Instrumentum Laboris

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Servire il « Vangelo della speranza »

Diakonia

71. Per servire davvero il « Vangelo della speranza » la strada maestra non può che essere quella di sempre.

Essa consiste nell'amore, che si fa

testimonianza autentica di carità,

costruzione di comunione dentro e fuori la Chiesa,

rinnovamento e rilancio di alcune attenzioni e priorità pastorali,

impegno per l'edificazione di una nuova Europa.

In una parola, si tratta di stare dentro la storia dell'Europa, con amore.

72. Testimonianza della carità

Si tratta, anzitutto, di fare incontrare gli uomini con l'amore di Dio e di Cristo, nello Spirito Santo.

In questo modo, si può ridare speranza a chi la vede minacciata o l'ha smarrita, perché solo quando ci si sa e ci si sente amati si può vivere con senso la propria esistenza e continuare ad avere speranza, pur in mezzo a ogni difficoltà e fatica.

Per realizzare tutto ciò è indispensabile la testimonianza vissuta della carità.

Ciò comporta che i cristiani e le Chiese in Europa non si accontentino semplicemente di compiere gesti, pure importanti e necessari, di carità, ma « siano carità », attingendone il dono e la forza nella inesauribile sorgente che è Dio stesso.

In questo senso, la testimonianza della carità non può certo ridursi a un pragmatismo senza radici, ma deve dire e annunciare la carità di Dio, anzi Dio che è carità.

Si tratta di comunicare all'uomo europeo di oggi, come a ogni uomo e donna di tutti i tempi, la beatificante notizia che Dio ci ha amati per primo, Gesù ci ha amati fino alla fine andando in croce e rivelandoci il volto del Padre, che si rende pienamente solidale con gli uomini e viene loro incontro comunicando lo Spirito Santo.

Il Sinodo vuole, perciò, rinnovare nella coscienza dei cristiani e della Chiesa la certezza che la carità del Padre, che si rivolge a noi in Cristo, ci viene comunicata mediante l'effusione dello Spirito.

Venuta nella storia una volta per sempre in Gesù Cristo e continuamente veniente con il dono sempre nuovo dello Spirito, questa stessa carità del Padre può essere accolta e conosciuta pienamente solo nell'esperienza vissuta di carità, specialmente nell'amore reciproco.

Si tratta, allora, proprio attraverso il segno credibile, anche se sempre inadeguato, dell'amore vissuto, di far incontrare gli uomini e le donne con l'amore di Dio e di Cristo, che viene a cercarli.

Questa è la sfida che interpella le nostre Chiese, se vogliono essere ancora apportatrici di speranza.

Si tratta, in questa prospettiva, di far sì che nelle nostre Chiese, dentro il tessuto quotidiano della vita e della storia dei nostri paesi, si abbiano a trovare singoli, famiglie, comunità che sappiano vivere intensamente il Vangelo della carità.

C'è bisogno, quindi, di persone e di comunità che

vivano un dialogo con le Persone divine che comincia con l'ascolto della Parola, la preghiera e i sacramenti e si prolunga nel dialogo con gli altri uomini in tutte le relazioni e attività e in ogni ambiente;

si lascino plasmare dall'energia e dalla sapienza della carità e accolgano ogni persona e ogni evento come un dono e una possibilità di bene;

facciano di se stessi un dono agli altri nell'attenzione, nel servizio, nella condivisione, nell'impegno etico e civile, nel perdono dei torti ricevuti.

Capiterà, in tal modo, che la loro testimonianza di carità saprà essere un rimedio efficace contro le malattie del nostro tempo e sapranno aprire ancora il cuore di molti alla gioia e alla speranza.

73. Artefici di comunione e di solidarietà

Non c'è dubbio che il primo modo per vivere la testimonianza della carità sia quello di essere artefici di comunione nella comunità cristiana: come si è già visto, è questa, per altro, una delle condizioni preliminari perché le Chiese possano essere apportatrici di speranza per l'Europa di oggi.87

Ma la testimonianza della carità si estende anche oltre i confini della comunità ecclesiale.

Qui, nell'intera società civile, l'amore reciproco, che edifica la Chiesa come comunità fraterna e missionaria, diventa fattore di solidarietà.

Essere, quindi, artefici di comunione vuol dire anche promuovere la costruzione di una società solidale, ordinata secondo il principio di sussidiarietà.

La Chiesa è chiamata, in questo senso, a essere fattore primario di stabilità e di comunione anche dal punto di vista sociale.

