Aspetti del messaggio di Fr. Teodoreto

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- Introduzione

Certo, messaggio. Non è affermazione gratuita, questa; anche se oggi si è così entusiasti … contro ogni entusiasmo, così esaltatori della frammentarietà e insignificanza della vita, del disperato isolamento dell'uomo proprio nello sforzo di comunicare.

Ogni uomo, fin nell'intimo della sua sostanza, è « donato » a se stesso, è « mandato » nel mondo e non « gettato » da chissà quale oscuro potere.

Ogni uomo, in quanto « ha » pensiero e parola, è messaggero di verità, di quella verità totale ed attuale a cui non è identico, ma alla quale è chiamato, per quanto gli è possibile, a conformarsi, nell'amore.

Quel « quanto gli è possibile » esprime, prima che un limite, un positivo modo interpretativo e manifestativo dell'immutabile verità che, sempre detta in se stessa, è sempre da ridire da parte dell'uomo, secondo, appunto, il suo stile personale.

Infatti, nessuna verità può, a rigore, nascere; nascono solo i modi creaturali secondo i quali la verità può essere indefinitamente riespressa.

Ogni uomo è dunque « messaggero », in quanto porta o può portare il messaggio affidategli per « vocazione » naturale e soprannaturale, ma per portarlo se lo deve anche ricercare e costruire, ricostruendo in certo modo la verità che deve manifestare.

Tutto l'essere umano è impegnato in questa trasmissione che è anche « costruzione » e « ricostruzione ».

L'uomo non tutto può esprimere in opere, che fluite da lui permangono come staccate, ma è l'intero suo essere, tutta la vita, che egli deve costruire e svolgere come discorso autentico e coerente.

Del resto le opere manifestano compiutamente il loro significato solo se riferite alla vita da cui promanano, e questa diventa compiutamente significativa solo se riferita a quelle.

È alla luce di queste considerazioni che chiamiamo « messaggio » quanto di universale e di perenne manifestano vita e opere di Fratel Teodoreto.

D'altra parte nessuno è di troppo: ogni uomo fedele alla sua intima destinazione ( quella che gli è « avvenuta » per natura e quella « sopravvenutagli » per grazia ) porta - ripetiamo - costruendolo e nutrendosene ad un tempo, e scambia con gli altri uomini un irreperibile messaggio di Verità, una originale relazione d'amore.

Certo, solo quando non manchi quella ricerca umile e confidente, quella pia e santa coerenza di vita che fu di Fr. Teodoreto, nella cui cara e indimenticabile memoria ci accingiamo a questo primo abbozzo.

Comunque, definito il punto di partenza è doveroso indicare la via da seguire e la meta che speriamo di raggiungere.

Semplicemente: del messaggio di Fr. Teodoreto non toccheremo che qualche aspetto atto a manifestare come le sue opere « eccezionali » non sono un « diversivo » che egli s'è voluto proporre, né provvedimenti puramente contingenti, e nemmeno si possono considerare soltanto « sue » nel senso di dovute solo a lui.

Ma esse invece esprimono soprattutto uno sviluppo autentico della forza vitale e propulsiva dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, e « forse » ne sono una meta indispensabile.

Per altro, diciamolo subito, questo era, con tutta umiltà, il pensiero di Fr. Teodoreto.

Ad ogni modo, speriamo nel contempo di delineare alcuni ammaestramenti di valore universale e perenne, il che sarebbe davvero utile a tutti.

Degno figlio di S. Giovanni Battista de La Salle, Fr. Teodoreto ripete, innovandolo, il messaggio del Padre e Fondatore.

Ogni prospettiva spirituale matura, ogni stile di vita raggiunto è per un verso incomunicabile e perciò irrepetibile, e per altro verso è comunicabile e perciò partecipabile indefinitivamente.

La incomunicabilità è dovuta all'individualità propria di ciascun sussistente, anche se personale: mentre la comunicabilità è dovuta al riferirsi al tutto ( e al di là del tutto attuabile o attuato, al tutto pienamente attuale che è Dio ) che costituisce dall'intimo ciascun modo d'essere in quanto tale.

Nell'uomo, per lo spirito che lo informa, tale virtuale riferimento universale, può essere, attuato sempre meglio, manifestandosi e come caratteristica di una prospettiva interpretativa dell'essere, e nel medesimo tempo manifestando quegli aspetti universali dell'essere che da quella prospettiva spirituale matura sono, in primo piano, raggiunti.

Così, mentre di S. Giovanni Battista de La Salle non ve ne sarà che uno, il modo di considerare, di operare e di vivere che fu, nei momenti più salienti, suo e che diciamo « spirito lasalliano », costituisce un modo d'esistere genuinamente cattolico, non solo in quanto all'ortodossia, ma anche perché, in qualche modo, universalmente partecipabile.

Insomma, la « lasallianìtà », cioè questo complesso armonico di atteggiamenti soggettivi, di dottrina e di pratica di vita, attuato per la prima volta nel Fondatore, non vi si esaurisce, anzi vi diventa propulsore di un movimento vitale e operante che è il « lasallianesimo », che appunto perché vitale, deve dar luogo a « sviluppi » i quali, lungi dallo snaturarlo, lo approfondiscono, manifestandone la fecondità.

Lo spirito lasalliano, in quanto attuazione, ha naturalmente nel Fondatore l'espressione storicamente originaria, tuttavia non vi si esaurisce ma rivive con accenti e sviluppi nuovi, che soli sono segno di vita, in chi vi si conforma ( anche, in qualche modo, al di là di un inserimento giuridico e letterale nell'Istituto in cui principalmente risiede ).

La fecondità spirituale è dovuta a questa possibilità e realtà di partecipazione innovante.

L'innovazione non è deformazione o aggiunta estranea ma, veramente conservando, è sviluppo dal di dentro, dovuto a personalità e tempi nuovi.

Ciascun vivente ripete in dimensioni e vita diverse la struttura di chi lo ha generato.

Infatti, Fratel Teodoreto, vivendolo, non ripete meccanicamente il messaggio lasalliano, ma lo innova mostrandolo attualmente operante, e cioè rispondente ai problemi d'oggi; non solo, ma lo manifesta perenne in quanto non esauribile in alcuna contingenza, promotore inesausto di ispirazione e di vita.

Del resto, nulla di quello che Fratel Teodoreto, in quanto religioso, è stato ed ha operato, va ricercato fuori dell'ambito lasalliano.

Se si pensasse altrimenti se ne misconoscerebbero gli intendimenti e la santità.

E questo è uno dei giudizi che siamo chiamati a pronunciare.

- Lo spirito di fede

Prima di considerare la coerenza lasalliana del messaggio di Fr. Teodoreto attraverso le sue opere, conviene coglierla nello « spirito », nella coerenza di vita, da cui si generarono.

Fratel Teodoreto è stato innanzi tutto uomo di fede, fede vissuta secondo la illustrazione di S. Giovanni Battista de La Salle.

Così come lo spirito di fede è la madre di tutto l'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, in quanto ne è il segreto di vita e di successo, il medesimo spirito è l'anima di quanto Fratel Teodoreto ha manifestato ed operato.

« Nulla riguardare se non cogli occhi della fede; nulla fare se non con la mira a Dio; attribuire tutto a Dio ».

Lo spirito di fede era il criterio supremo, l'istinto quasi, che guidava Fr. Teodoreto a valutare, scegliere ed agire sia a proposito delle opere grandiose di cui non ebbe mai disegni prestabiliti, sia a proposito delle mille congiunture quotidiane.

Per questo fu mai trasandato e facilone, né pedante o affannosamente preoccupato.

Spesso e volentieri ricorreva a citazioni dal « Testamentino » che portava sempre indosso, per regolarsi nei casi più critici della sua vita di educatore e di fondatore; nei primi tempi egli non offriva ai suoi Catechisti, come attrattiva e come insegnamento, altro che un amabile, sentito e semplice commento dei brani scritturali inclusi nella Messa di ogni domenica.

Non si creda che il ricondurre ogni cosa a principi di fede fosse, in Fr. Teodoreto, semplicissimo, che mutila la complessità delle situazioni umane o le esigenze specifiche che ciascun fatto nella sua relativa autonomia porta con sé.

Per quanto glie lo consentivano doti naturali e culturali, egli si sforzava di cogliere ciò che gli veniva sottoposto, secondo le esigenze di questo; si traeva, per così dire, in disparte, onde lasciare risaltare ciò intorno a cui doveva pronunciarsi.

Confusione e presunzione non godevano le sue simpatie.

Spesse volte si rivolgeva ad altri per consiglio, oppure prendeva tempo.

Ma poi veniva o il giudizio o la decisione, con calma, senza reticenze, lasciando come fluire le cose secondo il loro modo più naturale, senza sacrifici che non gli apparissero indispensabili e giustificati, così come la potatura lo è per la vite.

Il segreto era che, oltre all'indole naturalmente equilibrata e seria, egli si situava, per la completa disponibilità interiore, con lo spirito in Dio, e da esso traeva un senso più profondo della realtà, la luce secondo cui riguardare, scegliere o attribuire le cose.

Il che si traduceva per lui in elevazione dell'anima, e, per gli altri, in attraente esempio di saggezza.

Cadenze, queste, di vera sapienza, aristocratica e democratica ad un tempo.

Aristocratica, poiché sa cogliere e vivere in ogni istante la nobiltà del divino e di Dio; democratica, poiché a tutti accessibile, non certo per quanto gli uomini hanno in comune di poveramente primitivo, ma in quanto impegna e sviluppa ciò che li costituisce come persone e come cristiani.

Fratel Teodoreto sia che brevemente discorresse dei rivolgimenti e delle crisi attuali, o che accennasse al tempo e al mutar delle stagioni, sia che rilevasse gioie o dolori della vita, oppure trattasse dell'educazione dei giovani o delle relazioni cogli uomini, mai si perdeva in esclamazioni e considerazioni che sapessero di pratico ateismo, di una visione del mondo come non governato da Dio provvidente e buono.

« Anche il tempo fa il suo dovere … il freddo è utile … il Signore se ne serve per i suoi fini misericordiosi » e così via.

« Caso », « ineluttabilità » della sorte o dell'istituto, né altre espressioni consimili furono mai, nemmeno nel discorso meno controllato, il criterio di spiegazione degli avvenimenti anche più impensati e, a prima vista, strani.

Ancora, lo spirito di fede era forse la principale ragione della sua abituale serenità.

Egli intatti, riteneva che il giudizio e l'azione guidati dalla fede, non possano mancare al risultato più augurabile, e che in quanto mossi dal coraggio e dalla pace dell'anima, ve l'accrescano.

Non importa se non si comprendono tutti gli sviluppi di una decisione o di un'opera: ciascun atto secondo la fede implica la scelta e il compimento di ciò che si deve attuare, poiché è tensione verso l'attualità piena e perfetta di tutti gli autentici compiti che si debbono attuare, e di tutti i successi che si possono conseguire, attualità dell'essere che è Dio.

Pregando rifletteva, poi umilmente ma coraggiosamente agiva, sempre con l'animo in pace.

In quella pace che è il frutto della giustificazione, la quale ha nella fede vissuta la sua condizione.

Giustificato è, dunque, ogni agire secondo la fede.

« Giustificato » per aver agito nella fede, così appariva tendesse Fr. Teodoreto a diventare; non tanto perché rifuggisse i rischi della pretesa scelta « autonoma », ma piuttosto perché il mirare a Dio in tutto onde piacergli, egli avvertiva come dovere di giustizia, a cui generosamente votarsi, sempre.

La pace che era in Fratel Teodoreto, appariva accessibile a tutti, a patto di dare, come lui, respiro all'anima, che aprendosi sul mondo ha bisogno di Dio, proprio per accettare il mondo senza affanni, né rimorsi, né rimpianti; che ha bisogno di Dio, da cui come dipartirsi verso il mondo, ritornando al proprio compito terreno, non più come a puro arbitrio umano,

che così considerato appare sempre disumano, ma come a mandato divino.

È ancora lo spirito di fede a rendere ragione della « socialità » soprannaturale di cui, malgrado l'indole riservata, Fr. Teodoreto diede un così eloquente esempio.

Socialità che non è solo prestar soccorso.

Infatti, mentre si adoprava nel riconoscere il valore di ciascuno, ne riceveva umilmente e ne assimilava tutto ciò che, considerato appunto secondo la fede, gli appariva buono, attuabile e, in qualche modo, a lui rivolto.

Le ispirazioni, gli incontri, le congiunture della vita avevano per lui, sempre, un significato da appurare, un ammaestramento da comprendere.

Attraverso gli eventi, egli tendeva l'orecchio al beneplacito di Dio.

L'accettazione e la divulgazione della « Divozione a Gesù Crocifisso », ad esempio, e degli scritti del francescano laico.

Fra Leopoldo Maria Musso; l'aver scelto dalla Società di S. Benedetto Giuseppe Labre1 le « basi semplici e sicure »2 del primo regolamento della « Unione »; la stessa successiva stesura del regolamento suddetto, stesura per la quale non disdegnò di raccogliere contributi di altre regole, di Confratelli, di dotti e prudenti Sacerdoti e fin'anche degli stessi Catechisti;3 l'affidare infine a questi ultimi la direzione di ogni cosa: sono tra le dimostrazioni più evidenti di quanto sopra è stato affermato.

Nella luce di Dio tutto gli appariva connesso, articolato, relazionato, finalizzato; in fondo a tutto e malgrado tutto, la carità gli appariva davvero quale vincolo di perfezione, vincolo che non s'infrange davanti alle avversità, agli intoppi, alle miserie di questo mondo, ma che di ogni cosa, triste o gioiosa che sia, fa un elemento costruttivo, un motivo di bene per tutti.

Insomma, in Fr. Teodoreto lo spirito di fede si dimostrò forma suprema interpretativa e costruttiva della vita, forma secondo cui si rilevano, si dirigono e si riconducono al loro Principio cose, azioni ed accadimenti, palesandone, nella loro diversità e distinzione, la relazione più intima ed unificante che li compone in fraterna armonia.

Se l'atteggiamento dell'uomo manifesta intenzionalmente con l'orientamento dell'anima anche le strutture dell'essere, la tranquillità pia e compiutamente benevola, segno eloquente di verace « situazione » raggiunta dal Nostro, mostra, per così dire, a nuovo titolo la verità della fede.

Impossibile realizzare tanta bontà cordiale, tanta « ospitalità » verso l'essere ( cose o uomini che siano, passati, presenti o futuri ), senza comunicare, per conformità di mente e di cuore, con la verità che dall'essere emerge e all'essere si riferisce.

* * *

È così che nello spirito di fede insegnato da S. Giovanni Battista de La Salle e ritrasmesso con rinnovate illustrazioni da Fr. Teodoreto, ci pare fondata una delle più potenti « spiritualità », tipicamente adatte a laici.

Ripetiamo, dunque, il programma compendiato di vita cristiana, particolarmente adatto a chi è impegnato quotidianamente in molteplici e multiformi compiti « profani », affinché si aiuti lo spirito a riscattarsi dalla distrazione e dispersione, dalla tensione idolatrica verso le creature, dalla banalità e frammentarietà apparente della vita.

« Nulla riguardare se non cogli occhi della fede; nulla fare se non colla mira a Dio; attribuire tutto a Dio ».

Dove il primo « nulla » è implicita negazione che si possa « vedere » il vero significato, l'autentico volto di qualcosa, se non nella luce di Dio; dove il secondo « nulla » è implicita esclusione che si possa dare un'autentica « scelta », se non in e per Iddio; dove il « tutto » introduce l'implicita affermazione che solo si possa dar senso e un migliore domani alla totalità diveniente che è il mondo, unicamente se la si interpreta e la si riconduce alla perfetta totalità in atto che è Dio.

Si deve a Fr. Teodoreto l'aver esplicitato più a fondo questi impliciti, nella misura richiesta dal momento storico presente in cui, con ineguagliata violenza, viene posto il dilemma più tragico che l'uomo possa incontrare: o Dio, o il mondo; dilemma che pone in artificioso conflitto i valori creati e terrestri contro quelli eterni e divini, quasicché far posto a Dio significhi uccidere il mondo e viceversa,

Quale ammaestramento, a questo riguardo, si può trarre dalla vissuta fede onnicomprensiva e dalle opere di Fr. Teodoreto!

Pur lasciando a sedici anni la cara mamma, il paese natio, la serena, seppur stenta, vita dei campi, per quanto effimero potesse apparirgli il mondo, sempre ritrovò nel ricordo di quelle persone e di quelle cose, nel ritorno ai placidi orizzonti della campagna, un motivo possente di elevazione, un rinnovato richiamo di Dio.

L'aveva infatti il Signore attratto al suo servizio attraverso quell'oasi di lavoro umile e pio.

L'alto valore spirituale e morale del lavoro e del saggio governo della casa, il fascino delle bellezze naturali, l'importanza della scuola che riscatta l'uomo dall'ignoranza e dalla grettezza per farlo libero e degno: non furono mai per Fr. Teodoreto in contrasto con le ascensioni dell'anima, lassù nella chiesetta in cima al colle, quasi a coronamento e consacrazione di quanto si svolgeva lungo il dorso e le fiancate dei colli.

Lasciò ogni cosa, quando comprese che quel Dio, a cui sentiva fosse dovuto tutto del caro luogo natìo, lo chiamava lontano.

Proprio mentre gli cresceva l'amore per la casa paterna e per la sua terra, lasciò tutto ciò, per Colui che alla sua mamma e alla sua terra aveva dato d'essergli così care.

Lasciò ogni cosa, in fondo, per insegnare come si salva tutto in Dio.

È su questa linea di sviluppo della fede che fin d'ora si comprendono ( per qualche aspetto almeno, poiché di altri diremo poi ) le opere di Fr. Teodoreto.

Infatti, la realizzazione dell'Istituto Secolare « Unione Catechisti del SS.mo Crocifisso e di Maria SS. Immacolata », l'appoggio incondizionato dato alla diffusione della « Divozione a Gesù Crocifisso », la mai smentita approvazione e l'incoraggiamento efficace verso la « Casa di Carità Arti e Mestieri »: provano, oltre a mille episodi, quanto ampio fosse l'orizzonte della sua fede, per la quale intensamente desiderava, d'accordo con Fra Leopoldo, la a riforma del mondo », il ritorno dell'intera « umanità riconciliata » a Dio, la rigenerazione del lavoro in una universale concordia sociale.

Lo spirito di fede alimentava in lui lo spirito di zelo e proiettava su di esso tutta l'ampiezza del suo orizzonte, tutta la ricchezza delle sue prospettive.

Il che appare meglio, se si considera che l'Unione ha per iscopo la perfezione cristiana « nel mondo » ( anche attraverso lo stato votale ) dei suoi membri e l'apostolato catechistico e sociale; se si pensa che la « Divozione » è l'espressione sintetica e divozionale di un universale movimento di redenzione; se si riflette che la « Casa di Carità » si concreta nella formazione umana e cristiana della gioventù operaia e artigiana, principalmente mediante l'insegnamento di quei mestieri, che oggi, sembrano potersi esplicare solo in antitesi al rispetto di Dio e dell'uomo.

Non è quindi da scegliersi in conflitto vicendevole o Dio, o il mondo, oppure indipendentemente e Dio, e il mondo; ma sinteticamente è da scegliersi Dio nel mondo, « da » e « per mezzo » del mondo, usando, in certo senso, i mezzi del mondo stesso.4

Così tutto si concluderà, per quello che è affidato agli uomini di buona volontà, con il ritorno di Dio nel mondo, e del mondo a Dio.

Grande è, dunque, il contributo dello spirito di fede, quale fu vissuto da Fr. Teodoreto, per il compiersi della auspicata armonia dei valori celesti e terreni, divini ed umani, ufficio e dovere della nostra generazione ».5

* * *

Lo spirito di fede operante, congiuntamente a quello di zelo, è la sola spiegazione compiuta che si possa dare alla vita e alle opere di Fr. Teodoreto, ed è quanto ha cercato di partecipare, come fondamento di ogni cosa, nella misura più larga possibile ai suoi Catechisti, i quali appunto posseggono ( come Egli affermava, rivolto ai Confratelli ): « un Regolamento ricavato dai metodi educativi del nostro caro Istituto e dal pensiero del nostro Santo Fondatore ».

Infatti, come per S. Giovanni Battista de La Salle lo spirito di fede è garanzia affinché la laicità dei discepoli non degeneri in laicismo ( cioè in visione e programma di vita, consideranti i valori terrestri come rinchiusi in se medesimi, validi solo di per se stessi, senza apertura e rinvio a Dio trascendente: idoli insomma, e perciò mostruosi ), il medesimo spirito Fr. Teodoreto ritenne quale più sicura garanzia per i suoi Catechisti ( e, in qualche modo, al di là di essi, per tutti gli uomini, poiché la Scuola cristiana è per tutti ), affinché il rimanere nel « secolo », non solo non contrasti con la perfezione cristiana, ma ne sia una condizione.6

Fratel Teodoreto accettò che lo « studiarsi di … tenersi in ogni luogo alla santa sua ( di Dio ) presenza mediante un semplice sguardo di fede » fosse una norma sintetica per la vita quotidiana dei suoi Catechisti.7

È ancora lo spirito di fede, che congiuntamente all'osservanza delle Regole, raccomandò l'ultima volta che Egli incontrò raggruppati i Catechisti alla Casa di Carità, proprio all'inizio delle manifestazioni celebrative del quarantennio dell'Unione.

Ancora: è lo spirito di fede che gli fece ammettere, con arditezza che precorse i tempi, che il rimanere nel mondo quali membri consacrati dell'Unione « non è stabilito per servire di preparazione ad altre vocazioni, che, anzi contiene in sé un ideale elevatissimo di perfezione e abbraccia un proprio e insostituibile apostolato ».

Era come nell'ordine delle cose che proprio dalla Scuola cristiana che è scuola di fede, che proprio da maestri laici e consacrati, i quali alla scuola tutto hanno sacrificato, compresa l'aspirazione alla dignità del sacerdozio, partisse una così grandiosa lezione di fede, da praticarsi sempre e dovunque, intensamente, come l'unica via di salvezza per gli uomini, per le loro imprese, per il mondo tutto.

- Il religioso-maestro

Proprio in questi tempi di utilitarismo dominante, di divorzio e di lotta tra i valori, Fratel Teodoreto ci riconduce a comprendere e ad apprezzare la bellezza di una religiosità dominante e disinteressata, ed anche le benefiche, costruttive risonanze che questa religiosità opera negli altri settori della vita.

Ci ricorda, insomma, che il dinamismo caratteristico dell'esperienza religiosa trae con sé e salva tutto l'uomo.

Proprio perché l'uomo è un essere che intrinsecamente dipende ( e più che mai là dove egli è autonomo, perché « dono », questo, più grande ) e solo è libero quando vuole e asseconda la dipendenza che dall'intimo lo costituisce e lo fa essere.

