Dalla scuola al lavoro

1. Contesti

Scuola discontinua

Il sistema scolastico italiano è noto come uno tra i migliori del mondo per la qualità dei programmi e per la competenza dei docenti.

La buona offerta di istruzione del sistema scolastico non incontra però una adeguata domanda da parte delle famiglie e della società.

Alla scuola si chiede di tutto e di più, sul piano organizzativo e strumentale, ma non si sa che cosa chiedere sul piano della istruzione e della educazione, salvo a demandare ad essa i compiti educativi e di controllo sociale che altre agenzie, come la famiglia e la società nel suo complesso non riescono a svolgere.

Permane la difficoltà a creare un rapporto stabile tra sistema dell'istruzione e della formazione, servizi per l'impiego che sostituiscono gli uffici di collocamento e sistema delle imprese.

Attualmente il sistema formativo non corrisponde né alle nuove esigenze delle imprese ( quattro assunzioni su 10 riguardano figure professionali di difficile reperimento ) né a quelle di chi cerca lavoro.

Alcuni dati per inquadrare questo disagio, che non deriva soltanto dalle deficienze del sistema scolastico ma anche da una scarsa sensibilità sociale per l'istruzione e l'educazione dei giovani.

In Italia solo il 40% della popolazione adulta ha un diploma di scuola secondaria, contro il 61% della Francia e l’84% della Germania.

I laureati sono il 9%, contro rispettivamente il 21% e il 23% ( tab. 1 ).

Occorre riconoscere che in soli otto anni ( dal 1991 al 1998 ) l’Italia ha compiuto sul piano della scolarizzazione significativi passi avanti.

Nelle fasce di popolazione adulta, che risente della tardiva estensione dell’obbligo scolastico fino a 14 anni ( attivata per i nati nel 1952 che nel 1991 avevano 39 anni ) la percentuale di diplomati è cresciuta di 12 punti.

L’Italia spende per l’istruzione il 4,8% del Pil a fronte di una media Ocse del 6,1%.

La quota di popolazione in età scolare ( 16% ) è la più bassa d'Europa.

In proporzione alla popolazione abbiamo meno studenti, ma il costo per studente nella scuola italiana è più alto del 15% rispetto alla media europea, fino a un massimo di oltre 16 milioni annui per un allievo delle elementari.

Le cause principali di questo spreco di risorse sono l’eccessivo numero di insegnanti rispetto a quello degli studenti: dal 1980 ad oggi, restando quasi invariato il numero degli insegnanti, gli studenti italiani sono diminuiti di oltre 2 milioni.

Le risorse destinate all’Università sono inferiori alla media degli altri Paesi dell’Unione europea e il tasso di abbandono elevatissimo: si laureano solo 38,5 studenti su 100.

Forti elementi di disparità con l’Europa sussistono nel campo della Formazione professionale, primo fra tutti lo scarso numero di giovani ( 5 su 100 ) che dopo il diploma, scelgono la formazione professionale, la cui qualità è variabile a seconda delle zone del Paese, e passa da livelli d’eccellenza e di elevata rispondenza alle esigenze delle imprese a livelli di qualità assai bassi, in particolare nel Mezzogiorno.

In questo campo sono improprie tutte le generalizzazioni.

Dal punto di vista del finanziamento, l'investimento privato nella formazione continua ( pur essendo negli ultimi anni in crescita ) è insufficiente: secondo l’indagine Eurostat, solo il 15% delle imprese, quasi tutte grandi o medio grandi, sono considerate "formatrici", investono cioè in misura consistente nella formazione di propri dipendenti, contro un valore medio europeo del 60%.

Lavoro come progetto, lavoro come mercato

La questione oggi più dibattuta riguarda il rapporto e la funzione della scuola nei confronti del mondo del lavoro: mentre l’impresa chiede una scuola più professionalizzante, la scuola cerca di insistere sulla sua funzione culturale.

Comunque si intenda sviluppare il discorso, il dato di fatto è che il mondo del lavoro e il modo di lavorare sono profondamente cambiati.

La disoccupazione, che ha rappresentato fino a qualche tempo fa la principale preoccupazione degli italiani, sembra si stia riducendo: rispetto all'aprile del 2000 gli occupati sono cresciuti del 2,1%, come dire che in un anno si sono creati 443 mila nuovi posti.