E questo a partire da quel « mistero di comunione » profonda e teologica che la costituisce:

la comunione nella Chiesa ha il suo centro nell'Eucaristia,

luogo primario dell'incontro con Cristo e con i fratelli,

ed è dall'incontro attorno alla mensa del Signore che scaturisce quella tipica fraternità della comunità cristiana che estende il suo benefico influsso alla società civile.

In questa prospettiva e secondo questa logica, allora, i valori della solidarietà, della riconciliazione, del perdono, della dedizione agli ultimi, del disinteresse evangelico nel servizio all'uomo espresso anche mediante la presenza e l'azione del volontariato valori che appartengono all'essenza dell'esperienza cristiana non rimangono patrimonio esclusivo dei credenti, ma diventano risorsa per tutta la società.

Si tratta, senza dubbio, di riproporre queste convinzioni e di verificarne l'attuazione.

74. In particolare, in un contesto che ha accentuato i valori della libertà e dell'uguaglianza dimenticando quello della fraternità, occorre integrare la cultura della libertà e dell'uguaglianza con quella della solidarietà: non una solidarietà intesa semplicemente come assistenza, ma come valorizzazione dei diversi soggetti sociali.

In questo senso, con il crescere dei flussi migratori, la solidarietà deve trovare espressione in forme di convivenza che diano uno spazio adeguato alle diverse presenze nella società.

Con il crescere della globalizzazione, le rivendicazioni da parte dei gruppi e delle minoranze del diritto alla cittadinanza e al pieno riconoscimento della loro identità e diversità chiedono di essere riconosciute e tutelate entro un quadro di valori e di norme comuni; senza dimenticare, sempre in questo contesto segnato dalla globalizzazione, la responsabilità propria dell'Europa e delle sue Chiese verso i popoli bisognosi di tutto e il conseguente bisogno di un esame di coscienza circa le relazioni tra le Chiese più ricche e quelle più povere sia in Europa sia in riferimento al mondo intero.

Di fronte alle gravi carenze del mercato liberista e alla inefficienza e ai costi dello Stato burocratico e assistenzialista, va riconosciuto sempre di più il ruolo dell'economia civile e, più generalmente, della società civile, capace di coniugare insieme solidarietà e responsabilità.

Sono tutti esempi che dicono l'urgenza e la necessità di superare ogni forma di etica privatizzata, come quella spesso diffusa nel Continente, che non può costituire un fondamento adeguato per la convivenza, perché la perdita e lo svuotamento dei valori rendono difficile la costruzione di una società solidale.

Nella solidarietà, invece, intesa come valorizzazione delle soggettività sociali, si può cercare la chiave per un approccio diverso e più fecondo alla soluzione delle tensioni sociali che caratterizzano la società europea, ma che percorrono tutte le società mondiali: in questo l'Europa può dare un messaggio di convivenza pacifica di grande importanza.

Questa impostazione di matrice cristiana va diffusa a livello europeo.

In Europa c'è bisogno di unità che valorizzi il pluralismo, non solo il pluralismo degli Stati, ma anche delle comunità culturali e religiose, dei soggetti sociali e delle famiglie.

La politica deve garantire a tutte queste realtà il diritto di cittadinanza; in un quadro unitario di valori condivisi e di norme comuni, la varietà deve diventare ricchezza umana e anche economica.

In tutto questo grande può e deve essere il contributo delle Chiese e dei cristiani.

Il cristianesimo, infatti, con la fede in Dio Padre di tutti ha immesso nella storia la coscienza della dignità della persona e della fraternità.

Vivendo e testimoniando l'amore reciproco anche nella società civile come artefici e promotori di solidarietà, i cristiani manifestano la presenza di Cristo Salvatore di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, dal quale solo può venire una speranza che non delude.

75. Per la promozione di alcune attenzioni e priorità pastorali

Nell'Europa di oggi, travagliata da nuovi e antichi problemi e segnata da speranze ed opportunità inedite, vivere la testimonianza della carità per servire il « Vangelo della speranza » significa dare spazio a un'azione pastorale animata e vivificata da una profonda dinamica missionaria, intesa non solo come annuncio coraggioso del Vangelo, ma anche come disponibilità ad uscire dai ristretti ambiti ecclesiali.

Lo stile missionario cristiano è caratterizzato

dalla « simpatia » verso gli uomini,

dall'ascolto delle loro domande,

dalla compagnia nelle loro sofferenze e

dalla proposta serena e liberante del messaggio di Cristo.

Questo stile richiede, oggi più che mai, di inventare forme nuove di ricerca dell'uomo attraverso una presenza missionaria della Chiesa e dei cristiani in mezzo ai giovani, agli uomini di cultura, ai lavoratori, ai sofferenti, a chi è in ricerca.

