Per la conoscenza del mondo operaio

B132-A3

( Continuazione )

5. Deficienze nella formazione del lavoratore

Nei nostri primi appunti avevamo preso in esame il giovane lavoratore nei suoi aspetti principali, sforzandoci di presentare un quadro della sua vita, per quanto possibile, completo e reale.

Ora invece avremo particolarmente cura di seguire le fasi secondo le quali si attua la sua formazione intesa al futuro compito di lavoratore.

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Il giovane, dopo aver lasciato la scuola elementare, è introdotto al lavoro senza che gli venga offerta alcuna possibilità di conoscere e per conseguenza di scegliere il proprio mestiere.

Egli desidererebbe far questo o quest'altro; anche i parenti avrebbero idee precise sulla futura occupazione del loro famigliare; ma poi, nella stragrande maggioranza dei casi, si conclude accettando il primo posto libero.

Oh, quante volte non abbiamo riscontrato nei nostri giovani allievi e nei nostri apprendisti i disastrosi effetti di un irrazionale avviamento al lavoro!

Giovani che in breve tempo avevano seguito le più disparate e contrastanti occupazioni: prima studenti, poi operai, in seguito impiegati; per finire magari come addetti macchine!

È certo che l'inesperienza e l'instabilità propria dell'età giovanile influiscono moltissimo a produrre tali effetti e purtroppo non trovano alcun correttivo efficace né guida sicura, poiché sono gli stessi parenti inetti allo scopo.

I quali si preoccupano per lo più del problema economico familiare; problema che si acuisce maggiormente, proprio quando i figli raggiungono l'età sufficiente per essere avviati al lavoro, anche a causa della sempre notevole difficoltà di trovare da occuparsi, per quanto più si possa, stabilmente.

Per questo motivo quindi, molte altre considerazioni sulla scelta del mestiere passano in secondo piano o sono addirittura respinte come inattuabili.

Di più, è da aggiungersi che il giovane dovrebbe non solo essere avviato ad un mestiere, ma ancora essere continuamente orientato e diretto poi per tutto il periodo della sua formazione.

Pertanto, né la famiglia, né la scuola, né tanto meno l'officina si curano di questo problema, cosicché l'istruzione professionale, l'addestramento pratico, l'educazione civile e religiosa sono svolti in modo empirico, monco, irrazionale.

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Il giovane lavoratore, terminati gli studi primari e lanciato nel mondo del lavoro, non ha la possibilità di una ulteriore formazione culturale, se non frequentando le scuole serali o festive.

Ma quante difficoltà e quanti sacrifici impongono tali studi, compiuti nelle ore del riposo e dello svago, specialmente; se si tiene conto dell'età in cui vengono seguiti.

E poi, per il solito chi si sottomette a cedesti sacrifici, vi è determinato da quel desiderio di conseguire quei risultati, che per difficoltà varie non gli furono accessibili mediante gli studi regolari diurni, e non, salvo casi rarissimi, dal desiderio di tendere ad una formazione o ad un perfezionamento professionale.

Infine, sebbene utilissima, l'informazione teorica scolastica non è tutto, quando si consideri che l'operaio deve esercitare un'attività prevalentemente manuale.

Bisogna dunque formare nel giovane queste abitudini manuali, cioè addestrarlo a ben determinati movimenti, che sono propri di ciascun mestiere od arte.

Per contro, egli trascorre molto tempo nell'officina o nella bottega, adibito a lavori di pulizia, di trasporto od altro, apprendendo il mestiere soltanto incidentalmente e, non rare volte, addirittura come di frodo.

In proposito si ricordi che gli operai e i capi sono gelosi della loro pratica professionale, quasi che, se altri riuscisse a lavorare con la loro abilità o a superarla, ciò avvenisse con loro scapito.

Dal che si deduce che al giovane, non solo non è data la possibilità di imparare, ma anzi, vengono opposti impedimenti d'ogni genere.

Un'altra difficoltà deriva ancora dal fatto che poche sono le officine che offrono cicli di lavorazione ben determinati e completi, adatti a creare un ambiente professionale idoneo a un progressivo addestramento.

Infatti, nella maggior parte dei casi ( e questo si avvera anche per le piccole officine, dove le macchine sono largamente introdotte ), si fanno lavorazioni frazionarie e specializzate, con conseguente limitazione proprio di quelle possibilità suscettibili di offrire un avviamento di una certa ampiezza, e necessario per una prima formazione dell'operaio.

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Al disopra di tutte le precedenti constatazioni, che hanno la loro notevole importanza e che, come abbiamo visto, consistono nella mancanza di un serio e progressivo orientamento professionale, nell'assenza di stimoli all'avviamento ad un mestiere e nell'inadeguatezza dell'istruzione professionale, purtroppo un ancor più grave stato di fatto si riscontrerà, quando si pensi a che cosa si riduca la formazione personale e sociale, civile e religiosa di tanti giovani operai.

Già abbiamo detto dei pericoli morali, nei quali viene a trovarsi il giovane sul lavoro.

Tuttavia sarà bene ritornare qui a parlarne, proprio per renderci conto di quanto sia trascurata la formazione specifica in rapporto ai doveri professionali.

