Sulla cura dovuta ai morti |
Questo affetto i martiri di Cristo che combatterono per la verità lo vinsero.
E la cosa non stupisce: se non si era riusciti a piegarli con quei supplizi che mentre erano vivi sentivano, e come! in che modo ci si poteva riuscire con cose che, una volta morti, non avrebbero sentito più?
Certo, Dio avrebbe potuto, lui che non permise al leone di straziare ulteriormente il corpo di quell'uomo di Dio che aveva ucciso, e anzi da uccisore lo aveva fatto diventare custode, avrebbe potuto, dico, tener lontani dai cadaveri dei suoi fedeli i cani ai quali erano stati gettati.
Avrebbe potuto anche con infiniti modi impedire l'efferatezza di quegli uomini perché non arrivassero a bruciare i cadaveri e a disperderne le ceneri.
Ma anche questa testimonianza bisognava che ci fosse nella molteplice varietà delle prove, affinché la forza della confessione, che non si piegava di fronte all'immane violenza della persecuzione contro l'integrità del corpo, non mostrasse incertezze neanche di fronte alla mancanza di una onorevole sepoltura; e infine perché la fede nella risurrezione non venisse scalfita neanche di fronte allo sfacelo del corpo.
Era perciò necessario che Dio permettesse queste cose affinché, nonostante tali orribili crudeltà, i martiri, così ardimentosi nel confessare Cristo, fossero testimoni anche di quest'altra verità, che cioè coloro che li avevano uccisi nel corpo dopo non avevano più il potere di fargli altro male.
Perché qualunque cosa avessero fatto a dei corpi ormai morti, in realtà non facevano più niente in quanto in una carne ormai priva di vita non poteva sentir nulla chi ne era già uscito, e nulla poteva perdere colui che li aveva creati.
Però mentre sulle carni di quegli uccisi venivano perpetrate queste sevizie che i martiri avevano affrontato senza paura e con grande fortezza, tra i fratelli si faceva un lutto grandissimo, perché non era loro data nessuna possibilità di prestare le dovute onoranze funebri e neanche, come afferma la medesima Storia6 di poter trafugare qualcosa alla sorveglianza dei loro crudeli custodi.
In tal modo mentre coloro che erano stati uccisi non provavano più nessun dolore per quanto le loro membra fossero scarnificate, le ossa incenerite, le ceneri disperse, questi, che nulla di loro erano riusciti a seppellire, li crucciava una grande tristezza: in un certo senso questi sentivano per quelli che ormai non sentivano più e, mentre per quelli era finito il patire, per questi continuava il doloroso compatire.
È a motivo di questo doloroso compatire, come l'ho chiamato, che vengono lodati e benedetti dal re Davide coloro che ebbero la pietà di seppellire le povere ossa di Saul e di Gionata. ( 2 Sam 2,5 )
Ma se questi nulla ormai più sentivano, che pietà poteva essere?
Forse che dovremmo riportarci a quella fantasticheria che coloro che sono ancora insepolti non possono attraversare il fiume infernale?7
Ma lungi questo dalla fede cristiana.
Altrimenti molto ingiustamente si sarebbe agito con una sì grande moltitudine di martiri i cui corpi non fu possibile seppellire; e poi la Verità avrebbe affermato il falso nel dire: Non abbiate paura di quelli che possono uccidere il corpo, ma dopo non possono fare più nulla ( Lc 12,4 ) se quei carnefici gli potettero fare tanto male da impedir loro di raggiungere la patria desiderata.
Ma questo è indubitatamente falso: nessun danno per i fedeli se ai loro corpi viene negata la sepoltura, e nessun vantaggio se essa viene data a chi non è fedele.
Quelli che seppellirono Saul e suo figlio vengono lodati per l'opera di misericordia e benedetti dal pio Re, perché è un sentimento buono l'affliggersi per i maltrattamenti fatti ai cadaveri altrui e, per quell'affetto per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne, ( Ef 5,29 ) nessuno vorrebbe che dopo la morte venisse trattato così il proprio corpo.
E quello che si vorrebbe fatto a sé quando non si sentirà più si ha cura, mentre ancora si sente, di farlo a chi ormai non sente più.