L'azione missionaria deve tradursi, quindi, in una presenza nel mondo con una logica che sia alternativa a quella del mondo, senza però diventare incomprensibile agli uomini del nostro tempo.

Può, allora, risuonare così nei lavori del Sinodo l'interrogativo decisivo per le nostre Chiese: come continuare ad essere segno, in Europa, di un Dio che continua a cercare l'uomo, disposti anche a perdere posizioni di rendita che possono farci illudere che i nostri paesi sono ancora cristiani, ma fermamente determinati a rendere conto della grande speranza che è in noi?

Si tratta, in questa linea, di proporre quella equazione fondamentale della nostra fede, per la quale i diritti di Dio sono i diritti dell'uomo e i diritti dell'uomo sono i diritti di Dio.

Ciò comporta di riconoscere la centralità, nell'azione pastorale, della difesa dell'uomo, soprattutto dei più deboli e dei più poveri, in un'ottica non meramente assistenzialistica, ma di promozione e di crescita della persona.

È questo certamente un altro segno di speranza che i cristiani possono portare in Europa, come fermento di una società che rimette al centro l'uomo con i suoi problemi e le sue aspirazioni.

Si comprende, allora, come ci sia nelle nostre Chiese una larga convergenza nell'identificare le seguenti attenzioni e priorità per rendere efficace la testimonianza della carità:

la proposta di una vita individuale, familiare e sociale vissuta in sintonia con la fede professata;

la difesa della persona umana e della vita, attuata con pronunciamenti pubblici e con molteplici iniziative di solidarietà, prestando particolare attenzione alle crescenti fasce di persone in necessità, più esposte alla miseria materiale e morale e agli abusi;

la promozione di una adeguata attenzione pastorale e sociale al complesso mondo della sanità con tutti i problemi che oggi lo attraversano;

l'attenzione e l'aiuto ai più bisognosi;

la difesa dei deboli;

la creazione di un clima di rispetto e di accoglienza verso gli immigrati, così da avviare positivi processi di integrazione culturale e di proficuo dialogo interreligioso;

l'offerta di speranza negli ambienti fortemente toccati dalla sfiducia.

In questo trova spazio una particolare accentuazione di alcuni ambiti di presenza e di intervento pastorale, che sembrano richiedere una più puntuale attenzione nelle Chiese di oggi perché il « Vangelo della speranza » possa essere servito più adeguatamente e realisticamente.

76. Da più parti si sottolinea l'importanza fondamentale di una adeguata e organica pastorale familiare, da svolgere con le famiglie e per le famiglie.

È un'esigenza questa che si presenta con tutta la sua urgenza alla responsabilità delle nostre Chiese, in un contesto nel quale non sono pochi i fattori di ordine culturale, sociale e politico che concorrono, in modi differenti ma un po' in tutti i paesi, a provocare la crisi sempre più evidente della famiglia.

Ed è proprio questa crisi del matrimonio e della famiglia che induce le Chiese europee « a proclamare, con fermezza pastorale, come un autentico servizio alla famiglia e alla società, la verità sul matrimonio e sulla famiglia così come Dio li ha stabiliti.

Non farlo sarebbe una grave omissione pastorale che indurrebbe in errore i credenti e anche coloro che hanno l'importante responsabilità di prendere le decisioni sul bene comune della Nazione.

Questa verità è valida non solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini e le donne senza distinzione, poiché il matrimonio e la famiglia costituiscono un bene insostituibile della società, che non può rimanere indifferente dinanzi alla loro degradazione e perdita ».88

Nella convinzione che servire la famiglia può tradursi, in ultima analisi, in un autentico servizio all'uomo e all'intera società, si tratta di dare spazio a una appropriata azione educativa, di preparazione, di accompagnamento e di sostegno, come pure di adoperarsi sia perché vengano promosse autentiche e adeguate politiche familiari, sia perché le famiglie stesse si facciano protagoniste di queste politiche e si assumano la responsabilità di trasformare la società.

77. A proposito della vita umana, si sottolinea da più parti che spesso ci si imbatte in una cultura profondamente incoerente che, da un lato, afferma la dignità della vita umana e, dall'altro, accetta o addirittura favorisce atteggiamenti di minaccia o di rifiuto della vita stessa.

In particolare, circa il problema dell'aborto, si nota una chiara differenza tra quei paesi nei quali gli aborti sono molto numerosi e quelli nei quali il loro numero è più ridotto.

In questo contesto diventa sempre più urgente e necessaria una complessiva e generale azione culturale, pastorale e sociale a servizio della vita umana e per la promozione di una autentica cultura della vita.