L'intonazione che lo spirito di fede assume in Fratel Teodoreto, fedele figlio di S. Giovanni Battista de La Salle, è marcatamente religiosa e si concreta nell'obbedienza come a virtù madre, come a sintetica preparazione ed ulteriorità ad un tempo, di quella vigilia di fede che è lo studiarsi di rimanere continuamente alla presenza di Dio.

Ritornando ai summenzionati effetti dello spirito di fede, non tanto considerandoli quali prescrizioni, ma come sintesi di aspetti salienti della vita del Nostro, quel tanto meditato « nulla riguardare se non … », quel « nulla fare se non … » ed infine quell'« attribuire tutto a … » appaiono dettati da un fermo proposito di non voler essere che di Dio, e soprattutto di servirlo fedelmente ad ogni costo.

Vi si palesa una volontà penitente, un clima d'olocausto.

Vi si delinea l'ascesi dell'anima che, attraverso l'orazione e il raccoglimento, la mortificazione e l'abnegazione, si porta alla presenza di Dio, cercato e voluto in tutto, affinché Dio ammaestri e ci consenta di ammaestrare altri in Lui, riflettendolo, comunicandolo in qualche modo.

Una simile prospettiva interiore può essere fraintesa, quando ci si indugi a considerare e ad esercitarci nell'ascetismo che conduce a Dio, nel servizio da rendere a Lui, che ci si studi insomma intorno al modo di presentarsi a Dio, sino a ridurre troppo implicita l'amorevole considerazione di Dio a cui essere presenti e a cui servire; oppure che non ci si disponga a sufficienza nella corrente redentrice, nell'iniziativa di Dio che sola può consentire e sostenere l'elevazione dell'anima, elevazione che di fatto è anche un riscatto ed una guarigione.

Comunque, i temi più schietti della rinuncia, dell'abnegazione, specialmente attraverso la povertà, la castità e l'ubbidienza, furono propri di Fratel Teodoreto, fin dall'esordio della sua vita religiosa.

Fra tutti si distinse per la pietà profonda e riverente.

Intendeva vivere senza indugi la sua vocazione, e perciò l'osservanza della regola che aveva abbracciato ( regola che se non è fatta di sensazionale, analizza e disciplina minutamente, con profondità introspettiva tutta la giornata modesta ed intensa di un laico e maestro ) fu persino nella lettera, piena ed indiscussa.

Senza caparbietà, senza durezze od ostentazioni; mai molesto ad alcuno; sempre apparendo uguale di tono e di condotta.

Certo gli inizi sono inizi, e non è da credersi che anche per i Santi non si diano sviluppo e maturazione.

Pronunciarsi a questo proposito, nei confronti di Fr. Teodoreto, non è facile: innanzi tutto per la scarsità di testimonianze ( quelle che si posseggono indurrebbero a pensare che perfezione ci fu sin dall'inizio ), e poi per la riservatezza che gli fu propria.

Tuttavia bisogna tentare, proprio per rendere intelligibile il suo messaggio di vita e di opere.

Ci pare ( attraverso a considerazioni cui accenneremo ) che sviluppo e maturazione interiori ci siano stati, netti e significativi.

Nei primi tempi egli, probabilmente, non ebbe esperienza matura di quanto poco fosse capace la volontà pressoché sola dell'uomo; né intendeva, forse, fino a che estremo limite era necessario purificarsi e salire.

L'ideale lo attraeva: che cosa impediva di raggiungerlo?

Una lucida autocritica, lo stimolo ad essere « pratico », non gli davano tregua: bisognava salire nella virtù ogni giorno, passando di proposito in proposito, di esercizio in esercizio, sino a quella perfezione tanto agognata.

Pur non odiando alcuno, né cosa alcuna, si comportò subito come se odio avesse per tutti e per tutto.

Teso nella ferma decisione di voler vivere « solo per Iddio », quel « solo » agli esordi fu soprattutto esclusione di altro e chiusura al mondo.

Parco di parole, ritirato, riservato, raccolto, mortificato, non preoccupato che del servizio di Dio; forse a qualcuno apparve insensibile nella sua « ostinazione » per la perfezione.

Sia pure sostenuto da un'intensa orazione, si ha l'impressione che dapprima rimettesse assai largamente alla volontà tenace il compito della santificazione.

La rettitudine, la serietà con cui prendeva specialmente le cose dello spirito, lo stimolano sul terreno dell'ascesi; l'atteggiamento abituale è guardingo; il controllo di sé incessante; la volontà è tesa con intransigenza.

Niente ridondanze, né interiori né esteriori, nessun attaccamento a persone o a cose, riservatezza, ritegno mortificato, fedeltà; senso spiccato della trascendente maestà e santità di Dio onnipresente.

Probabilmente fu così che venne a migliore conoscenza di quanto l'uomo sia « refrattario » al bene e « corruttore » dì esso ( le espressioni sono sue ).

La lotta contro il muro che così avvertiva di fronte, e contro l'insidia dello scoraggiamento che si insinuava alle spalle, fu forse più lunga e dolorosa di quanto si potrebbe pensare.

Tanto più che s'aggiunsero presto le incomprensioni, le difficoltà, i timori per le opere che aveva pur con tanta prudenza e zelo intraprese.

Sta di fatto che l'ultimo invito del Signore ad essergli trasmesso da Fra Leopoldo, così suona: « Dirai al Fratello Teodoreto che io, Gesù, padrone di tutti i Santi e delle santificazioni affermo che se si sente di fare il sacrificio di tenersi come corpo morto, questo sarà il compimento della sua santificazione ».8

Tuttavia Fratel Teodoreto subito non comprese appieno il senso di quanto Fra Leopoldo gli aveva trasmesso.9

Intanto contrasti profondi facevano naufragare i primi tentativi, di alcuni Fratelli delle SS. CC., di realizzare la Casa di Carità.

L'Unione, poi, sollevava dubbi e difficoltà: alcuni la giudicavano troppo severa, troppo « alta », troppo « chiusa »; altri la ritenevano inadeguata ai tempi, legata a formule di pietà e di ascetismo ormai sorpassate.

Qualcuno giunse, per tempo, a qualificare ironicamente « i crocifissi » i giovani che vi appartenevano.

Altri ancora, invece, premevano affinché si bruciassero le tappe onde diffondere con energia l'Unione presso ogni Casa della Congregazione.

Si sviluppa così un lungo periodo in cui, oltre alle summenzionate difficoltà di progresso interiore, entrano come in conflitto da un lato quello che Fr. Teodoreto riteneva fosse desiderio del Signore, e dall'altro l'anelito a non assumere atteggiamenti di urto coi Confratelli, a sacrificare piuttosto ogni cosa alla distensione degli animi, alla concordia comune.

Non solo, ma incominciano a prodursi i primi giudizi sfavorevoli su Fra Leopoldo e il suo « messaggio »: chi ne nega la consistenza, il valore intrinseco ( sia pure da attribuirsi sempre e solo con fede puramente umana ), chi ne rigetta l'attendibilità, chi lo ritiene estraneo alla « lasallianità ».

Come se non bastasse, nei momenti più critici in Fratel Teodoreto emergeva, tentando di travolgere ogni cosa, un angoscioso senso di limite e di impotenza, congiunto volta, volta all'affanno per le gravi responsabilità di cui si sentiva investito, o a dubbi paurosi di essersi in qualche modo ingannato.

Pur non escludendo apporti autorevoli, anzi cercandoli come riprova e convalida, è principalmente attraverso la « Divozione a Gesù Crocifisso », attraverso lo sforzo di caratterizzare e diffondere l'Unione e di formare i Catechisti, è attraverso il continuo ripensamento dei detti di Fra Leopoldo alla luce che gli veniva dal suo Santo Fondatore, che Fratel Teodoreto raccoglie una risposta ai bisogni della sua anima, e poi un conforto e un aiuto per le opere intraprese.

È il « Santissimo Crocifisso » che diventa per lui, sempre meglio, il « gran libro » della vita e della santificazione.

Penso si debba ripetere per Fratel Teodoreto quel breve ma eloquente commento che egli aggiunge al « ricordati di ciò che ha sofferto mio Figlio » rivolto dalla Vergine addolorata a Fra Leopoldo: « … Fu per lui come una luce del cielo che illuminò la sua niente e riscaldò il suo cuore in modo cosi efficace da produrre in lui un nuovo slancio di vita soprannaturale, con facilità di addentrarsi nell'abisso di misericordia, di amore e di dolore che fu necessario per l'umana redenzione ».10

Per chi ha conosciuto la semplicità e la conseguente sobrietà dell'eloquio di Fratel Teodoreto, non può non rimaner colpito da quell'« abisso » col quale egli da risalto all'immensità ineffabile « di misericordia, di amore e di dolore » che costò il riscatto dell'umanità peccatrice.

Quell'« abisso » esprime la commozione indicibile, lo sbigottimento quasi, l'attrazione irresistibile subita dall'anima che giunge a sollevare un lembo del mistero della Croce, di fronte al quale ne prova, appunto, come la vertigine sull'orlo dell'abisso, una suggestione potente che la conquista e la spinge ad addentrarvisi, a sprofondarvisi, in qualche modo.

Questa luce, quest'attrazione, questa vertigine prima e questo addentrarsi poi, che via via si accelera sino a tramutarsi in slancio infiammato, in abbandono totale, in amore confidente, in vero « sprofondamento » dello spirito, cioè, in Gesù Crocifisso: segnano le tappe dello sviluppo interiore del Nostro.

Tuttavia questo non basta a delineare sufficientemente la svolta spirituale di Fratel Teodoreto; v'è qualcosa di più tipico a cui fu condotto proprio negli ultimi anni e che meglio rischiara l'estremo invito trasmessogli da Fra Leopoldo.

Intanto basta scorrere il libro che Fratel Teodoreto scrisse sull'amico francescano, per avvertire un canto nuovo alla misericordia divina, una rinnovata sapienza del mistero d'amore che è Dio in se stesso e nelle relazioni cogli uomini, per avvertire un crescente anelito di universale riscatto, di « riforma del mondo » e di riparazione, anelito che appare alimentato dalla percezione crescente del bisogno che il cuore e la storia degli uomini hanno di Gesù Redentore.

Comunque, le fragilità e le miserie personali che pur tanto gli ripugnavano; la gravita dell'ora presente; le ingratitudini degli uomini verso Dio, e specialmente le insidie continue tese alla gioventù; l'incomprensione ostinata verso le opere da lui incominciate perché volute dal Signore ( opere che se è vero che cogli anni si andavano perfezionando e consolidando strutturalmente, tuttavia non crescevano di dimensioni che lentamente ); periodi di estrema aridità; la solitudine crescente del cuore; le gravi infermità che, tra l'altro, lo privarono dell'uso dell'orecchio sinistro e successivamente di quello corrente

e facile della parola ( mentre c'era tanto bisogno di parlare per convincere e smuovere … ); una depressione organica generale che attraverso a crisi successive lo demolì fisicamente conducendolo al collasso finale, tutto insomma, salvo qualche fuggitiva consolazione, concorreva a gettare Fratel Teodoreto nella tremenda alternativa o di eroicamente abbandonarsi al Signore, o di disperarsi senza rimedio.

Mentre moriva fisicamente poco a poco, gli toccò davvero tenersi spiritualmente « come corpo morto ».

Accettarsi com'era, lasciare tutto quanto gli era caro perché opera di bene per portarsi umilmente a Gesù, affinché bruciasse ogni miseria, prosperasse ogni iniziativa, gli accendesse nel petto « quel fuoco d'amore ch'Egli ha portato sulla terra ».11

Unirsi all'« Amabilissimo Gesù » per essere purificato, guarito dalla « refrattarietà » del cuore onde potersi diffondere tutto in un rinnovato slancio d'amore e di riparazione : sono due aspetti salienti dell'ultima svolta dell'itinerario spirituale di Fr. Teodoreto.12

Insomma, si tratta di accettare Gesù non solo come modello o come maestro, ma come medico dell'anima, come purificatore, come ceppo della mistica vite di cui si è tralci, come capo vivificante il mistico corpo di cui si è membra.

Si tratta di cedere a Gesù l'iniziativa principale nella propria santificazione e nelle opere d'apostolato; si tratta di arrendersi a vivere solo di Lui, attraverso tutto, in tutto.

È proprio l'attivo abbandono, il totale sacrificio del « tenersi come corpo morto » innanzi a « Gesù, padrone di tutti i Santi e delle santificazioni ».

« … cercherò di stare col capo sul petto di Gesù e abbandonargli l'Opera dei Catechisti ».13

Ecco l'ultimo, commovente programma di Fratel Teodoreto.

Del resto questa è la luce che ci viene dalla sua morte, che fu morte di vittima, partecipazione alla Croce, a quel tremendo e sublime dramma di totale annientamento e di filiale e amoroso abbandono.

In un angusto scomparto d'infermeria, Fratel Teodoreto colpito da « ictus » cerebrale ( proprio alla vigilia del ringraziamento solenne per il quarantennio dell'Unione ) agonizzò paralizzato per circa cinque giorni.

Fu dichiarato incosciente, ma in realtà ebbe sprazzi coscienti abbastanza frequenti.

Comunque non gli si poté somministrare alcun sollievo.

Qualche stretta alle mani che impotenti e pietose gli si protendevano, qualche sguardo fuggente, qualche lieve sussulto tra gli affanni di morte, qualche gesto soave che parve una carezza o una benedizione, qualche trepido tocco al Crocifisso che portava sempre indosso, qualche tentativo di raccogliersi mentre intorno a lui si pregava, furono i pochi segui che ruppero qua e là il meccanismo del travaglio fisico e istintivo.

A tratti la fisionomia s'induriva, tradendo un affanno profondo.

Poche ore prima di morire tentò ancora di pudicamente coprirsi, mentre gli veniva mutata la biancheria del letto.

La morte gli sopravvenne in prossimità del mattino, e fu umile e triste.

Ancora qualche ora dopo gli si poteva leggere sul volto, reso giallastro e pietrificato dalla morte, lo squallore del trapasso.

Tuttavia da tutto il sembiante traspariva una solenne compostezza di fondo, una rettitudine che mi parve maestosa, qualcosa della semplicità del fanciullo.

Poi il volto gli si fece meno teso e sembrò quasi sorridere.

Fu seppellito nel giorno dedicato a S. Giovanni Battista de La Salle, quasi a significare l'approvazione e l'abbraccio del Padre al Figlio fedele.

L'ultima malattia e la morte sopraggiunta ci pare abbiano spinto fino in fondo la tensione religiosa di Fratel Teodoreto, conducendolo, ne siamo moralmente certi, all'abbandono totale e confidente in Gesù, abbandono ispirato e prorompente da un'intensità d'amore fra le più pure.

* * *

Straordinario davvero nell'ordinario, Fratel Teodoreto non fu solo l'uomo dell'eccezionale regolarità, dall'esemplare compostezza di tratto e di parola; quello che più attira e svincola il suo spirito da « quella specie di riserbo, o mancanza di confidenza con l'Amabilissimo Gesù », ciò che gli consente di non soffocare fra le strettoie dell'ascesi e delle minute cose quotidiane, è lo spirito di fede che risolvendosi in un crescendo d'amore, tutto in lui alimenta e corona.

La fisionomia stessa di Fratel Teodoreto si va sempre più distendendo, il sorriso gli è ormai abituale: segni questi d'una dilatazione crescente di spirito, ma senza scompostezze; segni di familiarità con Dio però senza rimpicciolimenti, di tenerezza senza debilitazione, di dolore senza svirilimenti.

Mentre prima l'addolorava l'omaggio o la lode, negli ultimi tempi s'accontentava di sorridere dolcemente, rendendone grazie a Dio e mantenendosi benevolo con l'interlocutore.

Soprattutto appariva più libero e sovrabbondante interiormente, e non solo sapeva consigliare, ma anche consolare.

Tuttavia quasi nessuno s'accorse del rivolgimento che s'andava operando.

L'abitudine di vederlo sempre regolare nell'osservanza, sempre modesto, mortificato e raccolto, esatto nell'adempimento dei doveri di stato, rendeva difficile il cogliere, al di là del costante e fedele servizio, lo spirito nuovo, la forma nuova di vita che tutto ispirava, sorreggeva e concludeva.

Con tutta castità, con gravita soave, con schietta semplicità poteva, negli ultimi tempi, così esclamare: « L'amore?! … ma l'amore è tutto! », e allargate discretamente le braccia, tosto le richiudeva giungendo le mani per rimanere qualche istante con lo sguardo brillante e lontano.

Non dunque il dovere per il dovere, o il dominio di sé fine a se stesso, ma ogni cosa, nella luce della fède, come amore e per amore.

Solo così si aprono nell'anima i cieli infiniti dell'intimità con Dio, senza ubriacature spirituali, né smaniose tensioni contro il limite del dovere quotidiano, il quale così, del resto, non decade in virtuosismo pedantesco, in moralismo ossessionante, in regolarissima regolazione del regolare.

Mentre la carità diventa per Fratel Teodorelo la forma sempre più dominante di ogni virtù, è Dio che, nel suo mistero trascendente, si manifesta in Gesù, che presente nell'Eucaristia, egli rielegge, con il consenso del Direttore spirituale, a centro di tutta la sua vita.

Ed è inevitabile conseguenza che emergendo sempre più Gesù nella prospettiva del Nostro, a questi si manifesti sempre meglio la misericordia divina e meglio comprenda come tutto ciò che è nell'uomo deve esserle attribuito: per prime la purificazione e la santificazione.

Non che da ciò ne consegua il lasciarsi puramente agire dal misericordioso amore che Dio ci porta, ma è da comprendere senz'altro non esserci per l'uomo elevazione che non sia riscatto e guarigione, e che comunque tutto questo ci viene dato per Gesù, affinché con Lui, in Lui noi concorriamo a conseguirlo.

Una simile prospettiva interiore ritorna l'anima proprio alle sorgenti del suo essere e del suo agire, della sua purificazione e del suo merito.

È l'infanzia spirituale. È amorosa domanda d'amore, è tutto donare mentre in tutto si domanda l'amore, è tutto domandare per tutto donare.

Concludendo. L'accettare la « Divozione a Gesù Crocifisso » e, per essa, i « detti » di Fra Leopoldo che la illustrano quale sintesi di vita totalmente devota al Crocifisso, fu per Fratel Teodoreto più che un mezzo di grazie esteriori, un aiuto a far emergere più tematicamente dalla sua prospettiva di Fratello « Gesù Cristo, e Cristo crocifisso ».

Ad un primo esame ci pare che in un terreno prevalentemente introspettivo e analitico-ascetico fiorisca, con rinnovato ardore, una prospettiva estatica e sintetico-mistica quale può comportare l'amore e l'unione a Gesù Crocifisso, l'essere riscattati da Lui per potersi riscattare con Lui, il vivere di Lui in un amoroso abbandono.14

La stessa ascesi non si continua più pressoché solitaria e quasi puramente preparatoria del nostro « esser presenti a Dio »: è già unione che dapprima si instaura prevalentemente come purificazione, e che successivamente s'approfondisce come slancio d'amore.

Tutto lo sforzo ascetico che prepara « l'esser presenti a Dio » sì riassume nel « sacrificio di tenersi come corpo morto », consegnandosi a « Gesù, padrone di tutti i Santi e di tutte le santificazioni ».

Senza perdere nulla della profondità introspettiva, del santo vigore penitente, è la carità che sembra risaltare più tematicamente, stroncando le esitazioni e gli scoraggiamenti e rendendo l'ascesa più speranzosa e spedita.

Quali intatti non furono negli ultimi anni le esortazioni di Fratel Teodoreto contro lo scoraggiamento;15 il perdersi d'animo gli sembrava, forse, il maggior pericolo per i ferventi.

Comunque, insistendo nell'ascesi che conduce all'« esser presenti a Dio » che è soprattutto in noi, affinché Dio ammaestri, affinché Dio sia riflesso nelle giovani anime dei discepoli, Fratel Teodoreto giunge a percepire il messaggio di Dio che è Gesù Crocifisso, giunge a ricevere meglio da Gesù e ricevendolo, a cooperare con Gesù la sua definitiva purificazione, nell'amore, come amore.

* * *

Ma se questa fu la « forma ultima », il « senso definitivo » della vita di Fratel Teodorelo, non è da credere che a contribuirvi rimanesse estraneo il compito terreno impostogli dalla vocazione di educatore e dalla condizione di uomo.

L'opera di maestro e di educatore, il provvedere a quanto naturalmente gli abbisognava, non rimasero semplicemente affiancati all'agire del religioso.

« Fratelli delle Scuole Cristiane », così S. Giovanni Battista de La Salle volle che fossero i suoi seguaci, i suoi figli spirituali.

A prima vista potrebbe sembrare che si tratti di « Fratelli », di religiosi insomma, che « rimanendo tali » fanno anche scuola: cioè « Religione » e « Scuola » potrebbero apparirvi parallele, e forse anche in agguato vicendevole.

Oppure quella « Scuola », serrata tra il sostantivo « Fratelli » e il qualitativo « Cristiana », potrebbe indurre a credere trattarsi di un puro strumento, quasi un pretesto per catechizzare la gioventù.

In realtà non è così. Comunque, più che un'analisi d'insegne programmatiche, abbiamo innanzi quanto ha rappresentato, vivendolo, Fratel Teodoreto.

Giovanni Garberoglio, il futuro Fratel Teodoreto, nacque a Vinchio di Asti il 9 febbraio 1871, da una cristiana famiglia di « coltivatori diretti », come diremmo oggi.

Venne alla luce in quel Monferrato che diede una fioritura di Santi, quali Don Bosco, in cui l'ardore per la perfezione si concreta anche in opere educative e d'incivilimento.

Da quel poco che finora si è potuto raccogliere intorno ai primi tempi della vita del Nostro si può notare, pure con le debite differenze, una sorprendente analogia con quella che era stata la giovinezza di Luigi Musso, il futuro Fra Leopoldo, pure monferrino.

Le bellezze naturali, segni evocatori delle bellezze divine; la fecondità della terra, quasi simbolo della fecondità della vita;16 la letizia del lavoro, il cui amore « è parte integrante dell'educazione »;17 il calore del « focolare cristiano, in cui vivono perpetuandosi inestimabili tesori morali » e a cui « si ascrive il primo merito, dopo che al Signore, della bontà dei figliuoli, le virtù di cui si vestono e si armano, la forza ed integrità del carattere, il solido e ricco patrimonio spirituale col quale partono per il viaggio della vita »; 18 l'amore « secondo Dio » del luogo natio che i Santi, ad imitazione di Gesù, ebbero …19 sono i motivi tematici secondo i quali Giovanni Garberoglio si apre alla vita.

Come Luigi Musso, Giovanni era « virtuoso della chitarra », suonando la quale e cantando allietava le feste di famiglia.20

Desiderando ardentemente d'istruirsi, ultimata la quinta elementare, frequentò, sino al tempo del suo ingresso in religione, le lezioni serali di complemento che maestri del luogo impartivano ai giovani volenterosi.