Si sente dire di certe apparizioni che sembrano fatte apposta per porre interrogativi in questa discussione e che non possiamo trascurare.
Si racconta di diversi morti che, o in sogno o in qualche altro modo, apparvero a persone vive che ignoravano assolutamente dove i loro corpi giacevano insepolti.
Essi, rivelando il luogo, li pregarono che fosse data loro la sepoltura che ancora non avevano avuto.
Se dicessimo che queste sono fandonie, potremmo apparire impudenti nei riguardi di alcuni scritti di fedeli cristiani e della serietà di coloro che attestano che queste cose sono loro capitate davvero.
Ma la risposta più giusta è che, se sembra che i morti in sogno dicano, o indichino, o chiedano qualche cosa, ciò non vuol dire affatto che essi intervengono di persona in queste cose.
Capita che anche delle persone vive appaiono spesso a persone anch'esse vive che stanno dormendo, ma che non sanno che stanno loro apparendo, e solo da quelle vengono poi a sapere che le hanno sognate, e si fanno anche raccontare quello che nel sogno hanno fatto o detto.
Potrebbe succedere che uno veda me in sogno e che io gli indichi qualcosa che è successo o che gli preannunci qualcosa che dovrà succedere, ma che di tutto questo, nel momento in cui egli mi vede in sogno, io sia completamente all'oscuro e non mi curi affatto, non solo di ciò che sta sognando, ma neanche se egli sta sveglio mentre io dormo, o se egli dorme mentre io sto sveglio, o se nel medesimo tempo stiamo insieme svegli oppure dormiamo tutti e due.
Ma allora che c'è di strano se anche i morti, senza che essi ne sappiano niente e senza che sentano niente, tuttavia sono visti in sogno dai vivi e gli dicono delle cose che, quando questi si svegliano, si accorgono che sono vere?
Io sarei propenso a credere che questo può succedere piuttosto per un intervento degli Angeli, permesso oppure voluto dall'alto; così può sembrare che i morti dicano in sogno qualcosa sul seppellimento dei loro corpi, ma senza che coloro a cui appartengono quei corpi ne sappiano assolutamente nulla.
Sono cose che avvengono talvolta con grande utilità, o perché arrecano un po' di conforto ai vivi a cui appartengono quei morti che gli sono apparsi in sogno, oppure perché sono avvertimenti per la gente, affinché coltivi quel pio senso di umanità della sepoltura, la quale, anche se ai defunti non arreca alcun vantaggio, tuttavia il trascurarla sarebbe un'ingiustificabile mancanza di religiosità.
Talvolta però delle false visioni trascinano gli uomini in grandi errori; e gli sta bene, perché se lo meritano.
Come se uno vedesse in sogno quello che, per fantasia poetica, si narra abbia visto Enea nell'inferno: come cioè gli fosse apparsa l'ombra di uno non ancora sepolto e gli avesse detto più o meno quello che avrebbe detto allora Palinuro;8 e poi svegliatosi, ne trovasse il corpo proprio dove in sogno gli era stato detto che giaceva inumato e gli era stato raccomandato e supplicato perché lo seppellisse; e constatando che tutto era vero, si facesse anche la convinzione che i morti vengono sepolti proprio perché le loro anime possano raggiungere il loro destino, dal quale ha sognato che una legge infernale esclude le anime dei non sepolti.
Ebbene, se uno si facesse una convinzione di questo genere, non andrebbe del tutto fuori della strada della verità?
È per la sua irragionevolezza che l'uomo si comporta così: se uno sogna di vedere un morto, è convinto che ne vede l'anima: se invece, nelle medesime condizioni, si sogna un vivo, non dubita che non gli è apparsa né l'anima né il corpo, ma solo un'immagine di lui.
Come se non fosse possibile che anche i morti, senza che ne sappiano niente, appaiano ai vivi mentre dormono, ma non le anime, bensì una loro immagine.
Quando ero a Milano mi fu dato per certo che a un tale fu richiesto di saldare un debito, attestato dalla cauzione di suo padre defunto, il quale però, all'insaputa del figlio, lo aveva saldato.
Quell'uomo ne ebbe un grandissimo dispiacere e si stupiva che il padre, morendo, non gli avesse parlato di questo debito, tanto più che aveva fatto anche testamento.
