Contro l'avversario della Legge e dei Profeti

Indice

Libro I

11.14 - L'illuminazione interiore del cuore

Se costui crede di conoscere, contro i libri della Legge e dei Profeti, quello che dice di sapere, che cioè " il Dio supremo è lo splendore incomparabile della luce incomprensibile ", vorrei sapere da lui innanzi tutto di quale luce crede che il Dio sommo sia lo splendore: se crede cioè che Dio è la luce stessa e se intende il Padre come luce e come suo splendore il Figlio unigenito.

A proposito di questo Figlio, [ il nostro dottore ] ha riconosciuto che è il sommo Dio, e se pensa così lo approvo e lo lodo.

Ma il fatto che non creda che sia anche creatore del mondo colui che egli dice esser la luce della luce e lo splendore incomparabile della luce incomparabile, ciò lo disapprovo e condanno, poiché egli legge che il mondo fu fatto da lui ( Gv 1,10 ) là dove legge: Era nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 )

Non accetto le sue tesi anche supponendo che egli ignori le antiche Scritture divine, e ancor di più non le accetto e le detesto se, conoscendole, ha posto delle insidie per ingannare coloro che non conoscono ciò che vi sta scritto, cioè: Accostatevi a lui e sarete raggianti; ( Sal 34,5 ) e: I comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi; ( Sal 19,9 ) e, ancora: Conserva la luce ai miei occhi perché non mi sorprenda il sonno della morte. ( Sal 13,4 )

Infatti l'uomo, che è mortale, non chiedeva certo questo: di non morir mai nel corpo, né desiderava che il sonno non cadesse sopra i suoi occhi mortali.

Chiedeva piuttosto che gli venissero illuminati quegli occhi dei quali l'Apostolo dice: Possa illuminare gli occhi del vostro cuore. ( Ef 1,18 )

11.15 - Cristo, Figlio, giorno dal giorno, luce dalla luce, salvezza di Dio

Se poi non gli aggrada che la luce abbia preso inizio dalle tenebre - egli infatti critica questa tesi con parole di vanità ciarlatana -, perché non si rivolge allo stesso Apostolo, il quale scrivendo ai fedeli dice: Se un tempo eravate tenebra ora siete luce nel Signore? ( Ef 5,8 )

Chi ha fatto ciò, se non colui che, quando le tenebre erano sopra l'abisso, disse: Sia la luce! E la luce fu? ( Gen 1,3 )

La qual cosa lo stesso Apostolo l'ha formulata più chiaramente in un altro passaggio quando dice: Il Dio che disse che la luce doveva rifulgere dalle tenebre, la fece risplendere nei nostri cuori. ( 2 Cor 4,6 )

Ma se costui crede che non è attestato negli scritti profetici che il Figlio è luce dalla luce o lo splendore della luce, legga quello che nelle stesse Scritture si dice a proposito della Sapienza: Essa è il candore della luce eterna; ( Sap 7,26 ) o nel salmo profetico: Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra.

Cantate al Signore, benedite il suo nome; bene annunziate quel giorno che procede dal giorno che è la sua salvezza. ( Sal 96,1-2 )

In effetti cosa è il giorno che procede dal giorno se non il Figlio, luce che procede dalla luce?

E che legga nel Vangelo che la salvezza di Dio è Cristo, nelle parole del vecchio Simeone, quando questi lo riconobbe nelle braccia di sua madre, piccolo nella carne ma immenso nello spirito e, prendendolo nelle sue mani, disse: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza. ( Lc 2,29-30 )

12.16 - La formazione della luce

Se rispondesse che un conto è la luce di cui fu detto: Se un tempo eravate tenebra ora siete luce nel Signore ( Ef 5,8 ) ( perché questa è la luce spirituale della mente e non della carne ) e un altro conto, invece, quella di cui sta scritto: Sia la luce!

E la luce fu ( Gen 1,3 ) ( perché si riferisce agli occhi corporei ), dovrà innanzi tutto ammettere che dalla luce suprema, che è Dio stesso, è stato possibile fare qualsiasi luce, foss'anche minima, ma comunque buona.

