Prima catechesi cristiana

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14.20 - Il dover tralasciare un'attività per fare la catechesi, toglie in chi parla ogni piacere

Se poi ti ha rattristato l'aver dovuto tralasciare un'altra occupazione nella quale ti eri già impegnato ritenendola più urgente e, contrariato per questo motivo, ti dedichi alla catechesi senza il piacere di farlo, allora devi pensare ( a parte il fatto che sappiamo di doverci comportare con benevolenza con gli uomini, qualunque cosa facciamo, e secondo il servizio della più pura carità; a parte questo dunque ), devi pensare che non si sa che cosa sia più utile per noi compiere o che cosa sia più opportuno tralasciare o trascurare del tutto.

Perché, in effetti, ignoriamo quali siano davanti a Dio i meriti degli uomini in favore dei quali ci adoperiamo, non comprendiamo che cosa ad essi giovi in un determinato momento, ma piuttosto lo supponiamo senza congettura alcuna o per congettura di esile fondamento.

Per la qual cosa, appunto, dobbiamo dare un ordine alle cose da compiere secondo le nostre capacità: se le abbiamo potute condurre a termine nel modo che avevamo stabilito, rallegriamoci per il fatto che non a noi, ma a Dio è piaciuto compierle così; se poi, al contrario, interviene una qualche altra necessità a causa della quale l'ordine da noi stabilito è perturbato, pieghiamoci docilmente, senza abbatterci, in modo da far nostro l'ordine che Dio ha preferito a quello da noi concepito.

Infatti è più giusto che noi seguiamo la volontà di Dio piuttosto che Dio segua la nostra.

Del resto l'ordine delle cose da fare, che vogliamo mantenere secondo quanto deciso, è plausibile quando vi abbiano il primo posto le cose più importanti.

Perché allora deve far male a noi uomini il fatto che il Signore Dio, tanto più potente, abbia il primo posto, fino a desiderare per amore dell'ordine da noi stabilito di essere nel disordine?

Nessuno infatti dispone in miglior ordine la sua azione di colui che è più pronto a tralasciare ciò che è impedito dal potere divino piuttosto che, bramoso, eseguire ciò che ha progettato il suo umano pensiero.

Poiché molti sono i pensieri nel cuore dell'uomo, ma solo il disegno del Signore rimane in eterno. ( Pr 19,21 )

14.21 - L'animo del catechista, se è per qualche ragione turbato, non può tenere un discorso sereno e gioioso

Se però l'animo, turbato da qualche scandalo, non è in grado di proporre un discorso sereno e gioioso, è necessario avere lo stesso una grande carità verso coloro per i quali Cristo è morto, riscattandoli a prezzo del suo sangue dalla morte derivata dalle colpe del mondo; ( 1 Pt 1, 18s ) se pur siamo rattristati, l'annuncio stesso che una persona ha intenzione di diventare cristiana deve servire a consolarci e a far scomparire il nostro turbamento, così come di solito la gioia dei guadagni lenisce il dolore provocato dalle perdite.

Giacché lo scandalo provocato da una persona non ci addolora se non perché riteniamo o vediamo che si perde chi dà scandalo o che, per causa sua, si perde chi è debole.

Pertanto colui che si presenta per essere iniziato alla fede, mentre si spera possa progredire nel cammino intrapreso, deve cancellare il dolore provocato da colui che viene meno.

Se poi si insinua il timore che il proselite possa diventare figlio della gehenna, ( Mt 23,15 ) dal momento che davanti ai nostri occhi stanno molti uomini di tal fatta, dai quali nascono quegli scandali che ci fanno soffrire, proprio quel timore non deve aver peso nel rallentare i nostri sforzi, ma piuttosto nel rinnovarli ed accrescerli; al punto da esortare il candidato che stiamo formando a guardarsi dall'imitare coloro che sono cristiani non di fatto, ma solo di nome; non bisogna che, impressionato dal loro numero, voglia seguirli oppure non voglia, per causa loro, seguire Cristo, o non voglia entrare a far parte della Chiesa di Dio ove sono costoro, oppure voglia farvi parte imitandoli.