Mentre era così in ansia, gli apparve in sogno suo padre che gli indicò il posto dove era custodita la ricevuta con cui quella cauzione risultava estinta.
Trovato e mostrato questo documento, il giovane non solo poté respingere la calunnia di quel falso debito, ma anche ricuperare l'autografo di suo padre che questi non aveva ritirato quando aveva consegnato il denaro.
Certo, questo potrebbe far pensare che l'anima di quell'uomo si fosse presa cura del figlio e gli fosse apparsa in sogno per tirarlo fuori da un impaccio così increscioso, illuminandolo su una cosa che gli era del tutto ignota.
Ma più o meno nello stesso tempo in cui sentii parlare di questa cosa, stando io sempre a Milano, successe che a Cartagine il retore Eulogio, che era stato mio discepolo nella stessa materia, come egli stesso mi raccontò dopo che io fui tornato in Africa, mentre veniva spiegando ai suoi discepoli i libri della Retorica di Cicerone, gli capitò che, nel preparare una lezione che doveva fare il giorno dopo, si trovò di fronte a un passo oscuro.
Non essendo riuscito a capirlo bene, il suo sonno fu molto agitato; e in sogno quella notte io gli spiegai quel che non era riuscito a capire.
Ma non ero io, bensì la mia immagine, e io non ne sapevo niente, ed ero tanto lontano di là dal mare, e chissà che cosa stavo facendo o sognando, per nulla preoccupato delle sue preoccupazioni.
Come queste cose possano accadere io non lo so.
Ma qualunque sia il modo in cui avvengono, perché non pensare che avvengono nel medesimo modo, sia che si sogni un morto sia che si sogni un vivo?
Che cioè tutti e due sono completamente all'oscuro e non hanno consapevolezza di chi, di dove e di quando uno si sogna le loro immagini?
Ai sogni si possono paragonare quelle visioni che hanno certe persone, sveglie certamente, ma che hanno i sensi sconvolti, come succede ai frenetici o a coloro che in ogni modo non hanno la testa a posto.
Anche questi parlano dentro di se stessi come se parlassero con persone veramente presenti, sia che queste siano presenti o che siano assenti, che siano vive oppure morte, e di cui vedono soltanto le immagini.
Però come quelli che sono ancora vivi non sanno affatto di essere veduti o di stare a parlare con costoro ( e realmente né sono presenti né parlano con loro, ma semplicemente quegli uomini dai sensi scossi subiscono tali visioni immaginarie ), allo stesso modo quelli che se ne sono andati già da questo mondo sono visti come presenti da questi uomini così malati, ma in realtà sono assenti e non sanno affatto che qualcuno li vede così fantasiosamente.
A questo si potrebbe ricondurre il caso di certe persone che perdono ogni sensibilità materiale in una maniera più profonda dello stesso dormire e vengono prese in visioni di questo genere.
Anche ad esse appaiono immagini di persone vive e di persone morte; ma poi, quando riprendono i sensi, qualunque morto dicano di aver visto, la gente crede che veramente sia stata con il morto; e chi li sta a sentire non pensa che queste persone affermano di aver visto nella stessa maniera anche immagini di gente viva che non era lì e non ne sapeva niente.
Un tale che si chiamava Curma, del municipio Tullio, vicino a Ippona, ( era un povero curiale, arrivato a fatica alla carica di duumviro, di quel luogo, un sempliciotto della campagna ) si ammalò, perdette i sensi, e per alcuni giorni se ne stette supino come se fosse morto.
Solo un filo di fiato che, accostando la mano davanti alle narici, si riusciva in qualche modo a sentire ed era l'unico segno appena percettibile che egli era ancora vivo, non consentiva che lo si seppellisse come morto.
Gli arti completamente immobili, non mandava giù il minimo alimento; nessun movimento con gli occhi, nessuna reazione del corpo, per quanto lo si stimolasse.
Ma egli vedeva tante cose come in sogno, cose che, quando finalmente dopo molti giorni si risvegliò, poté raccontare di aver visto.
E prima di tutto, non appena ebbe aperto gli occhi: "Qualcuno", disse, "vada subito a casa di Curma, il fabbro-ferraio, a vedere che cosa vi sta succedendo".