E non fu certo un alunno privo di senso critico, poiché ebbe a notare l'insufficienza di quanto gli veniva insegnato circa il comporre.

Fermo e risoluto, anche in famiglia s'era acquistato un certo ascendente, tanto più che i suoi propositi e le sue decisioni si dimostravano tutt'altro che avventate, ma maturate piuttosto nella riflessione abituale.

Per quanto non frequentasse ordinariamente compagnie ( del resto le occupazioni glielo impedivano ), se non l'Arciconfraternita del SS. Sacramento di cui era membro, si distingueva per la cordialità con tutti.

Per tempo dimostrò spiccate tendenze e amore all'educazione dei giovani.

Fu lui ad esempio, a preparare per la prima Comunione un nipote, quasi coetaneo.

Spesso, la domenica, intratteneva su cose buone e devote un gruppo di giovanetti che abitualmente confluiva a conversare davanti a casa sua.

La fermezza del carattere, i modi cortesi, la conversazione che rifuggiva dalla banalità e dalle frivolezze, gli rendevano attento e partecipe l'uditorio.21

Comunque, le « virtù cristiane e l'esattezza nell'adempimento dei propri doveri » lo distinsero presto.

« Religiosamente parlando, non solo non deviò mai dalla via retta, non solo la sua pietà non si illanguidì col sopravvenire dell'età pericolosa, col crescere della personalità che troppe volte spinge il giovane al l'emancipazione ed al traviamento, ma, come assicurano i suoi coetanei, egli, devotissimo, fu modello alla gioventù paesana e orgoglio dei suoi cari, assiduo com'era alla vita della parrocchia, alle sue funzioni, alle sue feste, partecipe cuore ed anima ai sacramenti.

Fioriva e prosperava in tal modo la sua attività religiosa, nutrita dei divini ideali, che non escludono certo le sane giocondità della vita che anzi spuntano più copiosamente sui passi dei giusti.22

La chiamata allo stato religioso venne per tempo e fiorì dal dì dentro di queste prospettive, che egli mai rinnegò, ma da cui trasse ispirazione e conforto, anche nell'età matura.

Quali siano stati i motivi intimi, oltre a quelli occasionali, che spinsero il giovane Garberoglio a diventare Fratello delle Scuole Cristiane, ancora non ci è stato possibile ricostruire sulla base di testimonianze.

Per ora non ci rimane che tentare di argomentarli attraverso al suo stile di vita, alle opere intraprese e a qualche scritto piuttosto indiretto.

La « vocazione » non fu comunque per Giovanni, sostanzialmente, un invito a rifuggire quello che era stato, a considerarlo chimerico e corruttore; fu l'attrazione di Colui per cui tutto è, e che tutto da.

La chiamata di Dio ha per lui del barbaglio del sole che, levandosi alto, attrae lo sguardo e lo rende subito come cieco alle cose del mondo.

È come il prorompere dello sfondo, dell'implicito; prorompere che, per un istante almeno, smorza e confonde i primi piani, l'esplicito.

La consacrazione religiosa a cui conduce la chiamata, non può non prodursi, per qualche aspetto, nel distacco, nella rinuncia, nel « disprezzo » delle creature, nell'abnegazione di se stessi.

Non solo in forza dell'alternativa propria alla scelta umana, a cui accade di doversi esplicare tra il volere di Dio e qualcosa che se scelto in date circostanze risulterebbe contrario a Dio: ma è la trascendenza di Dio e la totale dipendenza creaturale a richiedere, in certo modo, l'olocausto di tutto e di se stessi; senza contare il debito della riparazione.

Fratel Teodoreto sentiva che per giustizia si deve rendere a Dio tutto ciò che gli è dovuto, il che è tutto ciò che è, e tutto ciò che siamo e operiamo.

La religiosità più autentica non solo conduce a tutto lasciare, tutto rifuggire e sacrificare « piuttosto » di dispiacere a Dio, ma impone di riferire e offrire a Lui tutto.

E poi c'erano tanti fanciulli, tanti giovani bisognosi con l'istruzione ( indispensabile strumento di dignità e di bene personale ) di pane evangelico, di cristiana educazione.

Verso di essi e specialmente verso i più poveri, Giovanni si sentiva attratto.

È percorrendo questo itinerario, a cui l'avviava la chiamata del Signore, che Giovanni lascia il paese natìo, i ridenti vigneti che lo circondano, lascia la mamma « il più gran tesoro della sua vita », lascia se stesso distaccandosi dai « più dolci ricordi della sua serena fanciullezza ».23

In certo modo fu sacrificio di tutto, ma anche trasposizione e salvezza di tutto non solo per sé, ma per tanti altri, nella nuova prospettiva spirituale che la condizione di religioso educatore comporta.

« Il religioso è anche l'uomo felice, è un enigma per noi il fatto che la rinuncia di tutto porti la felicità.

La religione è quella che concilia le più grandi distanze: la libertà dello spirito e l'ubbidienza, l'attività e la contemplazione, l'ilarità e la fatica, l'abnegazione di tutto e la felicità. "Tutto abbandona e tutto avrai" ».24

Proprio quando sembrano profilarsi al Nostro insanabili antinomie tra ricerca di Dio e impegno nel mondo, tra amore di Dio e quello degli uomini, in realtà la chiamata all'Istituto dei Fratelli delle SS. CC. salvaguarda e asseconda in lui quell'equilibrio di religiosità e di operosità, di volontà moralizzatrice e civilizzatrice e di elevazione a Dio; equilibrio che sin dalla prima giovinezza si prospettò a Fratel Teodoreto, come ideale.

Diventerà così Fratello delle Scuole Cristiane.

Il « tutto offrire a Dio » si tradurrà nel « tutto operare mirando a Dio », nel ricondurre a Dio se stessi e il prossimo, principalmente nella Scuola e per la Scuola.

La consacrazione allo stato di religioso-educatore diventerà il nuovo titolo per delimitare e svolgere il proprio compito nel mondo; diventerà il punto di vista secondo cui riguardare ogni cosa; il principio di una sintesi universale di valori e di attività, secondo la fede.

La mortificazione e l'abnegazione più schiette verranno esplicate come mezzo per realizzare un simile programma, nel rovello cioè di valutazione e di decantazione che esso importa, nel dominio e nel superamento di ciò che è istintivo e passionale, nello sforzo di riscattare se stesso e gli allievi dalla corruzione naturale e dalla insignificanza egoistica e dalla grettezza idolatrica, nell'adoprarsi a trasfigurare la personale autonomia in eco diretta del volere di Dio, del di Lui messaggio di verità e di vita, onde trasmetterlo e infonderlo, quale lievito di salvezza, nell'animo dei discepoli.

Sacrificata una certa presenza fisica presso gli uomini, egli si rende sempre più beneficamente presente ad essi nell'ardore dello spirito, nell'opera cristianamente educatrice.

La consacrazione religiosa diventa per Fratel Teodoreto il motivo nuovo che gli fa trovare nella scuola, nei conseguenti doveri di stato, il punto essenziale di sviluppo e di espansione della sua ricerca di Dio, della propria santificazione, un tipico modo di esercitare ed alimentare quello zelo che è culmine dell'amore cristiano del prossimo.

Così, la consacrazione religiosa in lui stimola e favorisce un efficace inserimento nelle strutture sociali, onde contribuirvi l'avvento di una « città » e « civiltà cristiana », riflesso e preparazione e inizio del Regno di Cristo.

Quante volte, d'accordo con Fra Leopoldo, non parlerà di « riforma del mondo » !

In Fratel Teodoreto religioso e maestro, o meglio, religioso-maestro, non si produce l'indebita frattura tra il religioso da un lato e il maestro dall'altro, frattura che è una delle più gravi minacce al « lasallianesimo ».

Ciò non fu certamente il frutto di un compromesso, ma d'una armonia raggiunta nell'approfondimento veritiero del due aspetti più tipici del movimento lasalliano.

Proprio perché egli fu innanzi tutto « Fratello », proprio perché tale caratteristica in lui sempre più s'approfondisce, non ne viene affatto smorzata la caratteristica del « maestro », anzi la prima vuole espandersi e consolidarsi nella seconda, quale ubbidiente fedeltà al dovere di stato, quale espressione di zelo.

Il Santo Fondatore lo ammaestrava in questo sforzo di religiosamente giustificare ed esplicare la propria condizione di uomo e di educatore, con la raccomandazione di non fare: « … veruna differenza tra gli affari del vostro stato e il negozio della vostra eterna salute e perfezione.

Siate certi che non opererete mai così bene la vostra salute, e non acquisterete mai tanta perfezione, quanto adempiendo bene i doveri di stato, purché ciò facciate per conformarvi alla volontà di Dio ».25

In Fratel Teodorelo abbiamo potuto constatare di fatto come la religiosità si potenzi esprimendo nella scuola la sua fecondità, ma anche come la religiosità sia garanzia, sostegno e coronamento della scuola.

La scuola approfondendosi rimanda ed invoca la religiosità, quale clima vitale, quale sbocco dell'anima, portata a ciò dal suo specifico orientamento di ricerca, di ossequio e di adesione ai valori culturali, che, trascendentalmente divini, rimandano ed invocano Dio trascendente.

In altre parole, i valori incarnati negli esseri creati, vi appaiono inesauriti e inesauribili ( benché, in qualche modo, totalmente presenti secondo lo stile essenziale di ciascuno di essi ), e perciò vi appaiono emergenti appunto come strutture o orizzonti trascendentali come portanti in sé il presagio di indefinite possibili attuazioni, e oltre a quelle, e come a fondamento, rinviano alla loro piena attualità, alla totalità in atto che è Dio.

Queste considerazioni ci sono suggerite dallo sforzo di comprendere quell'equilibrio di pietà e di operosità, di purificazione interiore e di impegno nei doveri di stato, di ricerca di Dio e appassionata opera di educatore cristiano, che fu proprio del Nostro.

Comunque, ecco un esempio significativo di quanto affermiamo.

Un giorno venne domandato a Fratel Teodoreto se ritenesse opportuno che ai giovani della Casa di Carità fosse impartita qualche notizia delle arti figurative.

La risposta fu pronta ed affermativa, scandita secondo un ragionamento quanto mai significativo: « Sì … Mi ricordo che Suor Josefa de Menendez, descrivendo il Signore che le appariva notava tra le prime cose, che Egli era bello … La cosa mi ha colpito … Certo, il Signore è bello, anzi è la stessa Bellezza … Sì, tutto ciò che è bello ne è come un riflesso che nobilita l'anima e l'aiuta ad elevarsi fino a lui … ».26

Del resto, Fratel Teodoreto rispettava ed apprezzava la cultura; voleva ordine e disciplina, proprietà garbata di linguaggio, urbanità delicata nel tratto; amava la prudenza e la forza del volere; approvava la fermezza nel decidere, il coraggio; con gusto tutto suo parlava delle bellezze naturali, del focolare domestico, del lavoro e della sua dignità, dell'istruzione e dell'educazione dei figli del popolo.

Non si dimentichi, a quest'ultimo proposito, che insegnò sempre gratuitamente, che sostenne per lunghi anni il peso delle Scuole serali gratuite tenute dai Fratelli a favore della gioventù operaia, aiutato in seguito dai suoi Catechisti, ai quali infine affidò ogni cosa.

L'istruzione catechistica, l'impostazione catechistica di tutta la Scuola, la preghiera prima, dopo e anche durante la Scuola assicuravano per lui e l'elevazione a Dio di tanti giovani e la loro rettitudine di uomini, di lavoratori, di cittadini.

Fratel Teodoreto intuiva che le strutture del mondo non comportano né incompatibilità e nemmeno indifferenza con la santità: altrimenti perché votarsi alla Scuola?

Perché credere che proprio attraverso di essa si sarebbe potuto diffondere il messaggio evangelico?

Perché avrebbe dovuto valere l'insegnare e l'apprendere le « discipline profane », a lavorare, a plasmare una fisionomia grave e retta d'uomo e di cittadino?

Non è esatto definire queste cose quale pura « occasione » e peggio, quale « pretesto » per tener riuniti molti giovani, facilitando così il parlar loro di Dio.

La Scuola non soltanto ammassa, ma « riunisce » davvero e predispone gli allievi ad ascoltare uniti un simile annuncio.

Come così del resto, in qualche modo, predispone ogni attività onesta, esercitata misuratamente, senza oppressione, né affanno idolatrico.

Si ricordi a questo proposito il già citato brano con cui inizia il capitolo intitolato « Ora et labora » nel libro da lui scritto su Fra Leopoldo: « Nelle famiglie cristiane l'amore al lavoro è parte integrante della, educazione ».27

La Scuola meglio di ogni altra cosa predispone alla religione, poiché meglio aprendo alla vita, meglio consente d'intendere la religiosità che, in largo senso, tutto intride; meglio consente d'intendere come un anelito di riscatto e d'elevazione, di guarigione e di santificazione percorra principalmente il mondo e la storia umana e, comunque, l'universo intero.

L'amore di Dio soprattutto diventa così garanzia dell'amore di tutto in Dio e di Dio in tutto; e in quest'ultimo amore vi si esercita.28

Fratel Teodoreto comprendeva come ogni elevazione si traduce in rovinosa caduta, se non ha Dio come mèta, Dio che pienamente giustifica e salva ogni elevazione in quanto tale; poiché non ci si eleva semplicemente « da » se stessi e « su » se stessi, ma « verso » una meta che non dipende da noi.

Senza Dio, qualunque ascesa dà le vertigini.

La contradditorietà è il segno d'ogni tentativo di raggiungere qualcosa senza Dio, come se fosse Dio: l'uomo vi rimane come confuso, poiché vi si sente ad un tempo attratto e respinto, soddisfatto ed insoddisfatto, valoroso e codardo, conquistatore e ladro, liberatore e oppressore di se stesso.

Ancora. Ogni elevazione ha qualcosa della redenzione, e, in certo modo, comporta mortificazione ed abnegazione.

Un sentimento per così dire « pre-cristiano » è nel cuore di ogni uomo, è virtualmente in fondo al creato: ci vuole rettitudine ed umiltà per avvertirlo.

Ma come solo lungo la verticale dell'elevazione a Dio può consolidarsi, come momento di essa, ogni altra elevazione, non c'è elevazione compiuta e definita senza il Cristo.

La Scuola cristiana è Scuola di Cristo, è istruire e formare a Dio con Cristo, in Lui e per Lui.

Se in Fratel Teodoreto era notevole lo sforzo di cogliere dall'intimo dei valori naturali il loro riferirsi a Dio, egli si dimostrò sempre un forte testimone della fede.

Il suo insegnamento prima che un'argomentazione è un'affermazione orale e vissuta del Vangelo.

Disponendosi mentalmente e con tutto il suo essere secondo l'orientamento suggeritegli dal dato della fede, ne fa come intuire la veracità, la ragionevolezza profonda, la sublime convenienza.

Del resto è maestro nel chiarire con semplicità la formulazione catechistica, nel rimuovere gli eventuali ostacoli alla comprensione di lessico.

Fratel Teodoreto ha fiducia che l'enunciazione chiara e conseguente delle verità della fede possa destare echi profondi nell'animo di chi ascolta.

Comunque sente di dovere innanzi tutto testimoniare la fede quale debito omaggio a Dio buono e verace.

La sua umile e pur potente autorevolezza, più che dal carattere fermo ed equilibrato, gli veniva dalla sincerità e ragionevolezza della sua testimonianza.

Davanti a lui i giovani - alunni prima, e catechisti poi - sentono la solennità misteriosa e pur tanto attraente della rivelazione.

La loro reazione subito è il rispetto, poi la sottomissione, poi l'adesione.

A chi dubitando viene da lui in cerca di luce, Fratel Teodoreto rivolge immancabilmente l'invito a pregare, anche se non manca di adoprarsi a rispondere e a interessare eventualmente altre persone più dotte di lui.

Solo rimanendo nella fede è possibile superare le difficoltà che vi si possono incontrare, come solo continuando a vivere e a pensare è possibile risolvere i problemi della vita e del pensiero.

Insomma, Fratel Teodoreto mai dimentica che il messaggio cristiano viene da Dio, e che se è vero che viene « incontro » agli uomini per illuminarli e salvarli, da essi non è deducibile, ne argomentabile, benché se ne possa e se ne debba riconoscere la ragionevolezza profonda.

Agli uomini, con l'aiuto di Dio, il compito dunque, di riconoscervi più profonda, nel nuovo modo di manifestarsi, la stessa « luce che illumina ogni uomo veniente in questo mondo » e di aderirvi.

Tutta l'attività illuminante esplicata da Fratel Teodoreto è dominata da due correnti: una, da Dio alle creature, fatta di testimonianza e di riecheggiamento del messaggio evangelico; l'altra, dalle creature a Dio, fatta di argomentazioni volte ad esplicare dal creato, dal profondo di se stessi, il riferimento a Dio, la tensione per così dire verso la Rivelazione.

Anzi la testimonianza ha nelle sue pieghe l'argomentazione, come sua, in certo modo, esplicazione e giustificazione.

Così per Fratel Teodoreto il catechismo, riecheggiamento diffusivo del messaggio di Gesù, si costituisce come fondamento e coronamento di tutta la Scuola cristiana.

La pedagogia che vi si attua è pedagogia di fede, di pietà, di grazia.

La soprannatura attrae ed eleva guarendo la natura, questa v'è attratta e guarita poiché in essa vi è come una potenzialità a quella, e in quella meglio si riconosce e si possiede.

Per Fratel Teodoreto non si danno fratture tra cielo e terra, quanto piuttosto continuità e corrispondenza, qualunque siano le difficoltà, i tentennamenti, le involuzioni possibili.

Nell'affermazione sincera di Cristo pare vi sia per Fratel Teodoreto qualcosa di universalmente illuminante e salvifico, malgrado le reazioni che ne possano derivare a tutta prima, qualunque sia la potenza dell'eloquio.

La testimonianza data a Gesù davanti agli uomini è nel Nostro continua, e mai appare come ostinazione, come contradditorietà, ma sempre come fedeltà e rettitudine, come sorgente di benevolenza verso chiunque: nella sua fede vi è, per quanto diverso, un « posto » per tutti.

Così, vivere e far vivere « alla presenza di Dio » e in questa presenza far conoscere ed amare Gesù, insegnare ed educare in Lui, studiare ed imparare con Lui, esercitarsi a vivere di Lui, a trasferire e instaurare ogni cosa in Lui, e con Lui ritornare a Dio: ecco in breve il programma educativo di Fratel Teodoreto.

In questo modo, la Scuola cristiana gli si presenta come impresa culturale ed educativa che è ad un tempo impresa di salvezza, principalmente dell'anima, ma anche, per essa, di tutto l'uomo e della sua storia.

Concludendo. Rivolgersi al mondo quanto lo comportava la condizione di educatore, attraverso i doveri di stato poiché tutto ciò veniva religiosamente comandato e veniva comandato in quanto nella fede appariva più conforme a Dio e riferentesi più da vicino a Lui: ecco per Fratel Teodoreto il punto di armonia e di sviluppo fra consacrazione religiosa e impegno nel mondo.

La professione religiosa vissuta, lo sforzo ascetico che essa comporta si fanno strumento ed esplicazione, da un lato di santificazione e, contemporaneamente dall'altro, di compito nel mondo. Il quale compito non può non costituirsi come « missione » e come « apostolato ».

Viene quasi da sé che in un simile orientamento Fratel Teodoreto dia un posto preminente al catechismo, alla diffusione cioè tra il popolo del messaggio cristiano.

Così, Fratel Teodoreto seppe armonizzare le esigenze più squisitamente religiose, quali la riparazione ( che volle come uno degli spiriti fondamentali dell'Opera da Lui fondata ), con un impegno serio e fedele, aggiornato e dinamico nelle cose del secolo: seppe trovare la rinuncia, l'abnegazione di sé nell'adempimento del proprio dovere anche in quanto concerneva la formazione e lo sviluppo della sua persona.

Insomma, in Fratel Teodoreto motivo e consacrazione religiosa si fanno ispirazione e incremento per tutti gli altri aspetti e momenti della vita.

Non che la religiosità in lui anzitutto servisse alle altre attività, ma sono piuttosto i molteplici compiti che trasfigurati dalla fede diventano momenti di un solo dono di sé e di quello unico olocausto d'amore, che nella professione religiosa ha il suo inizio.

In ogni cosa il Regno di Dio, il resto verrà come conseguenza.

Così la laicità del movimento che egli susciterà e organizzerà, non verrà a contrastare sostanzialmente con il progresso spirituale dei suoi discepoli.

Il rimaner nel mondo e la santità non erano per lui, educato allo spirito di fede del suo Fondatore, in contrasto o cose assolutamente eterogenee, anzi seppe intuirne i possibili rapporti.

« Padre, non chiedo che Tu li tolga dal mondo, ma che li guardi dal male » ( Gv 17,15 ): è quanto verrà riportato in capo alle Regole e Costituzioni dell'Unione Catechisti.

Così quello slancio che dapprima lo guida e lo sostiene nell'insegnamento scolastico, sarà il medesimo che gli ispirerà un'opera di sviluppo, tutta spirituale e apostolica, per i suoi giovani; che gli permetterà sicurezza di giudizio di fronte ai molteplici casi di vita familiare, professionale e civile sottopostigli dai suoi discepoli; che infine avrà la sua più completa e matura realizzazione in quello stato votale nel mondo che dischiuderà a quanti, chiamati, lo avranno seguito.29

Fratel Teodoreto ha così confermato la fiducia nelle Scuole Cristiane e nella religiosità laica dei maestri, che congregati costituiscono un potente cenacolo di spiritualità e di imprese educative per la civiltà cristiana nel popolo.

- La Divozione a Gesù Crocifisso

È il primo atto del messaggio di realizzazioni « nuove » che o fanno capo a Fratel Teodoreto, o si riferiscono a lui per la parte importante che vi ebbe.

Molti Fratelli delle Scuole Cristiane e molti dei loro giovani, nonché parte almeno della vasta cerchia di persone sulle quali per diverse ragioni si esercita la loro influenza, conoscono ormai questa « Adorazione-Divozione » che ha peroggetto l'« Amabilissimo Gesù Crocifisso », attraverso le cinque sacratissime Piaghe, realtà e simbolo eloquente della nostra Redenzione.

Fratel Teodorelo accettò questa pia pratica, composta da Fra Leopoldo Maria Musso o. f. m., da una signora nel novembre 1911, quando la Comunità di S. Pelagia30 ) di cui era Direttore, si trovava « in grave pericolo di perdere, per le classi della R.O.M.I, il diritto di scuola pubblica ».31

« Le presento una pratica di pietà molto efficace; fu scritta da un Frate sotto la guida di Gesù Crocifisso che gli parla familiarmente nelle orazioni ».