Inoltre: come conosce costui la qualità e la quantità della luce? E, infine, se sia spirituale o corporea?

E che ne sa se gli uomini fedeli, che ora sono nel corpo in cammino lontani dal Signore ( 2 Cor 5,6 ) possono esser chiamati luce per merito della loro fede e non possono invece esser così chiamati gli Angeli, i quali vedono sempre il volto del Padre? ( Mt 18,10 )

Come fa a sapere che questa luce originariamente è stata creata?

Come fa a sapere in che modo in quella luce possa distinguersi un giorno e una sera? ( Gen 1,5 )

Come, infine, sia possibile che la luce fosse presente nei sei giorni in cui Dio creò e che Dio si sia riposato in essa il settimo giorno, per cui una certa struttura configurata [ sulla base ] dello stesso numero sette sia stata conferita ai giorni della settimana, a noi così noti, che si succedono secondo il corso del sole?

Ma se anche la luce fu creata corporea, come fa costui a sapere in che modo poté esistere prima del sole e del firmamento che poi venne chiamato cielo, ( Gen 1,8 ) se essa, essendo nelle regioni più elevate del mondo, è sottratta alla vista delle creature terrestri, per cui Dio solo poté dividerla dalle tenebre?

In realtà fu Dio a ordinare agli astri che vediamo, di separare queste tenebre che costituiscono la notte notissima, dalla luce, che costituisce il notissimo giorno. ( Gen 1,4-5.14-18 )

Chi dunque - sebbene ciò non sia motivo di indignazione ma piuttosto di riso - potrà tollerare che costui ci venga a suggerire che " le ore regolano il giorno, il sole però divide e determina le ore " e a volere che crediamo " che Mosè non conosceva queste cose e perciò nominò i giorni prima che il sole fosse fatto "? ( Gen 1,5 )

Ma che gli uomini si radunino pure per ascoltare il libro di costui e si chieda loro se sia più credibile che costui non conosca una certa qual luce e un certo qual giorno che Mosè conosceva, o che Mosè non conoscesse questa luce e questo giorno che sono noti non solo a costui, ma anche a quanti non ne intendono bene le sue parole.

13.17 - La formazione della terra

E cosa significa, poi, la domanda che non so quale perfetto ignorante ha posto " sul raccogliersi delle acque "?

E in verità non si tratta affatto di una domanda, ma di una critica riguardo a un'affermazione che " non sarebbe corretta ", e cioè: " Che le acque si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto, ( Gen 1,9 ) perché tutto era sostenuto dall'acqua ".

Costui ignora in che modo l'acqua si rarefaccia in vapori aerei ed occupi in forma di nube e caligine molto spazio e come, invece, se raccolta e condensata, ne occupi poco e non voli via come quando è vaporosa, ma, appesantita, ondeggi.

Cosa c'è dunque di strano se, quando era vaporosa copriva la terra e dopo essersi condensata la lasciò allo scoperto?

Che cosa c'è di strano se, pure per volontà divina, la terra si sistemò in basso in grandi bacini, e così ciò che copriva tutta la sua superficie mentre stava nello stato nebuloso e umido, al riunirsi nei siti concavi, si ritirò da tutte le altre parti e lasciò scoperto ciò che prima teneva coperto?

E che cosa c'è di strano nel fatto che fosse riunita nelle profondità abissali dove il mare fluisce e rifluisce, lasciando scoperte le sue parti più alte perché apparisse la terra?

Non mi dilungo poi sul fatto che si può intendere che con il termine acqua ( o abisso ) è accennata quella materia informe che ha assunto la natura di due degli elementi pesanti, l'acqua e la terra; per cui si dice: che le acque si raccolgano, poiché all'acqua era stata data una forma fluida e mobile; appaia l'asciutto poiché la terra venne fissata e resa immobile.

In verità ciò che il profeta autore di questo libro [ Genesi ] intende maggiormente, e cioè che la sua narrazione delle cose reali sia anche una prefigurazione delle cose future, non può esser compreso mediante interpretazioni polemiche ed empie.

