La parola del Papa

B202-A1

( dalla udienza generale del 3 Novembre 1976 )

Chi è Cristo? Chi è Egli per me?

Quando riflettiamo su queste semplici, ma formidabili ricorrenti questioni ci accorgiamo d'essere tentati di scivolare in un vuoto nominalismo cristiano, e di eludere la logica drammatica del realismo cristiano.

Se Cristo è Colui all'infuori del quale non v'è soluzione alle questioni capitali della nostra esistenza, se sono vere, se sono attuali le parole « piene di Spirito Santo » dell'Apostolo Pietro nello scontro del primo processo intentato alla Sua predicazione messianica: « … Questo Gesù è la pietra che, scartata dai … costruttori, è diventata testata d'angolo.

In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che noi possiamo essere salvati » ( At 4,11-12 ), allora la nostra mentalità è scossa e forse sconvolta; non possiamo più considerare il nome di Gesù Cristo come un appellativo puro e semplice che si è insinuato nel linguaggio convenzionale della nostra vita, ma la sua presenza, nella statura incalcolabile della sua grandezza, si drizza davanti a noi; ecco Egli è l'alfa e l'omega, « il principio e il fine » d'ogni cosa ( Ap 1,8 ), il cardine dell'ordine cosmico, che ci obbliga a rivedere le dimensioni della nostra filosofia, della nostra concezione del mondo, della storia della nostra personale esistenza.

Ci sentiamo annientati, come gli apostoli sul monte della trasfigurazione ( Mt 17,6 ), e non oseremmo più rialzare lo sguardo, vogliamo dire inoltrarci in un'esperienza spirituale e morale che si fa religiosa, cioè ci da « l'estasi e il terrore » d'una Verità vivente a noi del tutto sproporzionata, … se non fosse che una sua voce incantevole e vicina ci ridestasse dalla confusione del nostro paralizzante stupore, anzi un suo tocco prodigioso, ( « … li toccò », dice il Vangelo ), ci facesse gustare l'ineffabile momento, diventato umanissimo: « Su, e non abbiate timore! » ( Mt 17,7 ), e ci ricordasse altre sue parole rivelatrici che ci assicurano essere riservate le sue divine confidenze a noi, se piccoli ed umili ( Mt 11,25 ).

L'umiltà di Dio fatto uomo ci confonde come sua grandezza, ma non solo rende possibile il colloquio, ma lo offre, lo impone.

Siamo in un'atmosfera nuova, inverosimile: è quella del rapporto della fede, che non annulla il rapporto della ragione, ma lo esalta, e fortifica così quello religioso da infondergli una certezza più preziosa della vita stessa, e ancora così avida di sapere e di progredire da rendere insonne la sua ricerca e la sua contemplazione.

Alla conclusione della nostra stagione liturgica esaminiamo, Figli e Fratelli, il grado della nostra conoscenza di Cristo.

Non è offensivo il nostro rilievo: noi lo troveremo forse deficiente.

È così per noi tutti, se qualche cosa abbiamo afferrato della divina conversazione che la nostra elezione cristiana ci consente.

Riassumiamo i nostri pensieri in un proposito finale, in un desiderio che prelude al suo compimento oltre il tempo; è quello dei Greci che nel giorno dell'ingresso messianico di Cristo in Gerusalemme così si espressero: « vogliamo vedere Gesù ».