Pare che il principale motore di questo risultato sia la flessibilità.

Stanno crescendo nuove modalità nei rapporti di lavoro: secondo il Rapporto CENSIS 2000 l'occupazione temporanea e part time è cresciuta nel 1999 dell'11,1%, arrivando a coprire, nello stesso anno, il 12,6% del volume occupazionale del paese; per le donne, lo stesso valore si attestava al 21%.

L'incremento è stato dovuto in buona parte all'esplosione del lavoro interinale ( +272,4% ) che ha offerto nell'anno quasi 200mila posti, anche se temporanei.

Anche le altre formule sono cresciute in misura considerevole: il part-time (+9,4%), il temporaneo (+12,9%) e soprattutto il parasubordinato ( +15% ), che conferma anche nel 1999 la stessa tendenza di crescita degli ultimi anni.

Il fenomeno si manifesta soprattutto nel settore del lavoro femminile.

Le lavoratrici atipiche, che rappresentano il 6,3% delle lavoratrici italiane, sono in media molto giovani ( il 48,7% ha meno di 30 anni ), risiedono prevalentemente al centro ( 30,9% ) o al sud ( 31% ) del paese ed hanno un livello di scolarità piuttosto basso ( il 35,7% ha frequentato al massimo la scuola dell'obbligo e il 44,8% ha un diploma ).

Anche le condizioni occupazionali si presentano precarie, spesso ai limiti della sottoccupazione: il 36,5% lavora meno di 20 ore e il 26,4% dalle 20 alle 29 ore, per un livello di reddito netto mensile che a malapena arriva ad 1 milione al mese ( 67,6% ).

Le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione stanno incidendo sia sul mercato del lavoro che sull’organizzazione del lavoro.

Mentre vengono eliminati posti di lavoro e figure professionali legate al sistema fordista, si sviluppano i settori informatici e finanziari.

Dal 1997 al 1999 il numero complessivo dei lavoratori della new economy è passato complessivamente da quasi 1milione 219mila unità, a più di 1 milione 280mila, con ritmi di crescita del 2,5% all'anno, superiori di oltre un punto a quelli registrati sul complesso degli occupati.

Per il 2000, si stima che l'occupazione del settore possa superare 1milione 313 mila unità, con un incremento complessivo, rispetto al 1997, del 7,7%.

Nel 2001 però stiamo già assistendo ad una fase di vistoso assestamento di questi processi.

L’organizzazione del lavoro post-fordista, d’altra parte, là dove è applicata, tende a valorizzare fortemente la conoscenza e la partecipazione dei lavoratori.

La "ICT" ( tecnologia dell’informazione e della comunicazione ), insieme con l’avvento delle tecnologie microelettroniche e anche grazie a quell’evento epocale che fu la caduta del muro di Berlino, creano le condizioni per lo sviluppo rapido e travolgente della globalizzazione economica, finanziaria e dell’informazione.

La competizione ora è quindi sempre più globale e le aziende sono ancora più legate al giudizio dei mercati azionari.

Questo comporta non pochi problemi per gli investimenti di lungo periodo, per i quali è possibile solo una redditività proiettata avanti nel tempo.

Secondo Confindustria, il mercato del lavoro in Italia è ancora troppo rigido: meno protetto sul posto di lavoro, il lavoratore dovrebbe essere più protetto sul mercato del lavoro, attraverso la formazione e i servizi per l'impiego ( che sono di competenza degli enti pubblici locali ), che dovrebbero essere impegnati per migliorare il rapporto tra domanda e offerta di lavoro.

I sindacati, da parte loro, difendono i diritti dei lavoratori e si oppongono ad una deregolamentazione che provochi insicurezza e disagio sociale.

2. Sfide

La parola alla scuola

Per fare in modo che il sistema scuola sia in grado di formare "persone" capaci di essere protagoniste in un mondo che richiede sempre più elevate competenze e abilità ( obiettivo che oggi pare disatteso dalla scuola, che invece sembra mirare all’opposto ), sembra necessario dare risposte concrete a quattro ordini di questioni, ancora sul tappeto:

la presenza di forme di analfabetismo funzionale che interessano più del 30% della popolazione adulta ( il 42% nel mezzogiorno ) ed il 16% di quella giovanile tra i 16 ed i 25 anni;

la difficoltà di portare a termine la riforma del sistema scolastico, avviata dai precedenti governi e messa in discussione dall'attuale, soprattutto per quanto attiene l'autonomia.

