Opera incompiuta contro Giuliano

Indice

Libro IV

100 - Il peccato come il feto

Giuliano. Esiste già dunque un peccato senza la volontà, perché si trova in questi bambini dai quali tu escludi la cattiva volontà.

Agostino. Esiste assolutamente il peccato senza la volontà, ossia permane.

Non permarrebbe infatti, se appunto non esistesse ciò che permane.

Ma che cominciasse ad esistere il peccato che permanesse senza la volontà, non è avvenuto se non per mezzo della volontà.

Se tuttavia il peccato è peccato soltanto e non anche pena del peccato, perché per la pena del peccato ciascuno pecca senza la volontà.

Cosí dunque sono vere ambedue le affermazioni: e che non può esserci il peccato senza la volontà, e che può esserci il peccato senza la volontà, come sono vere ambedue queste affermazioni: e che non può esserci il feto senza i sessi dei genitori, e che può esserci il feto senza i sessi dei genitori.

La prima affermazione è vera, perché senza i sessi non può esistere il feto; ma la seconda è vera, perché senza i sessi il feto può permanere.

Bene davvero tu stesso in un medesimo testo hai parlato insieme del peccato e del feto dicendo: Come non può esserci il feto senza i sessi, cosí nemmeno il peccato senza la volontà.

Come dunque intendiamo che per questo un feto non può esserci senza i sessi dei genitori, perché senza di essi non può cominciare ad esistere; e che per questo può esserci il medesimo feto senza i sessi dei genitori, perché può permanere senza di essi, esistendo già; per quale ragione non intendiamo ugualmente che anche il peccato e non può essere senza la volontà, perché senza di essa non può cominciare ad esistere, e che il peccato può essere senza la volontà, perché senza di essa può permanere, esistendo già?

101 - Le mie acutezze

Giuliano. Guarda dunque a quale punto si trascinino le tue acutezze: tu tenti di persuadere che alcunché non esista per la stessa causa che lo rende possibile.

Agostino. E che vorresti tu, o grande difensore del libero arbitrio, anche contro la grazia di Dio?

Negherai forse tu che in virtú del libero arbitrio non esista qualche peccato che potrebbe esistere in virtú del libero arbitrio?

Avviene infatti in virtú del libero arbitrio che esista il peccato, perché l'uomo pecca se vuole peccare; e avviene in virtú del libero arbitrio che il peccato non esista, perché l'uomo non pecca se non vuole peccare.

Ecco abbiamo trovato qualcosa, e proprio ciò di cui stiamo discutendo: cioè che un peccato non esiste in virtú della medesima causa che può farlo esistere, ossia in virtú del libero arbitrio.

Che succede, o litigioso? A questo punto si trascineranno le mie acutezze?

Oppure qui i tuoi occhi hanno perduto la vista? Non essere precipitoso.

Meglio è per te attendere che cosa dire che contendere per contraddire.

102 - Senza la volontà il peccato esiste e non esiste

Giuliano. Cioè che il peccato esiste senza la volontà per la medesima ragione che non può esistere senza la volontà.

Agostino. Non è assolutamente vero che il peccato esista senza la volontà per la medesima ragione che non può esistere senza la volontà, ma per cause appunto diverse; è possibile tuttavia l'uno e l'altro: infatti senza la volontà non può esistere il peccato, perché senza la volontà il peccato non può incominciare ad esistere; ma senza la volontà il peccato può esistere, perché senza la volontà può permanere il peccato che esiste già.

103 - Questo è sconfessare la realtà

Giuliano. Di modo che il peccato perda la sua condizione in forza della sua condizione ed esista senza ciò che è stato definito la condizione sine qua non perché possa esistere. Questo è sconfessare la realtà!

Che cosa di simile ha detto Anassagora, che pur diceva che la neve è nera?

Tu fantastichi che una natura venga negata dai suoi frutti e, mentre la necessità e la volontà sono tra loro tanto contrarie che, come abbiamo esposto sopra, si eliminano per reciproca incompatibilità, tu con un nuovo e impossibile patto, con una mostruosa parentela, sottometti l'una all'effetto dell'altra e dici che la necessità è sorta dai frutti della volontà, tanto da essersi la volontà distrutta con il suo moltiplicarsi e da aver mutato la propria natura a forza di operare o, per esprimerci con le sue parole, tanto da avere cessato la volontà di esistere subito dopo che cominciò ad esistere.

E di questo che cosa si può pensare, non dico di piú ottuso, ma di piú furioso?

Poiché dunque queste due condizioni, cioè la necessità e la volontà, non possono coesistere; poiché tu hai confermato quanto noi abbiamo detto circa la impossibilità del delitto senza la volontà; poiché tu concedi anche che nei bambini non c'è la volontà, sei costretto ad ammettere a collo torto che nei bambini non c'è nessun peccato, avendo tu dichiarato impossibile il peccato senza la volontà.

Agostino. Che la necessità e la volontà non possano esistere insieme non lo diresti, se ti fosse dato di conoscere quello che dici.

Infatti poiché c'è la necessità di morire, chi negherebbe che possa esserci anche la volontà di morire?

Tanto che l'Apostolo dice che ha la concupiscenza di essere sciolto dal corpo e di essere con il Cristo. ( Fil 1,23 )

Poiché dunque vuol morire uno a cui è necessario morire, esistono insieme la necessità e la volontà: ciò di cui tu avevi negato la possibilità con volontà vana e senza nessuna necessità.

Che, all'inverso, dalla volontà nasca la necessità, spesso contraria alla volontà, lo si nega con assoluta insipienza.

Chi per esempio volendo morire si colpisce mortalmente, muore sebbene non voglia morire.

Ugualmente chi volente ha fatto un peccato, ha il peccato anche da nolente, volente impudico e nolente reo, perché appunto anche quando egli è nolente permane il peccato, che non sarebbe fatto da lui nolente.