In ogni caso le vie d'uscita che si offrono a coloro che cercano piamente la verità sono tante e tali che non si deve mettere in discussione con faciloneria una simile autorità [ lo scrittore sacro ].

Per quale ragione dunque, se non per una istigazione diabolica, l'avversario preferisce trattare con insolenza cose che non è in grado di indagare?

14.18 - La conoscenza del bene e del male

Il fatto che, cieco e ingrato, inveisca contro " Dio creatore dell'uomo ", e osi dire a colui che lo ha fatto: " Perché mi hai fatto così? ", ignorando completamente come è stato fatto, è impudenza di una mente molto sconsiderata.

Se poi a questi vasi dell'ira si permette di strombazzare cose come queste, è perché facciano uscire dal sonno della negligenza i vasi di misericordia ( Rm 9,20-23 ) e questi, nell'intento di rispondere alle ingiurie pestifere, ricorrono alla medicina delle parole di salvezza.

Ecco, costui critica " il Creatore dell'uomo per aver proibito, all'uomo, di prendere il cibo della conoscenza del bene e del male, ( Gen 2,17 ) come se avesse voluto renderlo uguale alle bestie che non sanno discernere le due cose, e, pur avendogli dato il dominio sulle bestie ", ( Gen 1,26 ) gli avesse negato solo quella prerogativa per la quale egli è superiore alle bestie.

Come è necessario per vivere bene il renderci conto che alcune cose le impariamo a nostra infelicità, altre invece ignoriamo a nostra maggiore felicità!

Infatti quanto saremmo più felici se non conoscessimo le infermità e i dolori?

E se il medico ci proibisse un alimento, perché sa che mangiandolo ci ammaleremmo, giustamente per questa ragione egli potrebbe chiamare tale cibo il cibo della conoscenza della salute e della malattia, perché per mezzo suo l'uomo, al sentirsi infermo, conoscerebbe per propria esperienza che differenza c'è tra un'infermità contratta e la buona salute persa.

Certamente sarebbe stato molto meglio per noi credere e obbedire al medico e così rimanere nella buona salute, che invece è andata persa, piuttosto che subire la propria infermità avendone fatto l'esperienza.

Ma diremo allora che per invidia il medico ci nascondeva in questo modo una simile scienza?

Chi dubita che il peccato sia un male? Eppure del Signore Gesù Cristo sta scritto come lode, che non aveva conosciuto peccato. ( 2 Cor 5,21 )

Non aveva conosciuto il male e per questo non aveva quella conoscenza del bene e del male che fu proibita ad Adamo.

Qui però ci si potrebbe chiedere: Come poteva condannare ciò che non conosceva?

Egli infatti non mancava di condannare i peccati.

Ora: Tutto ciò che viene condannato - così dice l'Apostolo - è rivelato dalla luce. ( Ef 5,13 )

Come può dunque essere ignorato da colui che lo sta condannando?

Ma non sarà più che giusto rispondergli che lo conosceva e che non lo conosceva?

Esattamente: lo conosceva per via della sapienza e non lo conosceva mediante l'esperienza.

Adamo avrebbe dovuto credere alla sapienza divina perché, obbedendo al precetto di Dio, si sarebbe tenuto lontano da quella scienza del male che si acquisisce mediante l'esperienza.

In questo modo, se non lo avesse fatto, avrebbe ignorato il male.

Facendolo, fece del male a se stesso e non a Dio.

In effetti egli non poté fare nulla con volontà disobbediente, che poi non avrebbe scontato soffrendo per la legge della giustizia.

In conseguenza il castigo che l'uomo disobbediente riceve in se medesimo è tale che egli a sua volta non è obbedito nemmeno da se stesso.

Tema, questo, che ho già sviluppato ampiamente in altri luoghi, soprattutto nel libro quattordicesimo della Città di Dio.