Questa difficoltà è ampliata dal disinteresse della popolazione per il problema scuola.

Attualmente il 32,1% della popolazione adulta non conosce il contenuto delle riforme della scuola ed un altro 36,9% ne ha solo sentito parlare.

E mentre buona parte del corpo docente chiede aumenti salariali uguali per tutti il 61,2% della popolazione di oltre 18 anni considera utile al miglioramento della scuola una differenziazione degli stipendi sulla base di criteri di merito; le difficoltà dell'università nel trasformare la propria vocazione e le proprie strutture organizzative da università d'élite ad università di massa e garantire al tempo stesso innovazione nella didattica ed eccellenza nella ricerca.

La comunità ecclesiale, da sempre sensibile alle problematiche educative, deve recuperare sensibilità anche per le problematiche dell'istruzione e della scuola, non solo sul piano della libertà scolastica e dunque della promozione della parità scuola statale e scuola non-statale, ma soprattutto sul piano dell'eccellenza del servizio e dell'istituzione scolastica.

Questo obiettivo può essere raggiunto instaurando con la scuola un rapporto privilegiato di attenzione e di ascolto.

1. Ascoltare la scuola

Il processo di trasformazione del sistema scolastico, comunque sia regolamentato dalla legge, affidato, richiede che si superi la gestione centralista e che le famiglie e gli allievi non si limitino a usufruire passivamente del servizio, come che sia.

La complessità e la ricchezza di potenzialità della scuola, oggi, impongono una divisione dei compiti tra governo centrale, regioni ed enti locali e singoli istituti scolastici, ma necessitano soprattutto di partecipazione, di condivisione, di un sistema di scambi centro-periferia realizzabile attraverso strategie di comunicazione

interattiva, in cui prevalga la logica dell’ascolto delle esigenze, delle aspettative e delle idee che vengono proprio dalla periferia dal mondo della scuola.

2. Ascoltare l’utenza

La scuola ed i suoi utenti sono l'immagine della società con le sue grandi contraddizioni e la sua complessa stratificazione sociale.

Adottando la strategia dell’ascolto, la comunità ecclesiale si impegna a promuovere un sistema di comunicazione interattiva che consenta di rilevare esigenze, aspettative e fabbisogni espressi dai diversi soggetti sociali che alla scuola sono interessati.

- le famiglie e gli studenti, prima di tutto.

Gli utenti diretti dei servizi e delle strategie educative sono ovviamente gli studenti ( che nella pedagogia moderna vengono considerati anche come attori del processo di apprendimento ) tuttavia è possibile considerare anche le famiglie come utenti dei servizi scolastici quantomeno nei cicli pre-primario e dell'obbligo.

Famiglie e studenti domandano servizi specifici, funzioni di sostegno nei processi di scelta degli investimenti educativi, informazioni sul rendimento e sui servizi offerti dalla scuola e rispetto a tali bisogni esprimono non meno complesse esigenze di informazione e comunicazione.

In tutti i casi la loro domanda ha bisogno di essere orientata, perfezionata e illuminata, soprattutto dal punto di vista educativo, cioè dal punto di vista della promozione di valori autentici.

le imprese e le rappresentanze sociali del mondo del lavoro.

Esse sono interessate alla scuola perché da essa ricevono quelle risorse umane che sono indispensabili allo sviluppo sociale e alla crescita economica.

La comunità ecclesiale è attenta al delicato rapporto scuola-impresa, soprattutto per impedire che esso assuma soltanto connotazioni tecniche ed economiche, dimenticando la fondamentale funzione educativa.

le utenze interne.

Grande attenzione occorre prestare al mondo degli operatori, degli educatori e dei dirigenti scolastici che rappresentano oltre un milione di persone cui corrispondono non meno di 700 mila famiglie.

La comunità ecclesiale in ascolto degli utenti della scuola, in concreto, promuove:

una maggiore domanda di informazione e comunicazione

l’integrazione tra scuola, formazione professionale e mercato del lavoro, soprattutto attraverso i processi di orientamento

strategie di valutazione esterna ed interna del sistema scolastico, della sua efficienza e della sua efficacia e dei risultati, professionali e soprattutto educativi, che raggiunge.