E, io non so in che modo, nel rivolgere tali esortazioni, il discorso, che riceve alimento da un dolore presente, risulta più ardente: non solo non siamo più svogliati, ma per ciò stesso esprimiamo in modo più partecipato e vibrante ciò che, senza quel pungolo, avremmo detto con maggior freddezza e distacco.

E rallegriamoci che ci sia data l'opportunità per cui un sentimento del nostro animo non passi senza portar frutto.

14.22 - Talvolta il discorso è reso difficile per la scontentezza causata da un nostro errore o peccato

Se invece siamo preda della scontentezza a causa di un nostro errore o di un nostro peccato, ricorderemo non solo che uno spirito contrito è sacrificio a Dio, ( Sal 51,19 ) ma ci rammenteremo anche del passo: Poiché come l'acqua spegne il fuoco, così l'elemosina estingue il peccato. ( Sir 3,29 )

E, ancora, del passo in cui si dice: Perché voglio la misericordia piuttosto che il sacrificio. ( Os 6,6 )

Come dunque se fossimo in pericolo per un incendio correremmo per prima cosa in cerca dell'acqua, con cui poter spegnere l'incendio, e ringrazieremmo chi ce ne portasse dal luogo più vicino, ugualmente, se qualche fiamma di peccato si è sprigionata dal fieno delle nostre passioni ( Is 40,6 ) e perciò siamo scossi, rallegriamoci dell'opportunità che ci viene data di fare un'opera di vera misericordia, come se ci fosse offerta la fontana da cui prender l'acqua per spegnere l'incendio che si era acceso.

A meno che, per caso, non siamo tanto stolti da credere che si debba correre con più prontezza a riempire con il pane lo stomaco di un affamato che ad ammaestrare con la parola di Dio la mente di chi la gusta. ( Dt 8,3; Mt 4,4 )

A questo si aggiunga che, se il far ciò fosse di qualche utilità e il non farlo non fosse dannoso, da parte nostra disprezzeremmo sventuratamente il rimedio che ci è offerto, dinanzi al pericolo concernente non già la salvezza del prossimo, ma la nostra.

Dal momento che in vero dalla bocca del Signore risuonano queste parole così minacciose: Servo malvagio ed infingardo, avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri, ( Mt 25,26-27 ) quale stoltezza sarebbe, dato che il nostro peccato ci angustia, voler peccare di nuovo, non consegnando il denaro del Signore a chi lo vuole e lo chiede?

Dissipata la caligine della noia, con pensieri e con considerazioni di tal genere, l'attenzione è pronta ad applicarsi alla catechesi, di modo che con diletto sia accolto ciò che sollecitamente e gioiosamente prorompe dalla ricchezza feconda della carità.

Cose queste che non io dico a te, ma le dice a noi tutti la carità stessa, effusa nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo, che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Esempio di discorso lungo. Varietà delle circostanze e loro incidenza sul discorso

15.23 - Varietà degli ascoltatori e diverso atteggiamento del catechista

Ma ora mi chiedi come cosa dovuta anche quello che non ti dovevo prima di prometterlo, e cioè che non mi rincresca di svolgere e presentare alla tua considerazione un modello di discorso, come se io stesso dovessi iniziare un candidato alla fede cristiana.

Prima di far ciò, voglio che tu consideri una cosa: altra è l'intenzione di colui che detta pensando al futuro lettore, altra è quella di colui che parla badando all'ascoltatore che ha davanti a sé.

E in quest'ultimo caso, altra è l'intenzione di colui che esorta da solo a solo, senza la presenza di nessun'altra persona che ci possa giudicare, altra è quella di chi insegna in pubblico, circondato da un uditorio che ha diverse opinioni.

E, in questa situazione, una cosa è quando si insegna ad una sola persona, mentre gli altri seguono il discorso quasi per giudicare o per confermare gli argomenti che sono a loro noti; altra cosa è quando tutti insieme attendono di ascoltare ciò che stiamo per dire loro.

