo autonomo e responsabile.

Quando l'organismo è diretto da altri, la salute, come potenziale umano, regredisce inevitabilmente.

Per Illich l'impresa medica è la causa maggiore del declino generale della salute, in quanto questa è diventata l'affare esclusivo di un'istituzione pianificata, incaricata di "produrla" e "migliorarla" indefinitamente.

Il sistema medico espropria cosi le persone di ogni capacità di compiere con le loro forze un'azione di autoregolazione dell'organismo.

Questa gestione eteronoma ha un effetto tanto più deleterio, in quanto viene a paralizzare la sana capacità morale di reazione alla sofferenza, alla invalidità e alla morte.

Illich chiama questo fenomeno "iatrogenesi culturale", intendendo con ciò il danno inferto alla salute dalle professioni sanitarie in quanto distruggono la capacità potenziale dell'individuo di far fronte in modo personale ai fatti morbosi e la volontà di soffrire la propria condizione reale.

«La medicina organizzata professionalmente è venuta assumendo la funzione di un'impresa morale dispotica tutta tesa a propagare l'espansione industriale come una guerra contro ogni sofferenza.

Ha così minato la capacità degli individui di far fronte alla propria realtà, di esprimere propri valori e di accettare il dolore e la menomazione inevitabili e spesso irrimediabili, la decadenza e la morte.

Godere buona salute significa non soltanto riuscire a fronteggiare la realtà, ma anche gioire di questa riuscita; significa essere capaci di sentirsi vivi nel piacere e nel dolore; significa aver caro ma anche arrischiarsi di sopravvivere.

La salute e la sofferenza come sensazioni vissute e consapevoli sono fenomeni propri degli uomini, che in ciò si distinguono dalle bestie ».21

È dunque una fatale illusione credere che la salute possa essere prodotta come uno dei tanti beni di consumo che la società opulenta promette a tutti.

Essa appartiene, per ricorrere ancora alla terminologia di E. Fromm, alla modalità dell' "essere", non a quella dell' "avere".

L'illusione del benessere sanitario garantito a ognuno è un aspetto del grande sogno della società industriale, in particolare della società consumistica, che si è affermata a dimensione planetaria dopo la seconda guerra mondiale, di conseguire il paradiso nell'al di qua mediante la produzione e il consumo illimitato di beni.22

Il fallimento della Grande Promessa, anche sotto l'aspetto sanitario, lascia l'uomo contemporaneo più vulnerabile nella sua salute, e per di più espropriato del proprio corpo.

Questa affermazione può apparire paradossale, riferita ai grandi consumatori di cure mediche che siamo diventati.

L'uomo d'oggi è morbosamente attento alla minima disfunzione del proprio corpo.

Al più lieve disturbo è già nella sala d'attesa del medico.

La pratica degli esami preventivi ( screening sistematico della popolazione ) lo fa assoggettare alla condotta del malato prima ancora di denunciare un qualsiasi malessere.

L'espropriazione del corpo passa proprio attraverso questi modelli di comportamento diffusi dalla prassi sanitaria moderna.

Tra l'uomo e il suo corpo si è inserita la grande macchina della scienza.

Il gergo scientifico sostituisce il parlare comune: il paziente non sa più parlare del suo corpo e del suo male.

Il linguaggio diventa proprietà esclusiva del personale sanitario.

Il malato non capisce, per lo più, per quale malattia venga curato e a quale terapia è sottoposto.

I professionisti della sanità parlano "marziano", e nessuno fa da interprete per il povero terrestre.

Anzi, è auspicabile che il malato non interferisca, per non intralciare l'opera di chi si occupa della sua guarigione.

Il paziente abdica a favore del medico, al quale attribuisce la capacità di capire il proprio corpo.

Spesso non sospetta neppure che in tal modo si preclude la via più sicura per capire il linguaggio del corpo.

Riduce così il corpo a una macchina guasta, in cui solo il tecnico può mettere le mani con competenza.

Il corpo, invece, è un organismo - il "suo" corpo appunto - che parla un linguaggio sufficientemente chiaro.

Ogni cultura tradizionale metteva in grado di capire il linguaggio del proprio corpo.

Noi, i supermedicalizzati, sembriamo diventati ciechi e sordi riguardo ad esso.

Trattiamo con brutalità la sua delicata struttura biologica, come se lo stress costante in cui siamo immersi fosse una condizione normale.

Quando il corpo recalcitra, gli diamo, come a un asino caparbio, una frustata farmacologica.

Il sovraconsumo dei farmaci è diventato un'epidemia nella nostra società: un tranquillante per dormire e un energetico per essere in forma.

Espropriati della gestione della propria salute, del corpo e del suo linguaggio, il ricorso all'automedicazione farmacologica pare essere diventato l'unico modo per sentirsi padroni del proprio corpo.

Per l'uomo industrializzato, scrive Illich, « prendere un farmaco, non importa quale e per quale motivo, è un'ultima possibilità di affermare il proprio dominio su di sé, di manipolare lui stesso il proprio corpo anziché lasciarlo manipolare dagli altri.

L'invasione farmaceutica lo porta alla medicazione, da parte sua o altrui, che riduce la sua capacità di padroneggiare un corpo di cui è ancora in grado di curarsi ».23

La denuncia dell'impasse a cui la medicina tecnologica e l'assistenza sanitaria della società dei consumi ci hanno condotto non mira al catastrofismo.

Vuoi piuttosto arrestare l'epidemia iatrogena finché è possibile.

L'aspetto positivo della denuncia è l'invito al "profano" a rivendicare il controllo sulla propria salute e sul proprio corpo.

Coloro che conservano una speranza nell'uomo fanno fiducia alla sua coscienza, autodisciplina e risorse inferiori.

Rivolgono al singolo, che dall'istituzione sanitaria è spogliato di ogni capacità autonoma di affrontare le vicissitudini della propria vita fisica, l'invito a riappropriarsi del corpo per vivere da protagonista l'avventura della salute.

Ciò comprende un'azione politica per il diritto concreto di ognuno all'atto produttivo autonomo, grazie a un'ampia deprofessionalizzazione delle cure, all'accesso della gente alle conoscenze mediche necessario per le malattie più correnti, al libero accesso a una farmacopea semplificata.

Dal punto di vista antropologico, bisogna riaffermare "la salute come virtù", per usare una formula incisiva di Illich.

In quanto compito personale da assumere, essa domanda una responsabilità di fronte» al dolore, alla malattia e alla morte.

Questa è l'alternativa umanistica al culto quasi religioso che la medicina pretende dall'uomo dell'era tecnologica.