Fu allora che Fratel Teodoreto « trovandosi sotto l'impressione delle gravi difficoltà avute con l'Autorità scolastica, ricorse al C.mo Fratel Assistente Louis de Poissy per ottenere il permesso di far recitare la « Divozione a Gesù Crocifisso » nella Comunità e nelle Scuole ».32

Così, per salvare il diritto di dare in casa gli esami con valore legale a 1050 alunni, Fratel Teodoreto pensò di « mettere alla prova » la preghiera che tanto gli era stata raccomandata.33

La cronaca della Casa così prosegue: « Negli anni scolastici 1911-13 si continuò la pratica della Divozione a Gesù Crocifisso e si poterono dare gli esami con valore legale senza che nessuno si opponesse.

Per la pratica di tale Divozione nella Comunità di S. Pelagia si ottennero anche grazie straordinarie, quali sono l'aiuto di alcuni benefattori per l'acquisto della Villa di S. Giuseppe in Pessinetto e l'istituzione dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata ».

* * *

Cioè, sorge una grave difficoltà, effetto di una situazione sociale che oltrepassa la portata di un provvedimento di disciplina scolastica, sia pure importantissimo.

La difficoltà è disperata e senza appello; le « raccomandazioni » non servono.

Ma serve la preghiera, il fiducioso ricorso a Dio.

Dovrebb'essere la cosa più « ovvia » per un cristiano, tanto più se religioso; ma accade sempre così?

La nuova « Divozione » è accettata, più che per le assicurazioni ricevute, perché degnamente vi campeggia il Crocifisso.

Del resto, ogni Fratello è orientale per tempo e a capire e ad amare Gesù in croce.

Valgano, fra tutte, le autorevoli testimonianze dell'On.mo Frère Athanase-Émile: « … c'est près du Sauveur en croix et dans ses plaies sanglantes qui saiht Jean-Baptiste de La Salle veut que nous allions chercher lumière et courage, quand il s'agit du combat contre les passions ( 28° méd. ), ou de la force dans les difficultés et les afflictions ( 165° ), ou de l'esprit de réparation ( 125° ), ou de la ressemblance avec Jésus ( 165° et 173° ).

N'est-ce pas au pied du crucifix que notre saint Législateur a puisé lui-méme l'amour des souffrances, l'esprit de réparation et de zèle, et l'héroique constance dans les épreuves qui éclatent dans sa vie?

Relisons les 27° et 28° méditations et, dans le Recueil, son émouvante profession de pénitent, et nous verrons que ce sont les « regards aimables et intérieurs » du crucitix qui ont fait de lui « un des plus grands pénitents de son siede ».34

Il Superiore Generale, nel documento citato, rileva ancora come decisioni capitolari successive, ritornando a quanto prescriveva il Santo Fondatore nella Regola manoscritta del 1717, stabiliscono che ogni Fratello porti su di sé un crocifisso, specialmente a riparazione degli oltraggi che gli empi dirigono contro il segno della nostra Redenzione.

Non c'è dunque da stupire se Fratel Teodoreto decise di praticare e di far praticare alla Comunità di cui era capo e agli allievi che ne dipendevano, la « Divozione » al Crocifisso, poiché se nuove ne erano le espressioni, antichi ne erano gli orientamenti.

Tuttavia Fratel Teodoreto è uomo prudente: accetta il nuovo testo perché gli appare coerente ed ortodosso; e poi non dimentica le circostanze provvidenziali che lo garantiscono.

Comunque, pur aderendo alla nuova preghiera, la « mette alla prova ».

Non basta: tutto procede col permesso del Superiore.

I primi frutti non si fanno attendere e furono, in diversa misura e per diversi aspetti, contributi di importanza incalcolabile per l'istituto dei Fratelli.

« Così i Fratelli delle Scuole Cristiane cominciarono a praticare la Divozione a Gesù Crocifisso, a propagarla tra i loro Confratelli, nelle classi, nelle famiglie ».35

* * *

Il primo frutto della « Divozione a Gesù Crocifisso » è … la « Divozione » stessa.

Non è cosa di poco momento l'accettare davvero la divozione al Crocifisso come ispirazione e sintesi di vita, come corona al programma formativo della Scuola cristiana.

S'è parlato e si parla ancora di « umanesimo della Croce », specialmente oggi che c'è tanto bisogno di « ricostruzione », di « equilibrio », di « coesistenza ».

L'odierno atteggiamento prevalente è introspettivo e disincantato, esige che si vada all'osso dei « problemi », con vigile senso critico, con esasperata volontà di verifica.

Ben orientato, questo atteggiamento porta alla Croce, al « nocciolo » della Redenzione, al senso a critico » dell'amore, alla « verifica » della misericordia divina e della miseria e grandezza umana.

Oggi si sente acutamente la contingenza, la precarietà, la frammentarietà dell'esistenza, il che s'accompagna a un penoso senso di complessità, di difficoltà per tutto, in tutto.

Ma tutto ciò riguardato in quello che ha di giustificato, porta a stringersi alla Croce, da cui viene ogni riscatto, ogni salvezza.

Di « umanesimo della Croce » maggiormente se ne parla nei momenti, quali il presente, per tanti aspetti « critici », « drammatici », in tensione spasmodica verso una nuova forma che informi, sintetizzi e finalizzi il moltiplicarsi delle esigenze che sembrano cozzarsi e contraddirsi.

Tutte le volte che si sentirà di dover armonizzare nella vita la « gloria », il « gaudio » con il « dolore », l'esaltazione con l'abiezione, la solennità con l'intimità, la forza con la debolezza, ecc., più tematicamente si parlerà di « umanesimo della Croce ».

E oggi c'è bisogno di sintesi, di armonia per gli aspetti e momenti della vita che approfonditi appaiono schierati in irriducibile separazione e conflitto; c'è bisogno ad esempio, di armonizzare il progresso della tecnica, lo sviluppo economico con le esigenze della persona che ne è come asservita, prostrata; c'è bisogno di comunità e di libertà ad un tempo; ma a guardar bene c'è tanto bisogno di « salvezza ».

« En cette époque si troublée, où l'existentialisme athée pousse les esprits au désespoit, et le communisme aux haines fratricides, faire connaitre et prier Jésus Crucifié, c'est contribuer efficacement a rendre l'espérance et l'amour au coeur des hommes ».36

Oh, se davvero il Crocifisso fosse al vertice delle menti e nel profondo dei cuori degli uomini!

La « Divozione » al Crocifisso è per tutti, aiuta tutti a capire il centro del culto cattolico che è la Messa.

In fondo, tutta la vita del cristiano dovrebbe essere in qualche, modo una messa.

La « Divozione » aiuta a cruentarsi, in qualunque momento della giornata, secondo che importa il Crocifisso, nostro Salvatore; aiuta a riguardare e a vivere secondo la prospettiva eterna di Dio; aiuta a celebrare, per così dire, la nostra messa diuturna.

Chi si butta ai piedi della Croce e l'abbraccia, è coerente con la parte più profonda e migliore di sé e la esprime e la sviluppa; solo esplicando ciò che significa questo stringersi alla Croce, si potrà ricercare e ricostruire, senza tradimenti e senza infamie, la verità e la pace.

L'« umanesimo cristiano » nasce così: cuore a cuore con Gesù Crocifisso.

E che dire della riparazione?

Oggi si è pressoché dileguato il senso del « peccato », ma in compenso si è rimpicciolito talmente l'uomo da non riconoscergli che istinti e tendenze invincibili.

Tuttavia, purtroppo, peccatori lo siamo, e crocifissori di Gesù.

Aumentano, oggi, le previdenze per i corpi e si perde la magnanimità per gli spiriti.

Ci si soccorre più per essere soccorsi che per aperto rispetto e simpatia, più che per sincera amicizia.

Se le cose stanno così, chi penserà mai a riparare le proprie e le altrui iniquità contro Dio?

Un mondo che ripari è un mondo che ama, è un mondo dalle concezioni gagliarde e magnanime, è un mondo di giustizia.

Ma giustizia la si pretende, e non la si dà.

Tuttavia solo se gli uomini ripareranno le loro colpe contro Dio, riusciranno a riparare vicendevolmente le incomprensioni e i torti reciproci.

La « Divozione a Gesù Crocifisso » è espressione riparatrice, è ansia di apostolato.

È riparazione fatta di slanci d'amore e di ardore di zelo.

Più che sostare nella considerazione dei falli umani, la « Divozione » si presenta come anelito di riconoscenza, di ricostruzione, di comunione.

Comunque, la pietà ha bisogno di manifestazioni: senza pratiche si può pensare che la pietà non c'è.

Ma che cos'è più pia « pratica » della a Divozione » al Crocifisso, recitata magari davanti al Santissimo?

* * *

La « Divozione a Gesù Crocifisso » è stata affidata dal Signore all'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane.

Molti ormai sanno come si svolsero le cose.

Fratel Teodoreto, fin dai primi incontri, incominciò a ricevere da Fra Leopoldo « parecchi scritti presi - come affermava il Frate - ai piedi di Gesù o di Maria SS., ossia dettati quasi letteralmente dal SS. Crocifisso, o dalla SS. Vergine ».37

Una serie di circostanze provvidenziali, i caratteri di onestà del Francescano, le straordinarie e benefiche risonanze che il Nostro ne riceveva interiormente, il nascere e consolidarsi dell'Unione, il fervore esemplare dei membri, convinsero Fratel Teodoreto a concedere la sua fiducia d'uomo a quanto gli veniva comunicato.

Quale non fu la sua sorpresa nel leggere, rivolte da Gesù al Frate, queste parole: « Sei tu che devi spingere questo e quello per propagare questa divozione; non mancheranno anime buone che mi amano e che verranno in tuo aiuto: sappi, caro figlio, che ho dei fratelli laici che mi vogliono molto bene, se tu sapessi quanto li amo ».

La data - 10 settembre 1906 - segnava una straordinaria coincidenza con quella del secondo noviziato di Lembecq-lez-HaIs durante il quale venne a Fratel Teodoreto la prima idea di quella che sarà l'Unione.

Ma ora, quello che importa rilevare, è il mandato di Gesù a tutti i Fratelli perché si facciano i principali diffusori della « Divozione ».

È Fr. Teodoreto che riporta quanto avvenne tra il Signore e Fra Leopoldo ( 13 novembre 1913 ): « Nell'orazione … il servo di Dio udì le parole seguenti: Fermati qui, e non chiedi niente?

Signore, fate che per mezzo dei Fratelli delle Scuole Cristiane si propaghi la vostra santa Divozione-Adorazione.

Sì, ma volevo sentirlo anche da te.

Signore, fate che i giovani ammessi a far parte delle Scuole Cristiane, Fratelli e alunni che hanno la grazia Vostra di praticare la santa Adorazione, la tramandino di generazione in generazione e che la Vostra SS. Croce, nostra salute, sia in Voi ricordata, amata, adorata consoavissima gioia e tede benedetta.

- Una copia ( di questo colloquio ) la segnerai nei tuoi quaderni e un'altra la darai al Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane ».38

Più avanti, e precisamente il 23 maggio 1914, il Signore si esprimerà solennemente così: « È mio desiderio che passi ai Fratelli delle Scuole Cristiane ciò che io ho cooperato per mezzo tuo ».

E tale desiderio sarà riconfermato ogni volta che sorgerà qualche dubbio in proposito.

Cosi il 6 marzo 1915: « La pianta della Pia Unione dei giovani e l'Adorazione del SS. Crocifisso voglio che rimanga ai Fratelli delle Scuole Cristiane ».39

* * *

Fratel Teodoreto ebbe tosto assegnato il compito di farsi promotore presso il suo Istituto di questo movimento di anime e di opere che ha per centro il Crocifisso: « Su, vieni pur qui liberamente e senza soggezione. Dirai al Fratel Teodoreto che chiami ( aiuto ) in tutte le Case della sua Congregazione, con la voce e con lo scritto, e non si stanchi mai, affinché la mia voce e il mio desiderio siano obbediti dai miei figli diletti delle Scuole Cristiane ».40

E Fratel Teodoreto non si stancò mai; questa è una lunga storia che speriamo venga presto scritta.

È una lunga storia di un sovrumano equilibrio fra umiltà profonda e sforzo di convincere e di persuadere, fra bruciante desiderio di entusiasmare e snervanti attese e lunghi silenzi, fra volontà di realizzare e lo scoraggiante stillicidio di anni per tanti aspetti apparentemente infruttuosi: sempre sereno, sempre calmo, sempre fedele malgrado il grande logorio di energie spirituali e fisiche che il suo mandato comportava; sempre benevolo e longanime, senza astio verso alcuno.

Giunse a presentare la « Divozione », con l'Unione, quale desiderio di Dio, nientemeno che ai massimi Superiori del suo Istituto: lui, l'umile Fratello, che si riteneva l'ultimo di tutti.

Osò persino presentare queste cose ai suoi Confratelli nel bel mezzo dei loro Esercizi spirituali ( di cui fu per qualche tempo Direttore ), invitandoli ad accettare e a sviluppare quanto con fede umana non si poteva non ritenere volontà di Dio.

Oggi, si può affermare che qualcosa di quanto trasmetteva Fratel Teodoreto è stato accettato; specialmente la « Divozione » ha accolto efficaci consensi41 che hanno incominciato ad esprimersi realmente, secondo un'organizzazione coordinata, presso i Fratelli.

Comunque, se è vero che molti Confratelli vicini al Nostro non compresero il valore e l'importanza del messaggio di cui egli era portatore, non mancarono fin dalle origini, i consensi sempre più estesi dei Superiori Generali.

Dall'incoraggiamento a proseguire dato a Fratel Teodoreto dal Frère Imier-de-Jésus ( 28 marzo 1914 ), presso la Casa Generalizia, che allora era nel Belgio, sino alla già nota « Circolare » del Frère Athanase-Émile ( 19 marzo 1949 ), si continuano le adesioni e gli appoggi che fanno riflettere, senza contare le espressioni di profonda simpatia e di concreto interessamento dell'attuale Vicario Generale On.mo Frère Dénis.

Per quanto riguarda la « Divozione » e il suo apporto per l'Istituto dei Fratelli, la conclusione non può essere che quella gia indicata da Frère Athanase-Émile: « Nous renouveler dans la devotion a Jésus Crucifié et nous en taire lés propagateurs ».42

È lo spirito di S. Giov. Battista de La Salle che in lui rivive quando egli esprime, discreto, il desiderio che si stabilisca in tutto l'Istituto la « journée annuelle du Saint Crucifix »,43 durante la quale i giovani saranno condotti davanti al Crocifisso perché ne cantino la misericordia, affinché gli rinnovino l'omaggio del loro cuore e della loro devozione con preghiere, tra le quali « celle aux Cinq Plaies notamment », tutto ciò quale « hommage de foi, de adoration, d'amour, de réparation, en face de toutes les négations de l'inipiété ».44

A tutti i Fratelli poi, il Superiore Generale propone l'osservanza di alcune pratiche nelle quali il Crocifisso è al centro: portare il crocifisso su di sé, non separarsene mai, baciarlo ripetutamente, stringerlo al cuore qualora si presenti un sacrificio da compiere, una ripugnanza o una tentazione da vincere; tare il segno della croce e farlo fare degnamente e con attenzione; recitare a Gesù Crocifisso la preghiera: « Eccomi o mio amato e buon Gesù », le litanie della Passione ed infine « la prière aux Cinq Plaies, … la faire connaìtre ».45

E allora, stando così le cose, è ardito ed indiscreto sperare che su questa linea di sviluppo, come riconoscimento e riconoscenza del molto bene derivato, come omaggio alla santa memoria di Fr. Teodoreto, come rinnovata espressione di amore al Crocifisso e di riparazione, come rinnovato impegno a rendere più « cristiana » la società, attraverso una spiritualità ed una scuola sempre più « cristiana », si giunga ad una disposizione Capitolare che, oltre a riaffermare l'impegno della diffusione, proclami pratica ufficiale di tutto l'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane l'umile e pur grandiosa e bella « Divozione-Adorazione a Gesù Crocifisso »?

Non potrebbe essere questo il primo di una serie di provvedimenti che ottengano da Dio quell'aiuto e quelle benedizioni indispensabili allo sviluppo sempre più approfondito e fecondo di tutto il lasallianesimo?

Del resto, questo sembra potersi presagire dalle illuminate disposizioni del Frère Athanase-Émile.

« Enfin, il nous paraìt opportun de marquer d'une facon matérielle, au coeur de l'Institut, ce renouvellement que nous souhaitons, de la dévotion a Jésus Crucifié parmi nous.

Plusieurs projets seront, a cette fin, soumis au Conseil du Regime qui desidera du meilleur ».46

Certamente, ora che Frère Athanase-Émile ha ricevuto l'eterno abbraccio di Gesù 47 i suoi progetti non cadranno.

Uno di questi non potrebbe essere quello che suggeriamo? D'altra parte questo sembra doversi dedurre dai « detti » di Fra Leopoldo e dall'atteggiamento di Fratel Teodoreto.

E poi, questo ci pare il modo più concreto e sicuro di « ricevere » la « Divozione » dal Signore e diventarne i principali depositari e diffusori.

Si rifletta su quanto intuisce il cuore grande di un grande Superiore che presentando ai Confratelli la « Divozione a Gesù Crocifisso » « poi l'Unione e la Casa di Carità afferma di ravvisarvi una provvidenziale occasione: « Pour rappeler le but primordial pour lequel nous avons été établis, et la dévotion qu'il nous faut avoir pour Jésus Crucifié ».48

L'accettare ufficialmente la « Divozione a Gesù Crocifìsso » non è solo aggiungere una pratica di pietà alle consuete: è accettare, in primo luogo, un contributo per un generale orientamento più « cristocentrico » e più fecondo; è promuovere un più approfondito ripensamento della tradizione lasalliana, a partire dal Santo Fondatore ( o riconosce la succitata espressione ); è assicurarsi un mezzo potente per bandire una vasta crociata di restaurazione, di ritorno a Gesù Crocifisso, nell'amore e nella riparazione; è la premessa per comprendere opere, destinate ai più grandiosi e benefici sviluppi, quali l'« Unione » e la « Casa di Carità Arti e Mestieri »: « Nous devoiis faire remarquer que ces belles activités socialès, éducatives et cathéchistiques de l'Union ne sont que la floraison extérieure d'une vie surnaturelle tout centrée sur la dévotion au Saint Crucifix … ».49

- L'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata

È il secondo atto del messaggio di opere di Fràtel Teodoreto; è quanto gli è più proprio, più tipicamente suo; è quanto gli costò un quarantennio di fatiche e di prove dolorose.

Fratel Teodoreto ne è il Padre, poiché la generò, gli profuse il meglio di sé, vi legò per sempre la propria reputazione di religioso e di educatore.

Se è vero che in certo modo l'« Unione » nacque dalla a Divozione » ciò è solo nel senso che tramite la « Divozione » venne la spinta definitiva a realizzare quanto la prudenza di Fratel Teodoreto aveva già concepito; nel senso, ancora, che la « Divozione » costituì un orientamento per l'insegna da dare alla nuova associazione, una conferma per lo spirito che doveva animarla, un soccorso di nuove grazie celesti.

« Dirai al Fratello Teodoreto di fare ciò che ha in mente »:50 questo detto rivolto da Gesù a Fra Leopoldo ( detto che dà il « via » all'Unione ) è la prova di quanto affermiamo.

L'idea esposta da Fratel Teodoreto al Francescano, data l'intimità dei loro rapporti, è semplicissima: « … formare un'Associazione di giovani veramente buoni e aiutarli a condurre una vita intensamente cristiana ».51

Quello che ora più importa notare, è il problema che con quell'idea si pensava di risolvere.

L'idea era nata a Fratel Teodoreto durante il secondo noviziato a cui egli prese parte nel 1906 a Lembecq-lez-Hals.

Tutti sanno che cosa significhi un secondo noviziato, questo importante periodo di approfondimento spirituale e apostolico della vocazione di Fratello.

Lo frequentano religiosi ormai esperimentati e maturi, ed è naturale che vi si focalizzino i problemi più delicati e più urgenti della Congregazione, e se ne prospettino le soluzioni più meditate e conseguenti.

Il momento decisivo per la « nuova idea », fu con tutta probabilità durante la conferenza sulle « Opere di Perseveranza » tenuta dal C. Fr. Anacletus Vice Presidente del Noviziato, il 15 settembre 1906 ( la data risulterà quanto mai significativa ).

L'oratore, quale ci appare dagli appunti di un uditore, è acuto ed energico, e si pone con intransigente lucidità di fronte al problema e alle sue conseguenze.

Senza opere che consentano di continuare e difendere l'educazione cristiana dei giovani che lasciano la Scuola, tutta l'opera dei Fratelli - afferma l'oratore - non basta; dove esistono solo Scuole ma mancano opere di perseveranza i Fratelli esercitano assai scarsamente la loro benefica influenza, non così dove queste ultime fioriscono.

È il pensiero di S. Giov. Battista de La Salle, quello che lo condusse a realizzare l'« École Dominicale ».

L'oratore brevemente passa ad illustrare, raccomandandole alla attenzione di tutti le « Sociétés amicales » negli internati, i « Patronages » delle Scuole ordinarie, le Conferenze di S. Vincenzo, e per ultima l'Associazione di S. Benedetto Labre, nella quale il lavorare « énergiquement » alla propria perfezione e il mettersi a servizio della Chiesa sono gli scopi dichiarati.

Fratel Teodoreto, nel vigore delle forze fisiche e spirituali, sente tutta la urgenza e l'estensione del problema.

Nella Comunità di S. Pelagia da cui egli proveniva, s'erano già tentate soluzioni del gravissimo problema della « perseveranza »: « … ma la loro attività … era troppo esterna e non dava i frutti dì vita cristiana giusta-mente attesi ».52

Cosi, nella preghiera e nella riflessione, nacque la « nuova idea » …

Ma a considerare bene il nuovo progetto, si può constatare che non si tratta di un'associazione composta solo da ex-allievi : è qualcosa che oltrepassa il problema della perseveranza, e pone invece più esplicitamente quello della « maturità » cristiana degli allievi, di cui quello della perseveranza non è che un aspetto.

Certo, occorre assecondare la vita: ad una prima educazione occorre farne seguire una seconda e così via sino alla maturità.

Maturare è il solo modo di garantire il perseverare.

Ma questa tensione alla maturità non dev'essere solo proiettata nel tempo futuro, ma dev'essere presente all'esigenza e alla profondità irrepetibile del tempo presente.

Ogni età può avere qualcosa di incomunicabilmente « maturo ».

In altre parole, se è vero che l'educatore si deve proporre nel tempo lo sviluppo della vita cristiana dei giovani affidatigli, questa maturazione non ci sarà mai se, proporzionalmente all'età degli allievi, non si indica loro un alto livello verso cui tendere subito.

L'anelito alla perfezione dev'essere di tutti i tempi, perché la perfezione si possa poi concretare un giorno.

Se non si tende ad essere ottimi oggi, per quanto si vede e si può, non lo si sarà neppure domani.