E di nuovo, in questa circostanza, altro è quando ci si intrattiene familiarmente, per intrecciare una conversazione; altro è quando il popolo, in silenzio e in attesa, volge lo sguardo attento verso colui che da solo si accinge a parlare da una posizione preminente.

Anche quando si parla così, vi è grande differenza se i presenti sono pochi o molti, colti o incolti oppure dell'una e dell'altra categoria, provenienti dalla città o dalla campagna, oppure gli uni e gli altri insieme; o un crogiuolo di persone di ogni genere.

Infatti è inevitabile che i presenti influenzino in tanti modi diversi chi si appresta a parlare e a insegnare, come è pure inevitabile che il discorso pronunciato porti, in certo qual modo, impressa l'immagine dello stato d'animo di chi lo pronuncia, impressioni in modo differente gli ascoltatori per la loro stessa varietà, dal momento che essi, con la loro presenza, si influenzano vicendevolmente in maniera diversa.

Ma poiché ora stiamo parlando di coloro che devono essere iniziati alla fede cristiana, ti posso dire, per mia personale esperienza, che io stesso ho un diverso atteggiamento se mi trovo davanti, per formarla con la catechesi, una persona erudita, un indolente, un concittadino, un forestiero, un ricco, un povero, un privato cittadino, una persona altolocata, che ricopre una carica pubblica, di questo o di quel popolo, di questa o quella età o sesso, proveniente da questa o quella setta, da questa o quella falsa religione del volgo.

E il discorso stesso prende l'avvio, procede, termina a seconda della mia diversa impressione.

Il fatto che con tutti si debba avere la medesima carità, non vuol dire che sia necessario usare con tutti il medesimo rimedio.

Parimenti la carità stessa fa nascere alla vita gli uni, ( Gal 4,19 ) con gli altri si fa debole; ( 1 Cor 9,22 ) ha cura di edificare gli uni, ( 1 Cor 8,1 ) teme di offendere gli altri; si piega verso gli uni, si erge contro gli altri; con gli uni è acquiescente, con gli altri severa; a nessuno nemica, di tutti madre.

E chi non ha sperimentato, nel medesimo spirito di carità quel che sto dicendo, ci reputa felici quando vede che godiamo di buona fama sulla bocca di molti, perché quel poco talento donatoci affascina chi ascolta: ma Dio, al cui cospetto giunge il lamento di chi è prigioniero, ( Sal 79,11 ) veda la nostra umiltà e il nostro sforzo e ci rimetta tutti i nostri peccati. ( Sal 25,18; Mt 6,12 )

Per cui, se ti è piaciuto qualcosa di noi, tanto da chiedere di darti alcuni suggerimenti per i tuoi discorsi, impareresti meglio vedendoci ed ascoltandoci quando li mettiamo in pratica, piuttosto che leggendo ciò che ora dettiamo.

Modello di discorso da rivolgere a persone provenienti dalla città, e non dalla campagna.

16.24 - L'inizio del discorso verte sulla vera pace e felicità in questo mondo

Pur tuttavia, supponiamo che sia venuta da noi, con l'intenzione di diventare cristiana, una persona semplice proveniente non però dalla campagna, ma dalla città, come la maggioranza di coloro con i quali, per forza di cose, hai a che fare a Cartagine.

Supponiamo ugualmente che, avendogli domandato se intende diventare cristiano in vista di qualche vantaggio nella vita presente o in vista della pace che si spera dopo questa vita, egli abbia risposto che lo desidera in vista della pace futura: costui sarebbe da noi istruito con un discorso press'a poco di questo tipo.

Rendiamo grazie a Dio, fratello.

Mi rallegro grandemente con te e gioisco per te, perché, in mezzo alle tempeste così grandi e pericolose di questo mondo, hai rivolto la mente a quella che è una sicurezza vera e certa.

Infatti anche in questa vita gli uomini ricercano la pace e la sicurezza con grandi tribolazioni, ma, a causa delle passioni perverse, non le trovano.

Essi vogliono infatti trovare pace in beni instabili e non duraturi; ma tali beni con il passare del tempo vengono sottratti e passano, quindi li tormentano con timori e angosce e non permettono loro di vivere in pace.