Per questo, e non può esserci il peccato senza la volontà, perché non si fa il peccato se non con la volontà; e può esserci il peccato senza la volontà, perché ciò che si è fatto con la volontà permane anche senza la volontà: e c'è già qui la necessità senza la volontà, una necessità che la volontà ha fatto senza la necessità.

Infatti anche colui che dice: Non quello che voglio io faccio, ( Rm 7,15 ) è certamente secondo voi oppresso dalla necessità della consuetudine, ma per non togliere a lui il libero arbitrio, voi sostenete che egli si è fatto tale necessità con la sua volontà, e non credete che qualcosa di simile sia avvenuto nella natura umana: dalla volontà del primo uomo, dal quale ha origine il genere umano, sorgesse negli uomini la necessità del peccato originale.

Ecco, quelle situazioni che tu proponevi come impossibili, si sono fatte possibili nella forza della consuetudine, che non senza ragione fu detta da alcuni una seconda natura.

Avevi detto che noi diciamo qualcosa di piú assurdo di colui che diceva che la neve è nera, dicendo che il peccato perda la sua condizione in forza della sua condizione ed esista senza ciò che è stato definito la condizione " sine qua non " perché possa esistere.

Ma non è vero forse che la consuetudine perda la sua condizione in forza della sua condizione, cosí che per forza della consuetudine il peccato si faccia senza la volontà, mentre la consuetudine non si è fatta se non con la forza della volontà?

Non è forse vero che la natura della consuetudine venga negata dai suoi frutti?

Dal momento che la consuetudine è frutto della volontà, perché è generata dalla volontà: la quale consuetudine tuttavia ciò che fa nega di farlo con la volontà.

Tu dici che la necessità e la volontà sono tra loro tanto contrarie che si eliminano per reciproca incompatibilità, rimproverandoci per questo di sottomettere l'una all'effetto dell'altra e di dire la necessità sorta dai frutti della volontà, mentre vedi che la necessità della consuetudine è frutto manifestissimo della volontà.

Non è forse vero ciò che ti sembrava impossibile: La volontà si è distrutta con il suo ripetersi e a forza di operare ha mutato il proprio stato, perché ripetendosi ha prodotto la necessità della consuetudine, se in conformità alla tua intuizione la necessità estingue la volontà?

Se al contrario non la estingue, evidentemente in una persona oppressa dal male della consuetudine possono esistere insieme e la volontà della giustizia e la necessità del peccato.

Poiché l'affermazione: C'è in me il desiderio del bene è la professione della volontà, e l'affermazione: Ma non trovo in me la capacità di attuare il bene ( Rm 7,15.18 ) è la confessione della necessità.

Tu viceversa hai detto che non possono esistere insieme la volontà e la necessità, pur costatando che esse esistono insieme quando vanno d'accordo ed esistono insieme quando si combattono vicendevolmente.

È poi ridicolo ciò che hai proposto come impossibile dicendo che nulla si potrebbe pensare di piú ottuso, anzi di piú furioso, che la volontà abbia cessato di esser subito dopo che ha cominciato ad essere, come se ciò non avvenga quando una persona che ha cominciato a volere malamente qualcosa, subito dopo si pente e smette di volere.

Ma tuttavia parlando in tale maniera mi costringi ad ammettere a collo torto - tu dici - che nei bambini non c'è nessun peccato, mentre tu nemmeno a collo torto riesci a spezzare il vincolo della verità cattolica, dal quale sarai strangolato nel modo piú miserevole, se non ti metterai d'accordo.

104 - Prima liberi che creati

Giuliano. Quanto poi al testo da te aggiunto: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, come è stato dimostrato che qui è collocato nella maniera piú sconveniente, cosí nel secondo libro è stato spiegato in che modo si intenda.

Ma, conclusa ormai la presente discussione, mi piace riprendere subito in esame l'acutissima tua sentenza.

Tu scrivi infatti cosí: " A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosí passò in tutti gli uomini, che tutti peccarono in lui ". ( Rm 5,12 )

Per la cattiva volontà di quell'uno, peccarono tutti in lui, quando tutti furono quell'uno, dal quale perciò i singoli uomini trassero il peccato originale.42

Allora, tu dici, peccarono, quando tutti furono quell'uno.

Avevo peraltro notato che questo lo avevi già scritto a Marcellino.43

Dalla quale testimonianza si prova che tu credi e abbracci la traduce delle anime, accettandola specialmente dalle viscere di Manicheo, di cui ho inserito le sentenze nel terzo libro.

La quale opinione è per certo tanto mostruosa che tu, pur facendola capire, non hai tuttavia il coraggio di confessarla.

Ma per il momento rimandiamo l'esame di una dottrina che rimane strangolata sia per l'indegnità del suo primo assertore, sia per la paura del successivo assertore, cioè di te.

Giova invece al presente spiare quanto grande sia il turbamento che ti agita nel discutere.

Tu dici appunto: Per la cattiva volontà di quell'uno peccarono tutti in lui, quando tutti furono quell'uno.

Se tutti furono quell'uno, in che modo peccarono tutti per la volontà cattiva di lui, mentre tutti costoro, che tu dici presenti in lui, poterono peccare con la loro volontà?

Anzi, per ritorcere, piú infelice di tutti gli altri è Adamo, il quale porta da solo l'onta, mentre tutti secondo il tuo dogma ebbero la colpa di delinquere in lui.

Ebbero dunque i bambini la volontà, non solo prima che essi nascessero, ma prima che fossero generati i loro bisavoli, e fecero uso i bambini dell'arbitrio di elezione prima che fossero creati i semi della loro sostanza.

Per quale ragione temi quindi di dire che ci fu in essi al tempo dei loro concepimenti la volontà libera, con la quale non contrarre il peccato naturaliter, ma commetterlo sponte, se credi che essi, concepiti oggi, abbiano avuto tanti secoli prima il senso, il giudizio e l'efficienza della volontà?