Del resto l'« aurea mediocritas » non può essere il clima della Scuola, tanto più se cristiana.

Se è vero che l'opera della Scuola pur attraverso la cura del singolo, non giungerà di fatto che a promuovere solo un certo sviluppo generale, questi sarà sempre più basso se l'attività educativa non si snoda ispirandosi ad un'elevata perfezione possibile, e puntandovi meglio che può.

Ancora, se è vero che non tutti gli allievi riusciranno eccellenti, alcuni almeno lo potranno, ma guai se per essi l'educatore non avrà capacità e iniziative sufficienti.

Del resto l'atmosfera dell'ambiente educativo ha i suoi cardini nel maestro e nei discepoli migliori: il « tono » della scuola lo danno essi innanzi tutto.

D'altra parte, se l'« idea » di Fr. Teodoreto, pur nella sua semplicità non gli fosse parsa « nuova » e ardita, come spiegare le lunghe titubanze a realizzarla?

Perché non trapiantò tal quale, presso la sua Comunità, la Società di S. Benedetto Labre già così feconda di frutti? lui pronto com'era ad accogliere ogni iniziativa che gli sembrasse efficace ed appropriata, lui così consenziente a tutta la più autentica tradizione del suo Istituto.

Infatti, non si trattava solo di costituire un'opera di perseveranza post-scolastica, che principalmente accogliesse ex-allievi; Fratel Teodoreto sentiva di dover accrescere nel cuore stesso della compagine scolastica, la tensione alla perfezione, al cristianesimo intenso ed integrale.

La perseveranza successiva non potrà avere migliori radici e migliori orientamenti.

Fr. Teodoreto, per la sua pietà e per il suo zelo è condotto provvidenzialmente ad incontrarsi con Fra Leopoldo, a stabilire con Lui una santa intimità, finché il giorno 23 aprile 1913, « alle ore 17 », apre all'amico tutto il suo cuore, concludendo: « Abbia la bontà di pregare il Signore perché si degni di far conoscere se un'opera di tal genere può sussistere, che mi spiacerebbe iniziarla e poi, dopo breve tempo, doverla sciogliere ».53

E la risposta del Signore fu quella che già sappiamo.

Così, Fratel Teodoreto raccoglie il primo nucleo dell'Unione non fra ex-allievi, ma fra gli allievi stessi posti sotto la sua giurisdizione: « Vennero subito scelti tre o quattro alunni delle classi più elevate dei cinque corsi elementari tenuti dai Fratelli nella città di Torino, nonché delle sei classi tecniche ».54

« Nel novembre del 1914 si eseguì nelle classi serali, ciò che nel mese d'aprile nell'anno precedente s'era fatto nelle classi diurne.

Si riunirono cioè i migliori allievi e si propose loro di formare una Associazione di giovani ferventi nella pietà, amanti di Gesù Crocifisso e costanti nel dare buon esempio a tutti ».55

L'Unione nasce così, in seno alla Scuola, lasalliana, in forza del processo vitale e propulsivo di quest'ultima.

Non è una nuova « classe » fra le classi.

Nemmeno tende a sviare i Fratelli dalla scuola a cui sono votati, dagli esercizi di perfezione che sono propri del loro stato: anzi lì richiama a tutto ciò, e fornisce loro un valido aiuto.

Infatti, l'Unione tende a sottolineare che la Scuola cristiana è palestra di vita cristiana, in cui il cristianesimo dev'essere presente e possibilmente vissuto in tutta la sua estensione attraverso l'istruzione, la cultura, l'educazione; cristianesimo del resto presentato come fondamento e corona di ogni ottima impresa privata e associata.

L'istruzione e la formazione religiosa deve presentare l'ideale cristiano delineandone la portata dogmatica, ma anche la profondità morale e di grazia, dall'infimo grado di giustizia, sino ai consigli evangelici, sino alla vita di perfezione.

Tutto il clima educativo deve poter consentire l'esercizio della vita cristiana, la più intensa possibile.

Del resto, ogni padre tende a comunicare al figlio il meglio di se; perché così non dovrebb'essere di ogni religioso-educatore?

Siccome la Scuola cristiana si fonda sul Vangelo, non è da stupire se un Fratello come strumento ed esplicazione ad un tempo, di incremento cristiano della Scuola ha pensato di maturarvi nel seno un organismo che più intensamente la sensibilizzi nei riguardi della perfezione cristiana, fornendole una struttura di consolidamento per i giovani più generosi.

Del resto, lasciata la Scuola, se non è facile costituire indefinite comunità di studio per gli indefiniti problemi culturali, scientifici ed economici che la vita semina lungo le indefinite vie che i giovani prenderanno, è pur sempre possibile tornare a quell'unico necessario che è il Vangelo.

L'elemento fondamentale di ogni vita è il fermento cristiano, che occorre difendere, mantenere e sviluppare; è l'« apertura » cristiana al mondo e agli uomini; è la « prospettiva » cristiana, che favorisce innanzi tutto, la civiltà cristiana.

L'amore di Dio è prima di tutti gli amori onesti e dovuti, così come l'amore cristiano del prossimo è il fondamento di tutti i possibili rapporti umani.

E i « fondamenti » e i « fini ultimi » della vita, e i mezzi necessari per conseguirli nel modo più puro la Scuola li deve dare, se vuoi ottemperare al suo scopo educativo ed orientativo, e non puramente istruttivo.

La Scuola, infatti, non è principalmente una « tecnica », è un'« arte ».

Non c'è dunque da stupire se Fratel Teodoreto, direttore di Scuola cristiana, pensa di costituire un'associazione che consenta a quelli che oggi sono allievi e domani ex-allievi, la perfezione cristiana, proprio nella loro condizione di secolari.

Con questo non ha voluto dichiarare la Scuola impotente allo scopo, ma semplicemente l'ha approfondita secondo le sue esigenze più specifiche" e profonde.

* * *

L'Unione nasce e si fonda nella pietà.

Fratel Teodoreto e Fra Leopoldo sono innanzi tutto uomini di pietà fervente, e nella pietà trovano la sorgente di quell'atteggiamento umile e magnanimo, di quella disponibilità al volere di Dio e al bene del prossimo; della loro soprannaturale « socialità ».

« Pia » è l'attributo che, s'accompagna alla loro virtù.

Del resto, l'« ospitalità » massima e onnicomprensiva, si ha quanto ogni rapporto ramifica lungo il rapporto fondamentale dell'amor di Dio.

Soltanto tendendo a Dio innanzi tutto - ripeto - sono possibili linee e rapporti profondi di convergenza, di coesistenza.

Altrimenti per quanta solidarietà si protesti verso gli uomini, per quanta dedizione si proclami di rivolgere a imprese belle ed oneste: su tutto e su tutti non può non raggiarsi la stranezza, il capriccio, la superbia solipsistica, il narcisismo egoistico e suicida, la deformazione idolatrica.

Soltanto nella pietà, filiale ossequio di Dio, in cui cioè il Fondamento della vita viene onorato come Padre, sono possibili rapporti fraterni e amichevoli tra gli uomini, rapporti di onore vicendevole. Senza avvertire e accettare la paternità del Principio, è impossibile sentire fino in fondo il mondo come « casa » e gli uomini come fratelli, o come « persone », il che è lo stesso.

Solo la pietà fastigio di giustizia, promuove ed esprime l'atteggiamento più accogliente, il rapporto più veramente umano e perciò, come afferma il Monsabré, umile, generoso, benevolo e misericordioso, docile e costante, semplice, amabile, discreto, sobrio, ordinato e riflessivo.

Ci pare di descrivere Fratel Teodoreto!

Proprio Fratel Teodoreto intendeva che spesso e volentieri l'animo dell'educatore, con quello dei discepoli, si elevasse a Dio nella preghiera, anche con manifestazioni collettive.

Da parte sua nel tratto di strada che separava la scuola dalla Comunità - riportiamo la testimonianza di un Confratello che gli fu vicino nei primi anni di professione - recitava con il compagno la corona.

Quando si tratterà di superare le difficoltà di tener la disciplina, sarà decisiva una novena a S. Giuseppe.

Quando occorrerà far revocare quel grave provvedimento scolastico, che abbiamo detto, a risolvere la cosa sarà la « Divozione », recitata dai maestri e dagli allievi. Così, quando sarà necessario dare alla costituenda Associazione, di giovani apostoli in mezzo al mondo, una prima specifica attività, essa sarà la pietà verso il Crocifisso.

Quello che abbiamo compreso, è che la pietà per Fratel Teodoreto era la leva principale per risolvere ogni difficoltà, per ottenere qualsiasi buon risultato, era l'ancora di una universale salvezza.

Ma non basta, era il modo per assicurare a sé e ai suoi giovani il successo dei successi che è il conseguimento di Dio, era l'espressione della libertà più piena dello spirito, il quale non solo in tutto, ma oltre a tutto deve potersi slanciare e spaziare, deve potersi rifocillare, purificare, arricchirsi d'amore, su verso Dio, qualunque siano le congiunture presenti, al di là degli schemi contingenti professionali e sociali, oltre il limite delle cose finite.

Ciò non è « evasione », bensì è « elevazione ».

Ancora, la pietà era per lui l'espressione di un pregnante atteggiamento di giustizia, un richiamo e un ritorno potente al fondamento della rettitudine.

Così, ad esempio, nella orazione avvertiva ad un tempo il dovere e la nobiltà di tutti, al di là delle disparità di doti naturali e di ceto sociale.

Si dirà che, se tutto ciò sta bene, tuttavia sembra per lo meno esagerato l'aver fondato unicamente sulla pietà un'Associazione di giovani che vivendo nel mondo, dovrebbero avere ben altra apertura ai problemi dell'apostolato sociale, che a loro si confa.

Ma se è vero che l'adempimento dei doveri di stato, l'esplicazione coscienziosa d'una professione o d'un mestiere, il concorso responsabile alla vita sociale e civile vanno, per il loro intrinseco pregio, riguardati come analogie dell'operosità divina e come comando di Dio e « missione » nel mondo, non è da credere che in queste cose possa esaurirsi la persona umana, benché vi si debba impegnare ed esplicare.

Quello che vale innanzi tutto è la persona: la sua funzione terrena pur conducendola come a risolversi in essa attraverso il momento, in certo modo, spersonalizzante del servizio e della dedizione, deve risultare infine quale potenziamento della persona stessa.

L'impersonalità del compito, a veder bene, è superpersonalità, cioè momento di ulteriorità della persona, chiamata come a dipartirsi da sé per diventare, in certo senso, più che se stessa; chiamata ad essere più che se stessa, affinché diventi se stessa sempre di più, attuando una universale giustizia.

Se è vero che compito umano è la spiritualizzazione e trasfigurazione del mondo, che attende dall'uomo l'attuazione delle virtualità che gli sono nel seno, per farsi « casa », « tempio », « città », « opera d'arte », per farsi espress'one in atto, manifestazione, cioè « gloria » di Dio e di se stesso, è anche vero che il risultato ultimo, la trasfigurazione massima del mondo e la sua sintetica risultanza è nell'uomo, è l'uomo stesso.

Il quale uomo è « a se stesso » e « a Dio », e perciò in tutto è oltre a tutto.

L'impegno professionale, ad esempio, solo in quanto diventa alimento di questa interiore dialettica, può garantirsi come espressione di libertà e non di schiavitù ( sia pure ovattata dai ritrovati del progresso ).

Solo secondo questa prospettiva mi par lecito e doveroso parlare di « moralità professionale », altrimenti ogni cosa si risolverebbe in precettistica, in tecnica di « produttività », o in ismania attivistica.

Infine, nessuno pensi di aver esaurito ogni dovere, ogni rapporto con Dio, avendo adempiuto la propria funzione.

Intanto perché Dio non può essere circoscritto dalle cose e dai compiti terreni: Dio deve essere servito ed attinto in essi, ma non solo.

Prima, durante e dopo l'azione, il rapporto con Dio dev'essere di « contemplazione », di « orazione », di « pia elevazione », insomma.

Ciò che conta innanzi tutto e in tutto è l'uomo, l'uomo per Iddio.

Il rapporto di fondo è sempre di persone e tra persone: gli uomini tra loro e con Dio.

Anche Iddio, in certo modo, è per gli uomini, affinché questi possano essere per Lui, in Lui.

È con Dio e conseguentemente cogli uomini l'« incontro », e non scontro, s'incomincia e si rinvigorisce nella pietà.

Soltanto nella « pietà », l'adempimento del compito umano, familiare, professionale e civile produce, come afferma il P. Bourdaloue, « un merito davanti a Dio, un gaudio davanti a noi stessi, l'onore nostro davanti al mondo », in quanto si caratterizza come autentica « devozione », la quale sola esprime ed alimenta la « sete e fame di giustizia ».

Ma senza « devozione » a Dio, in senso più proprio e diretto, non vi può essere « devozione » verso alcuno e nemmeno verso se stessi, sia pure « devozione » in senso largo ed indiretto.

Dalla « Divozione a Gesù Crocifisso » nacque, in certo modo l'Unione.

* * *

Fu la « Divozione » a costituire - com'è già stato detto - la prima causa dell'incontro tra Fratel Teodoreto e Fra Leopoldo; fu la recita della Divozione a dissipare le incertezze di Fratel Teodoreto che temeva, andando la prima volta da Fra Leopoldo, di trasgredire a ordini superiori che volevano mantenere quest'ultimo nel nascondimento; fu certamente la risonanza destata dalla Divozione e le raccomandazioni che il Signore rivolgeva ai Fratelli di diffonderla, a guidare il Fr. Assistente Candido Chiorra a scegliere all'umanità coi soci il titolo di « Unione del SS. Crocifisso »;56 la meditazione poi e la recita e la diffusione della « Divozione » fu la prima attività della nuova Associazione.57

Del resto, la « Divozione » rimane e rimarrà sempre un pratica ufficiale dell'Unione, la sintesi della dedizione dei membri al Crocifisso, un mezzo semplice e popolare per suscitare un generale ritorno al Redentore, una eco facilmente comprensibile del messaggio di salvezza e di misericordia che è la Croce.

Tuttavia, non è esatto affermare che i Fratelli diedero il « corpo » alla nuova Associazione e fra Leopoldo l'« anima ».

L'anima, l'ardore vivificante di santità era già di Fratel Teodoreto, modello di educatore cristiano; tramite la « Divozione » tale ardore si caratterizza meglio, trovandovi come un centro per raccogliervi le energie, come un principio di sintesi.

La « Divozione » si presenta a Fratel Teodoreto come mezzo per la formazione interiore dei giovani, come modo di portarli ad attingere « la vita soprannaturale sul Calvario, dalle Sacratissime Piaghe di Gesù Crocifisso, per intercessione della SS. Vergine, loro Protettrice e Madre ».58

La meditazione e la pratica della « Divozione » infatti, consente ai membri dell'Unione d'inserirsi meglio nel cuore del dogma cristiano, tende a far crescere in essi quello slancio d'amore stupito, di abnegazione riconoscente e riparatrice, che sorge quando si comprende la Croce.

Il quale slancio si produrrà inizialmente come propagazione della « Divozione a Gesù Crocifisso » e come diffusione ovunque, con l'esempio prima e la parola poi, dei mirabili misteri di Dio, del messaggio di salvezza che essi comportano.

Nell'insegna programmatica della nuova Associazione compare presto anche la Madonna: i frequenti interventi della Vergine dimostravano che « Ella è veramente, come disse altre volte a Fra Leopoldo, la Protettrice dell'Opera ».59

Il culto vivissimo che Fratel Teodoreto aveva della Madonna, lo trovò sensibile e pronto all'invito del Can. Tomaso Alasia, che letta qualche pagina del Regolamento da approvare, rivolgendosi al compilatore gli disse « con un'unzione tutta particolare di aggiungere nel titolo la Madonna, onde ottenere la aggregazione alla Prima Primaria di Roma e partecipare ad un gran tesoro di indulgenze ».60

Fratel Teodoreto accettò « il consiglio di quel sant'uomo e trattandosi di unione di giovani » scelse l'Immacolata.61

Vi può essere per l'« umanesimo della Croce » un più alto modello, una meta più certa, una Madre più vera?

Un Decreto del Card. Agostino Richelmy, Arcivescovo di Torino, in data 9 maggio 1914, erige l'« Unione del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata » nella Cappella delle Scuole della Mendicità Istruita in Torino.

Ma si venne presto al Catechismo: per sviluppo interiore della nuova Associazione.

Del resto, da educatori, che sono principalmente catechisti, non può non riverberarsi nei discepoli una mentalità, un'ansia catechistica, uno stile catechistico di vita e di opere.

Ecco come umilmente si esprime a questo proposito Fratel Teodoreto: « … ricordando ciò che avevo letto nel Bollettino del nostro Istituto sull'Opera dei Catechisti Volontari organizzati a Lione nel 1892, a Reims nel 1900 e nella Spagna nel 1907, cercai di introdurre nell'Unione tale forma di apostolato ».62

Raccogliendo l'esempio e lo stimolo che gli veniva dalla tradizione del suo Istituto, Fratel Teodoreto intuisce che il più tipico apporto che i Fratelli possono dare ai giovani da essi avviati all'apostolato è squisitamente catechistico.

Del resto è quanto di meglio, oggettivamente, possano fare i laici in collaborazione con la gerarchia.

Il nuovo apostolato, l'aggregazione dell'Unione alla Società della Gioventù Cattolica Italiana ( 18 aprile 1916 ) portarono così al nuovo regolamento del 1917.

« Dirai al Fratello Teodoreto che il Regolamento va tanto bene »: fu la conclusione, tre volte ripetuta, di Gesù a Fra Leopoldo.

L'insegna definitiva risultò così: « Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata ».

* * *

Ma non è tanto la storia dell'Unione che abbiamo in mente di trattare, bensì alcune sue caratteristiche essenziali che ne dimostrino la « lasallianità »; tuttavia occorre ancora avvalersi di qualche opportuno rilievo storico.

Nata nella scuola, l'Unione pur svolgendovi l'importante compito di potenziarvi la vita cristiana, ( con la Divozione, i ritiri, le adunanze formative, gli esercizi spirituali, l'attività catechistica, ecc. ) esercita la sua funzione anche fuori dell'ambito scolastico: intanto coll'assolvere il compito di assicurare la « perseveranza » dei giovani che lasciano la Scuola, e poi perché è aperta a tutti coloro che ne condividano le finalità, e a tutti i giovani che formati dai Catechisti si sentono attratti a seguirne l'esempio.

È la vitalità e la fecondità del nuovo organismo che impone questo sviluppo, questa apertura.

L'idea è di Fratel Teodoreto e viene esposta a Fra Leopoldo nella primavera del 1917.

È importante notare che si trattava: « di scegliere, nelle diverse parrocchie, dove i catechisti prestavano l'opera loro, alcuni giovanotti per aggregarli all'Unione, educarli, istruirli e poi mandarli come Catechisti nelle proprie parrocchie ».63

Insomma, tra l'Istituto dei Fratelli e l'Unione avviene più ampiamente qualcosa di quello che fu tra il Santo Fondatore e i « maestri di campagna », cioè una partecipazione e una risonanza sempre più vasta della propria spiritualità e dei propri ideali apostolici.

Quale grandioso contributo, dunque, all'« apostolato dei laici »!

Comunque, appare sempre più netto che l'Unione ( come del resto avvenne sin dalle origini ) tende a porre accanto ai Sacerdoti dei laici ferventi, formati e curati senza gravare sull'organismo parrocchiale o diocesano, onde vi collaborino specialmente col catechismo e con tutto ciò che vi è connesso.

Il che a ben vedere è l'ultimo sviluppo di quella corrente che dapprima, partendo dalle parrocchie e dalle diocesi, immette nella Scuola cristiana i giovani affinché siano compiutamente educati e che poi li restituisce all'ambiente di provenienza, come fermento di cristianesimo consapevole e operante, seguiti ed aiutati dall'Unione.

Così, lasciando la Scuola, i giovani non solo si inseriscono efficacemente nell'ordinamento laico della vita, ma anche in quello ecclesiastico.

L'intervento di S. Ecc. Mons. Gamba, Arcivescovo di Torino, nel 1925, fu l'autorevole segno della Provvidenza affinché si giungesse all'ultima svolta dello sviluppo strutturale dell'Unione.

L'egregio Pastore, dopo aver concluso con un « visto il suo esposto e regolamento, se ne approva la bellezza è la perfezione e si approva ad esperimento » l'esame della nuova revisione del documento, si fece condurre i migliori elementi dell'Unione intrattenendoli lungamente sulla « pratica dei Consigli Evangelici anche in mezzo al mondo, del gran bene che Religiosi siffatti possono fare con le parole e specialmente con l'esempio in famiglia, nell'impiego e soprattutto nelle opere di apostolato catechistico ».64

L'entusiasmo dei giovani indusse il Presule a proporre al Fratello Teodoreto la compilazione di un Regolamento particolare con inclusa « l'osservanza dei Santi Voti ».

Così si giunse ai Catechisti congregati.

L'avvenimento non fu una « forzatura », ma - è Fratel Teodoreto che l'afferma - il « compimento delle aspirazioni religiose più elevate dei catechisti ».65

Né l'Arcivescovo, né tanto meno Fratel Teodoreto erano uomini da forzare nessuno.

Piuttosto, l'aspirazione alla consacrazione religiosa era alla Unione nell'aria, nel desiderio di chi datesi tutto al Crocifisso e all'apostolato tendeva a rendere stabile, definitiva, approfondita la propria donazione.

Erano uomini ormai, e non solo più giovanetti, a considerare tutta la portata di una vita di dedizione.

Il Catechista Anselmo Galliano Cotti, poi novizio dell'Istituto dei Fratelli, morto santamente il 22 aprile 1924, fin dal 1921 aveva fra l'altro profeticamente annotato: « Di qui innanzi il Signore farà sorgere Congregazioni religiose in abito secolare perché i tempi richiedono religiosi che possano introdursi in tutti i luoghi per coadiuvare l'opera redentrice di Gesù Cristo. L'Unione è una del genere ».

Ancora, il suddetto avvenimento segna l'avverarsi puramente provvidenziale, di alcuni « detti » di Fra Leopoldo rimasti sino a quel tempo pressoché misteriosi.

Il Signore e la Madonna parlano, fin dal lontano 1908, di un « Ordine che verrà » ;

affermano che « da questa pianta dell'Ordine » verranno molti santi ( 1909 );

parlano dei aprimi frutti della santa Divozione-Adorazione » cioè i figli congregati ( 1914 );

raccomandano « a tutti i Fratelli e ai congregali di stare saldi e uniti » ( 1914 );

proclamano che « riguardo la Pia Unione del SS. Crocifisso, il titolo non si cambia: è il nome che prenderà l'Ordine che ne verrà » ( 1920 ).

Infine, fu per l'intervento del Card. Gamba presso il Pontefice Pio XI, onde trattare dell'inquadramento canonico del nuovo organismo religioso che il Papa esclamò entusiasta: « Se è necessario modificheremo anche i canoni! ».