Perché se l'uomo vuole trovare pace nelle ricchezze, diventa più arrogante che libero da affanni.

Non vediamo forse quanti le abbiano perdute all'improvviso e quanti si siano essi stessi perduti per causa loro e per l'avidità di possederle e per la violenza di chi più avido gliele sottrae?

E se anche le ricchezze rimanessero in possesso di un uomo per tutta la sua vita e non abbandonassero colui che le ama, sarebbe proprio lui a doverle abbandonare al momento della sua morte.

Quanto a lungo può durare la vita di un uomo, quand'anche raggiunga la vecchiaia? ( Sal 90,10 )

E quando gli uomini desiderano la vecchiaia, cos'altro desiderano se non un periodo di lunga debolezza?

Così pure gli onori di questo mondo, cos'altro sono se non orgoglio, vanità, rischio di perdizione?

Perché così dice la Sacra Scrittura: Ogni carne è erba e la gloria dell'uomo come il fiore dell'erba.

Secca l'erba, appassisce il fiore: ma la parola del Signore rimane in eterno. ( Is 40,6.8; 1 Pt 1,24-25 )

Per questo motivo chi desidera la vera pace e la vera felicità deve levare la sua speranza da beni perituri e transeunti e riporla nella parola del Signore, cosicché aderendo alla parola che rimane in eterno, possa anch'egli con essa rimanere in eterno.

16.25 - La situazione di chi cerca la pace e la gioia nella lussuria e nelle passioni suscitate dagli spettacoli

Vi sono pure uomini che non cercano di diventare ricchi, né intrigano per giungere ad ottenere la vana parvenza degli onori, ma vogliono trovare godimento e requie nelle taverne, nei postriboli, nei teatri e negli spettacoli frivoli, che nelle grandi città hanno gratuitamente.

E, in tal modo, anche costoro o spendono nella dissolutezza le loro poche sostanze, o, dall'indigenza, arrivano poi a compiere furti, scassi e talvolta anche rapine, e a un tratto si trovano pieni di molti e grandi timori; e coloro che poco prima stavano a cantare nelle taverne, già sognano le pene del carcere.

Per la passione degli spettacoli diventano simili ai demoni, incitando con le loro grida uomini che non si sono recati alcuna offesa ad uccidersi a vicenda e ad ingaggiare ostinate lotte per il desiderio di piacere a un pubblico invasato.

E se si accorgono che i lottatori vanno d'accordo, allora li hanno in odio, li perseguitano, chiedono a gran voce che siano fustigati, come complici in una frode, e costringono a commettere una tale iniquità anche il giudice, lui che è là per punire le ingiustizie.

Se, al contrario, sanno che essi coltivano reciproca feroce inimicizia ( siano i cosiddetti " sinti " o gli attori e i musicisti di teatro o gli aurighi o i gladiatori, i quali ultimi, miseri, aizzano in gare e lotte, non solo di uomini contro uomini, ma anche di uomini contro belve ), allora, quanto più si rendono conto che si scatenano l'uno contro l'altro tanto più si compiacciono e si dilettano.

E acclamano coloro che incitano e incitano coloro che acclamano: gli stessi spettatori, parteggiando per l'uno o per l'altro, dimostrano l'uno contro l'altro d'esser pazzi più di quelli dei quali da pazzi eccitano la pazzia e di cui desiderano godersi lo spettacolo delirando.

Come può, dunque, un animo che si nutre di discordie e di lotte mantenere la sanità che deriva dalla pace?

Infatti quale cibo si prende, tale stato di salute si ottiene.

Infine, sebbene i piaceri smodati di qualsiasi natura, non siano veri piaceri, e per quanto l'ostentazione delle ricchezze, la vanagloria degli onori, la voragine delle taverne, i combattimenti dei teatri, le impurità delle fornicazioni, ( Ap 17,4 ) la lascivia delle terme procurino diletto, basta una febbriciola a portar via tutte queste cose ed a sottrarre a chi ancora resta in vita ogni falsa felicità.