Per lo più i giovani, abbandonati a se stessi, alle loro insorgenti passioni, ignari della vita, fragili di volontà, sono non rare volte spinti a valutare erroneamente i loro doveri di stato, in un ambiente tutt'altro che esemplare, dove la negligenza professionale e la trascurata laboriosità sono comuni.

È questa una constatazione penosa, ma certa: l'operaio attuale difetta di laboriosità e i giovani assimilano rapidamente questo fattore negativo, copiando tanti piccoli sotterfugi e stratagemmi adottati dagli operai per " non logorarsi il fisico " o " guastarsi la salute ".

Sono luoghi comuni quelli di fuggire la fatica; contenere l'orario nei limiti strettissimi del normale e specialmente del retribuito; lasciare ad altri eventuali lavori pesanti; non correre, ma far durare più che si può il lavoro; e via dicendo.

Ciò ha valore per la fatica fisica. Se si considera poi la prestazione operaia sotto l'aspetto di applicazione di mente è addirittura allarmante la constatazione della quasi totale inintelligenza e assenza mentale durante il lavoro.

Manca quasi del tutto l'attenzione a quanto si opera; la coordinazione dei propri atti è deficiente; l'incoerenza, il disordine sono comunemente riscontrabili nelle prestazioni della maggior parte dei lavoratori.

Infine, per molte vie, si insinua la stima, il culto per ciò che piace, perciò che rende in denaro, materializzando tutto e spegnendo ogni superiore valore umano e soprannaturale del lavoro.

Le espressioni più correnti, i problemi più sentiti sono quelli che concernono il mangiare e il bere, il divertirsi, insomma lo " star bene " come animalità soddisfatta.

Ora è questo il clima che accoglie il giovane, nuovo venuto in officina; di questo tono sono i principi; in vista di questi valori si bestemmia e si impreca anche, e si vive sterilmente la propria dura fatica di ogni giorno.

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Ora possiamo estendere il nostro esame anche ai superiori: datori di lavoro, dirigenti e tecnici d'officina.

E non sarà difficile riscontrare una fondamentale noncuranza per così grave problema.

I capi e i tecnici sono succubi dell'influenza esaltante della scienza e delle sue realizzazioni nella tecnica, assorbiti dall'urgenza della produzione industriale, tutta tesa all'esito economico e perfetto del prodotto.

Di modo che non avvertono più, distintamente, altri più alti aspetti del lavoro umano.

I datori di lavoro, per parte loro, si vanno sempre più limitando ad una partecipazione di solo finanziamento e di ricerca di guadagno pecuniario esimendosi da altri doveri, così caratteristici e specifici per l'appunto dell'imprenditore.

l giovane operaio avrà così modo di avvertire, nell'assenteismo dei propri principali, nell'anonimità dell'impresa, nella standardizzazione del prodotto, l'egoismo e le aspirazioni materiali e edonistiche dei suoi superiori, che verranno a scapitarne in autorità ed a porsi, sia pure con altro tono, sul piano di valutazione delle masse operaie.

Come rintracciare, con queste premesse, un interesse da parte del datore di lavoro per l'istruzione e la formazione dei giovani, anche se qualche grande ditta gestisce scuole aziendali?

Basterà difatti confrontare il numero degli allievi di tali scuole con le maestranze occupate dalle corrispondenti Ditte per constatarne l'enorme inadeguatezza.

Forse, si dirà, quel che non si realizza dalla grande industria, si ottiene attraverso una azione capillare delle piccole aziende e degli artigiani.

Ma anche questo, pur rappresentando attualmente la via normale dell'avviamento al lavoro, lascia intravedere la sua estrema insufficienza, perché il piccolo datore di lavoro e l'artigiano generalmente hanno pochissime possibilità di andare oltre il puro addestramento pratico dei loro giovani dipendenti, sia per mancanza di attitudini personali e di dirigenti formati, sia per ambienti non adatti o per fattori economici contrastanti.

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Le conclusioni che se ne possono trarre, sono moltissime, innanzi tutto, bisogna riaffermare la necessità di una formazione cristiana, sociale, umana, dell'operaio.

Formare un operaio significa certo dare delle attitudini manuali per un mestiere, ma specialmente suscitare e conferire quell'interiorità e comprensione volitiva del proprio lavoro per farsene un mezzo di conquista per la vita presente e per l'eternità.

Ottenere dunque individui destri manualmente, intelligenti, volitivi, sociali, cristiani.

Si badi alla gradualità di questi valori e ci si convinca che non si ritornerà più al lavoro artigiano dei tempi passati, di per sé così ricco di esplicazioni della propria personalità, ma non più possibile nei tempi attuali.

Di conseguenza l'addestramento pratico e l'istruzione professionale, nell'affermarsi prepotente delle specializzazioni, diventeranno sempre meno necessari, laddove la formazione umana, sociale e cristiana dovrà essere sempre più profonda e vasta per compensare in certo modo le deficienze dell'ambiente di lavoro e fare fronte alle maggiori esigenze individuali e sociali dell'operaio moderno.

( Continua )

Catechista P. F.