Si andò e si constatò che questi era morto in quello stesso istante in cui l'altro aveva ripreso i sensi ed era come risuscitato da morte.
E così con grande stupore dei presenti raccontò che all'altro era stato comandato di presentarsi quando lui fu rilasciato e che, in quel luogo dal quale ora tornava indietro, aveva sentito chiaramente che non il Curma curiale, ma il Curma fabbro-ferraio doveva esser condotto in quel luogo di morti.
E in quelle visioni che aveva come in sogno tra quei defunti che vedeva trattati in modo diverso a seconda dei diversi meriti, egli riconobbe anche alcuni che sapeva che erano ancora vivi.
E io forse ci avrei creduto davvero se in quella specie di sogni non avesse visto anche alcuni che sono vivi ancora adesso, cioè alcuni chierici della sua regione dal cui vescovo del luogo sentì che sarebbe stato battezzato da me a Ippona, cosa che poi affermava essere avvenuta.
Perché in quelle visioni, in cui dopo vide dei morti, aveva visto un vescovo, dei chierici e anche me, gente cioè che non era ancora morta.
E allora perché non credere che abbia visto quei morti come ha visto noi, cioè assenti e del tutto ignari gli uni e gli altri, e quindi che abbia visto non proprio loro, ma delle immagini sia di loro come anche dei luoghi?
Infatti aveva visto anche il podere dove si trovava quel vescovo con i suoi chierici, e anche Ippona dove io l'avevo, come lui diceva, battezzato; nei quali luoghi, quando egli credeva di esserci, certamente non c'era.
Difatti non sapeva che cosa stava succedendo in quei luoghi in quel tempo, e senza dubbio l'avrebbe saputo se veramente si fosse trovato lì.
Si tratta dunque di visioni dove le cose non si presentano nella loro realtà oggettiva, ma vengono come adombrate attraverso certe loro somiglianze.
E infine, dopo tutte queste visioni, raccontò che anche in paradiso era stato fatto entrare e, sul punto di essere rilasciato per ritornare tra i suoi, sentì una voce che gli diceva: "Va', fatti battezzare, se vuoi essere in questo luogo di beati".
E, ammonito che si facesse battezzare da me, egli rispose che già era stato fatto.
Ma di nuovo quegli che gli parlava replicò: "Va', fatti battezzare sul serio, perché quello che hai visto era solo una visione".
Dopo tutte queste cose egli guarì e venne a Ippona. La Pasqua era ormai vicina.
Egli diede il nome tra gli altri Competenti, a noi come tanti altri personalmente sconosciuto.
E non pensò di raccontare di quella visione né a me né a qualcun altro dei nostri.
Ricevette il battesimo, poi, passati i giorni santi, se ne tornò a casa sua.
Due anni dopo, o anche più, io venni a sapere di tutte queste cose prima da un mio amico, che era anche amico suo, a tavola con me e si parlava di questi argomenti.
Io poi insistetti e feci in modo che queste cose me le raccontasse lui stesso di persona.
Erano presenti alcuni suoi onesti concittadini che attestavano sia della sua strana malattia in cui era rimasto come morto per parecchi giorni, sia di quell'altro Curma fabbro-ferraio di cui ho riferito sopra, come pure di tutte le altre circostanze che, mentre egli raccontava, quelli ricordavano e confermavano che anche allora lo avevano sentito raccontare allo stesso modo.
E allora, se egli ha potuto vedere il suo battesimo, e me, e Ippona, e la Basilica, e il Battistero non nella loro realtà fisica ma attraverso certe loro immagini, come anche alcune altre persone vive senza che questi vivi ne sapessero niente.
13.15 Perché non ha potuto allo stesso modo vedere dei morti senza che questi morti ne sapessero niente?
E perché non pensare che questi potrebbero essere interventi angelici, che avvengono per una disposizione della divina Provvidenza, che sa ben servirsi tanto dei buoni che dei cattivi secondo l'imperscrutabile sublimità dei suoi giudizi, ( Rm 11,33 ) sia che con queste cose le menti umane vengano illuminate oppure oscurate, sia che vengano consolate o anche intimorite, a seconda che a ciascuno debba essere usata misericordia oppure irrogata la pena da colui di cui non senza significato la Chiesa esalta la misericordia e il giudizio? ( Sal 101,1 )
Ognuno prenda come vuole quello che sto per dire.