Rimane una coscienza vuota e ferita che è destinata a sperimentare come giudice Dio, non avendolo voluto come custode, e a trovare severo il Signore, avendo sdegnato di cercarlo e di amarlo come dolce padre.

Tu invece, poiché cerchi la vera pace ( Eb 4,10; Ap 14,13 ) promessa ai cristiani dopo questa vita, potrai gustarne la soavità e la letizia tra le amarissime pene della vita, se avrai amato i comandamenti di Colui che l'ha promessa.

Giacché ti renderai subito conto di un fatto: i frutti della giustizia ( Gc 3,18; Am 6,13; Pr 16,8 ) sono più dolci di quelli dell'iniquità e l'uomo trae più genuino e giocondo diletto da una buona coscienza ( Eb 13,18 ) in mezzo alle sofferenze piuttosto che da una coscienza cattiva in mezzo ai piaceri.

Perché tu non sei venuto a unirti alla Chiesa di Dio con l'intenzione di riceverne qualche vantaggio temporale.

17.26 - Alcuni aspirano a diventare cristiani per ottenere in quanto tali vantaggi materiali

Vi sono in verità persone che intendono diventare cristiane o per attirarsi il favore di uomini dai quali si attendono qualche vantaggio temporale o perché non vogliono dispiacere a uomini di cui hanno timore.

Ma costoro non sono autentici cristiani.

Anche se la Chiesa li sopporta temporaneamente, come l'aia porta la paglia fino al momento del vaglio, tuttavia, se costoro non si correggeranno e non cominceranno ad essere cristiani mirando all'eterna pace futura, alla fine saranno messi da parte. ( Mt 3,12 )

Non si illudano di poter stare sull'aia con il frumento di Dio, perché non saranno riposti insieme ad esso nel granaio, ma sono destinati al fuoco loro dovuto. ( Mt 3,12; Mt 13,30 )

Inoltre vi sono altre persone spinte a diventare cristiane da una speranza certamente migliore e che, nondimeno, corrono un non minore pericolo: esse hanno già il timor di Dio e non deridono il nome cristiano, né entrano a far parte della Chiesa di Dio con ipocrisia; tuttavia attendono la felicità in questa vita, così da essere negli affari terreni più felici di coloro che non onorano Dio.

Per questo motivo, quando vedono che certi tipi scellerati ed empi primeggiano e posseggono in abbondanza la prosperità mondana e che loro, al contrario, ne godono in misura minore o l'hanno persa del tutto, ne restano turbati, come se onorassero Dio invano, e facilmente si allontanano dalla fede.

17.27 - Altri vogliono diventare cristiani per entrare nel regno eterno con Cristo: costoro sono realmente cristiani

Chi invece, a motivo della beatitudine sempiterna e della pace perpetua ( Eb 4,10; Ap 14,13 ) promessa ai santi dopo questa vita, ha intenzione di diventare cristiano, per non andare nel fuoco eterno con il diavolo, ma per entrare nel regno eterno ( Mt 25, 34. 41.46 ) con Cristo, questi è realmente cristiano.

Guardingo in ogni tentazione, per non essere corrotto dalla prosperità, per non essere fiaccato dalle avversità, misurato e temperante nell'abbondanza dei beni terreni, forte e paziente nelle tribolazioni. ( Rm 12,12 )

Chi inoltre col progredire giunga a possedere una tale disposizione d'animo tanto da avere un amore per Dio più grande del timore della gehenna, se anche Dio gli dicesse: " Godi per sempre dei piaceri della carne e pecca quanto puoi; non morrai, né sarai mandato nella gehenna, ma semplicemente non sarai con me ", rabbrividirebbe e si asterrebbe del tutto dal commettere peccato, non già per non incorrere in ciò che temeva, ma per non offendere Colui che egli tanto ama: Colui nel quale solo è la pace che occhio non ha visto né orecchio udito, ( Is 64,3 ) e quella pace che non è scaturita dal cuore dell'uomo e che è stata preparata da Dio per coloro che lo amano. ( 1 Cor 2,9 )

17.28 - La pace di Dio e dei suoi santi nel settimo giorno

Ad essa allude la Scrittura, non tacendo che, dall'inizio del mondo quando Dio creò il cielo, la terra e tutte le cose che sono in essi, operò per sei giorni, e il settimo riposò. ( Gen 1,1; Gen 2,1-3 )

Egli, l'Onnipotente, di fatto avrebbe potuto creare tutto in un solo istante.