14.19 - L'obbedienza, origine e madre di tutte le virtù

Ora risponderò brevemente a ciò che costui dice, che cioè " il Creatore dell'uomo privò di un gran bene colui che aveva fatto volendo che fosse simile agli animali, senza la conoscenza del bene e del male ". ( Gen 2,9 )

Tale conoscenza non è però la sapienza dell'uomo felice, ma l'esperienza dell'uomo miserabile: e se quell'albero prese il nome dal frutto di cui all'uomo era proibito mangiare, fu per sottolineare come l'obbedienza sia la virtù principale e, per così dire, origine e madre di tutte le virtù proprio di quella natura a cui Dio aveva dato il libero arbitrio della volontà, condizionandolo però alla necessità di vivere sottomesso al potere più grande.

Non sono però mancati alcuni che hanno preso questo discernimento del bene e del male come un grande privilegio, del quale però non furono degni coloro che peccarono per disobbedienza impadronendosi di questa conoscenza contro la proibizione.

14.20 - La volontà libera, giustizia e grazia

A coloro che ritengono che il Creatore avrebbe dovuto fare l'uomo incapace di voler peccare, non dia fastidio che lo abbia fatto capace di non peccare se non vuole farlo.

Se infatti sarebbe stato meglio che non avesse potuto peccare, non è tuttavia ben fatto, per lo stesso motivo, colui che può anche non peccare?

O fino a che punto si deve esser folli per pensare che l'uomo vede che un qualche cosa avrebbe dovuto esser fatto in modo migliore e Dio non l'abbia visto oppure per pensare che Dio l'abbia visto, e credere che non l'abbia voluto fare, o che l'abbia anche voluto fare, ma non abbia potuto farlo?

Che Dio allontani simili pensieri dai cuori dei pii! Se poi la ragione retta dimostra che la creatura razionale che non abbandona Dio, disobbedendo, è migliore di quella che l'ha così abbandonato, sappia, chi ha capito ciò, che la creatura che non l'ha mai abbandonato non mancherà dei beni celesti e che quest'altra nessuno l'ha fatta in modo che ci sia una qualche necessità che la obblighi ad abbandonare Dio.

E il fatto che qualcuno abbia abbandonato Dio per volontà propria, non ha compromesso in nulla le disposizioni sapientissime di Dio, che usa bene i cattivi così come anche in modo giusto i perversi.

E di tutto il genere umano, condannato a ragione e con giustizia, egli afferma che si è formato una famiglia santa e numerosa, non per i meriti di lei, ma per la sua grazia, che da lui stesso sarà condotta al regno eterno. ( Col 1,13; Gv 4,24; 1 Gv 3,14 )

14.21 - La prescienza e la bontà di Dio

Stando così le cose, Dio non doveva occultare l'albero della conoscenza del bene e del male, ( Gen 2,9 ) che chiamò così perché l'uomo, a causa della miseria che gli avrebbe provocato il toccarlo contro la proibizione divina, avrebbe conosciuto da quale bene era decaduto e in quale male era precipitato.

Perché poi Dio avrebbe dovuto occultare una cosa riguardo alla quale impartiva un ordine e riguardo alla quale inculcava l'obbedienza?

Non ignorava che l'uomo avrebbe peccato, ma, allo stesso tempo, conosceva in anticipo, nella sua somma divinità, anche quale giustizia e quale bontà egli avrebbe avuto in serbo per il peccatore.

Né comandò una cosa nociva se l'uomo non avesse voluto riceverne nocumento, ma piuttosto una cosa vantaggiosa: che cioè egli non fosse obbediente senza una buona ricompensa e non andasse incontro alle pene della disobbedienza senza che i suoi santi discendenti avessero sott'occhio un buon esempio che li esortasse all'obbedienza.

Né Dio volle una cosa impossibile: volle infatti che l'uomo fosse obbediente, o che, se disobbediente, non restasse senza punizione.

Né volle che restasse senza conseguenza l'eventualità che l'uomo non rispettasse ciò che gli è stato ordinato, in quanto il castigo del prevaricatore avrebbe insegnato agli altri l'obbedienza.