Se le anime dei morti si occupassero dei fatti dei vivi, e se, quando le vediamo nei sogni, fossero proprio esse a parlarci, per tacere di altre cose, la mia santa madre neanche una notte mi lascerebbe, lei che per terra e per mare mi è venuta sempre dietro per vivere con me.
E come può una vita più felice averla resa crudele a tal punto che, quando il mio cuore è angustiato per qualche cosa, essa non corre a consolare il figlio addolorato che ha tanto amato e che mai ha accettato di vederlo mesto?
Sì, è certamente vero quello che afferma il sacro salmo: Mio padre e mia madre mi hanno lasciato, ma il Signore mi ha raccolto. ( Sal 27,10 )
Se dunque i nostri genitori ci hanno lasciato, come potranno occuparsi delle nostre preoccupazioni e delle nostre cose?
Ma se non se ne occupano i nostri genitori, quali altri morti possono sapere che cosa facciamo e che cosa stiamo soffrendo?
Il profeta Isaia dice: Tu sei il padre nostro, perché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. ( Is 63,16 )
Se patriarchi così grandi non poterono sapere che cosa avveniva di quel popolo che pure era nato dal loro seme, popolo che era stato loro promesso come continuazione della loro stirpe perché avevano creduto in Dio, come fanno i morti a farsi presenti nel conoscere e nell'aiutare i vivi nelle loro cose e nelle loro azioni?
E come possiamo dire che sono nella pace, se essi, per quanto siano morti prima che succedessero le disgrazie capitate dopo la loro morte, tuttavia anche da morti sono toccati da quelle sventure che capitano nella vita degli uomini?
O siamo noi a sbagliarci nel pensare così e li crediamo nella pace, mentre invece stanno lì a soffrire per la inquieta vita dei vivi?
Ma allora come si spiegherebbe che Dio abbia promesso al piissimo re Giosia come una grande grazia che sarebbe morto prima per non vedere i mali che egli minacciava di mandare su quel luogo e su quel popolo?
Ecco le parole che disse Dio: Questo dice il Signore Dio di Israele: Quanto alle parole che hai udito … e ti sei commosso davanti a me mentre ascoltavi le mie parole riguardo a questo luogo e a quelli che vi abitano, che cioè diverranno una desolazione e una maledizione; poiché tu ti sei stracciato le vesti e hai pianto davanti a me; ecco, anche io ho ascoltato, dice il Signore degli eserciti: per te io ti riunirò ai tuoi padri; tu sarai sepolto in pace e i tuoi occhi non vedranno tutte le sventure che io farò cadere su questo luogo e su coloro che vi abitano. ( 2 Re 22,18-20; 2 Cr 34, 22s )
Egli, spaventato dalle minacce di Dio, aveva pianto e si era stracciato le vesti.
Però il pensiero che sarebbe morto prima lo mise al sicuro da tutte quelle disgrazie che stavano per sopraggiungere, certo che avrebbe riposato in pace e non avrebbe visto tutte quelle sventure.
Le anime dei defunti perciò sono in uno stato in cui non si vede quel che si fa o succede tra gli uomini in questa vita.
Come possono quindi vedere i loro sepolcri o se i loro corpi giacciano insepolti oppure tumulati?
Come potrebbero esser partecipi delle miserie dei vivi, quando loro stessi avessero il loro soffrire, se così hanno meritato, oppure, come fu promesso a questo Giosia, riposano in una pace in cui nessun male hanno da sopportare né patendo né compatendo, affrancati ormai da tutti i mali che, o patendo o compatendo, gli toccava di soffrire quando ancora vivevano quaggiù?
Qualcuno però potrebbe obiettare: Se i morti non si occupano affatto dei vivi, come mai quel ricco che era tormentato nell'inferno scongiurava il padre Abramo che mandasse Lazzaro ai suoi cinque fratelli, i quali non erano ancora morti, e facesse il possibile che non venissero anche loro in quel luogo di tormenti?
Ma il fatto che il ricco si espresse in questo modo non dimostra che egli sapesse che cosa stessero facendo o che cosa stessero soffrendo i suoi fratelli in quel momento.
