Il simbolismo dei numeri nella cultura antica e nel mondo biblico

Diversità di concezione

A differenza della nostra civiltà, profondamente segnata da una cultura logico-matematica di grado avanzato ( basti pensare alla velocità enorme, usata nei computers, per il calcolo di operazioni matematiche estremamente complesse ), le culture antiche avevano coi numeri un rapporto diverso.

Prima di tutto, la stessa grafia dei numeri era « concreta »: essi erano cioè indicati da una stessa lettera dell'alfabeto ( così in ebraico o in greco, così pure per i numeri romani ), e già tale sistema in se stesso non permetteva un campo di scrittura troppo vasto.

Le odierne cifre usate per la scrittura dei numeri sono invece di carattere più « astratto », essendo segni introdotti nell'uso in modo convenzionale.

Le culture antiche erano poi di tipo manuale, ossia la loro base di partenza nel calcolo erano le mani dell'uomo o i ritmi ricorrenti della natura e del cielo ( come ad es. il ciclo lunare ).

Senza computer né algebra, il numero « mille » appariva per esse quasi il massimo possibile, un valore prossimo all'infinito: esso è ad es. il simbolo numerico più grande possibile nella scrittura dei numeri in cifre romane ( è espresso con la cifra M ).

È merito della cultura araba l'aver introdotto definitivamente nel calcolo matematico due novità.

Per prima cosa, le cifre usate oggi per scrivere i numeri sono dette appunto « cifre arabe » ( anche se recenti studi hanno mostrato come queste cifre sembrano piuttosto provenire dall'India settentrionale circa 15 secoli fa ).

In secondo luogo, la cultura araba introdusse anche l'uso dello zero, conosciuto pure nel mondo babilonese ma non ancora applicato al calcolo matematico diretto.

Si è così allargata enormemente la possibilità di sommare e di calcolare, proiettando i numeri verso l'infinito.

Quest'ultimo valore è stato invece introdotto nel calcolo matematico a partire dall'era moderna.

Zero e Infinito insieme sono all'origine dell'esplosione della concezione culturale antica dei numeri.

Nelle civiltà antiche però i numeri non avevano solamente un senso matematico, ma anche un senso simbolico, spesso più importante del primo.

Tale senso non è del tutto scomparso nemmeno nella cultura attuale, dato che ancora oggi si usa l'espressione « due o tre » per dire « alcuni, non molti », oppure si usa l'altra espressione « te l'ho detto cento ( o mille ) volte » per dire « moltissime »; e ci sono poi ancora certe espressioni che vogliono esprimere un'approssimazione indicante « una grande quantità, un numero indefinito »: così si dice « un milione », oppure « milioni e milioni ».

In questo contesto si può ricordare infine l'uso persistente di attribuire a certi numeri, come ad es. al Tredici o al Diciassette, dei significati magico-simbolici negativi.

Quest'uso dei numeri in senso approssimativo, che a tutt'oggi è persistente, ci apre la via ad una possibile miglior comprensione di ciò che il mondo antico, ed in particolare la cultura semita, intendevano dire quando usavano i numeri come simboli concreti e ben compresi da tutti.

La base di partenza è spesso un'esperienza o una realtà naturale; e poiché il mondo visibile veniva visto e interpretato in antico, sotto tutte le latitudini, come una realtà che esprimeva un ordine naturale perfetto che l'uomo doveva leggere, contemplare e rispettare, i numeri erano allora usati come simboli espressivi del rapporto fra l'uomo e il Trascendente, Creatore di tale ordine e delle sue leggi interne.

È questo uno dei motivi principali per cui i libri sacri di molte religioni, e nella Bibbia in modo particolare la letteratura apocalittica dell'AT e del NT ma anche altre parti, sono pervasi da questo simbolismo religioso dei numeri.

Vi sono però anche altri motivi, come quello di voler usare, tramite i numeri come simboli, una specie di codice cifrato segreto, accessibile solamente agli « iniziati » di una setta o di un gruppo, e non agli altri.

Questo uso era molto diffuso nelle cosiddette « religioni misteriche » dell'Ellenismo, o nella corrente filosofica greca dei pitagorici, o anche nell'Apocalisse di Giovanni, dove è modellato sull'uso profetico-apocalittico dell'AT, in cui i numeri e le visioni misteriose si susseguono come un linguaggio speciale.

Bisogna infine anche ricordare che, per il sistema pitagorico, certi numeri avevano un simbolismo particolare: l'Uno e il Due erano ritenuti maschili, il Tre e il Quattro femminili, il Sette era il numero della verginità.