Né, nell'uomo, fu una parte di Dio ad opporre resistenza a Dio perché, se l'anima dell'uomo fosse stata una parte di Dio, essa non avrebbe potuto in alcun modo né venir ingannata da se stessa né da altri, né venir obbligata da qualsivoglia necessità a fare qualche cosa di male o a subirlo, né venir cambiata in qualche cosa di meglio o di peggio.

14.22 - L'anima creata dal nulla

Quell'alito di Dio che diede la vita all'uomo fu fatto da lui ma non deriva da lui stesso.

Il respiro dell'uomo non è parte dell'uomo, né l'uomo lo ha fatto da sé; esso viene dal soffio d'aria inspirato ed espirato.

Dio poté trarlo dal nulla e in modo tale che fosse dotato di vita e di razionalità, cosa che l'uomo non può.

Tuttavia alcuni credono che il primo uomo non venne dotato d'anima quando Dio soffiò sul suo volto e lo rese un animale vivente, ( Gen 2,7 ) ma soltanto quando ebbe ricevuto lo Spirito Santo.

Un'indagine volta ad accertare quale di queste tesi sia la più verosimile ci condurrebbe troppo lontano.

Ciò di cui non si può dubitare è che l'anima non è una parte di Dio, che non è stata creata o prodotta dalla sua sostanza e natura ma è stata creata dal nulla.

15.23 - Interpretazione falsa

Non è vero quanto afferma quel blasfemo: " Il serpente si trova in una situazione migliore rispetto a quella di Dio perché ebbe la prerogativa di ingannare l'uomo creato da Dio ". ( Gen 3,1-6 )

L'uomo infatti non sarebbe stato tratto in inganno in nessun modo se nella superbia del suo cuore non si fosse allontanato da Dio.

È proprio vera, giacché divina, la sentenza che recita: prima della rovina viene l'orgoglio del cuore. ( Pr 16,18 )

E quando l'uomo si inorgoglisce contro Dio allora è abbandonato da lui e cade nelle tenebre. ( Rm 1,21 )

E cosa vi è di strano nel fatto che stando nelle tenebre ignori ciò che succederà, dato che egli non è luce a se stesso, ma è illuminato da lui? ( Gv 1,9 )

Che Dio sia sempre invincibile ( Sir 18,1 ) lo dimostra anche l'uomo vinto, perché non sarebbe stato vinto se non si fosse allontanato dall'invincibile.

E in che modo mai potrebbe esser vincitore colui che ha ingannato l'uomo quando egli stesso si è ingannato da solo?

Dunque tanto colui che inganna come anche colui che è ingannato, si ingannano nell'allontanarsi da colui che non può essere ingannato e sono vinti nell'allontanarsi da colui che non può esser vinto.

E così, chi più si allontana da Dio di più è vinto, perché è tanto peggiore quanto più è lontano.

Pertanto colui che, per aver causato il male di qualcun altro, sembra che vinca, in verità necessariamente è vinto ancor più radicalmente per aver perso il bene, e non è possibile che si trovi in una condizione migliore quando la sua situazione è peggiore.

Sebbene quindi a tutta prima sembri che il diavolo abbia avuto la meglio per aver vinto l'uomo, fu invece il diavolo stesso ad esser vinto per sempre perché l'uomo è stato redento. ( Ap 20,2 )

Quelle che seguono non sono parole di un Dio che si dichiara vinto, ma piuttosto di un Dio che ironizza: Ecco, Adamo è diventato come uno di noi. ( Gen 3,22 )

Così anche quelle dell'Apostolo là dove dice: Perdonatemi questa ingiustizia. ( 2 Cor 12,13 )

Tutto ciò va inteso come un'antifrasi: però ad interpretarlo dev'esserci un predicatore istruito e non un calunniatore ignorante.

15.24 - L'albero della vita

In verità, a chi reca dispiacere il peccatore cui fu proibito l'albero della vita, se non a chi vuol vivere impunemente in malo modo?

Né sarebbe stata grande cosa per Dio sottrarre in qualche altro modo la vita all'uomo se non avesse voluto che vivesse, ma poiché le anime razionali vivono della sapienza e la loro morte è la stoltezza, per significare ciò l'albero della vita nel paradiso, con il suo frutto, non avrebbe dovuto permettere all'uomo di morire nemmeno con il corpo.