Significativa è, a tale riguardo, la convergenza che si incontra in ordine alle proposte e alle iniziative individuate e, in parte, già attuate.

Il riferimento è

alla presenza di strutture ( case di accoglienza per madri sole; case per ammalati e per anziani; centri di aiuto e di consulenza );

alla promozione di associazioni e movimenti che operano a favore della vita;

all'importanza del volontariato;

alla necessità di un maggiore impegno in ambito educativo e nella predicazione dell'insegnamento della Chiesa anche combattendo la propaganda dei mezzi di comunicazione sociale;

all'importanza di trovare modi anche attraverso l'impegno diretto e responsabile dei cristiani in questi ambiti per influire in campo culturale, economico e politico.

78. « I giovani sono la speranza della Chiesa che entra nel terzo millennio.

Non si possono lasciare senza un aiuto e senza una guida sui crocevia della vita e davanti a scelte difficili.

Occorre un grande sforzo affinché la Chiesa sia presente tra i giovani ».89

Queste parole di Giovanni Paolo II indicano con precisione e senza ombra di dubbio un'altra priorità pastorale per le Chiese europee oggi.

Si tratta di rinnovare e rilanciare la pastorale giovanile, conferendole organicità e coerenza, in un progetto globale che sappia esaltare la genialità dei giovani, purificare e assecondare le loro attese, renderli protagonisti dell'evangelizzazione e dell'edificazione della società.

I raduni che vedono la partecipazione di molti giovani

dalle Giornate mondiali della gioventù,

agli incontri promossi dalla comunità di Taizé,

alle riunioni e ai pellegrinaggi locali e nazionali

rendono manifesta la loro sete di assoluto,

la loro fede segreta, che non chiede altro che di purificarsi e di espandersi,

e il loro desiderio di vivere un tempo comunitario che li porti fuori dall'isolamento;

sono anche un primo passo nella volontà di seguire Cristo.90

Tutto questo chiede di essere riconosciuto, accolto, accompagnato, sostenuto, indirizzato.

Occorre, quindi, sentirsi impegnati a offrire alle nuove generazioni la possibilità di un incontro personale con Cristo, nell'ambito di una comunità fraterna, dove ciascuno sia aiutato a sviluppare la propria identità, a scoprire e a seguire la propria vocazione.

Per questo è necessario non solo formare educatori intelligenti, appassionati e davvero capaci di incontrare i giovani e proporre a questi ultimi itinerari differenziati, esigenti e graduali, di crescita umana e cristiana, ma anche far sì che le comunità ecclesiali siano veramente accoglienti nei loro confronti.

In esse, i giovani devono poter trovare, innanzitutto negli adulti, dei testimoni e persone con le quali dialogare e devono essere valorizzati come soggetti attivi, protagonisti della loro stessa formazione e dell'azione missionaria.

79. Data la rilevanza che oggi vanno sempre più assumendo gli strumenti della comunicazione sociale, le Chiese in Europa, se vogliono ridare speranza evangelizzando e promuovendo cultura, non possono non riservare particolare attenzione al variegato e complesso mondo dei mass media.

Si tratta, anzitutto di inserirsi nei processi della comunicazione sociale, per renderla più autentica, rispettosa della verità dell'informazione e della dignità della persona umana.

E, però, non è sufficiente la semplice gestione di tali mezzi, anche i più avanzati; è anche indispensabile, piuttosto, cogliere la sfida culturale in cui il nuovo orizzonte comunicativo pone i suoi protagonisti.

La cosiddetta « cultura dei media » chiede, perciò, alla Chiesa di ripensare e riesprimere la sua fede, il suo messaggio e la sua vita.

Tutto ciò sembra sollecitare la comunità dei credenti a strutturarsi con maggiore attenzione anche a livello europeo: per rispondere coerentemente alle sollecitazioni odierne, infatti, non sono sufficienti estemporanee e pionieristiche iniziative, ma si è nell'urgenza di delineare un'azione organica e adeguata alla situazione.

Sembra, quindi, importante e necessario tendere a una più precisa strategia a livello di tutte le Chiese d'Europa, perché, in dialogo con la cultura dei media, si sappia tratteggiare un percorso di evangelizzazione e di servizio all'uomo che tenga conto dei nuovi linguaggi e delle nuove tecnologie.

80. In un contesto come quello attuale bisognoso di un profondo cambiamento culturale, prima ancora che economico, sociale e politico, se si vuole ridare speranza all'Europa, appare importante attuare una rinnovata pastorale della cultura.

Attraverso la scuola come mediante la promozione e lo sviluppo della vita intellettuale eaccademica, essa deve mirare a unificare gli aspetti attualmente sparsi della cultura europea in una sintesi virtuosa, indirizzata a una educazione veramente umana perché aperta ai valori dello spirito e rispettosa della dignità della persona.