In altre culture invece, l'Uno e il Due sono numeri fondamentali della vita, mentre i numeri dispari sono ritenuti maschili e quelli pari invece femminili.

Numeri e significato simbolico

Il numero 1

è il numero dell'individualità, della persona singola.

Nel corpo, esso è il suo numero come individuo, ed è il numero della testa ( « tante teste, tante persone » ).

In geometria, l'Uno è il numero del centro o del vertice.

L'Uno esprime così l'idea di unità in se, di unificazione; e dice anche perfezione in sé, senza divisioni.

L'uso latino di « unus » esprime anche senso di isolamento: è « uno solo »; ed infine, il fatto di contare « ad uno ad uno » vuole indicare una grande accuratezza per evitare errori.

Il numero 2

è il numero che più ricorre nel corpo umano: che ha due occhi, due orecchi, due mani, due gambe, due piedi; e ancora: due polmoni, due reni, due seni, e parecchi altri « organi doppi ».

Il Due esprime così l'idea di compagnia, ma anche di simmetria; ed è il numero della coppia, dove maschio e femmina si corrispondono e si completano nella diversità.

Dire « due » è già dire « alcuni », e dire « il doppio » è dire « molti », quindi « sovrabbondanza ».

Il numero 3

è paragonabile, nella cultura antica, alla lettera greca π un numero che non è totalmente descrivibile, che sfugge sempre alla presa degli strumenti umani, e che esprime anche enfasi e insistenza.

In geometria, il Tre è il numero del triangolo; in senso religioso in genere e pure nel mondo semita, esso rappresenta il numero della perfezione divina.

Un certo uso simbolico indicante perfezione sta anche alla base della realtà della Trinità cristiana, ma anche di altre « triadi » gnostiche o induiste.

Il Tre può poi essere rafforzato nel suo significato di perfezione con altri accorgimenti: elevato al quadrato ( 9 = 3 per 3 ), o unito ad altri numeri di perfezione, come il 7 ( 21 = 7 per 3, oppure: 3 per 14 = 3 per 7 per 2, Mt 1 e Lc 3, le genealogie di Gesù ).

Nel mondo cristiano medievale, il 3 è spesso rafforzato nel suo composto 33 ( tale è ad es. il numero dei Canti delle singole parti della Divina Commedia ).

Il numero 4

è collegato con l'esperienza dell'orientamento della persona nel mondo: davanti, dietro, a destra e a sinistra formano quattro punti fissi di riconoscimento di sé sulla superficie terrestre.

Ecco allora i quattro punti cardinali ( N-S-E-0; e il loro sviluppo concreto nella « Rosa dei venti » ), e l'uso del numero Quattro per indicare la totalità dell'orizzonte geografico-terreno.

Nel mondo antico e nella simbologia biblica, il numero Quattro indica così universalità spaziale: i « quattro angoli della terra », formanti quasi un quadrilatero ( Ap 7,1 ) significano « tutta la superficie della terra »; e il senso di universalità ricorre anche nei « quattro fiumi » del paradiso ( Gen 2,10; cf molte immagini dell'arte paleocristiana ), nei « quattro venti » ( Ez 37,9; Is 11,12 ), nei « quattro esseri viventi » ( Ez 1,5-21; Ez 10,14; Ap 4,6-9 ), nei « quattro corni » dell'altare del Tempio.

Nel tempo cristiano, il simbolismo è prolungato nell'idea dei quattro Vangeli, dei quattro profeti maggiori, dei quattro « grandi Concili » antichi.

Quattro sono pure le beatitudini di Luca ( Lc 6,20-23 ), quattro anche le sue maledizioni ( Lc 6,24-26 ); in Matteo, le beatitudini sono invece otto, quattro per due ( Mt 5,3-12 ).

Il numero 5

corrisponde alle dita di una mano, ha quindi un immediato valore di calcolo aritmetico.

Talvolta, il cinque ha anche un certo valore simbolico-approssimativo, ed è usato nel senso di « alcuni pochi » ( 1 Cor 14,19: « in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue » ).

Il numero 6

non sembra avere all'origine una particolare esperienza spazio-temporale.

Forse, è il numero dei giorni lavorativi della settimana, che non è compiuta e completa, senza la festa ( il « settimo giorno » ).

Nel mondo semita e nei libri biblici, il Sei è capito in relazione con il Sette: è un 7 meno 1.

E mentre il Sette è la perfezione in atto, il Sei è la non-perfezione, la negatività radicale, il tentativo fallito di arrivare fino al Sette, fino alla perfezione.