II - Corpo e vita spirituale

I movimenti più vivaci e creativi della cultura contemporanea esprimono la ricerca di un rapporto con il corpo diverso da quello imposto dal modello culturale dominante.

Superato il momento semplicemente rivendicativo, il recupero della dimensione corporea non vuoi essere antitetico allo spirito e ai suoi valori, ma inclusivo di essi.

Il riferimento al corpo non è più allora un ripiegamento regressivo, quasi un ritorno all'esperienza corporea infantile, ma piuttosto la scoperta di una quarta dimensione,24 in cui esperienza del corpo ed esperienza dello spirito si implicano reciprocamente.

Questa visione integrata e dinamica dell'uomo interpella più che qualsiasi antropologia dualista colui che si riferisce al mondo biblico.

Per parlare dell'uomo nella bibbia sono usati tre termini: corpo, anima e spirito.

Non si tratta di tre componenti dell'uomo, ma di tre termini che designano sempre l'uomo intero, ciascuno con riferimento ad aspetti diversi di ciò che costituisce l'esperienza umana concreta e indivisa.

Ne consegue che, secondo l'antropologia biblica - come secondo l'approccio contemporaneo del corpo -, lo psichismo e il corpo non possono essere estranei alla vita spirituale.

La realizzazione spirituale può passare anche attraverso quel delicato e minuzioso lavoro in cui sembra impegnato solo il corpo ( v. Yoga/Zen ).

Anche per l'uomo contemporaneo, che si considera tutto intero "corpo", c'è una vita nello spirito.

Anzi, nello Spirito.

C'è un modo di cercare Dio che privilegia l'esperienza individuale, compresa quella che si concentra sul corpo.

Necessariamente sorge una tensione dialettica con altri modi di cercare Dio, in primo luogo con quelli che privilegiano l'impegno ( diventato oggi azione politica, militante ).

È la vecchia opposizione tra l'azione e la contemplazione [ v. Contemplazione II,3 ], vecchia quanto il cristianesimo.

E oggi non ancora risolta, forse perché non risolvibile.

In compenso, oggi diventa più chiaro che nessuno ha diritto di monopolizzare la ricerca di Dio, identificandola con la propria.

Ambedue i poli: della lotta e della contemplazione, sono necessari alla chiesa e devono rimanere in dialogo costante.

Anche all'interno di ciascun cristiano.

La militanza ha bisogno di attingere forza nella profondità della preghiera; la contemplazione domanda di incarnarsi nell'azione.

Un aspetto singolare della preghiera cristiana dei nostri giorni è la riscoperta del corpo.

Lo dimostrano due esperienze spirituali che probabilmente, nel panorama generale del fatto cristiano, saranno giudicate marginali.

Non per questo meno tipiche, però.

Anzi, tanto la preghiera per la guarigione quanto la meditazione corporea mostrano l'impronta inconfondibile dello spirito che distingue la nostra epoca.

1. Salvezza per il corpo nel rinnovamento carismatico

La salvezza cristiana è rivolta all'uomo intero: corpo, spirito e anima.

I credenti raggiunti dal movimento carismatico [ v. Carismatici ] dovevano riscoprire questa verità e proprio loro, in genere accusati di "spiritualismo", ricordare a tutti i cristiani il ruolo del corpo nella salvezza.

Nei gruppi di preghiera neopentecostali il corpo occupa, in generale, un posto centrale.

La preghiera non è intesa in modo cerebrale o intellettualistico.

Essa trascina, permettendo la partecipazione di tutto l'essere.

Le mani trovano il ritmo per sottolineare il canto, le membra si sciolgono, la preghiera in lingue gorgoglia spontaneamente.

Il corpo intero, fatto per la comunicazione interpersonale, vive con intensità, questa sua destinazione originaria.

La valorizzazione del corpo in seno ai gruppi di preghiera carismatici doveva portare però ancora più lontano, fino alla riscoperta del carisma delle guarigioni.

« La fede guarisce » : è l'esperienza quotidiana nei gruppi di preghiera.

L'antecedente culturale di questa fusione di fede e terapia è costituito, specialmente in America, da una tradizione, risalente al secolo scorso, di guaritori carismatici.

Sono di casa nelle sètte, di cui la più nota è la Christian Science.

Questi fenomeni sono rimasti marginali alle chiese istituzionali, in particolare a quelle della riforma, tradizionalmente ostili ( con qualche eccezione ) ad espressioni emotive che esulano dal puro servizio della Parola.

In genere le guarigioni miracolose che avvengono nelle sètte non godono buona reputazione.

Si è soliti associarle a macchinazioni di fanatici, all'uso di violente suggestioni di massa, a superstiziosi esorcismi.

Il pericolo di abusi è reale.

Tuttavia la funzione delle sètte è sempre stata quella di richiamare la chiesa a carenze, trascuratezze e deviazioni da ciò che è originario nel messaggio cristiano.

È facile distanziarsi con sufficienza e commiserazione dalle iniziative settarie; più difficile, ma più utile per le chiese, cercare di accogliere ciò che c'è di genuino nelle loro istanze.

L'esperienza di guarigioni mediante la fede dei carismatici cattolici non si innesta direttamente sulla tradizione settaria.

Il suo antecedente immediato è una prassi più moderata, stabilitasi nelle comunità ecclesiali che le avevano dato diritto di cittadinanza.

Una certa decantazione è avvenuta nei decenni scorsi soprattutto in ambienti episcopaliani e presbiteriani.

Progressivamente si sono stabiliti dei criteri a tutela della qualità delle guarigioni: tendere a che il fine ultimo dei servizi di guarigione sia l'adorazione; capire in quale senso la malattia può dipendere da una dissociazione nella relazione con Dio e con il prossimo; mantenere il contatto con i medici e non sottovalutare l'utilità delle cure tecniche; prevenire ogni atmosfera di malsana eccitazione; non passare all'imposizione delle mani se non come climax di un lungo cammino di preghiera, non già come atto magico davanti a un uditorio affamato di sensazionale.

La pratica della preghiera per la guarigione che troviamo nei gruppi di preghiera e rinnovamento cattolico è sintonizzata con questo clima spirituale.

Le riserve circa l'uso indiscriminato dei poteri di guarigione continuano a farsi sentire; anzi, secondo un osservatore attento, « i cattolici romani tendono ad avvicinarsi al guaritore per fede con una diffidenza e uno scetticismo immensi.

Essi sospettano un inganno inteso ad allettare i credenti e a spingerli negli errori del fanatismo entusiasta » ( D. Gelpi ).

I pentecostali cattolici sono restii ad usare il termine "taumaturgo" per indicare le persone che sembrano possedere il carisma di guarire.