Il che appunto non hai dubitato di porre nei libri che pubblicasti al nome di Marcellino: per dimostrare palesemente da quanta demenza siano colpiti i nemici di Dio.

Ivi dichiari infatti cosí: I bambini peccarono in Adamo per essere creati simili a lui.44

Che cosa si poteva dire di piú falso, di piú pazzo, di piú sporco di questo: Prima peccarono per essere creati?

Ossia: con il loro fare meritarono di poter esistere come operatori di qualcosa e in loro l'attività fu anteriore alla sostanza.

Le quali fantasie, piú adatte alle orge e ai tirsi che alle lettere, basti averle accennate.

Da qui dunque è sgorgata cotesta tua risposta dove dici: Peccarono tutti in lui, quando tutti furono quell'uno, dal quale i singoli uomini trassero il peccato originale.

Qui infatti non c'è da affaticarsi ad insegnare che, essendo la volontà un'attività della persona, non può esistere la volontà prima della persona a cui la volontà appartiene.

Ma mi preme soprattutto far capire questo: nemmeno secondo una tale opinione esiste il peccato originale.

Infatti se tutti furono presenti in Adamo quelli che peccarono, essi non contrassero nulla del male originale, perché lo perpetrarono tutti insieme con le loro determinazioni.

La traduce dunque del peccato è distrutta non solo dalla verità cattolica, ma anche da tutti gli argomenti del suo patrono.

Il che appunto è nella natura della menzogna: essa non conserva la coerenza del fingere, ma prodiga com'è di verecondia e avida dell'altrui, si scopre in tutte le sue usurpazioni.

Agostino. Che a causa di un solo uomo, nel quale tutti peccarono, sia entrato nel mondo il peccato lo ha detto l'Apostolo e lo ha capito Ambrogio; ma le medesime parole apostoliche ad un suo senso perverso tenta di pervertirle Giuliano.

Perché a lui non risponde piuttosto lo stesso Ambrogio?

Ascolta dunque, o Giuliano: Tutti muoiono in Adamo, dice, perché a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosí passò in tutti gli uomini, che tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 )

La colpa dunque di costui è la morte di tutti.45

Ascolta ancora un altro testo: C'era Adamo e in lui fummo noi tutti, perí Adamo e in lui perirono tutti.46

Di' a lui, se osi, che per un'anima sola, peccante con la propria volontà, non poterono perire tante anime, non aventi ancora le proprie volontà.

Attacca la mia esitazione sulla origine delle anime, perché non oso insegnare o affermare ciò che ignoro.

Spiattella tu ciò che ti piace sulla profonda oscurità di questo problema, ma fissa e ferma rimanga tuttavia questa sentenza: per la colpa di quell'uomo c'è la morte di tutti, e in lui perirono tutti.

Per cui l'ultimo Adamo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,10 )

Di' a lui: Peccarono dunque con la loro volontà anche quelli che dici periti in colui che peccò con la sua volontà!

Ma poteva Ambrogio capire ciò che tu non puoi capire: non si dice questo per il libero arbitrio dei singoli, ma per l'origine del seme, donde tutti sarebbero nati.

Secondo la quale origine tutti erano presenti in quell'uno ed erano quell'uno tutti coloro che in se stessi erano ancora nulli.

Secondo questa origine seminale anche Levi si dice che " fu presente nei lombi del suo antenato Abramo ", quando Abramo versò la decima a Melchisedech, tanto che anche lo stesso Levi è presente come pagante allora le sue decime, non in se stesso, ma in Abramo, nei lombi del quale egli era.

Né volle né non volle pagare le decime, perché la sua volontà era nulla, quando egli stesso nemmeno esisteva ancora secondo la sua sostanza.

E tuttavia secondo la ragione del seme non mendacemente né inutilmente è stato detto che era nei lombi di Abramo e che versò le decime.

Per questo dall'obbligo delle decime, gravante sui figli di Abramo, presenti nei suoi lombi, quando egli diede le decime al sacerdote Melchisedech, è stato eccettuato soltanto quel sacerdote a cui si dice: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech. ( Sal 110,4 )

Il quale, sebbene sia anch'egli seme di Abramo secondo la carne, perché la Vergine Maria dalla quale prese la carne fu generata da quello stesso seme, non è tuttavia soggetto alla colpa di quel seme lui che, libero dall'asservimento della concupiscenza seminatrice, non fu concepito mediante il seme virile.

Rispondi dunque non già ad Ambrogio, come dicevo, ma a colui che agli Ebrei scrive e dichiara cosí: Si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo: egli si trovava infatti nei lombi del suo antenato quando gli venne incontro Melchisedech. ( Eb 7,9-10 )

Accusalo con la tua cieca loquacità e, se ne hai il coraggio, domandagli: Poiché il padre Abramo pagò le decime di sua volontà, in che modo attraverso la volontà di lui poté decimare, ossia dare le decime, Levi, la cui volontà era nulla, essendo egli ancora assolutamente inesistente?

Proprio per questa ragione o meglio per questo errore tu dici anche a noi: Poiché il primo uomo peccò con la volontà, in che modo attraverso la volontà di lui coloro che non avevano ancora una loro volontà, essendo ancora inesistenti nella loro sostanza, poterono tutti insieme peccare in lui?

Smettila piuttosto di ciarlare a vanvera, e che quanti non ancora nati e quindi incapaci di fare per mezzo delle proprie volontà alcunché di bene o di male, abbiano potuto peccare in quell'uno in cui erano presenti per la ragione del seme, quando egli con la sua propria volontà commise quel grande peccato ed in se stesso viziò, mutò, coinvolse nella colpa la natura umana di tutti, meno che di un solo uomo, che fu procreato, sí, dallo stesso seme, non tuttavia mediante la ragione seminale, intendilo se puoi, e se non puoi credilo.

