Agnus Dei

B191-A1

Una delle figure maggiormente usate dalla S. Scrittura e dalla Liturgia per indicare il Salvatore Gesù è certamente quella dell'agnello.

Sul frontone di molte basiliche, o all'interno di esse, è spesso rappresentato l'agnello immolato, da cui scaturiscono sette sorgenti, simbolo dei sette sacramenti.

Quando Giovanni Battista vide Gesù venire verso di lui esclamò: « Ecco l'agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo ».

Gesù iniziava appena allora la sua vita pubblica e nulla faceva presagire il suo terribile sacrificio.

Anzi, anche più tardi, quando Gesù incominciò a parlare ai suoi apostoli della sua prossima passione, questi non capivano, erano sconcertati da una notizia così lontana dalle loro convinzioni.

Ma il Battista, illuminato dall'alto, e il cui ufficio era proprio quello di presentare il Messia, non lo indicò con il nome di profeta o di signore, ma in quello più specifico ed essenziale di vittima innocente del sacrificio: l'agnello.

Gli Ebrei, nonostante le Scritture, si erano fatta un'idea errata del Messia: un grande trionfatore, un grande condottiero e liberatore.

Liberatore, trionfatore e duce, sì, ma in ben altra maniera da quelli umani: l'equivoco è tutto qui, e da esso deriverà la condanna di Gesù.

Eppure, fin dagli inizi della storia d'Israele, all'epoca dell'esodo, quando tutto era figura e abbozzo di un avvenire per cui Israele era stato scelto e fatto popolo e incaricato di una missione unica nella storia, tutta la vita di questo popolo era centrata nel culto del vero Dio, e il culto aveva la sua espressione massima nel sacrificio cruento.

L'immolazione dell'agnello pasquale, con il cui sangue si erano tinti gli stipiti e il frontone di ogni porta, aveva preservato gli Ebrei dall'angelo sterminatore, ed era stata decisiva per il loro ritorno in patria.

E ogni anno gli Ebrei celebravano la pasqua con lo stesso rito, cioè con l'immolazione di un agnello, che doveva essere maschio e senza macchia, e doveva essere arrostito e consumato senza spezzargli alcun osso.

Tutte circostanze che hanno un significato trasparente e profondo.

Altre figure di Gesù sono i profeti Isaia e Geremia.

Geremia scrive: « Io come agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che ordivano tranelli contro di me, dicendo: Abbattiamo l'albero nel suo rigoglio, strappiamolo dalla terra dei viventi, il suo nome non sia più ricordato » ( Ger 11,19 ).

E Isaia, in quella impressionante descrizione del Messia sofferente, che parrebbe scritta da un testimone oculare ( Isaia venne chiamato il quinto evangelista ) scrive: « come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, non ha aperto bocca » ( Is 53,7 ).

Nel Nuovo Testamento l'immagine dell'agnello è ripresa da S. Pietro: « foste riscattati … a prezzo del sangue prezioso dell'agnello illibato e immacolato, Cristo » ( 1 Pt 1,19 ).

Ma è specialmente S. Giovanni che la riprende, e soprattutto nell'Apocalisse, dove ritorna circa trenta volte.

Nella visione delle cose ultime, descritta dall'Apostolo, dove Gesù è nella sua potenza e nella sua gloria, signore e giudice, rimuneratore e premio degli eletti, questi appare come « un agnello ritto, come sgozzato » ( Ap 5,6 ) affinché appaia chiaro che Egli è adorato e glorificato a motivo della sua passione: « Degno è l'agnello sgozzato di ricevere la potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria, e lode …

A colui che siede sul trono e all'agnello la lode, l'onore, la gloria e il dominio per i secoli dei secoli ». ( Ap 5,12-13 ).

Ed ecco la chiesa trionfante, frutto della redenzione di Gesù: « una turba Immensa, che nessuno poteva computare, d'ogni gente e tribù e popolo e lingua; ritti davanti al trono e davanti all'agnello, avvolti in vesti bianche, e con palme nelle mani.

E gridano a gran voce: la salvezza appartiene al Dio nostro seduto sul trono ed all'agnello » ( Ap 7,9-10 ) dove ancora è distinta la gloria spettante a Dio per se stesso e quella spettante all'agnello per la sua conquista, mediante il sacrifIcio.

Anche gli eletti hanno partecipato al sacrificio del Salvatore, seguendolo nella tribolazione e attingendo la grazia da Lui: « vengono dalla grande tribolazione, e lavarono le loro vesti e le imbiancarono nel sangue dell'agnello » ( Ap 7,14 ).

Essi « hanno vinto a causa del sangue dell' Agnello » ( Ap 12,11 ) e « il loro nome è scritto nel libro della vita dell'agnello sgozzato, fin dalla fondazione del mondo » ( Ap 13,8 ).

Ma ormai tutte le sofferenze, le lotte e i pericoli sono passati, ed essi godono di una gioia pura, ineffabile, perché « l'agnello che è in mezzo al trono sarà il loro pastore e li condurrà a sorgenti di acqua di vita … e Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi » ( Ap 7,17 ).