Egli si poté occupare di persone vive anche se era del tutto all'oscuro di quel che stavano facendo, allo stesso modo che anche noi ci occupiamo dei morti anche se non sappiamo che cosa stanno facendo.
Se non ci occupassimo affatto dei morti, certamente non staremmo a pregare Dio per loro.
E del resto Abramo non mandò Lazzaro, ma rispose che quaggiù essi avevano Mosè e i Profeti e che dovevano ascoltar loro per evitare di incorrere in quei tormenti.
Ma, si dirà ancora, come mai questo padre Abramo ignorava che cosa si faceva in questo mondo, se sapeva che c'erano Mosè e i Profeti, cioè i loro libri, e che obbedendo a questi gli uomini potevano evitare i tormenti dell'inferno?
E dove aveva saputo che quel ricco era vissuto in mezzo alle delizie e il povero Lazzaro in mezzo alle fatiche e alle sofferenze?
Perché anche questo gli fece notare: Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro invece i suoi mali. ( Lc 16, 22ss )
Quindi queste cose, che non si erano verificate tra i morti ma tra i vivi, egli le sapeva.
Però egli le poté venire a conoscere su indicazione di Lazzaro, non mentre si verificavano tra i vivi, ma dopo che questi erano morti.
E così resta valido quanto afferma il Profeta: Abramo non ci riconosce. ( Is 63,16 )
E allora bisogna convenire che i morti non sanno quel che succede nel momento in cui succede, ma che poi ne possono venire a conoscenza tramite coloro che, morendo, sono passati da qui a loro; e poi non qualunque cosa, ma solo ciò che a questi è consentito indicare, quindi anche di ricordare e, a quelli cui viene indicato sia opportuno sapere.
Anche dagli Angeli, che sono presenti alle cose che avvengono quaggiù, i morti possono venire a sapere quanto Colui a cui tutto è soggetto, giudica che ciascuno debba sapere.
Infatti se gli Angeli non avessero la possibilità di esser presenti nei luoghi dove si trovano sia i vivi che i morti, il Signore Gesù non avrebbe detto: Successe che il povero morì e fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo. ( Lc 16,22-29 )
Se essi portarono da qui a lassù quel poveretto come Dio volle, vuol dire che essi poterono trovarsi sia qui che lassù.
Inoltre anche le stesse anime dei defunti possono venire a conoscenza, per rivelazione dello Spirito di Dio, di alcune cose che avvengono quaggiù e che è necessario che esse conoscano, e questo non solo nei riguardi di cose passate o presenti, ma anche future.
Come non tutti gli uomini, ma solo i Profeti, mentre vivevano in questo mondo, conoscevano certe cose, e neanche essi conoscevano tutto, ma solo quello che la Provvidenza di Dio considerava di dover loro rivelare.
Ed è la Scrittura stessa ad attestare che alcuni morti furono mandati dai vivi, come al contrario Paolo, ancora vivo, era stato rapito fino in paradiso. ( 2 Cor 12,2 )
Così il profeta Samuele, già morto, al re Saul, che era ancora vivo, predisse quello che gli stava per capitare; ( 1 Sam 28,7-19 ) anche se alcuni pensano che, con quelle arti magiche, non poteva esser lui, Samuele, ad essere evocato ma semmai, nelle sembianze del profeta, un qualche spirito cattivo, all'altezza della malvagità di quelle arti.
Però il libro dell'Ecclesiastico, che si dice scritto da Gesù figlio di Sirach, ma che per certe somiglianze di espressioni viene attribuito a Salomone, tessendo le lodi dei Patriarchi, afferma che Samuele anche da morto continuò a profetare. ( Sir 46,20 )
Ché se a questo libro non si vuole prestar fede a motivo del canone degli Ebrei ( perché nel loro canone non figura ), che cosa diremo di Mosè che con certezza nel Deuteronomio viene dato come morto ( Dt 34,5 ) e nel Vangelo insieme ad Elia (che però morto non è) si legge che è apparso a persone viventi? ( Mt 17,3 )
Indice |
6 | Eusebius, Hist. Eccl. lib. 5, 1 |
7 | Vergilius, Aen. 6, 326-328 |
8 | Vergilius, Aen. 6, 337-383 |