E certo non aveva lavorato da doversi riposare, poiché: Egli disse e le cose furono fatte: comandò e furono create; ( Sal 33,9; Sal 148,5 ) ciò per significare che, dopo le sei età di questo mondo, nella settima età, come nel settimo giorno, egli riposerà nei suoi santi. ( Eb 4,10; Ap 14,13 )

Perché questi riposeranno in lui dopo aver compiuto ogni opera buona in cui lo hanno servito e che egli stesso ha operato in loro, egli che chiama e comanda, rimette le colpe passate ( Sal 32,1 ) e rende giusto chi prima era empio. ( Rm 4,5 )

Come, quando l'uomo opera il bene in virtù della sua grazia, si dice giustamente che è Dio ad operare, così, quando riposano in lui, giustamente si dice che è lui a riposare.

Del resto, per quel che lo riguarda, egli non cerca riposo, perché non avverte fatica.

Ha creato tutte le cose mediante il suo Verbo: ( Gv 1,3 ) e il suo Verbo è Cristo stesso, in cui riposano gli angeli e tutti i purissimi spiriti celesti in un santo silenzio.

Ma l'uomo, caduto a causa del peccato, ha perduto la pace che aveva nella divinità del Verbo, ma l'ha riacquistata nella sua umanità.

Per questo, nel tempo opportuno in cui il Verbo sapeva che occorreva accadesse, si è fatto uomo ed è nato da donna. ( Gal 4,4 )

Certo il Verbo non poteva essere contaminato dalla carne, lui che piuttosto doveva purificarla.

I santi dell'evo antico conobbero e profetarono nella rivelazione dello Spirito che egli sarebbe venuto. ( 1 Pt 1,10 )

E così furono salvati credendo che sarebbe venuto, come noi siamo fatti salvi credendo che è venuto: affinché amassimo Dio che ci ha amato a tal punto da mandare a morire, per mano di peccatori e per i peccatori, il suo unico Figlio, ( Gv 3,16; 1 Gv 4,10 ) rivestitosi della nostra umile condizione di mortali. ( Fil 2,7-8 )

Infatti, da sempre fin dall'inizio dei secoli, la sublimità di questo mistero non cessa di essere prefigurata e preannunciata.

18.29 - La creazione del cosmo e dell'uomo

Perché Dio onnipotente, buono, giusto e misericordioso, ( Sal 115,5 ) che creò buone tutte le cose, ( Gen 1,1ss ) le grandi e le piccole, le più elevate e le più umili; le cose visibili, come il cielo, la terra, il mare, e nel cielo il sole e la luna e gli altri astri, sulla terra poi e nel mare gli alberi e gli arbusti, gli animali di ogni specie e tutti i corpi viventi nel cielo e sulla terra; e le cose invisibili, come il soffio vitale dal quale i corpi ricevono vita e vigore; Dio creò pure l'uomo a sua immagine, affinché, come egli con la sua onnipotenza è a capo dell'intera creazione, così l'uomo, con l'intelligenza, tramite cui è in grado di conoscere e venerare anche il suo Creatore, sovrastasse tutti gli animali della terra.

Poi creò la donna perché aiutasse l'uomo: ( Gen 2,18 ) non la creò in vista della concupiscenza della carne - dal momento che essi a quel tempo, prima che la mortalità, castigo derivante dal peccato, si impossessasse di loro, non avevano corpi corruttibili -; ma la creò perché l'uomo avesse gloria ogni qualvolta la precedesse nel cammino verso Dio e le si offrisse come modello nella santità e nella pietà; così come l'uomo fosse motivo di gloria per Dio, ( 1 Cor 11,7 ) ogni qualvolta si conformasse alla sua sapienza.