E tutto ciò nella linea di quella tradizione culturale europea che affonda le sue radici nell'opera di evangelizzazione della Chiesa e nell'incontro con Cristo di tanti uomini e donne di ogni ceto e cultura.

I valori fondamentali che l'Europa ha elaborato e trasmesso all'umanità sono, infatti, il segno tangibile di un impegno di inculturazione della fede che ha saputo elaborare una sintesi di presenza e di testimonianza che hanno contribuito allo sviluppo di tutto il genere umano.

Dall'incontro dei greci, dei latini, dei barbari, degli slavi con il Cristo è scaturito « un modo di essere e di pensare europeo e cristiano » che costituisce uno dei modelli più significativi di inculturazione della fede e una delle sintesi più ricche tra fede e ragione, tra l'adesione a Cristo e l'appartenenza a un popolo e a una tradizione.

La sfida che l'Europa si trova a dover affrontare, giocando il significato della sua identità e della sua originalità nel complesso dell'umanità, risiede ancora nella capacità dei cristiani di tornare alle radici della loro fede nel Risorto, per riscoprire una nuova stagione caratterizzata da un'inculturazione che sappia affrontare i problemi inediti che l'Europa incontra.

81. Di fronte a un progetto antropologico oggi diffuso che fa riferimento a una concezione di persona « senza vocazione », e visto il problema, che emerge in modo chiaro e preoccupante in quasi tutte le Chiese d'Europa, della quantità e della qualità delle vocazioni, appare a tutti chiara l'urgenza e l'importanza di una cura adeguata per le vocazioni.

È questa, per altro, una condizione imprescindibile per lo svolgimento nella Chiesa della sua complessiva azione pastorale.

La cura delle vocazioni è un problema vitale per il futuro della fede cristiana nel continente e, di riflesso, per il progresso spirituale degli stessi popoli europei; essa, perciò, è passaggio obbligato per una Chiesa che voglia ridare speranza all'Europa di oggi.

A questo proposito, nella certezza che lo Spirito è all'opera anche oggi e sta chiamando e che i segnali di questa presenza non mancano, si tratta anzitutto di portare l'annuncio vocazionale nei solchi della pastorale ordinaria e di dare alla pastorale vocazionale le caratteristiche della coralità, della popolarità e della continuità.

Come ha sottolineato Giovanni Paolo II,

è necessario « ravvivare, soprattutto nei giovani, una profonda nostalgia di Dio, creando così il contesto adatto allo scaturire di generose risposte vocazionali »;

è urgente che « un grande movimento di preghiera attraversi le Comunità ecclesiali del continente europeo, contrastando il vento del secolarismo che sospinge a privilegiare i mezzi umani, l'efficientismo e l'impostazione pragmatica della vita »;

occorre « promuovere un salto di qualità nella pastorale vocazionale delle Chiese europee » poiché « le mutate condizioni storiche e culturali esigono che la pastorale delle vocazioni sia percepita come uno degli obiettivi primari dell'intera Comunità cristiana »;

si tratta di promuovere « una nuova cultura vocazionale nei giovani e nelle famiglie ».91

Né si deve tralasciare, in questo ambito, di sostenere e incoraggiare quanti già sono inseriti nel ministero ordinato o nella vita consacrata.

Di fronte alla diminuzione numerica che si verifica in diverse parti d'Europa, alla conseguente crescita del carico pastorale con las tanchezza che può comportare, si tratta di promuovere una fraterna e attenta opera di consolazione, che li aiuti a riconoscere la preziosità del loro servizio, a ripensare le modalità egli spazi del loro impegno, a ritrovare e a manifestare la gioia di un'esistenza completamente donata al Signore, quale concreta testimonianza di senso, che si fa stimolante e contagiosa proposta per altri di sequela radicale del Signore.

82. Di capitale importanza risulta pure la formazione di un laicato cristiano impegnato nei vari ambiti di responsabilità.

Sono il contesto sociale e l'atmosfera morale, culturale e spirituale dell'Europa di oggi a rendere particolarmente acuta l'esigenza di tale formazione.

La richiedono non solo i ritmi incalzanti e le spinte dispersive della vita quotidiana, e nemmeno soltanto la pressione esercitata dalla corsa al successo, dal consumismo e, in particolare, da un erotismo massicciamente ostentato.

La richiedono anche quell'incertezza e quello scetticismo che pervadono gran parte della cultura e che penetrano segretamente anche dentro la ricerca di spiritualità e di religiosità, rispuntata in questi ultimi anni secondo forme bisognose di attento discernimento.