105 - I bambini sotto il diavolo

Giuliano. Dopo questa risposta s'industria costui a chiarire un altro punto dov'era già stato compulsato da me.

Io appunto dopo la domanda fatta da me sulla volontà dei bambini, proseguivo cosí: Ma tu lo neghi, cioè che ci sia nei nascenti una volontà peccatrice, e dici tuttavia che i bambini sono sotto il diavolo, né nascondi la ragione per la quale giudichi che vivano sotto il potere diabolico.

Dichiari appunto: Poiché nascono dalla mescolanza dei due sessi, sono sotto il potere avverso.

Con la testimonianza pertanto delle sue parole è palese che la ragione per la quale egli rivendica al demonio i bambini è la loro procreazione con la mescolanza dei due sessi.

Per mezzo di questo ho documentato che egli ha asservito al diavolo le nozze, le quali sono state istituite da Dio e non possono essere senza la mescolanza sessuale.

Agostino. Non l'hai potuto documentare in nessun modo, per quanto tu ci abbia messo molta ostinazione: il che possono vedere coloro che leggono e le tue calunnie e le mie ritorsioni.

106 - Dico tranquillamente

Giuliano. Questo argomento dunque affrontò ora, premettendo la mia interrogazione: Tu dunque dici che essi sono sotto il diavolo perché nascono dalla mescolanza dei due sessi?

Alla quale interrogazione ascoltiamo in che modo dia soddisfazione: Io dico tranquillamente, dichiara, che essi sono sotto il diavolo per il delitto, ma la ragione per cui non sono esenti dal delitto è perché sono nati da quella mescolanza la quale senza la vergognosa libidine non può operare nemmeno ciò che è onesto.

Lo ha detto anche Ambrogio di beatissima memoria.47

O calamitosa depravazione umana! O nefanda intenzione! O vergognosa falsità!

Agostino. Esclama, esclama quanto puoi, aggiungi alle tue esclamazioni: O violenza!

Tu appunto, uomo innocente, patisci la violenza che ti costringe a dire manicheo Ambrogio.

Dio mi guardi dal dirlo, tu affermi. Per quale ragione, ti domando io?

Qui forse metti in evidenza quanto sia grande la forza del libero arbitrio, quando patisci tanta violenza per dirlo, né tuttavia lo dici?

Per quale ragione dunque dici che io sono ciò che non dici sia lui, benché egli abbia detto molto prima ciò che io dico adesso e in questa sentenza, per la quale dici che io sono manicheo, la causa sia comune a me e a lui?

Forse, perché non trovi per dove uscire, dissimuli certo la stizza e ti dai alle esclamazioni, non tuttavia per la stizza, ma per il turbamento?

Ma nelle tue stesse esclamazioni io odo: O calamitosa depravazione di un uomo!

Evidentemente perché sono un uomo calamitoso e depravato, io che scelgo di consentire ad Ambrogio.

Sarei al contrario un uomo beato e retto, se scegliessi di consentire a Giuliano.

Io odo: O nefanda intenzione!

La nostra intenzione è appunto nefanda, perché opponiamo Ambrogio a Giuliano, ma sarebbe tutt'altro che nefanda, se anteponessimo Giuliano ad Ambrogio.

Ma cos'è che io odo nella tua terza esclamazione: O vergognosa falsità?

Dici forse che è falsa la sentenza di Ambrogio, ossia che egli ha sentito in modo falso?

O dici che noi gliel'attribuiamo falsamente, mentre egli non sente cosí, né dice assolutamente ciò che noi diciamo che disse?

O dici che noi non abbiamo capito la sua sentenza e giudichiamo falsamente di essa, che invece è vera?

Ma tu non parli cosí offensivamente di Ambrogio da attribuire a un tale personaggio una " vergognosa falsità ".

D'altra parte non hai osato dire che l'abbiamo composta noi la sentenza e abbiamo finto che l'abbia proferita lui, perché gli scritti di quel dottore sono noti a cosí tanti lettori da venirti la paura di precipitare in questo baratro.

Tale sentenza poi è tanto chiara da poter sembrare non acuto chi la intende, ma superfluo chi pensa di doverla spiegare.

Infine, perché si possa prendere in considerazione ciò che io dico, riporterò anche qui le stesse parole del beatissimo antistite cattolico.

Afferma dunque costui, quell'Ambrogio che il vostro Pelagio esalta tanto per la sua fede e per la sua purissima interpretazione delle Scritture da dire che nemmeno un nemico ha osato criticarlo,48 parlando della natività del Signore: Perciò e come uomo fu provato in tutto, e a somiglianza degli uomini sopportò tutto; ma come nato dallo Spirito si astenne dal peccato.

" Ogni uomo " infatti " è mentitore " e nessuno è senza peccato all'infuori dell'unico Dio.

Resta quindi evidente che nessuno, venendo dall'uomo e dalla donna, ossia da quella mescolanza di corpi, è esente dal delitto.

Chi poi fosse esente dal delitto, dovrebbe essere esente pure da simile concepimento.49

Poiché quindi e non neghi che Ambrogio lo abbia detto e ti accorgi che è un discorso piano e aperto, perché mai gridi: O vergognosa falsità!

Vergognosa per chi, ti prego? Per lui o per me?

Se per lui, guarda contro chi tu sia oltraggioso; se per me, guarda quanto tu sia calunnioso.

Ma questo, tu osservi, lo dici anche tu. Lo dico senz'altro, perché è vero.

Se tu non lo credi vero, per qual ragione in una sola e medesima sentenza che dice lui e dico io, manicheo non è lui, ma manicheo sono io?

Quanto piú giustamente esclamiamo noi a questo punto: O vergognosa discriminazione di persone! Essa ti farebbe arrossire senza dubbio, se nella tua persona la tua fronte non fosse simile alla tua bocca.