Nel loro linguaggio, il potere di ridare la salute è proprio di Dio solo; grazie al battesimo e al dono dello Spirito, esso è partecipato a ogni credente.

Ciò vuoi dire che il potere di Dio è messo a sua disposizione, sia che egli diventi un ministro riconosciuto, sia che non lo diventi.

I ministri di questi carismi non si comportano come dei taumaturghi, ma come degli oranti.

Sono fratelli che pregano per altri fratelli, non detentori di un potere autonomo.

La riscoperta della preghiera collettiva per la guarigione dei malati è avvenuta spontaneamente, sul filo degli avvenimenti entusiastici che hanno caratterizzato gli inizi del movimento carismatico.

Attualmente è diventata prassi comune dei gruppi di preghiera.

« I carismatici non danno l'idea di voler impiantare un qualche ufficio di costatazione medica, proprio come non si occupano di registrare il parlare in lingue per vedere se c'è qualche lingua straniera.

Essi vivono i carismi in funzione dell'incontro con Dio e con gli uomini.

Quel che importa ad essi è che il Signore è vivo, oggi come ieri, che la salvezza non concerne l' "anima" soltanto, ma tutto l'uomo, il corpo compreso, e che in questo campo neanche il vangelo predica la rassegnazione, bensì la speranza » ( R. Laurentin ).

La preghiera per la guarigione si recita il più delle volte in sedute di preghiera a parte, che hanno luogo dopo i regolari incontri di gruppo.

La preghiera comune è accompagnata dall'imposizione delle mani, quasi un gesto di comunione cristiana attorno a chi soffre.

Non è mai una sola persona che prega e impone le mani.

Nei gruppi pentecostali cattolici il ministero delle guarigioni è comunitario, non individuale.

Si pone cura nell'evitare il miracolismo.

La guarigione stessa, del resto, non è considerata come l'avvenimento fisico che lascia strabiliati e perplessi i rappresentanti della scienza.

È vista come un processo che inizia dall'intimo risanamento spirituale, vale a dire dall'esperienza di essere stati afferrati da Gesù e posti nella vita stessa della famiglia di Dio.

La guarigione fondamentale consiste nella conversione stessa.

Dalla certezza di questa presenza della salvezza nella propria esistenza rinnovata scaturisce una forza nuova per affrontare i mali della vita, presente e passata.

Qualsiasi esperienza di rifiuto, oppressione, non-amore può essere guarita, comprese le ferite provocate dalle vicende traumatiche del passato.

I carismatici amano parlare, a questo proposito, di "guarigione delle memorie".

Con questa espressione si vuole indicare la purificazione dei sentimenti subconsci di ansia, paura, vacuità e inutilità.

È il presupposto per la soluzione dei problemi di natura emotiva.

Alla pace interiore è attribuita una grande potenza terapeutica: quando la coscienza è piena d'amore, di gioia, di pace, di pazienza, di bontà, di benevolenza, di fede, di dolcezza, di padronanza di sé ( cioè di quanto Paolo in Gal 5,22 chiama "frutti dello Spirito" ), possiede una forza di guarigione contro ogni male, comprese le malattie del corpo.

A seguito della preghiera comunitaria, avvengono anche guarigioni di mali fisici.

Secondo l'autorevole testimonianza di Mac Nutt, « la metà di coloro per la cui guarigione noi preghiamo vengono guariti ( o migliorati notevolmente ) dalle loro malattie fisiche, e circa i tre quarti dai loro problemi emozionali o spirituali ».

Guarigione, anche straordinaria, non vuoi dire miracolo.

Almeno non nel senso dell'apologetica.

Quello che interessa non è l'accertamento di un fatto che costituisca un'eccezione alle leggi naturali e permetta quasi di sorprendere Dio in azione, per dimostrarlo all'incredulo.

Il mistero delle guarigioni recupera l'aspetto religioso della guarigione stessa.

Essa è un momento dell'incontro con Dio, il quale si fa presente con i suoi doni.

Ma è Dio stesso, non i suoi doni, che è al centro dell'interesse del credente.

Non si prega per mettere la potenza di Dio a servizio dell'uomo.

L'incontro personale è preferito al risultato, il ringraziamento alla domanda.

I servizi di guarigione tendono a ristabilire la relazione esistenziale dell'uomo con se stesso, con Dio e con gli altri.

La fede che guarisce è la fede che crea rapporti di comunione, la fede che apre all'amore.

La comunità dei credenti scopre così di avere un ruolo terapeutico singolare.

Non perché offre asilo e incoraggiamento ai "guaritori", ai quali anche la società moderna, malgrado la medicina scientifica, sembra non sia ancora in grado di rinunciare.

La comunità cristiana guarisce in quanto diventa quello che deve essere: la casa di coloro che sono colpiti dal potere di emarginazione e dissociazione del male in tutte le sue forme.25

Allora essa è un riflesso autentico dello Spirito e offre ai malati, handicappati, anziani, ai sofferenti nel corpo e nello spirito quello spazio in cui sono possibili relazioni umane ravvicinate, accettazione, sostegno, conforto: ciò di cui l'uomo ha bisogno per riconciliarsi con la vita e lasciar agire le forze di guarigione.

Così anche le comunità cristiane del XX sec. possono essere un riflesso fedele di Colui che « passò guarendo e facendo del bene » ( At 10,38 ).

2. Meditazione corporea

Dal punto di vista della storia della spiritualità cristiana, il nostro modo di pregare ( silenzioso, intellettuale, volontaristico, e con la completa esclusione della partecipazione del corpo ) è una singolarità che non conosce precedenti.

Più che un'espressione della tradizione, va considerato come un'invasione surrettizia di puritanesimo.

Per contrasto, basti pensare alla tradizione della "preghiera pura" coltivata nella cristianità orientale dal movimento esicasta.26

Cercando di far "discendere" l'intelletto nel cuore, gli oranti miravano ad acquistare coscienza della presenza divina.

Il mezzo privilegiato era considerato la "preghiera di Gesù" ( l'invocazione: « Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore » ), ripetuta senza sosta, al ritmo stesso della respirazione.

La "preghiera pura" è infatti tutt'altro che mentalismo rarefatto.

Si serve di tecniche, come il controllo della respirazione, che hanno un impressionante parallelo nelle tecniche di concentrazione delle religioni asiatiche.

Anche la tradizione cattolica fino alle soglie dell'epoca moderna non conosce la diffidenza per il corpo nella preghiera.

Sono note le indicazioni precise circa gli atteggiamenti del corpo che da s. Ignazio negli Esercizi spirituali.

Anche la spiritualità domenicana, apparentemente così intellettuale, attribuisce un congruo posto al corpo.