Questa formazione richiede una spiritualità comune, quale punto di partenza per una presenza da cristiani in Europa che sappia riproporre in termini nuovi il personalismo cristiano che costituisce una delle eredità culturali più belle della nostra storia.

Profondamente unitaria e maturata attraverso severi tirocini di vita ecclesiale, tale educazione deve mirare a far sì che i laici riscoprano la vita quotidiana come il luogo privilegiato per testimoniare e annunciare la fede in Cristo risorto e che essi, consapevoli che il campo proprio della loro azione evangelizzatrice è il mondo nella sua concretezza e complessità, siano sempre più soggetti attivi e responsabili di una storia da fare alla luce del Vangelo.

Forti di questa formazione, « i cristiani avranno maggiormente a cuore di manifestare e difendere i valori evangelici autentici in tutti i campi della loro esistenza, e, in modo particolare, nella vita politica, economica e sociale, di cui sono i principali evangelizzatori.

Ciò assume un'importanza ancora maggiore in questi anni di fine secolo, in cui ci incamminiamo verso una nuova organizzazione dell'Europa, dove si stringono nuovi legami fra gli Stati che la compongono, ma anche con gli altri Continenti; organizzazione che necessita della promozione della dimensione morale delle relazioni umane ».92

In questo quadro vasto e articolato, sembra particolarmente urgente e necessario suscitare e sostenere precise vocazioni a servizio del bene comune: persone che, sull'esempio e con lo stile di quanti sono stati chiamati « padri dell'Europa », sappiano essere artefici della società europea del domani, fondandola sulle basi solide dello spirito.

83. L'impegno per l'edificazione della nuova Europa

Come già si notava nella prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, « il processo di unificazione in Europa e in modo particolare le istituzioni europee e la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa implicano una grande responsabilità per le Chiese.

La casa comune europea si può costruire su fondamenta sicure, se nasce non soltanto per motivi economici.

Anzi, la nuova Europa presuppone sempre nella sua edificazione il consenso e il riconoscimento dei valori fondamentali e richiede una genuina ispirazione ideale.

Sotto questo profilo, il contributo della Chiesa per la nuova Europa non rappresenta certo un elemento secondario e deve accompagnare l'impegno dei fedeli laici operanti in campo sociale e politico ».93

È questa una convinzione che il Sinodo vuole riproporre anche oggi, in un momento nel quale lo sviluppo europeo solleva nuovi interrogativi e offre la possibilità di un ripensamento della presenza ecclesiale nel continente.

L'unificazione europea segue per ora un binario prevalentemente economico, in cui l'elemento politico soggiace alle ferree regole monetarie; resta ancora incerto il cammino dal punto di vista sociale e culturale.

Quale ruolo riusciranno ad avere le Chiese non è ancora chiaro e il rischio che siano ridotte a sottogruppi del sistema sociale è molto alto.

La situazione si aggraverebbe se, oltre al confinamento della Chiesa in una posizione marginale, si privilegiasse una interpretazione sociologica del ruolo dei credenti nella nuova situazione europea.

Ne viene una responsabilità storica che le Chiese e i cristiani non possono non vivere con maggiore vigilanza e impegno.

In questo senso, determinante appare la presenza e l'azione di cristiani, uomini e donne, che sappiano immettere nella vita del continente e negli sforzi per la sua unificazione il rispetto di ogni persona e delle diverse comunità umane, riconoscendo la loro dimensione spirituale, culturale e sociale, così da ridare speranza a quanti l'hanno persa e da favorire l'integrazione sociale di quanti vivono nel continente o vi si insediano.94

84. Tra i contributi che la Chiesa è chiamata a dare alla costruzione dell'Europa certamente si deve inserire anche quello derivante dalla dottrina sociale della Chiesa.

L'insegnamento sociale sviluppato in questo ultimo secolo ha raggiunto una sua compiutezza nel magistero di Giovanni Paolo II, che nella Centesimus annus ha scelto di legare un insegnamento universale ai particolari eventi europei del 1989.

È questa una delle vie principali da cui dedurre il compito che attende le Chiese nella costruzione della unità europea.

Si tratta, infatti, di servire la dignità dell'uomo europeo di oggi e di domani difendendola e promuovendola lasciandosi orientare e guidare dalla dottrina sociale della Chiesa interrogata e aggiornata a partire dalla considerazione dei problemi che oggi sembrano maggiormente caratterizzare il nostro continente.