3. Ascoltare gli insegnanti

Si tratta di una categoria professionale, vittima di uno scadimento del precedente prestigio sociale, economicamente poco riconosciuta, didatticamente preparata ma pedagogicamente incerta.

Sono numerosi, in tutti i livelli scolastici, i docenti motivati e impegnati nella loro professione, ma sono anche in evidenza docenti poco motivati e approdati alla scuola per considerazioni estranee al servizio scolastico.

In tutti i casi l'eccellenza della scuola dipende dal rapporto che essi riescono a instaurare con gli allievi e con l'istituzione.

È evidente il loro bisogno di essere ascoltati, supportati, aiutati non solo nella loro missione, ma anche da un punto di vista contrattuale e sindacale.

La comunità ecclesiale è particolarmente attenta al disagio del corpo docente e alla sua funzione e dunque si impegna in un sistematico ascolto delle loro analisi e delle loro proposte.

Si potrebbe inoltre impegnare a promuovere il valore sociale e culturale della professione del docente, coinvolgendo in maniera sistematica gli insegnanti nella programmazione delle attività educative della parrocchia.

Ma ciò che più dovrebbe interessare è promuovere un sistema di integrazione tra scuola e lavoro che salvaguardi la funzione educativa e culturale della scuola e nello stesso tempo la sua professionalizzante.

Il nuovo modo di lavorare

…Il che significa farsi carico delle sfide che oggi pone anche il mondo del lavoro.

La prima grossa sfida di questo tempo riguarda il senso del lavoro dell’uomo.

Emerge ormai chiaramente che il lavoro non è tutto e che non deve essere sovradimensionato a livello ideologico, come in passato.

C’è chi sostiene che l’uomo si deve realizzare ormai fuori e nonostante il lavoro e propone un rapporto strumentale con il lavoro.

D’altra parte non sono pochi coloro che, pur di guadagnare, lavorano in modo forsennato.

Chi o cosa darà senso al lavoro ora che le ideologie sono in crisi?

Forse è il tempo opportuno per riscoprire il valore della persona che lavora, che dà al lavoro un significato più alto in funzione dell’uomo, della famiglia, della società.

Non è più il lavoro che nobilita l’uomo, ma la persona che può rendere nobile il lavoro.

La seconda sfida è strettamente connessa alla prima e riguarda il passaggio dal sistema di lavoro alla catena di montaggio alla ‘fabbrica integrata’ che punta alla ‘qualità totale’.

La nostra gente stenta a capire questi nuovi messaggi ( ancora impregnata com’è di mentalità fordista, in entrambe le varianti, collaborazionista o conflittuale ), ma a ben vedere è chiaro che senza qualità non si può essere vincenti sui nuovi mercati.

Il problema è che per fare qualità bisogna coinvolgere i lavoratori.

Questa è la realtà e la sfida del post fordismo e delle nuove organizzazioni produttive, dove la conoscenza non è più secretata, ma necessariamente partecipata, dove l’intervento dei lavoratori è indispensabile per la riuscita del prodotto.

La terza sfida è legata a quanti non riescono a salire sul treno della innovazione tecnologica o lo perdono per strada.

I primi sono più o meno il 20%, i secondi sono il 30/40%.

Può una società civile disinteressarsi di questi che sono i nuovi poveri?

I giovani a bassa qualificazione, gli adulti espulsi dai processi di ristrutturazione, gli invalidi.

No. Non può. È necessario attivare tutti gli strumenti per la qualificazione professionale di coloro che sono disponibili e capaci, nonché tutte le maniere possibili (cooperative, terzo settore) per offrire un lavoro dignitoso e un passaggio non traumatico verso la pensione di tutti gli altri.

La quarta sfida riguarda i lavoratori del pubblico impiego che stanno passando da una condizione di grande protezione e di altrettanta frustrante inefficienza ad una terra sconosciuta dove vengono richieste loro partecipazione e intraprendenza senza, in contropartita, le garanzie del passato.

È un passaggio inevitabile, anzi doveroso.

Ma dove troveranno questi lavoratori le motivazioni per questa svolta copernicana?