S. Tommaso27 insegna che la preghiera corporale è perfettamente valida e buona, anche se il nostro cuore e il nostro spirito non vi sono totalmente impegnati.

La teologia dell'Aquinate beneficiava indirettamente del ricco insegnamento sulla preghiera corporale che s. Domenico stesso aveva lasciato in eredità al suo ordine.

Ne da testimonianza un documento redatto probabilmente dopo la sua morte: « Le nove maniere di pregare, di s. Domenico ».28

Al santo dobbiamo riconoscere una grande libertà e inventività del gesto.

La sua preghiera comprende inchini profondi e lenti, prostrazioni, genuflessioni frequenti, l'abbandonarsi alle lacrime ( che una lunga tradizione anche liturgica considera un dono ), il tenersi « sulla punta dei piedi, le mani levate al cielo »…

Riferendoci a questa tradizione, potremo sentirci incoraggiati ad avere meno inibizioni nel muovere e nell'usare il corpo nella preghiera.29

Oltre alla tradizione propria del cristianesimo, esistono in altri ambiti religiosi esperienze di preghiera corporea di valore universale.

Tra le diverse tradizioni sono possibili influenze reciproche.

Una delle novità più clamorose di questi ultimi anni è appunto l'invasione dell'Occidente da parte della meditazione orientale specialmente nella forma assunta dal buddhismo Zen, proveniente dal Giappone [ v. Yoga/Zen IV ].

Lo Zen ( il termine equivale a "concentrazione", "meditazione assisa" ) non è propriamente ne una religione, ne una filosofia.

Fondamentalmente è un'esperienza personale ed esistenziale, non rappresentabile in termini discorsivi.

L'illuminazione ( in giapponese satori ) è un'esperienza che fa toccare il fondo dell'essere.

Tuttavia chi l'ha vissuta la presenta come la cosa più naturale, più rispondente alla natura dell'uomo.

È una riconquista del significato elementare delle cose e di se stesso mediante un'adesione immediata all'oggetto, senza mediazioni di concetti e parole.

Presupposto per essere presi in questa esperienza è l'abbandono della guardia intellettuale.

Il movimento Zen fu introdotto in America verso la fine del secolo scorso e si è diffuso in centri di livello scientifico e universitario.

Alan Watts ne fu il divulgatore principale e D. T. Suzuki, uno dei maestri più ascoltati.30

Lo Zen divenne di moda all'epoca della generazione beat.

I giovani in rivolta nei confronti della convenzionale concezione scientifica dell'uomo e della natura pensarono di aver trovato nello Zen qualcosa di cui avevano bisogno e fecero libero uso di ciò che avevano capito di questa esotica tradizione.

Forse quello che i giovani hanno preso per Zen ha scarse relazioni con la tradizione originale; ciò che essi ne trassero fu soprattutto un rifiuto di tutto ciò che è positivistico e cerebrale, in senso costrittivo.

In Europa, soprattutto in ambito tedesco, l'interesse per lo Zen ha avuto una motivazione specificamente religiosa.

Mediato da P. Enomiya-Lasalle e soprattutto da K. Durckheim, che hanno avuto un'iniziazione personale nei monasteri buddhisti giapponesi, lo Zen è stato diffuso come una tecnica di meditazione perfettamente assimilabile da cristiani.31

Anche a proposito della comprensione europea dello Zen andrebbe posta la questione di quanto corrisponda all'originale.

Malgrado tutti i tentativi di concordismo, gli uomini religiosi dell'Occidente restano coscienti che ciò che viene praticato in Oriente e in Occidente col nome di meditazione è profondamente diverso.32

La meditatio cristiana è un'attività spirituale che conduce dal mondo sperimentabile a Dio che si rivela, alla sua parola e opera di salvezza [ v. Meditazione I ].

È essenzialmente religiosa e domanda una presenza attiva del soggetto, che riflette ed elabora ( nella "contemplazione", invece, anch'essa tradizionale in Occidente, il credente accede a un'intima, profonda pace, in atteggiamento di accoglienza [ v. Contemplazione IV ] ).

La meditazione buddhista è invece "senza oggetto".

Non è concentrazione di tipo meditativo; non è neppure contemplazione, poiché tende a mantenere la mente completamente vuota da ogni presenza conoscitivo-concettuale.

L'effetto della meditazione Zen è la sensazione della non-differenza fra l'io e il mondo esteriore.

Spontaneamente, senza che vi abbia posto intenzione, il meditante vede crollare le barriere formali fra soggetto e oggetto, fra spirito e contenuto dello spirito, fra idea e cosa proiettata nell'idea.

Ciò che oggi, a seguito del fecondo influsso dello Zen, si diffonde tra i cristiani col nome di "meditazione" non coincide esattamente con quanto questo termine designa nelle rispettive tradizioni dell'Oriente e dell'Occidente.

Dallo Zen si è presa la tecnica, dalla meditazione cristiana l'intenzione profonda.

« Preparare l'uomo all'esperienza dell'Essere, aprirlo alla via della metamorfosi mediante il contatto con l'Essere: tale è lo scopo di ogni pratica meditativa » ( K. Durckheim ).

Non dunque una ricerca di tipo razionale, una riflessione su un tema; ma neppure l'illuminazione orientale che denuncia l'io e il mondo come illusioni.

Piuttosto una via esperienziale all'Assoluto, un cammino verso la "realtà seconda", come l'ha chiamata Balthazar Staehelin, vale a dire la coscienza di appartenere a ciò che non è finito.

La meditazione consiste nel trovare un "centro" che renda la realtà seconda trasparente.

Con la scoperta del vero centro è connesso un rapporto differente con se stesso, con gli altri e con il mondo; un altro stile di vita, un altro modo di essere.

La meditazione è, dunque, un cammino di trasformazione.

Il processo avviene in noi, nel nostro corpo, grazie al nostro corpo.

Per questo, preferiamo dare a questa pratica il nome di meditazione corporea.

Vediamone ora gli elementi costitutivi.

La meditazione è un processo che ci conduce nel più intimo del nostro intimo, facendoci essere pienamente raccolti e pacifici in profondità.

Lo stile di vita odierno è caratterizzato da un risucchio verso la periferia.

Così il contatto con gli strati profondi della persona è compromesso.

Il centro di gravita tende a spostarsi verso gli strati che ci rappresentiamo come superiori, vale a dire la ragione che pensa con chiarezza logica e la volontà intenzionale.

È quanto idealmente localizziamo nella testa.

Questo spostamento va a spese del contatto con gli strati più profondi, cioè quelli dell'esperienza vitale e dell'intuizione, dove non è più in questione la ragione o la testa, ma qualcosa che localizziamo più in basso.

