3 Settembre 1975

Noi pensiamo che la celebrazione dell'Anno Santo provochi in coloro a cui preme trarne qualche reale rinnovamento spirituale una domanda conforme alla mentalità del nostro tempo: qual è l'idea centrale del Vangelo?

qual è la chiave della dottrina di Cristo?

il punto focale del suo insegnamento?

Se noi dobbiamo ravvivare la nostra adesione alla religione cattolica, quale sarà il punto prospettico dal quale noi possiamo coglierne in sintesi la visione complessiva ed organica?

Viene facilmente alla memoria il tentativo compiuto da molti studiosi antichi e moderni di riassumere in un breve disegno didattico l'insegnamento cattolico ( Cfr. S. Augustini Enchiridion ad Laurentium; K. Adam, Essenza del Cattolicesimo, 1924, 7ª ed., Morcelliana, Brescia 1962; in genere: le sintesi dottrinali, come: S. Thomae Expositio Symboli Apost., op. 16; e i Catechismi, e fra tutti il celebre Catechismo romano del Concilio di Trento, cfr. Pastor, VII, 288 ss.; L. Andrianopoli, Il catechismo romano del Concilio di Trento, Città del Vaticano 1946; come pure Card. P. Gasparri, Cat. Cath., 1930; etc. ); ed anche il tentativo d'interpretare il Vangelo secondo una formula preferita secondo uno schema ideologico parziale e discutibile ( Cfr. A. Von Harnack, Das Wesen des Christentums, 1900 ).

Noi qui non ci vogliamo affatto addentrare nella grande speculazione storico-dottrinale sulla figura di Cristo ( Cfr. L. Bouyer, Le Fils eternel ); ci basta ricordare due verità fondamentali, che formano il tesoro più prezioso dell'insegnamento evangelico, e che possono alimentare inesauribilmente il rinnovamento religioso e morale promosso da questo Anno Santo.

Prima verità: Gesù ci ha rivelato il volto di Dio: Dio è Padre! ( Cfr. Mt 11,25ss )

Questo annuncio è oggi ripetuto ad un secolo come il nostro, che ha osato proclamare la più stolta negazione sull'esistenza di Dio: Dio è morto!

traendola non dalla Realtà delle cose e della vita, ma dall'irreligiosità negativa e soggettiva dell'uomo moderno, quasi che questi, diventato cieco per le aberranti degradazioni delle sue facoltà spirituali, gridasse: il mondo non esiste, perché io non lo vedo!

Si è infatti così accecato senza pietà e senza ragione l'occhio dell'uomo, implacabilmente scrutatore e fidente nella Verità reale dell'universo, e tuttora piangente per i tanti limiti della sua capacità visiva, e dapprima quello dello scienziato e del pensatore, come si cerca di velarlo quest'occhio umano e di confonderlo nel limpido sguardo del fanciullo umile e sapiente.

Ecco Gesù, ecco il Maestro, che ci infonde l'indiscutibile certezza su Dio!

la certezza che Dio È,

ch'Egli è infinitamente personale e vivente,

ch'Egli è l'Assoluto e il Necessario,

ch'Egli è creatore con atto trascendente e onnipotente, e

ch'Egli è conservatore con atto immanente e provvidenziale per ogni altro essere, che creatura si chiama; e finalmente

ch'Egli ha un nome sovrano e dolcissimo, radicato nel nostro essere stesso: è Padre! ( Cfr. spec. « Discorsi dell'ultima Cena »; Eph. 1 )

Ed ecco allora la seconda verità fondamentale della nostra religione cristiana: Dio è Amore ( 1 Gv 4,8.16; Gv 3,16 ).

Questa è l'estrema rivelazione su Dio, la quale appare nella notte della negazione e della disperazione, nelle nubi dell'ignoranza e del dubbio, nei lampi del timore e della terribilità del Dio giudice e vindice nello stordimento stesso d'una verità così impensata ed abbagliante: Dio è Amore! ( Cfr. 1 Gv 4,10; Rm 5,8; cfr. le parabole della misericordia: Lc 15, spec. quella del figliol prodigo; etc. )

Questa centralità dell'Amore di Dio per noi ha espressioni che superano ogni dimensione e ogni capacità di comprensione ( Cfr. Ef 3,17-19 ), e ci offre ineffabili incontri con la Divinità, misteriosa sempre, ma accessibile ormai sopra un piano soprannaturale, che eleva quello naturale a insperate fortune, come nell'Incarnazione ( Gv 3,16 ), nella Redenzione ( 2 Ts 2,16 ), nell'Eucaristia ( Gv 6,32 ), nella Pentecoste e in tutta l'economia della grazia ( Rm 8,30; 1 Gv 3,1 ).

Siamo amati da Dio!

Questa è una rivelazione, è una scoperta, che sta alla base del Nuovo Testamento, e che dobbiamo trasferire da una semplice nozione verbale a cardine portante di tutta la nostra concezione religiosa e morale; dobbiamo far nostra, profondamente, l'affermazione dell'Evangelista Giovanni, nella sua prima Epistola: « noi abbiamo creduto alla carità che Dio ha per noi », credimus caritati ( 1 Gv 4,16 ); e perciò una reciprocità, per quanto sproporzionata, si impone: « Noi dunque dobbiamo amare Dio, perché Egli per primo ci amò » ( 1 Gv 4,19 ).

E qui la logica dell'amore reclama amore da noi!

mentre la nostra stessa inettitudine ad esprimere in linguaggio religioso e mistico l'amore, che dovremmo a Dio senza avere di lui esperienza diretta, ci aiuta a compiere il grande precetto, riversando sui fratelli, sugli uomini, la dilezione dovuta al Signore; precetto nuovo è chiamato da Cristo a causa di un « come » che ne estende la misura oltre misura: « Io vi do un precetto nuovo, disse Gesù nell'ultima cena, che vi amiate a vicenda, come Io ho amato voi » ( Gv 13,34 ).

E immetteva così una fonte incontenibile e inesauribile di carità, non più specificamente religiosa, ma umana, nel cuore dei suoi seguaci, che della carità verso il prossimo avrebbero dovuto essere i più generosi e ingegnosi professionisti, fino a estasiarsi nell'esercizio penoso e gioioso della carità, che nel fratello sofferente contempla il rappresentante, quasi un sacramento, dice Bossuet, di Gesù Cristo stesso: tale carità, mihi fecistis ( Mt 25,40 ) a me è stata prodigata.

Lezione statutaria del cristianesimo, quella dell'amore di Dio sopra ogni cosa, e, in virtù di tale amore religioso, quella dell'amore dinamico fino alla parità, anzi fino al sacrificio, verso gli uomini, tutti nostri fratelli ( Mt 22,37-40; Mt 5,43-48 ).

Da pensare, ripensare e praticare, come frutto dell'Anno Santo.

Con la nostra Benedizione Apostolica