Nell’etica della responsabilità, certo, ma forse anche ( e in modo più ricco e stimolante ) in quella visione cristiana del lavoro che nobilita la partecipazione e il valore sociale del lavoro.

La quarta sfida concerne i dirigenti e gli imprenditori.

Questo pare essere davvero il secolo degli imprenditori, lo dicono anche i sindacalisti.

La sfida consiste nel saper interpretare il loro ruolo non come vincitori assoluti ma come servitori del bene comune che si realizza anche attraverso il mercato e l’impresa.

La quinta sfida riguarda i lavoratori dipendenti e consiste nella capacità di reagire sia alla rassegnazione individualistica che alle tentazioni di un passato che non può ritornare.

Si tratta di riscoprire le vie di una solidarietà che colleghi i lavoratori non solo nella difesa dei loro diritti ma anche nella proiezione creativa verso nuove forme di solidarietà, aperte davvero a tutti i lavoratori.

Una sesta sfida riguarda i lavoratori dell’agricoltura.

Stretti come sono tra le logiche del mercato globale e le ridotte dimensioni delle loro aziende, coinvolti nell’enorme cambiamento culturale che attraversa anche il mondo agricolo, sono di fronte a temibili scelte che riguardano la qualità dei prodotti agricoli, la salvaguardia del creato, la salute delle persone.

Una pesante responsabilità che può trasformarsi in una storica opportunità per tutto il mondo dei campi e della montagna.

A condizione che siano pronti ad affrontare creativamente e in modo non assistenziale i nuovi problemi ma anche che l’ente pubblico riconosca il loro insostituibile ruolo sociale.

4. Riflessione biblica

Dio insegna

(Dio) guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie ( Sal 25,9 )

Chi regge i popoli forse non castiga, lui che insegna all'uomo il sapere? ( Sal 94,10 )

Dice il Signore tuo redentore, il Santo di Israele: "Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare" ( Is 48,17 )

Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro ( Os 11,3 )

Gesù insegna

Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi ( Mt 7,28-29 )

Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose ( Mc 6,34 ).

Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli" ( Lc 11,1 )

Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme ( Lc 13,22 )

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio, fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo ( At 1,1-2 )

Lo Spirito insegna

Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto ( Gv 14,26 )

Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali ( 1 Cor 2,13 )

Missione dell’apostolo è insegnare

Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì".

Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" ( Mt 13,51-52 )

Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere ( At 2,42 )

Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina ( 2 Tm 4,2 )

I genitori insegnano ai figli

Porrete dunque nel cuore e nell'anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai ( Dt 11,18-19 )

Ora, figli, vi comando: servite Dio nella verità e fate ciò che a lui piace.

Anche ai vostri figli insegnate l'obbligo di fare la giustizia e l'elemosina, di ricordarsi di Dio, di benedire il suo nome sempre, nella verità e con tutte le forze ( Tb 14,8 )

Il lavoro rappresenta il nostro limite di creature e la fatica di vivere

All'uomo disse: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua!

Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.

Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre.

Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!" ( Gen 3,17-19 )

Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario?

Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate.

Se mi corico dico: "Quando mi alzerò?".

Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba ( Gb 7,1-4 )

Il lavoro dà significato alla nostra presenza nel mondo, anche se non ne esaurisce lo scopo

Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d'ogni bene ( Sal 127,2 )

Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù negli inferi, dove stai per andare.

Ho visto anche sotto il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la guerra e neppure dei sapienti il pane e degli accorti la ricchezza e nemmeno degli intelligenti il favore, perché il tempo e il caso raggiungono tutti ( Qo 9,10-11 )

Così ogni artigiano e ogni artista che passa la notte come il giorno: quelli che incidono incisioni per sigilli e con pazienza cercano di variare l'intaglio; pongono mente a ritrarre bene il disegno e stanno svegli per terminare il lavoro.

Così il fabbro siede davanti all'incudine ed è intento ai lavori del ferro: la vampa del fuoco gli strugge le carni, e col calore del fornello deve lottare; il rumore del martello gli assorda gli orecchi, i suoi occhi sono fissi al modello dell'oggetto, è tutto preoccupato per finire il suo lavoro, sta sveglio per rifinirlo alla perfezione.