Così in Ap 13,18 il numero 666 ( Sei per tre volte ) è il numero della Bestia che si oppone a Dio.

Collegati con l'idea di un vano e fallimentare tentativo di giungere alla perfezione sono pure altri numeri composti: ad es. « un tempo, più tempi e la metà di un tempo » ( Dn 7,25 ), oppure « un tempo, due tempi e la metà di un tempo » ( Ap 12,14 ).

Il numero 7

suggerisce già in se stesso l'idea di un nucleo considerevole e compiuto.

Esso è il numero dei giorni della settimana, che formano in gruppo la totalità ( 7 per 4 ) del mese lunare di 28 giorni.

Il « settimo giorno » è il nome del Sabato ebraico, che compie e completa la settimana.

Nel mondo semita, il Sette indica una serie completa, una totalità che non esclude nulla.

È formato dal Quattro ( universalità terrena, e insieme pienezza dell'essere vivente ) e dal Tre ( perfezione divina, e immagine del Trascendente ); per questo, indica anche l'unione di terrestre e celeste, e nella Bibbia è spesso collegato ad oggetti o persone sacre ( ad es. At 6: i Sette; Ap 2-3: le sette Chiese ... ).

Il Sette può essere compreso anche in senso simmetrico: 3 più 1 più 3, ossia perfezione in cui l'unità è al centro.

Il suo composto, 21, è formato dalla perfezione divina e dalla totalità completa ( 7 per 3 ).

Qualche volta si usa il suo superlativo ( Mt 18,22: 77 volte o settanta volte sette volte, detto con un'enfasi assoluta ).

Nella Bibbia è talvolta ricordata anche la metà di sette, tre e mezzo ( Dn 7,25; Dn 8,14; Dn 9,27; Ap 11,2-9; Ap 12,6.14 ), espressa pure nella forma « milleduecentosessanta giorni » ( Ap 11,3: sono tre anni e mezzo ) o « quarantadue mesi » ( Ap 13,5: sono pure tre anni e mezzo ).

Il simbolismo del Sette ricorre anche nel numero dei Sacramenti propriamente detti, forse anche ( ma non è storicamente provabile ) per indicare che la totalità dell'esistenza umana nella sua pienezza è toccata dalla presenza operante della salvezza.

Il numero 8

non acquista nel mondo semita particolare valore simbolico.

Forse va inteso come 4 per 2 ( le beatitudini di Matteo, Mt 5,3-12 ).

Il numero 9

è invece il quadrato di 3, e porta al massimo la perfezione.

Nel Medioevo, era il numero dei cori angelici, dei cieli del Paradiso, o dei gironi dell'Inferno ( la Divina Commedia di Dante ).

Il numero 10

è il numero delle dita delle due mani, con cui si conta; ha quindi valore immediato di richiamo aritmetico-mnemonico.

Forse in questo senso è usato per i « dieci comandamenti » ( Es 34,28; Dt 4,13 ) o le « dieci piaghe d'Egitto » ( Es 7,14-12,29 ).

Simbolicamente il numero Dieci indica anche una quantità notevole, molto grande.

Il numero 12

è prima di tutto collegato col ciclo delle lune in un anno, e suggerisce quindi immediatamente l'idea di un ciclo annuale completo.

In astronomia, il Dodici è il numero delle costellazioni dello Zodiaco dove il sole « passa » nel corso di un intero anno; mesi e segni zodiacali acquistano così subito anche un significato simbolico.

Per il pensiero antico, il Dodici è un numero molto importante, oltre che per lo Zodiaco e i mesi dell'anno, anche come base fondamentale dell'antico sistema sessagesimale per il calcolo dello spazio e della scansione del tempo.

Il sistema fu inventato dagli antichi Sumeri, ma i motivi della sua invenzione non sono del tutto chiari.

Tale sistema perdura anche per noi oggi: 60 ( 12 per 5 ) sono i secondi di un primo o i secondi di un grado del quadrante, 60 ( 12 per 5 ) sono i secondi di un minuto e i minuti di un'ora, le ore sono 12, un giorno ne ha 24 ( 12 per 2 ).

Anche i gradi degli angoli sono misurati con un sistema a base Dodici ( 180 gradi sono 12 per 15, così pure 360 gradi, 12 per 30 ).

Il Dodici può essere anche scomposto in 4 per 3, ed allora è insieme universalità terrestre e perfezione divina, e indica un numero rotondo di totalità.

È così che nella cultura semita e nel mondo biblico il Dodici indica la totalità perfetta del popolo eletto: i figli di Giacobbe-Israele sono 12, essi corrispondono ai patriarchi, capostipiti delle 12 tribù del popolo ebreo.