Una classe particolare di eletti emerge tra la folla sterminata del cielo, quella dei vergini: « Ed ecco l'agnello ritto sul monte Sion ( cioè sulla vetta spiritualmente più alta della terra ) e con esso cento quarantaquattro mila ( numero limitato e simbolico ) che hanno il suo nome e il nome del Padre scritto sulle loro fronti …

E cantano come un canto nuovo …

E nessuno poteva imparare il canto, all'infuori dei centoquarantaquattro mila, i quali sono stati riscattati dalla terra.

Questi sono coloro che non si sono macchiati con donne: sono infatti vergini.

Questi … seguono l'agnello ovunque vada.

Questi furono riscattati dalla massa degli uomini, primizia per Dio e l'agnello ». ( Ap 14,1-4 )

I fedeli di Gesù dovranno lottare molto nella loro vita, perché sorgeranno dei re che « guerreggeranno contro l'agnello ma l'agnello li vincerà perché è il Signore dei signori e il Re dei re » ( Ap 17,14 ).

E alla fine avrà luogo il trionfo con « le nozze dell'agnello » e saranno « beati i chiamati al banchetto delle nozze dell'agnello » ( Ap 19,7-9 ).

Prima che la visione finisca l'angelo di Dio invita il veggente: « Vieni, ti mostrerò la sposa dell'agnello ».

« E mi mostro la città santa Gerusalemme, che scende dal ciclo da presso Dio, avendo in sé la gloria di Dio … » ( Ap 21,10-11 ).

« E non vidi in essa alcun santuario, poiché il Signore Iddio dominatore universale è il suo santuario, come anche l'agnello.

E la città non ha bisogno del sole né della luna che la rischiarino; poiché la gloria di Dio la illuminò, e la sua lucerna è l'agnello.

E le genti cammineranno alla sua luce … e non entrerà in essa ciò che è impuro … bensì solo gli iscritti nel libro della vita e dell'agnello » ( Ap 21,22-27 ).

« E mi mostro un fiume d'acqua di vita … che scaturiva dal trono di Dio e dell'agnello …

E nessuna maledizione vi sarà più.

E il trono di Dio e dell'agnello sarà in essa » ( Ap 22,1-3 ).

Questa meravigliosa descrizione della città celeste, cioè della chiesa trionfante è anche un modello e un richiamo continuo per la chiesa militante, dove già abita Iddio e l'agnello, sotto le specie eucaristiche, attuando così la sua promessa: « Ecco io sono con voi fino alla consumazione dei secoli ».

Fra Leopoldo, nella devozione a Gesù Crocifisso, si sente perfettamente unito alla chiesa trionfante, alla quale anela, come a quella militante di cui è ancora membro; egli non usa mai il termine « agnello di Dio » ma chiama Gesù « amabilissimo signore » e avendo presenti tutte le necessità dei fedeli vivi e defunti, per i quali implora la misericordia di Gesù Crocifisso, lo adora con tutti gli angeli e i santi del cielo.

Il suo atteggiamento è perfettamente analogo a quello degli eletti, descritto da S. Giovanni.

Del resto Fra Leopoldo ha invocato anche lui ogni giorno durante la messa: « Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi … donaci la pace ».

Nel momento più solenne e più sublime della messa la liturgia riprende l'espressione tanto cara a S. Giovanni, e in nessun luogo essa sarebbe più adatta di questo, dove Gesù in persona, sotto le specie simboliche di pane e di vino presenta al Padre il suo sacrificio e si dona in cibo ai suoi fedeli.

L'agnello è per antonomasia la vittima del sacrificio, vittima innocente e mite, che con la sua immolazione espia le colpe altrui, e rappresenta molto bene Gesù Crocifisso, vittima pura, immolata sul fuoco del suo amore per gli uomini, in una maniera terribile, ma, come fa notare l'Evangelista, senza che gli sia spezzato alcun osso, affinché la realtà corrisponda perfettamente alla figura.

La rivelazione più piena di Gesù, la sua manifestazione più sublime è quella della croce.

Sul Calvario è stata detta l'ultima parola dell'amore.

L'agnello è figura di Gesù anche nella sua mitezza e nel suo abbandono totale alla volontà del Padre.

Questo bianco animale, senza artigli e senza zanne, non richiama forse con tanta eloquenza Gesù mite e umile di cuore che, come dice il profeta, non userà la violenza, non spezzerà la canna incrinata e non spegnerà il lucignolo fumigante?

Gesù ha rivelato la forza della mitezza e ha trionfato della violenza con la sua pazienza: « Beati i miti, perché possederanno la terra …

Fu detto agli antichi occhio per occhio e dente per dente.

Ma io vi dico di non resistere al malvagio; a chi ti da uno schiaffo sulla guancia destra presentagli anche l'altra, a chi vuol prenderti la tunica lascia anche il mantello » ( Mt 5,38-39 ).

Per vivere così bisogna essere senza fiele.

Ma è soltanto così che si potrà avere la pace.

Ed è per questo che proprio all' « agnello di Dio » la Chiesa domanda la pace.