Così il vasaio seduto al suo lavoro gira con i piedi la ruota, è sempre in ansia per il suo lavoro; tutti i suoi gesti sono calcolati.

Con il braccio imprime una forma all'argilla, mentre con i piedi ne piega la resistenza; è preoccupato per una verniciatura perfetta, sta sveglio per pulire il fornello.

Tutti costoro hanno fiducia nelle proprie mani; ognuno è esperto nel proprio mestiere.

Senza di loro sarebbe impossibile costruire una città; gli uomini non potrebbero né abitarvi né circolare ( Sir 38,24–34 )

Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani.

In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!" ( At 20,34-35 )

Il lavoro è un dovere

Chi è indolente nel lavoro è fratello del dissipatore ( Pr 18,9 )

Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio ( 1 Ts 2,9 )

Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi.

Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi.

Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare.

E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi.

Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione.

A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace ( 2 Ts 3,6-12 ).

Il lavoro e la preghiera

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.

Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro.

Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto ( Gen 2,1-3 )

Il primo giorno sarà per voi santa convocazione; non farete in esso alcun lavoro servile; per sette giorni offrirete al Signore sacrifici consumati dal fuoco.

Il settimo giorno vi sarà la santa convocazione: non farete alcun lavoro servile ( Lv 23,7-8 ).

Figure bibliche

Il giovane ricco ( Mt 19,16; Mc 10,17; Lc 18,18 )

Il giovane ricco è un tipo di allievo oggi molto diffuso:

è interessato a imparare

dispone di molti strumenti ( computer, enciclopedie, viaggi di conoscenza )

è rispettoso delle regole correnti, tanto da poter essere riconosciuto come un bravo ragazzo

Il mondo giovanile oggi riesce ancora ad esprimere coraggio e creatività: ci sono ancora molti giovani capaci di darsi un progetto di vita, anche in un contesto complesso e difficile.

E però la figura più diffusa di giovane hai i tratti del consumista e del conformista, appiattito sui gusti e i modelli correnti.

È un giovane che non sceglie, ma si adegua.

Vive in difesa, al riparo delle sue ricchezze e delle sue sicurezze e persino delle sue ansie, che qualche volta elabora in maniera distruttiva.

Gesù, nei confronti del giovane ricco, come nei confronti dei suoi discepoli, viene riconosciuto e si comporta come un maestro.

Quella del maestro è una figura oggi appannata: viviamo in un'epoca di professori.

La differenza, in sintesi, potrebbe essere così espressa: il maestro ti insegna l'arte di vivere; il professore ti fornisce le conoscenze per fare.

Nel rapporto educativo servono maestri.

Pista di ricerca e discussione:

1. I ragazzi di oggi

Di quali sicurezze vanno in cerca?

Che tipo di prospettive coltivano per il loro futuro?

Quale valore attribuiscono al lavoro e alla professione?

Quali sono le loro insicurezze e le loro paure?

Da che cosa dipende la scarsa capacità di progettare che manifestano?

Il Maestro come accoglieva i bambini che andavano da lui?

Su che cosa era fondata la sua predilezione?

2. I maestri di oggi

Provate a fare l'elenco dei personaggi e delle strutture che influenzano maggiormente il comportamento dei vostri figli.

Provate a valutare la loro incidenza rispetto all'azione educativa dei genitori e della Chiesa.

Sapreste indicare i motivi per cui la TV incide maggiormente sui nostri comportamenti sociali rispetto alla famiglia e alla Chiesa?

3. La pedagogia di Gesù

Provate a individuare, analizzando i testi evangelici citati e altri che presentano Gesù come maestro ( Mt 22,26; Mc 9,5; Mc 9,38; Mc 10,35; e soprattutto Lc 11,1 in cui Gesù insegna il Padre nostro), qual è il metodo educativo di Gesù.

Potreste seguire due filoni:

il modo di trattare i suoi allievi, i suoi interlocutori, i suoi discepoli

il modo di trattare la dottrina che insegna (la sua didattica)

il linguaggio che adopera

gli strumenti comunicativi di cui si serve

Questa ricerca è un ottimo punto di partenza per definire il modo di rapportarsi della comunità ecclesiale e/o degli operatori pastorali con i propri membri, con i lontani, nell'ipotesi di diventare una agenzia educativa alla fede o quantomeno alla conoscenza della religione.