107 - Sei nell'errore

Giuliano. È mai possibile che costui abbia il coraggio di dire che non condanna il matrimonio e d'ingannare le orecchie inesperte con tanta scelleratezza da dire di essersi ritirato dalla compagnia di Manicheo, che con ripetute dichiarazioni relegò nel regno del diavolo la mescolanza dei sessi e la consumazione delle nozze e l'affezione e la sensibilità dei generanti?

E unendo l'aiuto del suo acume a queste invenzioni di Manicheo, definisce appunto diabolica la mescolanza sessuale, la dice propria dei coniugi sia nell'attività che nella carne, e per essa aggiudica al regno del diavolo gli innocenti, assolvendo tuttavia gli operatori.

Cosí, sempre ostile senza dubbio a Dio, protegge coloro che, come dice, servono il diavolo per mezzo della libidine.

Agostino. Sei nell'errore e spingi all'errore quanti ti dànno retta: non servono il diavolo per mezzo della libidine coloro che fanno uso del corpo dei loro coniugi allo scopo di procreare figli, perché siano generati e poi rigenerati.

Né per questo tuttavia si difende il male della libidine, ma si difendono coloro che usano bene del male.

C'è infatti un buon uso anche del male. Tant'è che anche dello stesso satana si trovano delle utilità nelle sante Scritture.

Rimanendo evidentemente la vituperazione di satana, ma con la lode di colui che usa bene del male.

108 - Incrimina anche i morti!

Giuliano. Quanto poi ai bambini, che dice venir creati da Dio, li assegna al dominio del nemico, e cosí non accusa l'opera del diavolo, i cui ministri assolve dalla colpa, ma accusa l'opera di Dio, alla quale non è potuta arrivare la voluttà conscia di essere un dono diabolico.

Costui dunque, accusatore della operazione coniugale, ma conciliatore delle libidini, oppositore della innocenza e diffamatore della equità divina, non ha temuto di scrivere: Io dico tranquillamente che i bambini sono sotto il diavolo, perché sono nati da quella mescolanza.

Vedendo poi messa a nudo la scelleratezza di questa sentenza, nel tentativo di difenderla con qualche argomento di autorità, che non poteva prendere dalle Scritture, ha soggiunto che anche il vescovo Ambrogio sentí in maniera simile.

Non c'è davvero da meravigliarsi se incrimina anche i morti, dal momento che incrimina gli innocenti.

Agostino. Chiunque ascolta queste tue affermazioni, che cosa pensa che tu replichi contro di noi se non che questa sentenza del beatissimo Ambrogio riportata da noi, non sia di lui stesso, ma l'abbiamo inventata noi fingendo che sia di lui stesso?

Anch'io infatti nel leggere queste tue parole non ho dato ad esse nessuna importanza.

Ma dopo che arrivai a ciò che tu aggiungi e dove non neghi che Ambrogio lo abbia detto, allora trovai che tu sei un orrendo accusatore di quel dottore cosí grande.

Infatti tutto ciò che dici contro di me, poiché io dico che per la mescolanza virile e per il concepimento femminile nessuno è esente dal delitto, lo dici senza dubbio anche contro di lui, che lo disse e lo scrisse prima di me.

Ma io, quando confutando te ed opponendomi a te asserisco che i bambini per il delitto originale sono sotto il diavolo, se non rinascono nel Cristo, non difendo certamente me soltanto dalla tua infame incriminazione, ma anche e Ambrogio e gli altri suoi colleghi e quanti sono alunni e dottori di questa fede e la Chiesa universale del Cristo, la quale con l'esorcismo battesimale dei bambini e con la loro essufflazione attesta che questa dottrina l'ha ricevuta, che questa dottrina la ritiene, che questa dottrina la crede fedelmente.

109 - Cerchi consolazione in Ambrogio

Giuliano. Quanto piú giustamente diresti: Disse questo identicamente anche Manicheo nella Epistola a Patrizio, lo disse anche nella Epistola che scrisse alla figlia Menoch, lo disse anche in molti altri scritti che tu hai bevuto fino in fondo!

Ma tu cerchi di tirare dalla tua parte il vescovo di Milano e, poiché non puoi avere protezione da lui, vuoi trovare consolazione in lui.

Agostino. Assai contrario a Manicheo è ciò che ha detto Ambrogio.

Manicheo dice infatti che in noi è stata mescolata la natura estranea del male, Ambrogio dice al contrario che la nostra stessa natura è stata viziata dalla prevaricazione del primo uomo; ma in questa sentenza di cui ora trattiamo Ambrogio difende, discernendola dalla carne del peccato di tutti gli altri uomini, la natività della carne del Cristo, che Manicheo nega assolutamente.

Ciò dunque che crede Ambrogio, lo credo anch'io; ciò che crede Manicheo, né Ambrogio lo crede, né lo credo io.

Cos'è il tuo tentativo di separarmi da Ambrogio e di associarmi a Manicheo?

Infatti se dire che dai nascenti si contrae il peccato originale non per la mescolanza di una natura estranea, ma per la depravazione della nostra natura, è dogma dei manichei, questo lo dice con me Ambrogio: per quale ragione non tenti tu di associarci ambedue ai manichei?

Se viceversa questo non è il dogma dei manichei, come non lo è, e io dico questo con Ambrogio, per quale ragione non ti degni di dissociarci ambedue dai manichei?

Come fai dunque a dire che io tento di tirare dalla mia parte il vescovo di Milano, mentre tu tenti invano di strapparmi dalla parte di lui?

Cos'è che dici: Non potendo avere protezione da lui, voglio trovare consolazione in lui?

A me e ad Ambrogio, lo voglia tu o non lo voglia, è il Cristo comune protezione nella fede cattolica.

Proprio per questo Ambrogio è mia consolazione: perché in sua compagnia ricevo la tua riprensione; né egli soltanto mi consola moltissimo in questa causa, ma e Cipriano e Ilario e altri simili, dei quali tu laceri in me la fede cattolica.