Ed è ben chiaro che una volta cacciato di lì l'uomo fu posto in balia della morte per il suo consumarsi con l'età, ( Gb 13,28 ) il che non gli sarebbe mai successo se avesse mangiato sempre di quel cibo.

Ciò significa che antecedentemente la sua anima era separata dall'albero spirituale della vita a causa del peccato, ed era già morta di una sua certa morte interiore.

In effetti sta scritto della sapienza: È un albero di vita per chi ad essa si stringe. ( Pr 3,18 )

Ecco ciò che costui dice senza capire: " Fino a qual punto prima della maledizione avrebbe potuto vivere perpetuamente l'uomo immortale che non avesse mangiato il cibo di questo albero? ".

Come se qualcuno gli avesse detto, o quasi che avesse letto da qualche parte in quel libro, che Adamo non ha mangiato dell'albero della vita!

Al contrario, si deve piuttosto intendere che da lì gli proveniva una vita perpetua per il corpo che gli avrebbe concesso di non venir consumato dall'invecchiamento dell'età.

Per questo gli si proibì di mangiarne, perché come castigo per il peccato da allora fosse in lui la necessità della morte.

15.25 - Il simbolo della sapienza

Quello domanda: " In che modo [ l'uomo ] cominciò a morire per una maledizione di Dio se la vita stessa non aveva mai avuto principio da lui? ".

Quasi che Dio gli avesse augurato la morte come fa un uomo con un altro uomo!

Come se le parole di Dio non fossero espressione della sentenza di uno che castiga, ma dell'ira di uno che maledice.

Castigare con la morte corporea consistette nel separare Adamo dall'albero della vita, dopo che egli era già morto spiritualmente per essersi separato con l'anima dall'alimento della sapienza.

In questo modo Dio, nel separarlo dall'albero della vita, simbolo della sapienza, voleva significare cosa fosse ciò che gli era già accaduto nell'anima.

15.26 - Cristo è l'albero della vita

" Ma ", domanda ancora " questo albero che in paradiso dava i frutti della vita, a chi giovava? ".

A chi se non a quei primi esseri umani, maschio e femmina, che erano stati posti nel paradiso? ( Gen 2,5; Gen 2,22 )

Quindi, una volta che questi furono cacciati dal paradiso a causa della loro iniquità, esso rimase a simboleggiare l'albero spirituale della vita ovvero, come abbiamo detto, la stessa sapienza, cibo immutabile delle anime beate.

Se poi ora ci sia qualcuno che mangi di questo frutto, questi potrebbero essere Enoch ed Elia, ( Gen 5,21-24; 1 Re 17; 2 Re 2 ) ma non oso assicurarlo.

Se le anime dei beati non si alimentassero di questo albero della vita che sta nel paradiso spirituale non leggeremmo che, come ricompensa per la devozione e per la sincera confessione, all'anima del ladrone che credette in Cristo fu concesso il paradiso il giorno stesso della sua morte: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. ( Lc 23,43 )

E stare là con Cristo significa stare là con l'albero della vita.

Egli infatti è la Sapienza di cui, come sopra abbiamo ricordato, sta scritto: È un albero di vita per chi ad esso si stringe. ( Pr 3,18 )

16.27 - Bontà e severità di Dio

Si dovrà forse anche confutare ciò che costui irride, con acume, com'egli pensa?

In primo luogo che " Dio non sapesse prima ciò che sarebbe accaduto dopo ".

In secondo luogo " che non poté compiere quanto aveva progettato con grandi aspettative ".

In terzo luogo, poi, " che vedendosi superato, ricorse alla maledizione ".

Come fa costui a sapere che Dio non conosceva già in anticipo ciò che sarebbe successo in seguito?

Forse perché è appunto successo? Senza dubbio, di ciò che non è successo Dio non ha conosciuto in nessuno modo in anticipo il futuro, perché appunto non sarebbe avvenuto.