18.30 - Il paradiso e il peccato dell'uomo

Pertanto, Dio li pose in un luogo di beatitudine perpetua, che la Scrittura chiama paradiso. ( Gen 2, 8. 16.17 )

Diede loro un comandamento: se non lo avessero trasgredito sarebbero rimasti sempre in quella immortale beatitudine; al contrario, se lo avessero trasgredito avrebbero scontato il castigo della mortalità.

Dio, d'altra parte, prevedeva la loro trasgressione; nondimeno, poiché egli è Creatore e autore di ogni bene, tanto più volle creare l'uomo e la donna dal momento che creò gli animali, per riempire la terra di beni terreni.

Senza dubbio l'uomo, anche se peccatore, è superiore agli animali.

Ma Dio volle piuttosto dar loro un comandamento ( che non avrebbero osservato ) perché fossero inescusabili, ( Rm 1,20 ) quando egli avesse cominciato a punirli.

Infatti qualunque cosa l'uomo faccia, trova che Dio è degno di lode ( Sal 48,2; Sal 96,4; Sal 144, 3.10 ) nei suoi atti.

Se opera rettamente lo trova degno di lode per l'equità della ricompensa; se pecca lo trova degno di lode per l'equità dei castighi; se, confessati i peccati, ritorna ad una retta condotta di vita, lo trova degno di lode per la misericordia del perdono.

Perché dunque Dio non avrebbe dovuto creare l'uomo, pur prevedendo che avrebbe peccato, dal momento che egli lo avrebbe premiato se fosse stato rimasto integro, lo avrebbe sottomesso al debito ordine se fosse caduto, lo avrebbe aiutato se si fosse risollevato, egli che è sempre e dovunque degno di gloria per la sua bontà, la sua giustizia, la sua clemenza?

Soprattutto Dio lo ha creato perché prevedeva che dalla progenie umana sarebbero nati pure i suoi santi: coloro che non avrebbero cercato la propria gloria, ( Gv 7,18 ) ma l'avrebbero tributata al loro Creatore e che, liberati da ogni corruzione, venerandolo, avrebbero meritato di vivere sempre e beatamente con gli angeli santi.

Infatti, colui che diede agli uomini il libero arbitrio perché lo venerassero non per vincolo di servitù ma per libera volontà, lo diede anche agli angeli.

Perciò l'angelo che, con gli altri spiriti suoi seguaci, a causa della sua superbia ha desistito dall'obbedienza dovuta a Dio ed è divenuto diavolo, non ha nuociuto in nulla a Dio, ma ha nuociuto a se stesso.

Poiché Dio sa richiamare all'ordine le anime che lo abbandonano e dalla loro meritata sventura sa ricavare ornamento per le parti inferiori della sua creazione con leggi molto appropriate ed adatte derivanti dalla sua mirabile economia.

Pertanto il diavolo non ha nuociuto in nulla a Dio, per il fatto d'esser caduto egli stesso o d'aver trascinato l'uomo alla morte; ( Gen 3,1ss; 1 Tm 2,14 ) né per parte sua l'uomo ha sminuito in nulla la verità o la beatitudine del suo Creatore per aver dato volontariamente assenso alla sua donna, sedotta dal diavolo, a che si compisse ciò che Dio aveva proibito.

Tutti infatti sono stati condannati dalle giustissime leggi divine, rimanendo Dio nella sua gloria attraverso l'equità della punizione, l'uomo nell'ignominia attraverso la vergogna della pena: affinché l'uomo, allontanatosi dal Creatore e vinto, fosse sottomesso al diavolo, e il diavolo fosse dato per esser vinto all'uomo che sapesse volgersi di nuovo verso il Creatore.

In tal modo chi continuerà ad acconsentire al diavolo fino alla fine, andrà con lui verso il castigo eterno; chi invece si umilierà di fronte a Dio, e per sua grazia sarà in grado di vincere il diavolo, meriterà l'eterna ricompensa. ( Mt 25, 41.46 )

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