Non voler dunque invidiare il fatto che Ambrogio, che Cipriano, che Ilario siano le consolazioni della mia ingiuria: sei infatti costretto a vedere contro voglia quanto ci corra dal fatto che Pelagio e Celestio e qualche altro, se c'è, sono le consolazioni della tua condanna.

Che dire poi di quest'altro aspetto? Io presento Ambrogio che in difesa della fede cattolica sbaraglia i manichei, e tu in questa battaglia fornisci contro Ambrogio ai manichei o una consolazione se vinti, o anche un aiuto, ed è peggio, se resistono.

I manichei infatti dicono che il male ha una propria sostanza e natura, coeterna alla sostanza e natura buona di Dio, perché dicono: È impossibile che i mali nascano dai beni.

Ambrogio li contraddice e dice: Dai beni sono nati i mali, non essendo i mali se non privazioni dei beni; ma i mali hanno fatto risaltare i beni; l'assenza dunque del bene è la radice del male.50

Tu in mezzo a queste posizioni che dici?

L'ordine delle cose, affermi, non lascia che qualcosa di male sia prodotto dal bene e qualcosa di iniquo da ciò che è giusto.

Queste parole, a favore dei manichei contro Ambrogio, le abbiamo riportate da quella tua pregiata opera, nella quale con quattro libri hai voluto rispondere ad uno solo dei miei.51

Se in questa controversia tu fossi giudice, la tua sentenza direbbe certamente Ambrogio vinto dai manichei.

E non arrossisci di essere calunniatore di coloro che incrimini apertissimamente, di essere adulatore di coloro che incrimini ugualmente anche se obliquamente, di essere collaboratore di coloro dei quali ti servi per incriminare gli altri?

110 - Il nemico più impudente della fede cattolica

Giuliano. È mai possibile che gli scritti di tali combattenti pregiudichino la legge di Dio o l'opera di Dio?

Agostino. Qui cominci già a confessare che questa sentenza non è stata inventata da noi come se fosse di Ambrogio, ma è proprio la sentenza di lui, poiché tenti di liberarti di lui dicendo: È mai possibile che gli scritti di tali combattenti pregiudichino la legge di Dio o l'opera di Dio?

Ma continua e di' tutte le altre tue idee che ti facciano giudicare come il nemico piú sfacciato della fede cattolica.

111 - Piccoli detti di un vescovo

Giuliano. A me ora basta, e me ne avanza, provare che in nessuna parte delle sacre Lettere hai letto ciò che credi; provarlo anche con il fatto stesso che in tale causa non hai tirato fuori nient'altro che dei piccoli detti di un vescovo, recitati da te, piccoli detti dei quali avresti senza dubbio fatto a meno, se ti fossi potuto ribattere in qualcosa di piú autorevole.

Agostino. Coloro che leggono vedano se io non abbia portato testimonianze divine o se tu non abbia tentato invano di corrompere le testimonianze che ho portate.

112 - Ambrogio contro Pelagio

Giuliano. Ma hai fatto bene a sollevarci tu per primo dal peso di tali personaggi.

Infatti nel libro che tessesti per Timasio contro il libero arbitrio, avendo quel santo uomo di Pelagio ricordato le venerabili figure tanto di Ambrogio, quanto di Cipriano, che nei loro libri avevano sostenuto il libero arbitrio, rispondesti che non ti sentivi pesare addosso in nessun modo l'autorità di costoro, fino a dire che essi, se in qualche punto avevano sentito malamente, lo avevano espiato passando alla vita migliore.52

Queste tue parole ti siano riportate, perché tu arrossisca di sollevare odiosità da semplici nomi.

Del resto i detti o di Ambrogio o di altri, dei quali voi cercate di macchiare la fama con la consorteria dei vostri, si possono difendere con ragione chiara e benevola.

Agostino. Che ti sia toccata cosí grande cecità di cuore chi lo crede se non chi legge questi tuoi ragionamenti?

Tu dici che se mi fossi potuto imbattere in qualcosa di piú autorevole, cioè se lo avessi potuto trovare, mi sarei astenuto dal citare i detti o, come ti esprimi tu, " i piccoli detti " di quei pensatori, e poi immediatamente dopo tu stesso dici che Pelagio, da te chiamato santo, a difesa del libero arbitrio adoperò come testimoni anche i venerabili personaggi di Cipriano e di Ambrogio, né ti accorgi come dicendo questo accusi il tuo maestro e la vostra stessa eresia.

Secondo appunto la tua sentenza, Pelagio, se a favore di ciò che difendeva avesse trovato negli scritti canonici qualcosa di piú autorevole, si sarebbe astenuto dalle testimonianze di questi scrittori.

Quando mai faresti queste affermazioni, se non ti turbasse tanto il fatto che Pelagio trovi improvvisamente come suo avversario Ambrogio?

Ma, tu dici, io per primo vi ho sollevati dal peso di tali personaggi, cioè di Ambrogio e dei suoi compagni.

È proprio vero che tale peso ti schiaccia cosí da non opprimerti soltanto, ma da sopprimerti e da ridurti in polvere, che il vento disperde sulla faccia della terra. ( Sal 1,4 )

Né infatti quei tanti e tanto grandi e tanto santi e chiari antistiti di Dio, figli della Chiesa cattolica nell'imparare e padri della Chiesa cattolica nell'insegnare, hanno parlato del peccato del primo uomo e della successione dei mortali soggetta a quel peccato cosí che gli uni dissentissero dagli altri o qualcuno di costoro da se stesso, ma assolutamente cosí che dal loro consenso e dalla loro costanza chiunque li legga con animo non eretico non possa dubitare né che si debba intendere diversamente su questo argomento la santa Scrittura, né che si debba reputare diversa la fede cattolica.