Anche gli Apostoli sono 12 ( i Dodici in Mc 3,14; . At 1,17.23-26: dopo la Pasqua, il gruppo dei Dodici è ricostituito ), e sono i nuovi capostipiti del Nuovo Popolo di Dio, che nasce sul modello dell'Antico.

In At 1,15 il primo nucleo della Chiesa è composto di circa 120 persone, 12 per 10; in Ap 21,12-22,2 la Nuova Gerusalemme è costruita tutta sulla base del numero-simbolo 12.

Usato nei suoi multipli ( 12 per 12 = 144 ) o associato con altri numeri ( 12.000 o 144.000 = 12 per 12 per 1.000: Ap 7,4-8 ) rafforza l'idea di totalità del popolo di Dio.

I numeri 13 e 17

sono spesso collegati, nella mentalità della gente contemporanea, con idee superstiziose o con paure di tipo magico.

Tali numeri non hanno alcun significato speciale dal punto di vista biblico, mentre invece sembra che le idee superstiziose o magiche su questi due numeri provengano da fonti antiche pagane o da rituali cabalistici medievali.

Il numero 40

indica convenzionalmente, nel mondo biblico, gli anni di una generazione; simbolicamente, esso significa un'esperienza completa di vita, in cui sono gustati e vissuti fino in fondo i suoi contenuti e significati.

Così i 40 anni di Israele nel deserto ( Nm 14,34 ), i quaranta giorni del diluvio ( Gen 7,4 ), i quaranta giorni di viaggio di Elia ( 1 Re 19,8 ), i quaranta giorni di digiuno per Cristo nel deserto ( Mc 1,13 ), che simbolicamente ripetono i 40 anni del popolo nel deserto.

Nel tempo della Chiesa, a partire dal IV secolo, si fa strada l'idea della Quaresima, quaranta giorni di più intensa preparazione alla Pasqua.

Il numero 100

indica una grande quantità.

Così « il centuplo » di Mt 19,29 significa una quantità indefinita ma grande; e le « cento pecore » di Lc 15,4 indicano un grande gregge, e forse l'intera grandezza del popolo di Dio.

Il numero 1000

indica anch'esso, nel mondo antico, una grande quantità, quasi il massimo umanamente concepibile, visibile e numerabile.

Nel mondo biblico, il mille esprime un numero indefinito indicante un periodo di tempo avvicinabile all'eternità, anche se inferiore ad essa.

Dio così fa grazia per « mille generazioni » ( Es 20,6; Ger 32,18 ); per lui, « mille anni » sono come un giorno ( Sal 90,4 ), e un giorno presso di lui vale più di mille vissuti altrove ( Sal 84,11 ).

Così il regno di « mille anni » di Cristo in Ap 20,1-6 ha il senso di un numero indefinito e incalcolabile per gli uomini, finito ma quasi vicino ad una eternità di tempo.

Il numero 10.000

intende una quantità incredibile, favolosa, con valore iperbolico ( così Gen 24,60; Lv 26,8; 1 Sam 18,7; e probabilmente anche Lc 14,31 ); è il senso delle « miriadi di miriadi e migliaia di migliaia » come numero degli angeli, in Ap 5,11; paragonabile forse con l'espressione « più di dodici legioni di angeli » di Mt 26,53.

Di più, c'è solamente la « moltitudine immensa, che nessuno poteva contare » di Ap 7,9.

La strana matematica di Dio

Quanto valgono, quanto sono grandi gli uomini?

Essi possono anche lasciare impronte notevoli di se, ma di fronte alla morte valgono tutti zero.

E tutti gli uomini, sommati insieme, sembrano essere in questa prospettiva una lunga serie di zeri all'infinito negativo: zero più zero uguale zero.

Con Gesù Cristo, è entrato nel mondo qualcosa di completamente nuovo.

Egli, sulla croce, proprio nella sua morte, ha cambiato la vecchia logica di morte in servizio d'amore, e, unico fra tutti i mortali, è risorto: è diventato così davvero un « uno ».

E messo davanti all'umanità intera, davanti alla sfilza di tutti gli zeri che sono gli uomini, colui che è diventato il « primogenito dei morti » rende questa umanità un capitale infinito, le da un valore sterminato.

Quattro miliardi di zeri, presi da soli, sono uno zero ripetuto e basta; con un piccolo uno davanti, con quell'Uno rivelatesi nella carne umana e nel sacrificio di Cristo, quei quattro miliardi di zeri diventano un capitale di valore inestimabile, davanti a Dio.