E i canoni furono « modificati » dalla preveggenza di Papa Pio XII con l'Enciclica « Provida Mater Eclesia », del 2 febbraio 1947, con la quale furono istituiti gli « Istituti secolari » quale terzo stato canonico di perfezione.

E l'Unione fu tra i primi « Istituti » approvati, e venne eretta di diritto diocesano il 24 giugno 1948, giorno dedicato a S. Giovanni Battista.

La Regola definitiva, a cui collaborarono con nuove esperienze anche i Catechisti, fu approvata il 22 febbraio 1949.

Fratel Teodoreto vedeva così e « per la via sicura … e senza frastuono »66 compiuta, almeno strutturalmente, la sua lunga fatica.

Dalla Scuola cristiana, accanto ai laici religiosi-maestri, religiosi-educatori, ecco il frutto più maturo e fecondo, ecco i laici religiosi-professionisti, religiosi impiegati, religiosi-operai; ecco la fiamma catechistica portata in tutti gli ambienti, in tutte le professioni.

Il cristianesimo è venuto da Dio in questo mondo a portare un annuncio e un ammaestramento di vita e di salvezza, è venuto dal di fuori del mondo, ma s'inserisce nel mondo, si diffonde nel cuore degli uomini, perché dal di dentro del mondo, dall'intimità umana vi è come una tensione verso Gesù salvatore, vi è un gemito di riscatto e di elevazione, una « potenza obbedienziale » alla grazia di Dio, alla divina filiazione.

Per riecheggiare la dottrina di Cristo, per cooperare con Cristo alla salvezza del mondo, per pregare con Cristo, per testimoniare ovunque la presenza regale di Cristo, per « instaurare ogni cosa in Cristo »; ecco una nuova schiera di uomini, ecco una nuova categoria di apostoli.

Ad essi il compito di portare con la vita, l'esempio e le opere, proprio all'intimo di ogni articolazione sociale il fermento cristiano in tutta la sua luminosa interezza, in tutto il suo sviluppo drammatico di rinunzia e di abnegazione, di morte e di resurrezione, di dedizione e d'amore.

Ad essi il compito di professare la consacrazione religiosa, sviluppandola in quanto ha di essenziale, rimanendo nel mondo, attraverso il mondo, per mezzo del mondo, dall'intimo stesso del mondo.

Ogni cosa, ogni attività come religioso ossequio a Dio, come riconsacrazione del mondo e della, società, come salvezza di sé e del prossimo, come prova d'amore.

Tutto senza violenza che depaupera ed uccide; tutto come spinta al mondo e alla società a ritrovare nella tensione religiosa il proprio senso più profondo, poiché l'esigenza a prodursi come « dedizione », come « sacrificio », intride, in qualche modo, tutto l'universo e più propriamente l'« umano ».

Lo stile da seguirsi, in questa opera, è quello catechistico, fatto di testimonianza e di dialogo.

Non, dunque, l'affermazione solenne e dotta del maestro, ma l'esempio e il colloquio tra amici; non la guida delle moltitudini in quanto tali, ma il soccorso ad ogni evenienza spicciola, ad ogni necessità personale, come « luce » soprattutto, a tu per tu.

Ciascuno di questi nuovi religiosi è chiamato a catechisticamente operare nel campo della famiglia, degli amici, dell'ambiente di lavoro, delle responsabilità sociali e civili, e a puntualizzarvi in esso il suo sforzo di consacrazione e di zelo.

Più che creare nuove strutture, che talvolta possono risultare delle autentiche soprastrutture, il catechista è chiamato a riassumere, in forza della sua condizione di religioso e quindi per obbedienza e con animo religiosamente atteggiato, quello che è il suo posto di responsabilità nell'umano consesso e nel corpo della Chiesa.

All'Unione, non mancano certo le opere comuni, oltre all'« apostolato d'ambiente », ma sono per riprendere ed approfondire opere già esistenti quali la istruzione catechistica e le Scuole volte all'educazione cristiana « ordinaria » dei giovani lavoratori.

Lo stile e il metodo catechistico non sarà solo del momento in cui questi nuovi religiosi esplicitamente divulgheranno il messaggio evangelico e direttamente cureranno l'educazione cristiana specialmente dei giovani, ma sarà di tutta la loro vita.

L'esigenza affermativa della testimonianza, lo sforzo benevolo di comprendere le esigenze specifiche dell'interlocutore, il dialogo informativo-formativo, il tono semplice eppure profondo, persuasivo ed amorevole della divulgazione: tutto ciò si rifletterà in ogni rapporto con gli uomini, espressamente con la parola o tacitamente con l'esempio.

La formazione personale della mentalità, dell'anima, non potrà non risentire di questa impronta catechistica, e così anche l'impegno nel mondo e nella società.

* * *

Così l'anelito alla perfezione cristiana e all'apostolato che Fratel Teodoreto aveva tentato di comunicare alla Scuola, se è vero che può e deve condurre anche al sacerdozio e alle congregazioni già esistenti,67 non poteva non ripercuotersi in coloro che per giustificate ragioni, ritornano al « secolo ».

Ma il desiderio della perfezione e dell'apostolato conduce alla pratica più o meno estesa dei consigli evangelici e non solo dei precetti, comunque conduce ad un clima di consacrazione, che può benissimo sfociare e concretarsi nello stato votale, il quale di per sé non contraddice affatto alla condizione « secolare ».

Ora, se questa linea di sviluppo della vita evangelica viene immessa nella Scuola, affinché permanga in quella che è la corrente di deflusso alla vita, questo tatto è del tutto conseguente alle finalità educative della Scuola cristiana.

Ripetiamo, è il modo più efficace per garantire la a perseveranza » cristiana di chi lascia la Scuola.

Non è da credere che allora la Scuola corra il pericolo di trasformarsi in un « noviziato » o in una a confraternita » sacrificando o riducendo il programma culturale che le è proprio.

Anzi, il fatto che dalla Scuola cristiana possano derivare religiosi-laici o comunque dei laici consacrati, impegnati nel mondo, con i mezzi del mondo, in compito strettamente secolare, acuisce la necessità di un approfondimento delle vedute e del programma culturali ed educative, poiché proprio dall'intimo delle strutture mondane, nel profondo di esse dovrà inserirsi e come scaturire ad un tempo, la tensione della consacrazione; senza contare il continuo richiamo per la Scuola cristiana ad essere sempre più tale.

Un ragionamento analogo lo si può fare se si considera la sensibilità apostolica che la Scuola cristiana deve pur comunicare, sia pure in diversa misura e grado, ai suoi allievi.

L'Unione viene così a porsi a fianco della Scuola come sviluppo e ulteriorità, come organismo di potenziamento del suo tono cristiano e apostolico, come prolungamento della sua opera squisitamente catechistica in tutti gli ambienti dove il maestro o il Sacerdote non possono direttamente arrivare.

Naturalmente l'Unione è aperta a tutti coloro che lo desiderano, come lo è la Scuola; fa parte della sua vitalità, collaborante sì con la Scuola, ma autonoma, e perciò aperta anche ad altri ambienti.

Del resto, l'autonomia è il segno della maturità.

Ma se l'autonomia è raggiunta in forza di un conseguente sviluppo secondo esigenze e forze specifiche, autonomia non è dissociazione da chi ha generato, non è separazione dalle proprie origini e dalla propria storia, ma è rivivimento, accettazione consapevole e libera di tutto ciò.

Del resto, il disinteresse è la caratteristica fondamentale dell'educatore che pur sapendo e volendo educare secondo il proprio stile - e non potrebbe essere altrimenti - s'adopra all'esplicazione della personalità dell'educando secondo le esigenze di questo ultimo.

Quindi, nessuna prescrizione, vincolativa può validamente regolare dal di dentro i rapporti tra l'educatore e il discepolo ormai maturo, lo può solo il reciproco riconoscimento, il reciproco rispetto, la reciproca volontà di incontro e di collaborazione.

I rapporti tra l'Istituto dei Fratelli e l'Unione Catechisti non potrebbero svilupparsi altrimenti che su questa linea; del resto le prescrizioni canoniche impedirebbero dipendenze sia di fatto, che giuridiche.

Comunque, come non vedere il maggior bene che ne verrebbe se Catechisti-insegnanti collaborassero nelle Scuole dei Fratelli, o comunque in stretto contatto con i Fratelli i Catechisti trasferissero nelle Scuole di Stato metodi e soluzioni lasalliane ai problemi educativi, o s'adoprassero per un riconoscimento sempre più completo della Scuola libera?

* * *

Tuttavia prima di concludere questo capitolo, onde dissipare malintesi che potrebbero sorgere, occorre dare uno sguardo, sia pure a volo d'uccello, a tutto l'organismo che s'intitola « Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata ».

Questa dinamica organizzazione, se è vero che canonicamente è definita « Istituto Secolare » ( e non « Congregazione », che è un'altra cosa ), tuttavia non si compone di soli Catechisti Congregati, di membri cioè legati da voti religiosi, ma si compone anche di Catechisti Associati, di consacrati cioè che, condividendo le finalità dell'Unione, seguono la via ordinaria.

« Dalla Pia Unione verranno santi padri di famiglia e molte vocazioni » : così Gesù Crocifisso a Fra Leopoldo il 17 marzo 1915.68

Fratel Teodoreto mai volle disgiungere gli Associati dai Congregati, ne volle che i primi fossero considerati dei semplici aggregati.

Se è vero, per ovvie ragioni, che il governo dell'Unione è affidato ai Catechisti Congregati, e se è anche vero che in certo senso « il loro Regolamento particolare comprende e oltrepassa quello dei Catechisti Associati » è pur vero che « non li separa da questi, anzi costituisce una sola Unione, ne impone ai Catechisti Congregati nessuna distinzione fuorché quella di un maggior spirito di sacrificio nel sopportare il peso delle diverse opere e più stretto il dovere del buon esempio nella pratica di tutte le virtù …

Nel medesimo ambiente i giovani Catechisti Associati partecipano agli stessi mezzi di santificazione e alle opere di apostolato …

Gli stessi Catechisti Associati Anziani, cioè gli sposati prendono parte per quanto lo permettono i loro doveri familiari, alle adunanze di carattere religioso e alle opere di apostolato dell'Unione, apportando alla medesima un valido contributo di attività e di esperienza ».69

La « santificazione nel mondo … e l'apostolato catechistico e sociale », il « predicare Gesù Cristo e Gesù Cristo Crocifisso », lo sforzarsi « di permeare di spirito cristiano la società in cui vive » il ritenere e l'amare Maria SS. Immacolata « come Patrona e Madre », il professare « con la parola e con l'esempio la dottrina del catechismo cattolico, mostrandola viva, operante, adeguata ad ogni stato, condizione, o ambiente sociale »: sono le finalità comuni dei Congregati e degli Associati.70

A questi ultimi spetta poi il compito specifico di vivere cristianamente il matrimonio, di costituire famiglie integralmente cristiane.

Se è vero, quindi, che l'Unione si costituisce come gruppo scelto, vi possono partecipare anche coloro che seguono la « via ordinaria ».

Attorno al nucleo dei Catechisti professi o comunque consacrati, v'è da una parte il gruppo dei Postulanti e dei Novizi, e dall'altra quello degli Allievi Catechisti Associati, corrispondenti questi ultimi press'a poco agli « Juniores » dell'Azione Cattolica.

I giovanetti zelatori della Divozione a Gesù Crocifisso, corrispondono all'incirca agli « Aspiranti » dell'A. C., e sono coloro che coltivati alla comprensione e all'amore del Crocifisso ne praticano e ne diffondono la a Divozione » e comunque si propongono di aiutare le opere promosse dall'Unione ( a cui non è esclusa l'attività caritativa - basta pensare alla « Messa del povero » - ne quella missionaria, che anzi vi è raccomandata ).

Attorno è una schiera ormai numerosissima di Ascritti e di Ascritte che si impegnano di praticare ogni giorno la « Divozione a Gesù Crocifisso » e danno il proprio nome all'Unione.

Non manca nemmeno un foglio d'informazione e di formazione agli ideali comuni: è il Bollettino « L'Amore a Gesù Crocifisso ».

La guida dei Catechisti Congregati e la presenza operante dei Catechisti Anziani, provvede a che l'Unione, per quanto debba alimentarsi principalmente di giovani e per quanto debba svolgere l'apostolato di comunità specialmente in mezzo ai giovani, non rimanga … eternamente « giovanile ».

L'ideale da proporre ai giovani, sia pure gradatamente attraverso la soluzione dei loro problemi specifici, è quello di forme stabili e mature, di impegno cristiano e apostolico nel mondo. Al giovane si deve sì, presentare il « giovane modello », ma questi non è tale se non tende a svilupparsi nell' « uomo modello », nel pieno della sua consapevolezza e del suo vigore.

Così, non ci pare, che si dia una forma migliore per assicurare la « perseveranza » degli allievi, che ultimata la scuola la lasciano.

Nemmeno i Fratelli debbono preoccuparsi di istituire noviziati per l'Unione, poiché questa provvede con le proprie iniziative alla formazione dei Congregati, oppure vi delega qualche persona che per capacità e tempo, lo possa.

I Catechisti Congregati, invece, assicurano l'esistenza e l'efficienza di tutta l'organizzazione poiché vi si dedicano totalmente e per tutta la vita.

Infatti, lo « stato religioso » riconosciuto dalla Chiesa e disciplinato dalle regole, concorre alla definitiva stabilità e consistenza di una vita che si vuole dedicare intieramente al servizio del Signore e alla salvezza del prossimo.

Si tratta insomma, di un vasto movimento che nel nome e nel segno del Crocifisso e della Vergine Immacolata, si propone di collaborare alla « riforma del mondo », al ritorno a Dio « dell'umanità riconciliata » ( come diceva Fra Leopoldo ), all'avvento cioè di un « mondo migliore », attraverso la santificazione personale, e l'apostolato catechistico e sociale, attraverso la diffusione dello spirito di pietà e di riparazione, per mezzo della Divozione.71

* * *

L'Istituto secolare dei Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata è proprio sulla linea conseguente del « lasallianesimo ».

Dallo spirito, dalla vitalità profonda dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane sono state derivate strutture essenziali del nuovo organismo.

Lo stato votale, o comunque la consacrazione nella condizione di laici, lo spirito di fede72 e quello di zelò ( 73 ); l'apostolato catechistico e l'ansia educativa verso i giovani; 74 lo sforzo di praticare la mortificazione e l'abnegazione attraverso l'adempimento dei doveri religiosi, apostolici e di stato, relalivi cioè al proprio compito specifico nella famiglia, nella professione, nella società.

I Catechisti come i Fratelli, sono chiamati a non fare « veruna differenza » fra quanto concerne direttamente la santificazione, la perfezione e i doveri di stato propri della loro condizione.75

Come risultanza dello, stato di consacrazione nel mondo, all'apostolato catechistico è aggiunto, per l'Unione, quello sociale.

Del resto, l'apertura « sociale » è propria del lasallianesimo, e vi si configura quale contributo alla soluzione di una delle più gravi ingiustizie sociali che è l'ignoranza e la diseducazione, specialmente dei ceti meno abbienti, e quale preparazione di cristiani e di uomini nuovi per una migliore società.

In fondo, è « socialità soprannaturale », prima ancora che naturale, perché la Scuola dei Fratelli è Scuola della Chiesa e per la Chiesa, perché è collaborazione alla Gerarchia per l'avvento del Regno di Dio, di una comunità cristiana migliore e la più estesa possibile.

Quindi, in fondo, l'« apostolato sociale » dei Catechisti è, si può dire, derivato anche dall'Istituto dei Fratelli, e pure si viene concretando come opera di educazione dei giovani.

La « Casa di Carità » poi, attualmente diretta dai Catechisti, è anche una collettiva affermazione « sociale » cristiana dell'Unione, e per l'azione diretta sui giovani e per le risonanze nei ceti direttamente interessati alla formazione professionale e all'educazione delle future maestranze operaie e artigiane.

Non basta. Individualmente ogni catechista è tenuto proprio in forza della professione religiosa o della consacrazione ad essere « cittadino cosciente, retto e attivo, ispirandosi all'insegnamento della Chiesa cattolica », è tenuto a riguardare come dovere religioso l'adoprarsi cristianamente per l'avvento di un ordine e coscienza sociali sempre più profondi, quale clima migliore per l'esercizio di ogni virtù, quale miglior fondamento e contributo alla « socialità » soprannaturale del Cristo.

A ben considerare insomma, ecco risorgere, ricompresa in un quadro più vasto e con nuovi sviluppi, l'idea ardita di S. Giov. Battista de La Salle a proposito dei « maestri di campagna ».

Con la differenza che l'intento di formare religiosamente e catechisticamente non è volto solo ai « maestri » e per di più « di campagna », ma comprende coi maestri, gli insegnanti delle città e delle campagne e qualunque persona di altro ceto e di altra professione che lo voglia.

* * *

Dunque, c'è qualcosa dell'Azione Cattolica che sia dell'Unione?

E poi, quale associazione realizzata nell'ambito dell'Istituto dei Fratelli, durante i due secoli e più della sua storia, è più dell'Unione consapevolmente e strutturalmente « lasalliana »?

Quale organismo più dell'Unione offre, oggi, maggiori possibilità di sviluppo e di risonanza del « lasallianesimo » nel mondo?

Ma allora, quando l'Unione Catechisti verrà ufficialmente riconosciuta quale genuina e vitale forma di Azione Cattolica Lasalliana?

Quando ne verrà, con efficaci provvedimenti, appoggiata la diffusione in tutte le Case dei Fratelli?

Le a Congregazioni Mariane » dei Gesuiti non sono state forse, dal Papa proclamate: « Formes les plus authentiques de l'Action catholique »?76

E come soddisfare, se non in questo modo, le insistenze del Signore affinché i Fratelli lavorino alla prosperità dell'Unione? come dimenticare le promesse e le benedizioni per l'intero Istituto che a quest'opera sono legate?

« Dirai al Fratello Teodoreto che la Pia Unione del SS. Crocifisso sarà la ricchezza della sua Congregazione ».77

Tuttavia il piccolo numero degli attuali Catechisti non è pregiudiziale alla possibilità di sviluppo dell'Unione, anzi durante il primo quarantennio, nel silenzio e nel nascondimento l'Opera si è venuta evolvendo lentamente si, ma sicuramente: ha messo salde radici capaci di sostenere e nutrire l'« albero magistrale » che, secondo Fra Leopoldo, ne verrà.

E poi, non è d'un balzo che si arriva, senza esempi precedenti e senza guide, a realizzare una tra le prime comunità di religiosi laici chiamati a santificarsi nel mondo.

Neppure bisogna dimenticare che i Catechisti seguendo il loro Fondatore, non hanno cercato che presso i Fratelli, l'appoggio per lo sviluppo della Unione …

Infine, le schiaccianti responsabilità dovute alla costruzione e all'esercizio della nuova Casa di Carità, sempre totalmente gratuita, ha pressoché paralizzato le iniziative atte a diffondere un po' dovunque l'ideale dell'Unione.

D'altra parte l'Unione è stata fondata da un Fratello ( e che santo Fratello! ), il quale con essa non ha inteso costituire qualcosa a titolo « puramente personale », ma ha agito come « il » Fratello deve agire ; il suo fermo proposito era infatti di vivere intieramente e fedelmente la sua vocazione.

La sua santità è - di nuovo - prodotto e garanzia di quanto affermiamo.

Dunque, è lo spirito di S. Giov. Battista de La Salle, è la vitalità profonda dell'Istituto dei Fratelli che si puntualizza, pur senza esaurirsi, nell'operato di Fr. Teodoreto, appunto perché egli ha agito come un Fratello modello.

Ora, se la w. vocazione di Fratello » ha condotto il Nostro, con l'aiuto di Dio e l'appoggio dei Superiori, a realizzare l'Unione, questa è qualcosa che riguarda e impegna l'intero Istituto dei Fratelli, perché l'effetto richiama la causa che l'ha prodotto e la rende, in qualche modo, responsabile e solidale con esso.

Non basta, l'Unione è tutt'ora formata per la gran parte da ex-allievi dei Fratelli, i quali vi sono entrati, invitati dai loro maestri, appunto come a allievi » prima ed « ex-allievi » poi, desiderosi di stringersi sempre più ai loro educatori, di abbeverarsi più da vicino alle loro sorgenti spirituali, onde meglio fruttificare il seme di vita cristiana ricevuto nella Scuola.

Insomma, i destini dell'Istituto dei Fratelli non si possono disgiungere da quelli dell'Unione e viceversa : pena la contraddizione di chi genera e poi non riconosce e non nutre il generato, o di chi essendo stato generato misconosce e rigetta il ceppo generante.

« Les Catéchists sont des còmpagnons de route que la Providence vous envoie » così ha affermato, rivolto al Frère Athanase-Émile, un eminente religioso, membro influente di una delle Congregazioni romane.

L'affiliazione dei Catechisti Congregati all'Istituto dei Fratelli78 e la Circolare del Superiore Generale, recentemente scomparso, sono i due fatti più importanti che c'incoraggiano ad insistere nell'attaccamento all'Istituto, e che ci fanno sperare imminenti i provvedimenti per una comunione sempre maggiore tra Fratelli e Catechisti.

- La Casa di Carità Arti e Mestieri

È il terzo atto del messaggio di opere che per motivi essenziali si riferiscono a Fratel Teodoreto.

Il Nostro non ne è stato propriamente il « fondatore », ma si deve al suo consenso, al suo incoraggiamento, alle sue preghiere e ai suoi consigli se oggi la Casa di Carità Arti e Mestieri è una realtà viva e operante.

Niente di più « lasalliano » della Casa di Carità che è Scuola gratuita rivolta all'istruzione e formazione professionale, sociale e cristiana dei giovani che s'avviano alle arti e ai mestieri.

Tant'è vero che l'idea d'una Scuola professionale rivolta appunto ai figli del popolo, fu del Fratel Isidoro di Maria, nel 1919, quando nel marasma del dopoguerra fervevano le lotte di parte, si succedevano scioperi e serrate, e tafferugli e violenze erano un po' dovunque all'ordine del giorno.

L'idea era ardita, e per la complessità e onerosità dei mezzi occorrenti, e per la difficoltà di avere Fratelli per una nuova scuola, tanto più professionale.

Tuttavia era idea quanto mai opportuna, dato lo sviluppo crescente della tecnica, della industrializzazione; dato l'aggravarsi dei problemi umani e sociali riguardanti il mondo del lavoro.

Occorreva una spinta straordinaria, e questa venne, e tu decisiva.

La sera del 24 novembre 1919, Fra Leopoldo, ignaro del progetto che si andava maturando, prostrato in preghiera davanti al Crocifisso, raccoglieva questo messaggio: « Per salvare le anime e per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità per importare ai giovani Arti e Mestieri … Non bisogna lesinare, si richiede qualche milione … Se non fanno quanto io chieggo, si scaveranno la fossa ».