Dal peso dei quali già tu stesso sei tanto oppresso da avere intrapreso la difesa dei detti di coloro che tu contraddici come difendibili con una ragione chiara e benevola.

Ascoltiamo dunque la tua " ragione chiara e benevola ".

Con la quale tua ragione se si difendono quei detti, perché mai partendo da quei detti si scagliano contro di me i tuoi maledici detti?

Infatti le affermazioni che detesti e che accusi in me sono assolutamente le stesse che tu difendi nel ragionamento di costoro.

Se viceversa non si difendono, ma sotto le apparenze della difesa si accusano ancora piú astutamente, sia lungi da noi considerare questa una " ragione chiara e benevola " ma è piuttosto un'adulazione irrisoria, che viene chiamata difesa, perché non si può tollerare l'offesa delle popolazioni cattoliche che venerano i medesimi personaggi.

113 - Ambrogio e Agostino

Giuliano. Si possono difendere, cioè, e perché qualcosa l'hanno detto con troppa semplicità, e perché esplorando problemi di altro genere non hanno avuto la necessità di ovviare alle questioni che nascevano di lato.

Poiché infatti hanno spesso lodato il matrimonio e non hanno reputato che una qualche " affezione " sia stata inserita dal diavolo nei corpi, né hanno sottomesso al regno del diavolo le opere divine, cioè le membra naturali, ma secondo l'opportunità hanno esposto le nozze come istituite da Dio e come benedette da lui, e hanno esposto l'arbitrio come libero, è umano giudicare che non stiano nella società della vostra scelleratezza, se nei loro scritti sorprendete la presenza di alcune affermazioni fatte o ambiguamente o negligentemente.

Come in proposito non reca alcun pregiudizio alle sante Scritture il fatto che tutte le eresie si riparino e cerchino difesa dietro alcune loro testimonianze, cosí nemmeno sopporteremo che la fama di scrittori cattolici rimanga intaccata da alcune affermazioni scappate a loro un po' incautamente.

Né infatti ebbero certo costoro l'intenzione o di condannare le nozze o di negare il libero arbitrio o di piagare l'innocenza: la quale intenzione se l'avessero avuta, non avrebbero corroborato il vostro dogma, ma avrebbero perduto l'onore dell'ufficio.

Agostino. O " ragione chiara e benevola " di difendere!

Evidentemente con troppa semplicità Ambrogio disse che dalla mescolanza tra maschio e femmina nessuno nasce esente dal delitto, ed esplorando problemi di altro genere, né avendo la necessità di ovviare alle questioni che nascevano di fianco, negligentemente o incautamente infuse nei suoi scritti e nei suoi ragionamenti quello che tu dici veleno manicheo.

O loquacissimo uomo, per paura degli uomini tu risparmi l'uomo e non difendi quei suoi detti!

Se infatti questi suoi detti si difendono con una " ragione vera ", si difendono certamente con veracità e sono veri: e se è cosí, si asserisce giustamente il peccato originale e si demolisce il vostro dogma.

Se viceversa questi detti si difendono con " ragione " falsa, quella tua " ragione chiara e benevola " non è una ragione, ma una trappola.

È vero infatti che Ambrogio ha lodato frequentemente le nozze: lo facciamo anche noi.

Non ha mai reputato, tu dici, che una qualche affezione sia stata inserita dal diavolo nei corpi: se un'affezione buona, nemmeno noi; se un'affezione cattiva, come lui cosí anche noi.

Né ha sottomesso al regno del diavolo, tu dici, le opere divine, cioè le membra naturali: quasi che le membra degli adúlteri non siano opere divine e membra naturali, che tuttavia risultano sottomesse al vizio e per questo vizio al diavolo.

Essi, tu dici, secondo l'opportunità hanno esposto le nozze come istituite da Dio e come benedette da lui ed hanno esposto l'arbitrio come libero: cosí anche noi.

È umano, tu dici, giudicare che essi non stiano nella società della vostra scelleratezza: anzi è insano che dalla vostra scelleratezza si giudichi che noi non stiamo nella loro società.

Tu dici che non reca alcun pregiudizio alle sante Scritture il fatto che tutte le eresie si riparino e cerchino difesa dietro alcune loro testimonianze e vuoi parimenti che agli scrittori cattolici non rechino pregiudizio alcune affermazioni che, come tu ritieni, scappate a loro un po' incautamente, noi obiettiamo a voi.

Che altro vuol dire questo se non che anche nelle sante Scritture le testimonianze che gli eretici usurpano a proprio vantaggio sono affermazioni scappate un po' incautamente e quindi non vere?

E che si può dire di piú scellerato di questo?

Oppure, se quelle affermazioni sono vere, ma non sono intese dagli eretici come sono, questo tuo paragone non ha base di somiglianza, perché, se ammetterai che sono veri i detti o di Ambrogio o di Cipriano o degli altri cattolici che abbiamo riportati contro di voi, firmerai il peccato originale.

In conclusione, come noi insieme a costoro e lodiamo le nozze e confessiamo il libero arbitrio e difendiamo l'innocenza, altrettanto tu insieme a costoro di' che i bambini non sono esenti dal delitto: altrimenti noi siamo con loro e tu sei contro di loro.

I loro detti infatti tu non li difendi, come avevi promesso, ma li riprendi.

Dal tuo dogma appunto, poiché sei costretto ad accusare quei detti e a sostenere che sono falsi, in nessun modo tu sei lasciato libero di offrire alle testimonianze di costoro la difesa che avevi promessa, perché e nell'accusa tenti di fare l'adulatore e nell'adulazione sei sorpreso a fare l'accusatore.