La struttura psicologica dell'uomo metropolitano contemporaneo ha un riscontro propriamente fisiologico.

La tendenza all'attività frenetica e alla realizzazione personale nelle prestazioni intellettuali e volitive si traduce in un particolare rapporto con il corpo.

La percezione del corpo è atrofizzata.

« Nella pratica, il senso meno sviluppato e che è invece il più utile per la personalità ( ivi compresa la personalità morale ) è il senso interno o propriocettivo.

I cinque altri sensi lasciano allo spirito la possibilità di sfuggire, di assorbirsi o proiettarsi nell'oggetto visto, ascoltato, toccato, odorato o gustato.

Mentre il senso interno, che non rivela che più o meno oscuramente il corpo in se stesso nella sua sostanza vivente, mette a dura prova l'intelligenza, ed è proprio questa prova che è salutare.

Infatti la presenza effettiva al senso interno domanda al mio spirito di lasciare lo schermo mentale per dimenticarsi in qualche modo a vantaggio della sostanza diffusa nel volume delle mie membra e di tutto il mio corpo.

Se riconosce sinceramente questa sostanza in se stessa, l'accetterà come irriducibile ai suoi concetti, benché intimamente associata all'unico soggetto che io sono.

Sboccia qui un'umiltà fondamentale senza la quale nessun altro grado di umiltà sembra accessibile ».33

Prendere il cammino dell'universo interiore, rompere il contatto con l'ambiente per raccogliersi in se stesso, concentrarsi per abbandonare le spiagge della vita inautentica, la superficie immediata dell'esistenza: tutto ciò è stato sempre inteso come l'essenza del processo meditativo.

Quello che c'è di caratteristico nella meditazione influenzata dalle pratiche orientali è che tutto questo processo si condensa nella riappropriazione del centro naturale del corpo.

Si è diffuso anche negli ambienti cristiani che praticano la meditazione corporea il termine giapponese con cui si designa tale centro ideale: hara.

Di per sé la parola significa "ventre".

Essa indica però un atteggiamento d'insieme, che comprende sia l'anima che il corpo, in cui il centro di gravitazione della persona sia nel ventre, le forze che trattengono l'uomo in alto sono in stato di relax, la profondità può esercitare il suo influsso riequilibratore e l'essere umano intero è aperto e disponibile per il contatto con il mistero dell'essere.

Lo hara cresce nella meditazione, fino a diventare la disposizione abituale dell'uomo.

Lo strumento privilegiato per accedere a questo centro naturale del corpo e disporsi così all'evento meditativo è la tecnica del respiro.

Anche questa è mutuata dalla tradizione orientale, dove alla respirazione è stata dedicata una cura che non trova riscontro nelle culture occidentali.

La respirazione non è solo un processo fisiologico che assicura all'organismo la sua riserva di ossigeno, ma è un fenomeno che coinvolge tutto l'uomo.

È espressione dei processi psichici ( le diverse modalità di respiro: affrettato o calmo, mozzo o sciolto, superficiale o ampio e profondo, sono legate a stati d'animo diversi ); a sua volta il respiro può influenzare profondamente questi stessi processi psichici ed emotivi.

La distorsione dell'equilibrio mediante la rottura con gli strati profondi e lo spostamento del centro di gravita verso la testa, di cui soffre la nostra cultura, si manifesta anche nella respirazione.

Essa è bloccata incoscientemente nella parte superiore del corpo, creando un'ulteriore tensione.

La respirazione toracica tende così a sostituire quella col diaframma.

Questo muscolo, che è il grande mediatore del respiro profondo, cade nell'immobilità e si atrofizza.

Il movimento di espirazione, di solito, non è condotto a termine: viene frenato, traducendo così un'angoscia viscerale, la paura di morire ( di "spirare", appunto ).

Ciò impedisce di attendere la nuova inspirazione come un dono da ricevere con riconoscenza.

Si "fa" la respirazione, invece di "lasciarla farsi".

Questo modo di respirare è una manipolazione del movimento naturale della vita che raccoglie le nostre tensioni, e fa ostacolo alla trasformazione.

La respirazione toracica è l'espressione fisiologica del volere intenzionale, della volontà di autoaffermazione e dell'eccitazione permanente.

Il recupero della respirazione diaframmatica e del suo ritmo naturale permette di ricostruire i ponti con gli strati profondi dell'essere.

Ritrovando le nostre radici, riannodiamo con quella parte di noi stessi che sfugge alla nostra volontà.

Il modo di respirare di una persona traduce il suo atteggiamento generale di fronte alla vita.

Quando la respirazione torna ad essere un abbandono armonioso alla natura col suo ritmo di morte e rinascita, si è posta la premessa per la trasformazione esistenziale cui tende la meditazione.

Si respira allora nel ventre - lo hara - che è di fatto il centro geometrico del corpo.

La respirazione diaframmatica comunica calma e fa essere se stesso in profondità.

Respirazione - distensione - centro del corpo: aspetti diversi dell'unico processo che avviene nella meditazione corporea, cioè un cammino di trasformazione che porta alla nascita di una struttura ( Gestait ) nuova.

Il giusto respiro mette in accordo con lo spirito della meditazione ed introduce ad essa.

Per definizione, non si può spiegare verbalmente, facendo ricorso a un discorso razionale, l'esperienza che la meditazione rende possibile.34

Per avere almeno un'idea del processo inferiore che viene messo in moto, ci si riferisce al ritmo quaternario chiamato "ruota della metamorfosi" ( K. Durckheim ).

Anch'esso è stato mutuato dal buddhismo Zen.

Il ritmo quaternario è suggerito dal ritmo della respirazione.

Quando questa non è deformata da tensioni psichiche e contrazioni fisiologiche, ma si svolge con naturalezza, il rapporto tra espirazione e inspirazione è di tre a uno ( due tempi di espirazione, un tempo di pausa e un tempo di inspirazione ).

Il processo interiore può essere favorito unendo mentalmente ai quattro tempi della respirazione delle parole che esprimono il significato dei diversi momenti che nell'intero cammino ciclico portano alla trasformazione.

Le parole suggerite dai maestri occidentali di meditazione Zen sono: "mi lascio", "discendo", "mi dono", "mi ricevo".

Sono i quattro raggi il cui movimento costituisce la "ruota della metamorfosi".

L'insieme realizza anche il ritmo binario di morte-nascita inscritto in ogni respirazione dell'essere vivente: ogni rivoluzione della ruota, ogni respirazione, contiene in sintesi tutta la densità del cammino che si estende per la vita intera.