Fra Leopoldo annota : « Questo detto è rivolto ai Sacerdoti e ai ricchi ».

Comunque, stupore del Frate che non sapeva da che parte rivolgersi, stupore di Fratel Teodoreto che conosciuto questo « detto » non tardò a ravvisarvi una provvidenziale conferma dell'opportunità di quanto il Confratello aveva pensato.

Consenzienti i Superiori per l'impressione prodotta datale coincidenza, si incominciò col riunire un Comitato promotore, composto di degne e zelanti persone.

Purtroppo sorsero presto dissensi e titubanze.

La Commissione incaricata elaborò un precipitoso progetto di massima così impegnativo ed oneroso da produrre nel Comitato la « sfiducia, la quale andò anzi aumentando allorché si venne a trattare la questione del locale »79 troppo grandioso per gli inizi.

Poi non fu compresa, sia pure in buona fede, l'insegna che il Signore voleva: quella « Carità » si sarebbe prestata, secondo alcuni, a fraintendimenti; neppure la gratuità parve cosa conveniente.

Così morì il primo tentativo di realizzare la Casa di Carità; ma non tutto andò perduto: ne nacque l'attuale Istituto Arti e Mestieri di Corso Trapani « costruito dai Fratelli delle Scuole Cristiane della Comunità più povera della loro Provincia ».80

E siccome parecchi vi avevano lavorato « animati da spirito soprannaturale … e con grande sacrificio.

Iddio avvalorò i loro sforzi e mantenne le sue benedizioni sull'Istituto ».81

Intanto - è Fratel Teodoreto che scrive - « negli anni 1917-18 i Catechisti tennero aperto nei locali di Via delle Resine un doposcuola per aiutare gli studenti delle Scuole secondarie inferiori ad eseguire i compiti e per far loro il catechismo.

Tra i 150 alunni di detto dopo-scuola, alcuni andarono in seminario, altri in ordini religiosi o entrarono nell'Unione.

Nel 1914 i Catechisti per sollevare i Fratelli di S. Pelagia da un lavoro eccessivo, li sostituirono nelle Scuole Serali sia per l'insegnamento scientifico, sia per il catechismo.

Nel 1925 alcuni Catechisti che si recavano ogni domenica a Poirino … per fare il catechismo e tenere l'oratorio, vi aprirono pure una Scuola festiva sul modello di quella aperta da S. Giov. Battista de La Salle a Parigi.

Lo stesso tipo di Scuola festiva ma più grande, venne aperta dai Catechisti in Torino nella parrocchia di N. S. della Pace.

Questa Scuola prese grande sviluppo … e … ha per titolo scritto a grandi caratteri: « Casa di Carità ».

In detta Casa di Carità venne trasportata la Scuola Serale di Via delle Rosine ( Sezione Industriale iniziata dai Fratelli ) e fu la Divina Provvidenza che volle salvare, almeno in parte, quelle Scuole Serali tenute dai Fratelli con tanti sacrifici e senza interruzione dal 1846 a oggi ».82

La prima Casa di Carità Arti e Mestieri nacque così, realizzata dai Catechisti; prima con corsi festivi ai quali presto s'aggiunsero quelli serali; l'ultimo passo furono i corsi diurni inaugurati nella vecchia sede di Via Feletto nell'anno 1949-50 e trasferiti con tutto il resto nella moderna sede attuale, in Corso Benedetto Brin.

* * *

L'esperienza ha dimostrato che l'insegna « Casa di Carità Arti e Mestieri » è programmatica, e che unita ai « detti » di Fra Leopoldo favorisce un orientamento generale che ha del prodigioso.

Questa Scuola la si potrebbe definire quale espressione viva e operante dell'« umanesimo cristiano del lavoro ».

Essa si configura in primo luogo come opera educativa per le nuove generazioni di lavoratori, e conseguentemente come movimento sociale, promotore di un clima nuovo di giustizia e di solidarietà cristiana, principalmente fra i ceti direttamente interessati al settore produttivo.

Il programma è: « salvare le anime » e « formare nuove generazioni », « impartendo ai giovani Arti e Mestieri ».

Non v'è infatti salvezza senza « formazione ».

Il cristianesimo non è una pura metodologia di salvezza, un rito magico che ignora la sostanza di ciò che è da salvare.

Senza verità che illumini, senz'amore che riscaldi l'uomo non è « salvo », cioè non si consolida unificandosi, nella sua indistruttibile pienezza entitativa, ne quindi si stabilisce nel gaudio e nella gloria del suo essere fatto definitivamente corrispondere e unito all'Essere.

Salvare e formare si equivalgono. Tuttavia il primo termine esprime la lotta contro la perigliosità intrinseca della vita terrena, il riscatto dal male che incombe in chi vive quaggiù; il secondo termine invece piuttosto considera lo svilupparsi dall'intimo, il tendere plastico verso l'attualità del proprio dover essere, il consolidarsi profondo dell'uomo.

Comunque, il compito terreno ( nel nostro caso il mestiere ) è tutt'altro che estraneo al fine ultraterreno.

L'uomo non vive mai una pura storia terrena.

Il compito pur valendo di per se stesso, non è assolutamente chiuso e definitivo, ma è rimando all'Ulteriorità a cui « allude » e verso cui si sforza, e perciò appunto verso cui si costituisce come « via ».

Formare cristianamente nuove generazioni « mediante » il mestiere è uno degli scopi essenziali dell'Opera.

Infatti il mestiere, ( in quanto importa impegno profondo ed equilibrato concorso d'intuizione, di precisione, di scelta dei mezzi efficaci, di sforzo fisico, di tenacia costruttiva, di spirito sanamente critico, di forti virtù morali ) ha un potere educativo formidabile, sempre che venga impartito ed esercitato umanamente e meglio ancora cristianamente, e cioè avendo di mira in primo piano il fatto umano e spirituale che esso comporta e in cui si risolve, tanto per quello che concerne il lavoro, quanto per quello che riguarda il prodotto e la sua destinazione.

Il mestiere non può rimanere un mero strumento di produzione, strumentalizzante l'uomo, ma deve farsi consapevole esplicazione e libera, trasfigurazione e nobilitazione del mondo, ascetismo purificante, redenzione, compito di fraternità, momento di elevazione, contemplazione nell'azione, imitazione della divina fecondità.

Tutto questo in forza della disciplina che il mestiere impone, per le virtù che esige, per la libera inventività che lo promuove e lo dirige, per quell'afflato di amore generoso che richiede e secondo cui deve esplicarsi, per quella religiosità che lo intride.

L'aggiornamento tecnico, l'esame accurato dei problemi umani che il mestiere comporta, diventano perciò un dovere, e un mezzo indispensabile per la concreta educazione dei giovani, i quali vengono del resto sensibilizzati all'adempimento puntuale e quindi aggiornato dei doveri di stato, come estrinsecazione di carità.

Prima ancora però, è indispensabile che il mestiere sia visto così da chi lo fissa, nella struttura e nel ritmo, e da chi lo esige esercitato, poiché non c'è disumanità che non si paghi prima o poi; infatti ogni violenza è disordine ed instabilità che non può non ripercuotersi anche là dove si attendeva un durevole e abbondante profitto.

Niente nel campo umano è un puro dato di natura su cui si possa esercitare il diritto di conquista e di assoluta strumentalizzazione: il profitto che viene dal lavoro è intriso di valore umano, e deve avere un'alta destinazione umana.

Certo, quel « di Carità », riferito al lavoro, è parola del Cristo.

Intatti nel lavoro vi è qualcosa di naturalmente « evangelico » che attende ed invoca il Cristo per potersi pienamente manifestare e sublimare.

Con tutto l'uomo, il lavoro, massima estrinsecazione ed affermazione umana, attende la Redenzione.

Per comprendere ciò bisogna calarsi nell'intimo stesso del processo che il lavoro comporta, bisogna penetrare dentro le strutture proprie all'umana operosità; ma con Cristo, alla luce del suo esempio e del suo messaggio.

Non solo per capire le interiori antitesi in cui il lavoro si dibatte, ma per portarvi soccorso e soluzione liberatrice.

Senza Gesù il mestiere non ritrova compiutamente il suo complesso senso « umano » e tanto meno quello « divino ».

Senza di Lui l'esplicazione del mestiere non riesce a sciogliere in una sintesi di vita superiore, le contraddizioni che lo affliggono, cioè la spontaneità dell'azione e la costrizione che la disciplina, la gioia della realizzazione e il dolore dello sforzo e l'oppressione della monotonia, l'esaltazione della persona e la sua strumentalizzazione nella prestazione, la ricreatività del gioco e la serietà dell'impegno responsabile.

Risolvere queste antinomie, significa scoprire il senso della vita che le spieghi e che le faccia aspetti, per l'uomo, di un unico slancio elevante, slancio che è ad un tempo penitenza e santificazione, riscatto e sublimazione.

Così, quel « Casa di Carità » riferito alP« Arti e Mestieri », armonizza quelli che per molti, oggi, sembrano contrasti irreducibili.

« Casa di Carità Arti e Mestieri »; l'« umanesimo cristiano » non ha da rimaner astratto e più o meno sovrapposto al « tecnicismo » e al « produttivismo » ma si sviluppa e si esplica assumendo il mestiere, la professione, il momento tecnico-produttivo quale suo importante aspetto, facendo della « prestazione » professionale una manifestazione intelligente e libera, e perciò trascendente, d'amor di Dio e d'amor del prossimo.

Non solo, nell'insegna è risolta l'antitesi tra « cultura » e « specializzazione » in quanto la « Casa », e per di più « di Carità », cioè l'uomo, il cristiano rimane il fondamento e l'orizzonte in cui il mestiere va considerato ed esercitato facendolo nucleo di attività impegnata ed organizzata, che di riflesso aiuti la crescita coerente ed armonica della personalità anche negli altri settori.

« … di Carità ». È indispensabile che il mestiere si produca come Carità, in tanto verso Dio, affinché sia di onore e di rispetto verso se stessi e verso il prossimo.

Infatti se è vero che l'uomo deve impegnarsi nel compito professionale, questo deve avvenire senza che l'uomo si dissolva, per così dire, in esso, anzi è indispensabile che vi ci si impegni al punto da trascenderlo nel suo libero tendere a Dio, nel Cristo.

D'altro canto, la carità pur impegnando seriamente i giovani nel lavoro, li preserva dall'idolatria e dall'asservimento, facendoli serenamente fiduciosi dell'esito che essi rimettono alla misericordia e provvidenza divina.

In tondo, è un problema di fini quello che angustia il mondo, è un problema di punti ultimi di convergenza.

Non sono da chiamarsi in causa tanto le aberrazioni prossime e presto palesi, quanto piuttosto quelle remote, di fondo.

Il male non è tanto nel « tecnicismo » e nel « produttivismo » quanto piuttosto è nell'aver perduto o non mai acquistato il senso della loro redimibilità in una visione « cristocentrica ».

Non per nulla il « manifesto programmatico » della Casa di Carità Arti e Mestieri viene dal Crocifisso ».

L'incontrarsi con Cristo, il lavorare per Cristo, l'instaurare ogni cosa in Cristo : è l'unica autentica « rivoluzione »,. e perciò anche autentica « conservazione », che salverà con tutto il resto anche il mondo del lavoro.

Ancora, che una Scuola debba essere « Casa », è sottolinearne vigorosamente il compito educativo, è riaffermare la responsabilità di « paternità » che sono proprie dell'educatore, è richiamare i discepoli alla docilità, alla fiducia, alla riconoscenza « filiale » verso il maestro.

« Casa », ricorda che l'attività del giovane non si esaurisce nel solo ambito dei cantieri e delle officine; « Casa » ricorda che la persona umana va rifocillata, amata in tutto e al disopra di tutto, fuorché di Dio, a cui è destinata, come figlio al Padre.

Perciò l'istruzione e la formazione cristiana è fondamentale all'opera educativa svolta e la impegna fortemente in questo senso: « Tutto l'andamento delle Case di Carità che si edificheranno splenda cristianamente e cattolicamente ».83

Nemmeno le persone di cultura possono mancare in un'opera simile intesa a plasmare nel giovane non solo il lavoratore, ma anche il membro di famiglia, il cittadino, comunque l'uomo e il cristiano, in tutte queste manifestazioni e in se stesso.

Programmi ed iniziative poggiando ed alimentandosi ad un terreno dichiaramente cristiano, tendono a risolvere i delicati problemi inerenti l'educazione dei giovani col vero, col buono e col bello.

Insomma, la giustizia della carità non impone solo la giustizia economica, ma principalmente quella spirituale.

Del resto la « cultura » è la forma di ricchezza più pregiata e indispensabile.

Questo nell'ambito della Scuola, la quale benché autonoma quanto lo richiede il suo intento che non può essere subordinato a chicchesia, è tuttavia inserita nel contesto sociale e prossimamente collegata da un lato alle famiglie dei giovani, e dall'altro alle imprese di produzione.

La gratuità assoluta verso le prime, richiede un concorso convinto e solidale delle seconde.

La storia ormai trentennale dell'Opera poggia sul cardine della assoluta gratuità per gli allievi.

Senza la gratuità d'altro canto è di fatto impossibile per troppi l'accesso a quell'indispensabile e degno mezzo di sostentamento e di attività intelligentemente produttiva che è il mestiere.

Senza aver la pretesa di asserire o meno la giustizia o l'ingiustizia legale di una situazione, si attende il soccorso della Provvidenza attraverso l'aiuto fraterno di coloro che più direttamente beneficiano dell'opera svolta dalla Scuola.

È un diritto di tutti quello di poter esplicare un'onorata seppur umile attività, è un dovere di chi può e se ne serve, il concorrervi.

Comunque è un aiuto che il fratello che ha, da al fratello che non ha.

Così la Casa di Carità si articola anche come movimento diffusivo di principi sociali cristiani specialmente tra imprenditori e dirigenti, oltrecché tra gli allievi.

Così essa si presenta come Scuola professionale a fianco delle Aziende, dalle quali attende orientamenti e sussidi tecnici e mezzi economici, e alle quali fornisce maestranze consapevoli, disciplinate, animate da sincero spirito di collaborazione.

L'autonomia che le è propria, assicura da un lato il conseguimento di quelle finalità difficilmente raggiungibili sotto altre insegne che non siano quelle scolastiche.

Intatti si tratta di proteggere la delicata opera di assecondamento e di stimolazione educativa dai sussulti della produzione; si tratta di facilitare al massimo l'intesa e la fiducia tra maestro e discepolo ; si tratta di rendere più stretti possibili i rapporti coi genitori.

Ma non basta - ripetiamo - una Scuola così concepita si offre come terreno d'incontro e di reciproca comprensione tra datori di lavoro e giovani lavoratori e consente di gettare basi sicure alla loro futura collaborazione nel settore produttivo.

Ci sembrano così scongiurati il paternalismo o l'indifferenza imprenditoriali, la schiavitù e l'inconsistenza umana dei lavoratori, l'esautoramento delle prerogative educatrici che sono proprie della famiglia e per essa della Scuola, lo strozzamento della circolazione di grazia che da Cristo alla Chiesa, e da questa alla Scuola, raggiunge le giovani anime e per esse si riversa negli ambienti di lavoro facendoli luogo di elevazione umana e di santificazione ad un tempo.

Attualmente, importanti industrie hanno incominciato a considerare la Casa di Carità come la Scuola di lavoro indispensabile a formare almeno una parte delle loro maestranze.

Il meccanismo delle sovvenzioni è vario.

Ai contributi del Ministero del Lavoro si aggiungono quelli delle Aziende in base al numero dei Buoni Scuola prenotati.

In più vi si sommano i concorsi di Enti pubblici e privati, di benefattori che compresi dall'estrema importanza dei problemi imposti dalla indispensabile elevazione cristiana delle giovani leve del lavoro, intendono contribuirvi.

La gratuità è assoluta, benché non manchino offerte spontanee di allievi ed ex-allievi, offerte le quali più che per l'entità delle somme, sono un confortante segno di riconoscenza e di attiva partecipazione alla vita della « Casa » comune.

Inoltre, le Aziende interessate versano ai giovani assistiti premi in denaro, in base al punteggio conseguito, e si sobbarcano le spese dei libri e della cancelleria.

In Italia un'opera simile, benché ancora modesta in quanto alla estensione, si dimostra all'avanguardia per la vitalità e l'organicità feconda dell'impostazione, aderente ai multiformi aspetti tecnici, economici, educativi, sociali e, apostolici che il problema affrontato comporta.

Tutto ciò è quanto si può dedurre da quello che il Signore ha manifestato a Fra Leopoldo, ed è quanto la tradizione lasalliana dovrebbe produrre, oggi; almeno, così pare.

Per questo Fratel Teodoreto sostenne senza smentite, quest'Opera, e guidò i suoi Catechisti, che la realizzano.

E poi, non è forse l'On.mo Frère Athanase-Émile che dopo aver parlato ai Fratelli della Casa di Carità, li invita: « en prendre occasion pour appeler le but primordial pour lequel nous avons été établis »?84

I risultati sinora raggiunti, fanno pensare che cosa sarebbe del « problema operaio », se l'Istituto dei Fratelli da cui sorse l'idea della Scuola ( Scuola che il Signore stimolando e approvando volle caratterizzata come Casa di Carità ), decidesse di riprendere ogni cosa su vasta scala, utilizzando magari l'esperienza di Torino.

Tanto più, se si riflette che ormai molti abitanti della campagna si riversano nelle città a lavorare; e pur mantenendo dimora nei paesi d'origine finiscono, causa esigenze di lavoro e soprattutto per la mentalità purtroppo prevalente nei cantieri e nelle officine, di distaccarsi sempre più dalle assidue cure dei parroci; non solo, ma si vengono disancorando dalle migliori tradizioni locali per cadere in una genericità « umana » povera e desolante.

Il costituire Scuole operaie cristiane non solo nei capoluoghi, ma anche nei punti nevralgici del circondario, ci pare un contributo d'importanza incalcolabile, alla soluzione cristiana di complessi problemi economici, morali e sociali.

Tra l'altro, il fornire localmente maestranze preparate e disciplinate, potrebb'essere, assecondando il decentramento delle industrie, un aiuto al decongestionamento delle città.

Per queste sedi foranee, oltrecché per le sedi cittadine, quanto sarebbero utili, per diverse ragioni, i Catechisti!

La « Casa di Carità » conta oggi quattro sedi provinciali, assistendo ed animando iniziative locali, tuttavia le richieste sono più numerose e continuano ad aumentare: ma mancano i Catechisti …

D'altra parte, le Scuole operaie cristiane sarebbero un magnifico campo di apostolato efficace anche per l'Azione Cattolica.

È quello che da due anni i giovani del « Ferrini » stanno realizzando a Torino, presso il Collegio S. Giuseppe, non certo senza l'esempio e l'esperienza anche dell'Unione.

Insomma, il problema della qualificazione professionale è, almeno in Italia, vivissimo.

Molte sono le iniziative più o meno improvvisate sorte per affrontarlo.

Gli imprenditori si stanno movendo in cerca di scuole; del resto non mancano possibilità di ricevere contributi statali.

Attualmente esistono circostanze assai favorevoli alla moltiplicazione delle Case di Carità; fra qualche anno, forse, sarà troppo tardi e molte cose andranno definitivamente perdute.

Comunque, la Scuola professionale cristiana è oggi uno dei mezzi più aggiornati ed efficaci per contribuire al rientro nella Chiesa di tutta una moltitudine di lavoratori, e per concorrere all'elevazione generale e cristiana della società.

Per quanto gravi siano i problemi soprattutto formativi di questa nuova classe di insegnanti e di istruttori, accetteranno i Fratelli di moltiplicare le Case di Carità?

Non potrebbe essere questo un potente richiamo di nuove e valide vocazioni, un contributo ad un approfondimento delle caratteristiche essenziali del loro Istituto?

È possibile almeno, favorendo vocazioni catechistiche appoggiare una grandiosa affermazione della Casa di Carità, oltreché a Torino in qualche altra grande città d'Italia, a Milano, ad esempio?

- La relazione con Fra Leopoldo

Non è certo possibile ora, trattare di questo argomento con una certa compiutezza; piuttosto, interessa raccogliervi qualche orientamento.

I rapporti tra Fratel Teodorcto e Fra Leopoldo Maria Musso o.f.m. s'allacciano tramite la « Divozione a Gesù Crocifisso », a motivo della libertà della Scuola e del suo maggior sviluppo cristiano.

Argomenti squisitamente spirituali e opere di bene, formano il solo oggetto delle loro conversazioni.

Il Francescano si apre confidenzialmente al Fratello perché il Signore così gli comanda e perché intuisce la virtù di quest'ultimo; Fratel Teodoreto fa altrettanto col Frate perché gli avvenimenti considerati secondo la fede, così lo stimolano,

Il Nostro è uomo di fede viva, ma proprio per questo non è un credulone; la fiducia umana in Fra Leopoldo è più che motivata.

Fin dai primi colloqui il francescano gli appare come persona profondamente schietta e pia: « … Fra Leopoldo mi parlò di cose straordinarie, ma con vera umiltà e confidenza, e la sua conversazione … ebbe sempre un'unzione speciale e un'efficacia soprannaturale da potersi paragonare a quella prodotta da un corso di esercizi spirituali ben fatti ».85

E di esercizi spirituali « ben fatti » Fratel Teodoreto se ne intendeva …

D'altra parte, gli scritti che il francescano diceva « composti ai piedi di Gesù e di Maria » sono così « cristiani », e non contengono che un « messaggio » da trasmettersi interamente ai Fratelli, e non manifestano che predilezioni divine per essi, e non assicurano che benedizioni e prosperità alla loro Congregazione; ne vi compare mai cosa alcuna che possa sviare i Fratelli dalle mete assegnate dal Santo Fondatore, anzi tutto vi è confermato, mentre se ne fanno emergere essenziali direttrici di marcia.

« Del resto - Fratel Teodoreto concludeva - i fatti sono quelli che parlano eloquentemente ».86

E che « fatti » sono mai quelli che confermano l'attendibilità degli scritti di Fra Leopoldo!

Non c'è qualcosa di simile nella visita fatta da S. Giov. Battista de La Salle alla « Célèbre Soeur Louise » a Parménie, in cima a una montagna, poco distante da Grénoble?

« L'attrai! de la solitudine et la presente de la croix qu'elle y voyait, lui rendaient délicieux le séjour de cette montagne.

Gomme sa grande piété et sa grande innocence la disposaient aux communications de Dieu, elle fuyait avec soin le commerce des hommes, et taisait son paradis d'un lieu où elle s'approchait du ciel, et où elle avait la croix de JESUS-CHRIST pour livre ».87

Solo che, per Fra Leopoldo il romitaggio di montagna si cambia nel convento …

Ma lo scambio di soprannaturali conforti e di santi consigli tra il Fratello e il Francescano richiama quanto avvenne tra il de La Salle e la solitaria.