Due modelli di lavoratori: Caino e Abele ( Gen 4,1-20 )

In questo brano biblico ritroviamo gli elementi fondamentali che ci permettono di definire il senso e il valore del lavoro:

il lavoro è una funzione della famiglia (serve a guadagnare il pane)

il lavoro è una funzione economica (comporta una divisione dei compiti: Abele alleva le greggi; Caino coltiva la terra)

il lavoro è una funzione religiosa (Dio apprezza il prodotto del lavoro)

il lavoro è una funzione sociale (sta alla base del conflitto sociale, ma anche dello sviluppo sociale: i discendenti di Caino sviluppano le varie professioni)

C'è anche una dimensione salvifica del lavoro, che riguarda il mistero della volontà divina, la quale apprezza un prodotto al posto di un altro senza per questo mettere in discussione la nostra libertà, la nostra volontà: "Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora" ( Eb 11,4 ).

C'è anche una dimensione mistica del lavoro ( Lc 10,38-42 ):

Marta ha una concezione efficientistica del lavoro che non le permette di svilupparne la dimensione creativa, e cioè il suo collegamento diretto alla grande impresa della creazione e quindi all'opera di Dio;

Maria ha una concezione contemplativa del lavoro, che le permette di coglierne il significato profondo: la sua funzione appunto di integrazione e completamento dell'opera divina.

In sintesi, secondo la Bibbia, il lavoro è quel comportamento che ci mette in relazione con i fratelli, con il mondo e con Dio.

Per questo la più efficace forma di lavoro è la preghiera: grazie ad essa noi carichiamo di senso la relazione di cui sopra, le diamo una direzione verticale che ci permette di osservare le cose da un punto di vista privilegiato e di analizzarle meglio, armonizziamo la riflessione con l’azione.

Pista di ricerca e discussione:

1. Lavoro e famiglia

Si dice che il lavoro rappresenti spesso un grave impedimento per dedicarsi alla famiglia.

Per quali motivi? È un luogo comune o una necessità?

Che cosa c'è nell'organizzazione del lavoro di oggi che contrasta con la famiglia?

È proprio vero che sia inevitabile sacrificare la famiglia per il lavoro?

Quali cambiamenti ha introdotto nella famiglia il lavoro di entrambi i coniugi?

2. La divisione internazionale del lavoro

In che cosa consiste quella che viene chiamata flessibilità del lavoro?

Perché i lavori più pesanti e meno remunerativi vengono affidati alle economie dei paesi poveri?

Lavoro e immigrazione: analizzate le ragioni per cui fino a ieri gli immigrati erano considerati dei ladri di posti di lavoro e oggi vengono ricercati come lavoratori.

Perché la disoccupazione degli italiani non rientra del tutto e si cercano lavoratori stranieri?

Quali sono le diversità tra lavoro maschile e lavoro femminile?

3. Il nuovo modo di lavorare

Che effetti produce sulle persone il nuovo modo di lavorare?

Provate a elencare gli effetti sulle persone della flessibilità.

Che effetti producono sulle persone le nuove modalità del rapporto di lavoro: lavoro interinale, temporaneo, part time?

Sapreste elencare i pregi e i difetti di un'organizzazione ospedaliera gestita come una impresa?

Una scuola governata con criteri manageriali come considera gli studenti e le famiglie?

Dal confronto tra i risultati di queste ricerche e la concezione biblica del lavoro, quale tipo di proposte e di azioni potrebbe ricavare la comunità ecclesiale per stabilire dei contatti sistematici con chi lavora?

Riferimenti

Un ottimo supporto per lo sviluppo di questo modulo è la lettera agli studenti, ai genitori e a tutte le comunità educanti Per la scuola della Conferenza Episcopale Italiana, 1995.

Suggeriamo come documentazione di supporto alcuni passaggi, tratti dai documenti classici della dottrina sociale della Chiesa: Mater et Magistra 112; Rerum Novarum 27; Laborem exercens, 14 e n. 16; discorso di Paolo VI alla Organizzazione Internazionale del Lavoro ( Ginevra, 10 giugno 1969 ); Centesimus annus 1, n. 2, n. 8, n. 15, n. 18;

Costruire Insieme, pag. 62-64, 68, 71-72, 93-96.