Mentre il corpo resta immobile, si tratta di entrare nel ritmo stesso del respiro, nel lento e profondo movimento del diaframma che va e viene.

Il primo tempo è quello dell'espirazione, che induce a "lasciar la presa".

Il respiro invita a lasciarsi in quanto persona centrata e contratta nella parte superiore del corpo, installata in tutto un sistema di sicurezze artificiali, difese e paure, complessi, ruoli e maschere.

Abbandonato il centro di gravita situato in alto, che imprigiona l'uomo nel cerchio del piccolo "io" col quale ci siamo identificati, ci si prepara ad essere invasi da una coscienza diversa, in cui l'atteggiamento fondamentale consiste non tanto nel "voler fare", quanto nel "lasciar fare".

Accompagnando l'espirazione, la coscienza può scendere ancora più in basso, verso quel centro di gravitazione, situato nel bacino, che abbiamo chiamato hara.

È il secondo tempo dell'espirazione ( "discendo" ).

L'espirazione, diretta dolcemente ma fermamente verso il basso, veicola le tensioni che traducono una mancanza di fiducia totale e di abbandono, la paura davanti alla vita.

Spariscono le contrazioni localizzate nel bacino, traccia di innumerevoli repressioni.

La sensazione di essere nello hara suscita un senso di forza diverso da quello che ha origine nella volontà e genera progressivamente un altro atteggiamento vitale.

Parlando dello "hara", Durckheim così descrive questo stato: « Tutto ciò che popola la forma di coscienza abituale è scomparso.

Improvvisamente, ciò che era sentito come un vuoto spaventoso dell'io egocentrico diventa una pienezza che le parole non potrebbero esprimere e che penetra la persona intera, dandole forza, luce e calore».

È quanto vive il meditante nel vertice di distensione che costituisce il tempo di pausa tra l'espirazione e l'inspirazione.

Il lasciarsi culmina naturalmente nell'abbandono, nel dono completo di sé ( "mi dono" ).

Il riflusso del respiro segue non più per comando della volontà, ma per forza propria.

È la quarta fase.

Come una nascita, la nuova inspirazione viene da sé, la si riceve come un dono; si riceve se stesso come un dono ( "mi ricevo" ).

E ciò senza abbandonare la posizione alla radice dell'essere, al centro della terra, raggiunta nella fase precedente di abbandono.

Lasciando subito la presa, senza violenza, la "ruota della metamorfosi" si rimette in movimento.

Con l'esercizio della meditazione, man mano che la distensione si approfondisce, il meditante si calerà maggiormente nel movimento, lasciandosene afferrare interamente. [ v. Buddhismo; Yoga/Zen ].

Una questione è a questo punto inevitabile: la meditazione corporea ha un significato religioso o solo profano?

È noto che nella tradizione orientale "non si attribuisce alla meditazione un valore religioso, in quanto connesso con una fede e una rivelazione.

In quell'ambito culturale la preoccupazione principale è quella di una esistenza umana rettamente fondata nel centro dell'essere.

In Giappone l'educazione tradizionale ha sviluppato, oltre alla meditazione, una quantità di esercizi - dal tiro dell'arco, all'arte di intrecciare i fiori ( ikebana ), alla cerimonia del thè - per conseguire la giusta disposizione, cioè un'esistenza vissuta a partire dallo hara.35

I mediatori occidentali della saggezza orientale hanno operato una reinterpretazione in senso religioso, sia naturalistico che propriamente soprannaturale.

Hanno presentato la meditazione come un processo che permette di scoprire la trascendenza nel cuore stesso dell'immanenza, valorizzando al massimo il movimento di unificazione essenziale dell'essere che compie il meditante.

Riscoprendo ciò che è più profondo in sé, l'uomo troverebbe la faccia che è permanentemente rivolta verso Dio.

Cristiani che praticano la meditazione corporea testimoniano di attingervi un aiuto per vivere il proprio rapporto con Dio nel senso della fede cristiana.

La meditazione può essere anche un'esperienza esistenziale rigorosa di unione col Cristo nella sua morte per aver parte alla sua risurrezione.

Questa è la "ruota della metamorfosi" del cristiano.

Da una visione esteriore del mistero essenziale della fede cristiana la meditazione fa accedere a una comprensione dell'interno.

Una Comprensione che non è data da una sapienza razionale e dialettica, ma da una saggezza che va incontro alla rivelazione divina percorrendo la via, del corpo, sulla traccia esile ma potente del soffio vitale.

È la via che, in senso inverso, ha seguito Dio stesso nella rivelazione: « A noi Dio l'ha rivelato per mezzo dello Spirito [ la "ruah", il soffio di vita ].

Lo Spirito infatti conosce tutto, anche i pensieri segreti di Dio.

Nessuno può conoscere i pensieri segreti di un uomo: solo lo spirito che è dentro di lui può conoscerli.

Allo stesso modo solo lo Spirito di Dio conosce i pensieri segreti di Dio» ( 1 Cor 2,10-11 ).

III - Conclusione

Il ritorno del corpo è un tema obbligato della cultura contemporanea.

La riappropriazione del corpo è un fatto.

Un fatto, però, da interpretare.

Molti discorsi retorici lasciano intendere che noi saremmo la prima generazione che sa valorizzare il corpo.

Ma il gran parlare che si fa del corpo potrebbe essere un fenomeno analogo a quello dell' "arto fantasma" ( il fenomeno per cui gli amputati sentono il loro arto più vivo e doloroso che mai ); forse l'interesse per il corpo è espressione dell'ansietà generata dall'aver perso il rapporto armonioso con il corpo.

È ben vero che il corpo diventa oggetto di discorso solo a seguito di una frattura che ridesta dalla coscienza ingenua di essere il proprio corpo.36

Tale frattura è avvenuta nella nostra cultura.

La violenza quotidiana a cui il corpo è sottoposto spiega a sufficienza perché esso sia diventato un sintomo dolorante.

« Non c'è bisogno di mostrare come il nostro corpo sia represso e atrofizzato nella nostra civilizzazione tecnica, tanto ciò è ammesso correntemente da tutti ( meccanizzazione, burocrazia, lavoro a catena… ), al punto che non è più il corpo che determina il suo proprio spazio, ma questo gli è imposto dai modi di vita moderni, ( trasporti, habitat… ).

Perciò siamo congelati in atteggiamenti stereotipati che ci impongono le nostre attività regolate e predeterminate.

Abbiamo perso la coscienza di cos'è il nostro corpo e del dinamismo che lo abita: non conoscendone che la semplice apparenza, lo abbiamo ridotto ad essere uno strumento di sopravvivenza ».37

I movimenti centrati nella riappropriazione del corpo, partendo da questo sintomo di malessere, procedono a proposte di progetti di civiltà alternativi.