Anche l'incoraggiamento che Fratel Teodoreto ne ebbe ad agire persistendo nei suoi propositi, è in qualche modo da paragonarsi a quello che ne ricavò il suo Fondatore.

Personalmente poi, al Nostro ne venne qualcosa di simile che per il Santo, al ritorno: « … Ses paroles étaient toutes de feu et son àme paraissait renouvelé. Sa ferveur était plus sensible, et son ardeur pour la perfection ne connaissait plus de difficultés … ».88

Anche le benefiche risonanze che i mèmbri dell'Unione ricevettero e riceveranno dai rapporti intimi intercorsi tra Fr. Teodoreto e Fra Leopoldo, fanno ripensare al rinnovato ardore di santità, e al rinfocolato zelo che furono, per i primi Fratelli, la conseguenza del ritiro e dei colloqui di Parménie.

Fratel Teodoreto accetta gli scritti di Fra Leopoldo anche perché vi riconosce un mezzo che lo aiuta ad essere sempre più « Fratello » e che gli aumenta l'entusiasmo, del resto già vivo, per la sua vocazione.

Infatti egli non ode dal Signore, tramite Fra Leopoldo, che parole d'incoraggiamento e di benedizione a proseguire in quello che la sua vissuta vocazione di Fratello gli aveva fatto concepire.

Il « messaggio » del Francescano dunque, aiuta il Fratello a far emergere dal profondo della corrente lasalliana motivi dominanti e perennemente validi, orchestrati sulla nota fondamentale che è il Crocifisso, alla luce della Immacolata.

La stessa vita interiore di Fratel Teodoreto è aiutata a tarsi sempre più accentuatamente « cristocentrica »: conoscere Gesù, imparare da Gesù, amare Gesù, essere redenti da Gesù, fare tutto con Gesù, vivere di Gesù.

È ancora presto per fissare le linee essenziali del « messaggio » di Gesù e di Maria a Fra Leopoldo, messaggio che Fratel Teodoreto accetta, sia pure con tede umana, e fa suo perché in fondo vi si riconosce e vi riconosce meglio la portata della sua vocazione.

Comunque, si ha l'impressione che il Signore inviti l'umanità a penetrare con rinnovata coscienza e abbandono nel cuore della Redenzione, vi si avverte una nuova sapienza intorno a Dio misericordioso, una rinnovata scienza intorno agli uomini peccatori e pur tanto bisognosi di Gesù Salvatore; vi si coglie un reiterato e toccante appello a che gli uomini tutti ritornino a stringersi alla Croce, per amarvi Gesù Crocifisso, per fidarsi di Lui e lasciare che Gesù li riscatti e li purifichi col suo salvifico Sangue.

L'Istituto dei Fratelli, con le Scuole cristiane, è il principale strumento di questo programma.

All'Istituto sono affidate la diffusione e la prosperità della « Divozione a Gesù Crocifisso », della « Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS.ma Immacolata » e della « Casa di Carità Arti e Mestieri », anch'essa nata ai piedi della Croce.

È una nuova onda di amore redentore, che parte dal Crocifisso per l'Immacolata e, facendo dell'Istituto dei Fratelli come di base, si riversa e si diffonde nel mondo mediante la Divozione e la Unione, proprio a partire dalla Scuola cristiana, a cui viene data la Casa di Carità Arti e Mestieri come nuovo orientamento.89

Insomma, è un programma che onora, approva, e incoraggia quei religiosi che tutto hanno sacrificato alla Scuola cristiana, che è Scuola del Cristo e perciò della Chiesa, che è Scuola di evangelizzazione e di civiltà per il popolo.

Come poteva Fratel Teodoreto, così « bravo Fratello »90 non accogliere queste cose, sia pure con tutta la prudenza?

Infine, come non rilevare quanto è consolante ed istruttiva la fraterna collaborazione che si allaccia fra i nostri due religiosi esemplari?

L'appartenenza a due diverse famiglie religiose non è un ostacolo per l'intesa reciproca che anzi, ne viene favorita.

L'essere più a francescano » l'uno è più « lasalliano » l'altro, non è affatto un motivo d'isolamento; più si diventa se stessi e più ci si può aprire e rapportare agli altri, e con essi comunicare e scambiare quanto di meglio così si possiede.

La distinzione non è ne confusione, né separazione: è affermazione di consistenza e di ospitale apertura ad un tempo, poiché un rapporto per potersi instaurare non richiede che se ne vanifichino i termini, anzi richiede che essi vigorosamente consistano e consistendo si rapportino vicendevolmente, e rapportandosi sempre meglio consistano.

Del resto, perché non accettare un contributo spirituale da Fra Leopoldo, quando da altri si accettano e si debbono accettare contributi culturali, pedagogici, didattici, ecc.?

Oggi è più assillante che mai il problema dell'unione delle forze cattoliche: e come non vederne un pacifico e utile esempio in quanto avvenne tra Fra Leopoldo e Fratel Teodoreto?

E non apre forse grandiose prospettive di studio e d'azione, oggi, che tanto si parla di apostolato dei laici, questa provvidenziale cooperazione tra religiosi laici, rappresentanti spiritualità laiche tra le più caratteristiche e da cui derivano i Catechisti, religiosi-laici nel mondo?

Comunque, Fratel Teodoreto accetta i « detti » di Fra Leopoldo come « messaggio » del Signore da trasmettersi alla sua Congregazione.

Parte di tali « detti » Fr. Teodoreto l'ha già pubblicata, ma ne manca ancora uno studio generale e approfondito, e non s'è fatto sinora coi « detti » quel « catechismo » che il Crocifisso raccomandava.

Accetteranno i Fratelli, dal loro esemplare Confratello, l'invito a compiere questo studio?

Ne erediteranno la fiducia piena, sia pure soltanto umana?

È quanto auspichiamo e imploriamo, poiché siamo umanamente certi che ne verrà un gran bene per tutti: i Fratelli ne riceveranno incoraggiamento e fecondità, le loro Scuole si svilupperanno ancor più, meglio attendendo alla educazione cristiana dei giovani, con la Divozione e con l'Unione.

- Conclusione

Questo scritto spera nell'indulgente benevolenza che si suole ai primi e inesperti tentativi, tanto più se mossi da sincero affetto.

Ma se è vero che questo studio risulta imperfetto ed incompleto, non ci pare che si debbano considerare incerte le conclusioni via, via prospettate, nelle quali abbiamo formulato speranze che, se ora sono anche nostre, prima lo furono di Fr. Teodoreto, poiché le riteneva desideri di Dio, volti al bene della sua Congregazione e di tanti giovani che ne dipendono.

« Divozione a Gesù Crocifisso », « Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata », « Casa di Carità Arti e Mestieri », coi « detti » di Fra Leopoldo, più l'esempio di tutta una santa vita: è quanto, l'indimenticabile e caro Padre e Fondatore, Fratel Teodoreto, ci ha lasciato, è la sua eredità al suo Istituto.

Incoraggiata dalla più volte citata « Circolare » del Frère Athanase-Émile, l'ultima conclusione, raccogliendo le precedenti, non può essere che un'umile e fervida preghiera a tutti i Fratelli, affinché il messaggio di vita e di opere del loro santo Confratello sia raccolto, sia studiato alla luce di S. Giov. Battista de La Salle, e sia, di conseguenza, ufficialmente accettato.

D. C.

1 Fondata dai Fratelli delle Scuole Cristiane nel 1881 in Parigi, dove essa aveva dato ottimi risultati.

2 Dall'ultimo manoscritto incompiuto di Fr. Teodoreto, su Fra Leopoldo M. Musso, pag. 209.

3 Bollettino « L'Amore a Gesù Crocifisso v, anno X, n. 1, pag. 5.

4 Si legga, a questo proposito, oltre all'Enciclica « Provida Mater Ecclesia » di Pio XII ( 2 febbraio 1947 ), il Motu proprio « Primo feliciter » scritto dal Santo Padre in « Lode e approvazione degli Istituti Secolari » che con la precedente Enciclica, aveva costituito quale terzo stato canonico di perfezione. Cfr. particolarmente il parag. II, in cui è contenuta la seguente direttiva: « Hic apostolatus Istitutorum Saecularium non tantum in saeculo, sed voluti ex saeculo, ac proinde professionibus, exercitiis, formis, locis, rerum adiunctis saeculari huic conditioni respondentibus, exercendus est fideliter ».

5 Dal messaggio del Papa al mondo per l'Anno Santo ( 23-12-1949 ).

6 Cfr. le Regole e Costituzioni dell'Unione, cap. C. I, art. 10 e 12, n. 1; cap. 8, art. 72.

7 Cfr. ibid., cap. 8, art. 72.

8 3 giugno 1921.

9 Ecco la testimonianza di un Catechista: « Ricordo di aver domandato al Fr. Teodoreto come avesse interpretato l'ultimo detto di Fra Leopoldo del 3 giugno 1921 riferentesi a lui, circa l'invito fattogli da Gesù di tenersi conte corpo morto.
Mi rispose che allora non l'aveva compreso bene. Ma di averlo interpretato meglio dopo la lettura di S. Giovanni della Croce »

10 Fratel Teodoreto, in « Fra Leopoldo », 2° ed. manoscritta, pag. 26.

11 Dalla corrispondenza col suo Direttore spirituale, 20-1-1949.

12 « … anche con tutte le mie mancanze posso stare unito a Gesù, sicuro che Egli mi guarisce distruggendo e bruciando tutte le mie mancanze … » ibid., 24-11-1948.
« … Gesù mi vuoi tanto bene, ma non ci penso abbastanza, avevo bisogno del suo scritto per accrescere in me l'amore e l'espansione con Gesù », 13-10-1948.
« … sento accrescere in me l'abbandono completo e fiducioso nel Cuore Sacratissimo di Gesù e l'aiuto del Cuore Immacolato di Maria Santissima … », 14-2-1949.

13 Ibid; 22-6-1949.

14 Nell'ultima edizione delle Regole dell'Unione vi è una eco di questa situazione. « I Catechisti devono studiarsi di rimanere continuamente uniti a Dio che opera nell'uomo il volere e il fare, secondo la buona volontà, e di tenersi in ogni luogo alla sua presenza mediante un semplice sguardo di tede ».
Cap. 8, a. 72.
Subito dopo ( a. 73 ) si parla del dovere di attendere agli esercizi di pietà « con spirito di umiltà e di filiale amor di Dio » « per mantenere ed accrescere la loro " vita nascosta con Cristo in Dìo " ».

15 Per la prima volta compare nell'ultima edizione delle « Regole » aggiunto all'invito di « combattere la vanagloria e ogni sorta di superbia », anche quello di combattere « Ogni forma di pusillanimità e scoraggiamento ».
Cfr. cap. I. a. 12, n. 7.

16 Fr. Teodereto, in Fra Leopoldo, pag. 1.

17 Ibid., pag. 4.

18 Ibid., pag. 5.

19 Ibid., pag. 29.

20 Ci ha fornito, con altre che seguono, questa testimonianza il Fr. Bonaventura, nipote di Fr. Teodoreto.
Giovanni avrebbe preferito entrare nella « banda musicale del paese » per suonarvi qualche altro strumento, ma non gli fu concesso data la giovane età.
Amante della musica s'era così recato presso la famiglia Giolito, nota in tutto il circondario di Vinchio per le attitudini musicali dei membri, ma non essendoci a disposizione altri strumenti che una chitarra, per imparare un po' di musica, egli dovette accettare quanto gli veniva offerto.

21 Gli insuccessi che gli toccarono nei primi tempi della sua nuova attività di maestro ( ci fu persino tra i Superiori chi pensò di rimandarlo a casa ) sembrano contraddire questo ascendente.
Pensiamo che uno studio approfondito di questa apparente contraddizione, getterebbe nuova luce sulla personalità del Nostro che fu netta e decisa, e sulle prime ripercussioni di quel serio impegno con cui egli si « costrinse » a far sua, senza esitazione, la linea ascetica e pedagogica del suo Istituto.

22 Fr. Teodoreto, op. cit., pag. 5.

23 Fr. Teodoreto, in op. cit., pag. 6.

24 Dagli appunti di un Catechista circa l'adunanza formativa tenuta da Fratel Teodoreto il 13-1-1928, in vista della nuova condizione di religiosi per i Catechisti.

25 Dalla Raccolta.

26 Dalla testimonianza di un Catechista.

27 Fr. Teodoreto, op. cit., pag. 6.

28 Il « tutto offrire a Dio », sintesi pratica dello spirito di fede, che conduce e si esplica nella vita di consacrazione religiosa, si nutre alla certezza che « tutto » si possa offrire ( esclusa la colpa che è carenza volontaria ), che dall'intimo di ogni attività, di ogni cosa ( e massimamente di ciò che costituisce ed è oggetto della Scuola ) vi sia almeno un riferimento virtuale a Dio, una sacralità potenziale, un virtuale omaggio a Dio, da, attuare per l'uomo e nell'uomo che vive ed opera cristianamente. L'attuazione di tale riferimento diventa la prospettiva; il modo di accesso a se stessi e al mondo, proprio in forza della consacrazione religiosa; tale attuazione diventa il principio ispiratore ed orientativo del programma scolastico il più profondamente « culturale » ed « educativo », proprio perché Dio è più intimo ad ogni creatura di quanto questa lo sia a se stessa, proprio perché l'uomo ha la sua piena spiegazione e il fondamento ultimo del suo essere e del suo valore oltre a se stesso; proprio perché il Salvatore viene dall'alto, all'uomo, che decaduto per colpa propria, da solo non si può salvare.

29 Così come avvenne per i maestri « laici » che seguirono S. Giov. Battista de La Salle.

30 La prima Comunità Italiana.

31 Fratel Teodorelo in Riv. Lasalliana, anno I, n. 1, marzo 1934, pag. 127.

32 Dalla cronaca della Casa, citata in ibid.

33 Fratel Teodoreto in Fra Leopoldo, pag. 133.

34 Institut des Frères des Ecoles chrétiennes, Circulaires instructives et administratives, n. 323. 19 mars 1949, La pieuse Union de Jésus Crucifié et de Marie Immaculée. pag. 23.

35 Fratel Teodoreto, in op di., pag. 133.

36 Fr. Athanasé-Émile, op. cit; pagg. 22, 23.

37 Fr. Teodoreto, in Riv. Lasalliana, n. 1, anno 1, pag. 128.

38 Fr. Teodoreto, op. cit., pag. 136.

39 Anticipando, è da. notarsi ancora, che in quello che il Signóre ha « cooperato » per mezzo di Fra Leopoldo, è da comprendersi anche la Casa di Carità Arti e Mestieri.

40 Fr. Teodoreto, in Riv. Lasalliana, anno I, n. 1, pag. 142.

41 Centri dell'Unione presso i Fratelli delle S. C. che stampano là Divozione a Gesù Crocifisso:

1) Belgio, Ciney, Mont de La Salle ( Fr. Macorat de Jésus F. S. G. ) in fiammingo, tiratura cinquemila foglietti.

2) Brasile, Canoas ( Rio Grande do Sul ), Instituto Sao José, ( Irmao Anselmo Eduardo F. S. C. ), in portoghese, tiratura ventimila foglietti.

3) Columbio, Barranquilla, Instituto Gratuito La Salle, Apartado Aèreo n. 398, ( Hno Justo Angel F. S. C. ), in spagnolo, tiratura quarantamila, foglietti.

4) Egitto, Alessandria, Procure Générale des Frères pour l'Egypte 28 Sidi-el Wasti, ( Frère Ambroise-Maurice F. S C., College des Frères S.te Marie, Port-Said ), in arabo, cinquemila foglietti.

5) Italia, Roma, C olle La Salle, via dell'Imbrecciata n. 181 ( Fratel Saturnino F. S. C. ), in italiano, foglietti centomila.

6) Spagna, Cambrils ( Tarragona ), Escuela del Magisterio de la Iglesia San Juan Baulista de La Salle ( Hno Arquimiro Felipe F. S. C. ), per i distretti della Spagna, del Portogallo. Panama e Perù, in spagnolo, diecimila foglietti.

7) Svizzera, Neuchatel ( Institut Catholique de Jeunes Gens, Frère Dominique F. S. C. ), in francese ( non se ne conosce ancora la tiratura, la stampa della preghiera facendo corpo con la brossura in morte del Fratel Teodoreto ); in tedesco ( idem come sopra ).

N. B. A nostra conoscenza esistono anche due Centri:

a ) Grecia, Salonicco, College Gréco-Francais de La Salle, 10 rue Franque ( Frère Polycarpe-Augustin F. S. C. ), in greco. Non abbiamo ricevuto il testo e non abbiamo notizia della tiratura eventuale.

b ) Canada, Sainte-Foy, di cui non si conosce l'indirizzo preciso, né altra notizia, all'infuori di questo: che la preghiera viene recitata nei primi giorni della settimana, dal lunedì al venerdì, limitatamente ad una piaga al giorno, in francese.

42 Frère Athanase-Émile, nella « Circulaire » del 19 marzo 1949, pag. 29.

43 ibid., pag. 30.

44 ibid., pagg 22, 23.

45 ibid., pag. 29.

46 ibid., pag. 31.

47 « Dirai al Superiore Generale delle Scuole Cristiane ( sono parole rivolte da Gesù a Fra Leopoldo ) che se manda una sua circolare in tutte le Case, Gesù non solo lo stringerà al Suo Cuore Divino, ma gli darà l'eterna gloria ».

48 Frère Athanase-Émile, nella « Circulaire » del 19 marzo 1949, p,ag. 28.

49 ibid., pag. 18.

50 La sera del 23 aprile 1913, ore 21, davanti a Gesù Sacramentato.

51 Fr. Teodoreto, « Come nacque l'Unione », in Riv. Lasalliana, anno I, n. 1, pag. 129.

52 ibid., pag. 129.

53 Fr. Teodoreto, in « Fra Leopoldo », pag. 120.

54 Ibid., pag. 135. Cfr. Riv. Lasalliana, n. 1, a. 1,' pag. 103.

55 In Riv. Lasalliana, art. 1, n. 2, pag. 342.

56 Il 14 marzo 1914.
Cfr, Fr. Teodoreto, in Fra Leopoldo, pag. 136.
Tuttavia Fratel Teodoreto riconosce che : « Il primo annuncio alla nuova associazione col suo titolo, lo trovai, tra gli scritti di Fra Leopoldo sotto questa forma: …
È balsamo soave al mio cuore la Santa Unione del SS. Crocifisso - detto di Maria SS. - Mattino del giorno 28-2-1914, ore 3,45.
Cfr. Riv. Lasalliana, anno I, n. 2, pag. 342.

57 Cfr. Riv. Lasalliana, anno I, n. 2, giugno 1934, pag. 339.

58 Fr. Teodoreto, in Riv. Lasalliana, anno I, n. 2, pag. 339.

59 Fr. Teodoreto, ibid., pag. 343.

60 Fr. Teodoreto, ibid., pag. 343.

61 Fr. Teodoreto, ibid., pag. 343.

62 Fr. Teodoreto, ibid., pag. 342.

63 Fr. Teodoreto, in Fra Leopoldo, pagg. 173-174.

64 Fratel Teodoreto, in op. cit., pag. 282.

65 Fratel Teodoreto- ibid. pag. 283.

66 « Da quanto mi risulta Gesù vuole che il nome dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso non si debba mutare con altro nome, perché negli scritti Egli parla dell'albero magistrale che darà molti frutti e dell'Ordine che ne verrà.
Io credo che il SS. Crocifisso a poco a poco ci illuminerà e ci condurrà per la via sicura, come ha fatto finora e senza frastuono » così scriveva Fra Leopoldo in data 6 dicembre 1920. Cfr. Fratel Teodoreto, Fra Leopoldo, pag. 273.

67 Fin'ora dall'Unione si sono avuti 53 tra sacerdoti ( di cui un Vescovo ) secolari e regolari, e religiosi professi. I soli Fratelli sono 20, più un novizio, morto come tale.
Non si incomincia dunque ad avverare, almeno in parte quanto Gesù ha predetto a Fra Leopoldo nel 1913: « Se i Fratelli delle Scuole Cristiane sapranno cogliere il giogo soave della misericordia divina, cioè lavorare nella vigna della pia Unione del SS. Crocifisso, parte di questi giovani passeranno ai Fratelli, vi saranno santi fra loro e sarà arricchita di bellezza la loro Congregazione »?

68 Fr. Teodoreto. in Fra Leopoldo. pag. 273.

69 Fr. Teodoreto, in op. cit., pag. 283.

70 Cfr. Regole e Costituzione dell'Unione, parte I, cap. 1; parte II, cap. 1.

71 A Trieste, vivente ancora Fratel Teodoreto, ha incominciato a costituirsi un primo gruppo del ramo femminile dell'Unione ( Unione Catechiste del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata ) che però, pur accettandone le Regole, lo spirito e le opere, è totalmente indipendente dal ramo maschile.

72 Cfr. Regole e Costituzioni dei Catechisti, cap. I, aa. 10 e-12; cap. 8, a. 72.

73 Ibid., cap. 1, a. 10.

74 Ibid., cap. 10, a. 81.

75 « I Catechisti trovano nella professione religiosa un nuovo argomento per adempiere i doveri familiari e per essere cittadini coscienti, retti e attivi, ispirandosi all'insegnamento della Chiesa cattolica ». « I Catechisti si sforzano di acquistare la massima competenza nella loro civile professione; di adempierne perfettamente e fedelmente i doveri con profondo spirito cristiano e religioso, in modo da non trascurare nulla di quello che riconoscono essere la volontà di Dio ».
Ibid., cap. I, aa. 14-15.

76 Pio XII, Costituzione apostolica Bis saeculari. Cfr. il discorso del Papa alle Congregazioni Mariane di tutto il mondo, nel settembre 1954.

77 Gesù Crocifisso a Fra Leopoldo, il 27 settembre 1918.

78 Fr. Athanase-Émile, doc. cit., pag. 21.

79 Fr. Teodoreto, in Fra Leopoldo, pag. 186.

80 ) Ibid., pag. 290.

81 Ibid., pagg. 287-288.

82 Da un manoscritto di Fr. Teodoreto contenente uno schema di conferenza ai Fratelli.

83 Così Gesù a Fra Leopoldo il 27-12-1919.
Cfr. Fr. Teodoreto, in op, cit., pag. 182.

84 Frère Athanase-Émile, Circulaires lastructives et administratives n. 328, pag. 28.

85 Fratel Teodoreto, in Fra Leopoldo, pag. 135.

86 Fr. Teodoreto, in op. cit., pag. 6.

87 Blaine J. B., La vie du bienheureux servitew de Dieu- Jean-Baptiste de La Salle, 1889, Livre III, chap. XI, pag. 608.

88 Ibid., pag. 611.

89 S'intende, quella voluta dal Signore.

90 È la sintetica espressione di approvazione rivolta da Papa Pio XII al Nostro durante un'udienza.