114 - La legge non si annulla con la grazia, ma si adempie

Giuliano. Liberamente pertanto immagino e pronunzio che, se uno di essi fosse superstite in questi giorni e vedesse estinto il decoro della disciplina cristiana, oziosa in tutto la libera volontà e smaniosa di attribuire alla necessità quanto commette spontaneamente, e vedesse anche biasimate le opere di Dio e proclamata agli orecchi dei popoli l'eversione della sua legge sotto il pretesto di una grazia inefficace, si sentirebbe mosso contro di voi con tutto il suo fiele e, considerando altresí che il peccato naturale non si può separare dall'empietà manichea, piú apertamente e piú prudentemene difenderebbe la fede cattolica o dopo avervi emendati o dopo avervi condannati.

Agostino. Perché mai dopo aver emendato noi e non anche se stessi?

Dov'è ciò che avevi promesso d'immaginare e di pronunziare liberamente?

Ecco, né è libera la tua vanità, ed è falsa la tua libertà.

Hai temuto infatti di dire che, se in questi giorni sopravvivesse Ambrogio, ascoltati voi, emenderebbe prima se stesso e poi noi; ma tu, quasi trepidassi da uomo libero di borbottare questo, l'hai voluto tuttavia far intendere.

Ecco a che punto sono arrivati questi giorni: al punto che Ambrogio, se vivesse ora, imparerebbe in questi giorni di essere stato manicheo e di non doverlo essere ulteriormente, udito Giuliano o Celestio o lo stesso Pelagio, ma dovrebbe lasciarsi guarire da questa empia pestilenza affidandosi ai vostri precetti e alle vostre cure.

Che spettacolo si offre all'animo di chi ci pensa!

Che spettacolo vedere Ambrogio stare in piedi davanti a Pelagio o stare a sedere davanti a lui, se glielo permettesse, e apprendere il nuovo paradiso pieno delle calamità di questo secolo che vediamo patite dai bambini; dove, anche se nessuno avesse peccato, fosse necessario alla carne concupire contro lo spirito e ugualmente allo spirito concupire contro la carne, perché questa non trascinasse ad azioni illecite e turpi: dissenso che Ambrogio era solito dire essersi cambiato nella natura degli uomini a causa della prevaricazione del primo uomo.53

Ma non oserebbe dirlo piú, sotto maestri come voi!

Fosse anche necessario in un tale paradiso alle donne incinte coprirsi di pallore, soffrire lunghi fastidi, gemere e urlare nel parto; ai figli nascere con i diversi vizi delle intelligenze e dei corpi; ai pochi meglio dotati imparare le lettere certo con minore fatica, né tuttavia senza fatica; a tutti gli altri piú o meno tardi, e tanto piú quanto piú tardo fosse ciascuno, o essere massacrati dalle ferule dei maestri o rimanere ignoranti e grezzi; ai " fatui " poi non esser neppure dati ai maestri, ma nutriti per essere pianti o derisi; agli infanti, prima di poter volere o fare alcunché di male, essere assaliti da malattie, tormentati da dolori, curati con medicamenti martorianti, esser perseguitati dai demoni, spirare vinti dalle calamità.

Ma se Ambrogio, sopraffatto dall'orrore di questi mali, non volesse credere e rispondesse che, qualora nessuno avesse peccato, tutti questi mali non ci sarebbero stati in nessun modo in quel luogo di tanta beatitudine, dove non poterono nemmeno rimanere dopo il peccato, perché ne furono scacciati, quelli che con la loro prevaricazione avevano provocato questi mali, e che quindi cotesti mali vengono dalla miseria degli uomini, la quale non esisterebbe, se la natura umana, viziata e mutata dal gravissimo peccato del primo uomo, non avesse meritato di propagare un secolo come questo, pieno di tante e di tanto grandi calamità; un secolo dove nemmeno i redenti, benché già in possesso del pegno della salvezza eterna, sono liberi da simili mali, dai quali saranno liberi però quando saranno usciti da questo secolo; se dunque Ambrogio rispondesse cosí, gli verrebbe proibito di fare queste affermazioni dai vostri preclari sillogismi, evidentemente perché, vituperando la concupiscenza della carne e credendo nel peccato originale, non si condannassero le nozze, non si togliesse il libero arbitrio, non si vituperassero le opere di Dio e sotto il pretesto della grazia non si provocasse l'eversione della legge.

Non cosí assolutamente, non cosí! Arrossite, o piuttosto tremate nel pensare cosí.

Ma anzi, se quel grande vivesse oggi, molto piú veementemente e autorevolmente di noi si opporrebbe a voi in difesa della fede cattolica, in difesa della grazia di Dio e della equità di Dio, dimostrando come non siano ragionevoli le conclusioni che voi ritenete ragionevoli; perché e si può vivere rettamente senza aver bandito e senza aver lodato la cattiva concupiscenza, ma dopo averla frenata; né si accusa il Creatore della natura, quando s'insegna che ha bisogno di essere guarita da lui la natura, che dal suo nemico ha potuto essere viziata e non creata; né si condannano le nozze che fanno un buon uso della vergognosa libidine; né si sopprime il libero arbitrio, ma si mostra per bontà di chi sia libero nel bene; né la legge si annulla con la grazia, ma si adempie.

Su questi punti discuterebbe egregiamente quell'egregio dottore e sventaglierebbe sulle vostre facce sfacciate le affermazioni che noi abbiamo già fatte piú sopra nei riguardi del vostro paradiso, affermazioni che seguono veramente il vostro errore e che per tutti gli uomini sono o deridende od orrende come pazzesche e forsennate.

Indice

42 De nupt. et concup. 2,5,15
43 De pecc. mer. 1, 11; 3, 14
44 De pecc. mer. 1, 11
45 Ambrosius, In Luc. 4, 7
46 Ambrosius, In Luc. 7, 15, 24
47 De nupt. et concup. 2, 5, 15
48 Pelagius, De lib. arb. 3
49 Ambrosius, In Is
50 Ambrosius, De Isaac et anima 7
51 Contra Iul. 1,9,42-46
52 De nat. et grat. 71
53 Ambrosius, In Lc. 7, 12