Un rapporto equilibrato col corpo non è un bene di consumo da aggiungere a quelli che promette la società costruita sul mito del progresso illimitato.

L'essere "bene" ( il benessere ) dell'uomo è solo quello che deriva da un essere "di più".

L'esperienza del corpo, che prende avvio dall'alienazione che conosciamo oggi, rilancia esistenzialmente una ricerca antropologica.

È la nostra concezione dell'uomo che viene messa in discussione e ripresa.

La riappropriazione del corpo si apre quindi, in defirtitiva, sul processo dell'ominizzazione.

L'impasse della civilizzazione attuale dimostra all'evidenza che l'ominizzazione comprende la vita dello spirito.

L'umanità non può sopravvivere senza un "super-vivere".38

La vera riappropriazione del corpo non è dunque un'operazione riduttiva, bensì integrativa.

Non si tratta di realizzare il corpo contro lo spirito, o prescindendo dallo spirito.

Le avanguardie della nuova umanità intendono intraprendere l'integrazione del corpo con lo spirito, dal momento che sempre l'uomo è in questione tutto intero.

Anche alcuni cristiani, che respirano lo spirito del tempo, riscoprono nella preghiera il corpo come via privilegiata della comunicazione con Dio.

Michelangelo lo ha espresso simbolicamente dipingendo la creazione dell'uomo sulla volta della cappella Sistina.

Al posto della creazione per mezzo della parola subentra un contatto personale, sensibile; attraverso le dita che si toccano fluisce la corrente che congiunge il cielo e la terra.

Per affermare la reciprocità tra Dio e l'uomo, l'artista non ha tolto il corpo all'uomo, ma ne ha prestato uno a Dio.

La nostra epoca è provocata ad esplorare il mistero della corporeità, come altre epoche hanno esplorato quello della spiritualità.

Ai cristiani di domani, ancor più che a quelli di oggi, sarà dato di vivere lo Spirito col corpo.

Valore e disciplina Ascesi III
Sviluppo retto Ascesi IV,2
Umiltà III,2
Conoscenza mediante il … Amicizia II
Antinomie IV
Mortificazione corporea Antinomie IV
Ascesi I
Ascesi III
Pscicologia III
Angelismo e masochismo Ascesi III
Celibato I,c
… nel simbolismo Ascesi III,1
Celebrazione I
Chiesa come realtà corporea Chiesa I,1e

Corpo mistico di Cristo

Chiesa
Regno
… e la fede Credente III,3
… e cristocentrismo Cristocentrismo II,2e
… e santificazione Santo VI

S. G. B. de La Salle

Chi insegna agli altri è la voce che prepara i cuori; ma è solo Dio che - con la sua grazia - li dispone a riceverlo MD 3,3
La risurrezione del Signore MD 29,2
Ascensione di N. S. Gesù Cristo MD 40,1
IX domenica dopo Pentecoste MD 62,2
Abbandonarsi alla Provvidenza MD 67,2
Conversione di sant'Agostino MF 123,3
San Norberto MF 132,2
San Michele MF 169,3
Dobbiamo onorare le reliquie dei Santi MF 184,1
… mistico
Gesù Cristo desiderava soffrire e morire MD 25,3
Molti sono chiamati, ma pochi sono eletti a vivere in Comunità MD 72,2
San Francesco di Assisi MF 173,1
Chi educa i giovani coopera con Gesù Cristo alla salvezza delle anime MR 195,2
Gli educatori possono essere gli Angeli custodi dei loro ragazzi MR 198,3
Un maestro deve rendere conto a Dio del modo con cui ha svolto la sua missione MR 205,3

Guida delle scuole cristiane

Corretta posizione durante la scrittura 244-246

Regole di buona creanza

Portamento 16-24
Parti del … che debbono rimanere coperte 121-124
Necessità fisiche 125-126 - 142-143