Tra questi si possono ricordare, a titolo esemplificativo:

la questione e il senso del lavoro in un contesto di globalizzazione;

il fenomeno dell'immigrazione come problema con cui confrontarsi, vedendone non solo i rischi, ma anche le potenzialità che racchiude;

i rapporti tra gli stati e le nazioni e il modo di « fare politica » in un quadro di graduale ripensamento della assoluta sovranità nazionale;

la responsabilità nei confronti dei paesi più poveri del mondo, con il gravissimo problema del debito internazionale;

l'azione per la pace, da costruire nella verità, nella giustizia e nella solidarietà,

nella convinzione che, di fronte alle tragedie e alle guerre che continuano ad attraversare popoli e nazioni, l'Europa non può rimanere assente, inerme, divisa o in perenne ritardo, ma deve mostrare la sua capacità effettiva di assicurare a tutti i popoli del Continente, e anche al di fuori di esso, le condizioni per un libero sviluppo e un'autentica democrazia.

85. Ai cristiani, illuminati dalla dottrina sociale della Chiesa, è chiesto, in particolare, di affrontare le problematiche connesse con le risorgenti forme di nazionalismo che attraversano l'Europa.

Esse, talvolta, nascono da una indebita e inaccettabile sopravvalutazione e assolutizzazione dell'appartenenza nazionale e del valore della nazione.

Riprendendo e sviluppando quanto già detto nel Sinodo precedente e rifiutando ogni sovrapposizione tra « identità nazionale » e « identità religiosa », è necessario adoperarsi perché ci si possa aprire a una convivenza più accogliente e solidale, che una adeguata comprensione della « cattolicità » della Chiesa non può che fondare e promuovere.

A tale proposito, anche dal Sinodo potrebbe venire una forte sollecitazione a ripensare l'idea stessa di nazione, nella convinzione, da una parte, che le differenze nazionali devono essere mantenute e coltivate come fondamento della solidarietà europea e, dall'altra, che la stessa identità nazionale non si realizza se non nell'apertura verso gli altri popoli e attraverso la solidarietà con essi.

Ne segue la necessità e l'urgenza di lasciarsi ispirare e guidare dal concetto di « famiglia delle nazioni », che deve guidare, prima ancora del semplice diritto, le relazioni fra i popoli.95

In tutto questo le religioni e, tra esse, innanzitutto la Chiesa cattolica lungi dall'assecondare scorrette tendenze nazionalistiche nelle quali a volte sono state implicate possono svolgere un ruolo determinante proprio a partire dal fondamentale riconoscimento del primato divino e della connessa fraternità universale.

In questa linea, si tratta

di distinguere adeguatamente tra nazionalismo e patriottismo;

di discernere tra sentimenti nazionali positivi e negativi;

di riconoscere e difendere i diritti delle minoranze contro la tendenza all'uniformità;

di rispettare e promuovere il diritto di ogni nazione di preservare la propria sovranità nazionale;

di ricercare formule che, superando l'immediata identificazione tra « Stato » e « nazione », consentano a popoli diversi di vivere in un'unica entità statale vedendo ampiamente salvaguardati i propri diritti e la propria identità.

L'ottica per realizzare questo necessario e urgente ripensamento dovrebbe essere quella della « cultura della nazione », vista come luogo nel quale si manifesta la sovranità fondamentale della società, mantenendo e interpretando la nozione e la realtà della nazione entro la tensione vitale tra universalità e particolarità che caratterizza la condizione umana, una tensione inevitabile, ma singolarmente feconda se vissuta con sereno equilibrio.

Tutto ciò, come è ovvio, richiede l'intelligenza e la lungimiranza di adeguate formulazioni giuridiche, ma è anche un esito al quale i cristiani possono dare un contributo non insignificante.

Declinare particolarità e universalità in una prospettiva positiva, che riconosca le ricchezze delle singolarità e la necessità della sintesi unitaria, è, infatti, un segno di speranza che la Chiesa, proprio per la sua natura, può porre in Europa, accompagnando e incrementando lo sviluppo delle società nazionali, particolari, etniche, inculturando nei nuovi contesti la fede in Cristo, tramite l'impegno dei credenti nei vari ambiti della vita, ma al contempo favorendo il sorgere di una società transnazionale, segnata dalla cattolicità della fede cristiana.

Nello stesso tempo, per essere davvero promotori di speranza, in uno scenario caratterizzato da contrapposizioni nazionalistiche e, ancora più generalmente, dall'esperienza storica del fascismo, del nazismo e del comunismo, con i mali da essi prodotti e con le pesanti eredità che hanno lasciato nell'animo delle persone, nella cultura e nella convivenza, è necessario dare spazio al perdono e alla riconciliazione.