1 Una sintesi esauriente di questa problematica si può trovare in C. Squarise, Corpo in DETM, 149-166
2 S. S. Acquaviva, In principio era il corpo, Roma 1977, 15s
3 « La maggior parte di ciò che al giorno d'oggi avviene di nuovo, provocatorio, impegnato, nella politica, nell'educazione, nelle arti, nelle relazioni sociali (amore, corteggiamento, famiglia, comunità), o è opera di giovani che sono profondamente, persino fanaticamente, avversi alla generazione dei loro padri, o lo, è di coloro che si rivolgono fondamentalmente ai giovani »: T. Roszack, La nascita di una controcultura. Riflessioni sulla società tecnocratica e sulla opposizione giovanile, Milano 1971, 13
4 R. Dubois, Il Dio interno, Milano 1977, 226
5 B. De Marchi, « Funzione della società, liturgia del corpo o fattore di umanizzazione? », in Vita e Pensiero 60 (1974) 15-47. Tutto questo numero monografico, dedicato allo sport, è pertinente al tema dell'espropriazione - riappropriazione del corpo.
Il corpo è desublimizzato sia quando è usato come veicolo di messaggi pubblicitari, sia quando funziona come macchina muscolare per battere primati
6 Il pensiero di Marcuse sull'uso repressivo che la società capitalista avanzata fa della desublimazione degli istinti si trova in L'uomo a una dimensione, Torino 1967 e in Eros e civiltà, Torino 1964
7 J.M. Broehm, Corps et politique, Parigi 1975
8 Tr. it., Milano 1974. Il titolo originale inglese (Our Bodies, Ourselves: « I nostri corpi, noi stesse ») esprime efficacemente l'appropriazione del tema filosofico esistenziale; « io sono il mio corpo ».
Sul rapporto della donna con la medicina si veda anche Ehrenreich, Le streghe siamo noi, Milano 1975
9 E. Figes, Il posto della donna nella società degli uomini, Milano 1970. Una panoramica esauriente è offerta da Sociologia della condizione femminile, a cura di F, Bonazzi e G. Catelli, Roma 1977. Una vasta bibl. ragionata, 97-115. Lo sfruttamento della donna nell'ordine patriarcale è spiegato da E. Fromm, Avere o essere?, Milano 1977, come predominio della modalità dell'avere che si realizza nel possesso di esseri viventi, 38s
10 O. Thibault, La domination du sexe male: phénomène biologique ou culture!?, in La revue nouvetle 30 (1974/1), 44-51.
Sugli abusi causati dall'ambiguità della parola "natura" e sulla corresponsabilità della teologia cattolica nel rafforzare, con un'interpretazione maschista dei dati della scrittura, le ideologie profane, cf J.-M. Aubert, La donna.
Antifemminismo e cristianesimo, Assisi 1976, spec. 116-131
11 La validità e i limiti della politica di emancipazione femminile del movimento operaio sono obiettivamente considerati da C. Ravaioli, La questione femminile, Milano 1976 (specialmente « La riappropriazione del corpo. Intervista con Giovanni Berlinguer », 89-110)
12 A. von Lysebeth, Imparo lo Yoga, Milano 1975
13 Informazione esauriente in H. H. Bloomfield, M. P. Cain, D. T. Jaffe, MT, La meditazione trascendentale, Milano 1976 (il sottotitolo dell'originale situa questa tecnica nella prospettiva che stiamo considerando: « Discoverìng inner energy and overcoming stress »)
14 Maharishi Mahesh Yogy, Thè Science of Being and thè Art of Living, Stoccarda 1966 (tr. it. Roma 1970)
15 J. H. Schuitz, II training autogeno, 2. voli., Milano 1971; K. Thomas, Autoipnosi e training autogeno, Roma 1976
16 In generale P. Geissmann-R. D. De Boussinger, I metodi di rilassamento, Roma 1972
17 J. Wolpe-A. A. Lazarus, Behaviour therapy techniques, Nuova York 1966
18 E. Jocobsen, You must relax, Nuova York 1957
19 Il testo base è Teoria e pratica della terapia della Gestalt, dì F. Peris R. F. Heffeline-P. Goodman, Roma 1971
20 R. Dubos, Thè mirage of health: utopian progress and biologieoi change, Nuova York 1959
21 Ne mesi medica. L'espropriazione della salute, Milano 1977, 139s
22 Fromm la chiama « la Gran de Promessa di Progresso Illimitato »
23 ib., 86
24 La rubrica « Découvrir la quatrième dimension » che A. Goettmann ha tenuto per tutta l'annata 1976 nella rivista Temps et paroles.
Gli articoli sviluppano l'idea che dall'esperienza spirituale dipenderà la modificazione radicale dell'uomo e l'avvenire del mondo.
Terremo presenti gli articoli soprattutto nel paragrafo dedicato alla meditazione corporea
25 La guarigione può essere considerata anche come un processo di restaurazione dell'unità della persona, che domanda interventi differenziati.
« La guarigione si produce quando tutte le condizioni sono realizzate.
Ci sono condizioni fisiche che solo il medico è atto a conoscere e a suscitare.
Ci sono anche condizioni di ordine emozionale che possono essere rese presenti da quelli che sono formati in psicoterapia; e finalmente la guarigione richiede condizioni di natura spirituale, che non possono essere pienamente viste e facilitate che da quelli che sono formati e sperimentati nella viva tradizione della chiesa cristiana. Tutti questi uomini, insieme, possono costituire un'equipe utilissima per il servizio del Signore ». M. Kesley, Healing and Christianity, Nuova York 1973, 359
26 Esicasmo deriva dal greco "hesychìa", cioè: silenzio, pace dell'unto, ne con Dio. Sulla pratica della "preghiera di Gesù", una delle più care alla spiritualità orientale, russa in particolare, sì veda: Un monaco della chiesa orientale, La preghiera di Gesù.
Genesi, sviluppo e pratica nella tradizione bizantino-slava, Brescia 1964

27 S. Th. II-II, q. 84, a. 2
28 cf VS 56 [1974] 879-887
29 Si veda, in questo senso, G. Moroni, Il corpo e la preghiera, Bologna 1976.
Il libretto presenta esercizi pratici individuali e collettivi per una ricerca delle condizioni corporee e mentali per accogliere la preghiera.
Suo presupposto è che tutto ciò che viene vissuto dalla persona nella sfera più intima viene recepito a livello fisico e che viceversa, il corpo impone la sua presenza a ogni manifestazione, anche la più spirituale
30 Tra le opere più qualificate sullo Zen, cf A. Watts, La via dello Zen, Milano 1959; D. T. Suzuki, Zen Buddhism, Nuova York 1956. Bibl. esauriente in Enciclopedia delle Religioni, VI, Firenze 1970, 354-356
31 W. Diirckheim: Der Alltagals Ubung, Berna-Stoccarda 1962; Id., Hara. Die Erdmitte des Menschen, Weilheim 1964; Id., Zen und Wir, Weilheim 1961; Enomiya-Lasalle: Zen, Weg 7.ur Erieuchtung, Vienna 1960; Id., Zen-Buddhismus, Colonia 1966; Id., Zen-Meditation fiir ChrisScn, Weilheim 1969. Sui rapporti tra Zen e cristianesimo cf anche: H. Dumoulin. Dialogo con il Buddhismo Zen in Con 3 (1967/9) 167-185; W. Johnston, Dialogo con lo Zen in Con 5 (1969) 1829-1839; T. Merton, Mystics and Zen masters. Nuova York 1967; D. T. Suzuki, Mysticism, Cristian and Buddhist, Londra e Nuova York 1957
32 H. Waldenfeis, Meditazione: est e ovest, Brescia 1977
33 (A. Besnard in VS 56 [1974] 815
34 Oltre all'indispensabile guida di un maestro, si può fare ricorso a guide e manuali, che già cominciano ad essere numerosi.
Ci limitiamo a segnalare: K. Tillmann, Guida alla meditazione, Brescia 1975 e gli articoli (cf nota 21) di A- Goettmann in Temps et paroles
35 Una fonte esauriente di notizie sullo hara è il libro di Durckheim dedicato all'argomento.
Lohara stesso vi è così definito: « Il possesso di quella disposizione generale dell'uomo che lo mette in grado di aprirsi alle forze e all'unità della vita originaria e di mostrarle nel dominare, dare un senso e portare a compimento la propria vita. Ciò che si oppone più tenacemente all'acquisizione della forza dal centro è il restare attaccato all'io, il quale con la propria ostinazione disturba la nascita di un vero potere.
Solo quando si riesce a escludere l'intrusione dell'io si produce la prestazione perfetta, in quanto frutto di una maturazione interna.
La ragione non è più necessaria, la volontà tace, il cuore è diventato silenzioso: con felice sicurezza l'uomo agisce senza il proprio intervento »
36 Vedere l'accurata analisi fenomenologica del sorgere della percezione dualistica (il corpo come oggetto) dal predualismo originario fatta da J. Sarano, Significato del corpo, Edizioni Paoline 1975, 47-61.
Sarano non tralascia di mettere in luce il significato e la funzione del corpo-oggetto, presupposto per l'intervento terapeutico, l'etica e l'ascesi
37 H. Bossu-C. Chalaguier, L'expression corporcile, Parigi 1974, 27
38 J. Salk, La sopravvivenw dei più saggi, Roma 1977