Dal Sinodo potrebbe venire una parola autorevole e un invito pressante a tale riguardo, nella convinzione che « perdonare e riconciliarsi

vuol dire purificare la memoria dall'odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta;

vuol dire riconoscere come fratello anche colui che ci ha fatto del male;

vuol dire non farsi vincere dal male, ma vincere col bene il male ( cfr. Rm 12,21 ) ».96

86. Non si deve neppure dimenticare che l'apporto che le Chiese possono dare all'edificazione dell'unità in una nuova Europa dello spirito si realizza anche attraverso il vissuto quotidiano delle Chiese stesse.

In questa linea, si tratta, ad esempio, di:

continuare un reale e fecondo « scambio di doni » tra tutte le Chiese e le comunità ecclesiali del continente, premessa e contributo per il superamento delle distanze tra Europa orientale e occidentale;

valorizzare la presenza e l'azione della vita consacrata, facendo tesoro della testimonianza di comunione che da essa promana;

favorire momenti di incontro e di scambio anche tra i laici, magari anche attraverso qualche gesto straordinario e particolare che possa coinvolgerli ampiamente;

dare spazio a quelle forme di « ecumenismo di popolo » che ha già conosciuto esperienze significative nelle assemblee di Basilea e di Graz.

Un ruolo particolare, a tale proposito, possono e devono rivestire le strutture e gli organismi continentali di comunione ecclesiale, a iniziare dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa , chiamato a « provvedere alla promozione di una sempre più intensa comunione fra le diocesi e fra le Conferenze Episcopali Nazionali, all'incremento della collaborazione ecumenica tra i cristiani e al superamento degli ostacoli che minacciano il futuro della pace e del progresso dei popoli, al rafforzamento della collegialità affettiva ed effettiva e della" communio " gerarchica ».97

Ispirando la propria azione alla comunione e alla solidarietà, lo stesso Consiglio potrà favorire lo studio e la realizzazione di strategie pastorali più unitarie e condivise tra tutte le Chiese del continente e, anche grazie alla sua azione, « la Chiesa cercherà di infondere alla comunità continentale un "supplemento d'anima", ravvivando in essa quella che potrebbe dirsi "l'anima dell'Europa" ».98

Né va dimenticata l'importanza di rafforzare e di congiungere più strettamente tra di loro le attività di questo Consiglio e quelle della Commissione degli Episcopati della Comunità europea, considerata la necessità della presenza della Chiesa nelle istituzioni civili europee.99

87. Se poi, come deve essere, la nuova Europa da edificare è un'Europa aperta alla solidarietà universale, le Chiese europee possono e devono offrire il loro contributo

sia formando a una vera e universalistica « cultura della solidarietà »,

sia ridando vigore e slancio alla missione « ad gentes »,

sia allargando i propri orizzonti e avviando contatti e intese anche con le Chiese deglialtri continenti.

Si tratta, infatti, anche così, di « mettere in luce la stretta solidarietà che esiste fra l'Europa e i Paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America, nei confronti dei quali il continente europeo, e le Chiese in esso operanti, hanno meriti ma anche debiti da assolvere.

Crescere in questa coscienza e far maturare nella solidale consapevolezza di essere gli uni responsabili degli altri, soprattutto dei più poveri e dei meno fortunati »,100 oltre a costituire l'ansia costante dei cristiani e delle Chiese per vivere la testimonianza della carità, sarà un ulteriore modo per servire il « Vangelo della speranza ».

Indice

87 Cfr. sopra § 45-50.
88 Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi spagnoli ( 19 febbraio 1998, 4 ).
89 Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi della Polonia in visita « ad limina »
( 2 febbraio 1998, 5 ).
90 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale della regione apostolica francese « Île-de-France » in visita « ad limina » ( 6 marzo 1992, 3 ).
91 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso sul tema « Nuove vocazioni per una nuova Europa » ( 9 maggio 1997 ).
92 Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi del Belgio in visita « ad limina » ( 3 luglio 1992, 4 ).
93 Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 10.
94 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso a deputati del Partito popolare europeo nel 40° dei Trattati di Roma ( 6 marzo 1997 ).
95 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'O.N.U. per il 50° di fondazione( 5 ottobre 1995, 14 );
Discorso al Presidente della Repubblica Francese, sig. Jacques Chirac, in visita ufficiale
( 20 gennaio 1996, 4 ).
96 Giovanni Paolo II, Omelia presso il santuario di Marija Bistrica per la beatificazione del card. Alojzije Stepinac [ Croazia ] ( 3 ottobre 1998, 5 ).
97 Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa( 16 aprile 1993, 5 ).
98 Ivi , 6.
99 Cfr. Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 6.
100 Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa
( 16 aprile 1993, 8 ).