O crede che per questo non lo seppe in anticipo, perché, avendolo saputo, avrebbe preso dei rimedi affinché non accadesse?

La stessa cosa si può dire di Cristo quando diede un talento all'uomo che non avrebbe prodotto nulla. ( Mt 25,14-18 )

Infatti gli aveva dato il denaro precisamente per questo, perché facesse aumentare la sua ricchezza, qualunque ne sia il significato.

Accadde invece che quel servo per la sua pigrizia non guadagnò nulla.

Forse colui che diede i soldi non previde tutto ciò in anticipo?

Si potrebbe anche dire che Cristo non riuscì ad ottenere da quel guadagno ciò che aveva progettato con grandi aspettative.

E si potrebbe dire, quanto al terzo punto, che, " vedendosi superato, ricorse alla maledizione ", perché disse: Legategli mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre. ( Mt 25,30 )

Allo stesso modo fu detto di Adamo che, separato dall'albero della vita, venne punito con la morte del corpo. ( Gen 3,24-19 )

A questo uomo così eloquente la maledizione dell'inadempiente sembra una tirannia da parte del potente.

Che chiami dunque Cristo impotente perché non riuscì a fare ciò che voleva per ottenere il guadagno spirituale; che lo chiami geloso e malvagio perché ha negato la luce e la salvezza a quel suo servo che relegò nelle tenebre dove è pianto e stridor di denti. ( Gen 25,30 )

Se dunque di Cristo non osa dir ciò, per non indicare in questo modo che non è cristiano, perché osa dire del Creatore dell'uomo e del Giudice giusto del peccato ciò che non osa dire del Redentore dell'uomo, ( Sal 19,15 ) che è, egli stesso, vendicatore mediante il castigo della morte eterna per quanti disdegnano i suoi precetti?

Perché contro chi altri se non contro Cristo questo ignorante lancia tali ingiurie, dato che egli ha detto: Se credeste a Mosè crederete anche a me, perché di me egli ha scritto? ( Gv 5,46 )

Infatti che cos'è ciò che il Padre fece o che mai farà senza il Figlio?

Quindi, se la sacra Scrittura per la nostra salvezza esalta non solo la bontà ma anche la severità di Dio, perché Dio è utilmente tanto amato quanto temuto (per cui l'Apostolo nello stesso passo ricorda entrambe le cose quando dice: Considera dunque la bontà e la severità di Dio ( Rm 11,22 ) ), come mai questo folle e avventato, mentre si vanta di esser cristiano, disapprova nel Dio dei Profeti quanto riscontra anche nel Dio degli Apostoli?

Infatti il Dio di questi e di quelli è lo stesso.

16.28 - Il castigo di Dio

Ritorniamo a riflettere su quanto ho ricordato riguardo a quel servo pigro che la severità di Dio inviò nelle tenebre esteriori. ( Mt 25,30 )

Non per questo però si può definire Dio incapace di prevedere le cose future per il fatto di avergli affidato il suo denaro, né impotente perché, per far sì che le cose andassero a dovere, non ha egli stesso guidato gli eventi ma ha soltanto corretto il servo, né geloso e malizioso perché, separandolo dalla luce, lo ha inviato nelle tenebre.

Il lettore credente deve sapere che questo riguarda tutti i castighi degli uomini che nei Libri dei Profeti si legge vengono inflitti ai peccatori.

Questo vale anche per il diluvio. Il Signore Gesù infatti ha preannunciato che alla sua venuta sarebbe seguito qualche cosa di simile quando ha detto: Come avvenne al tempo di Noè, così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano; piantavano, costruivano, si ammogliavano e si maritavano: venne il diluvio e perirono tutti. ( Lc 17,26-27 )

Così anche a proposito della durezza di cuore del faraone. ( Es 7,13 )

Infatti gli scritti del Nuovo Testamento non tralasciano di dire, di certuni: Dio li ha abbandonati in balia di una mente depravata, sicché commettono ciò che è indegno. ( Rm 1,28 )

Lo stesso vale per lo spirito mendace che Dio, il quale si serve anche dei cattivi per un fin di bene, inviò con giudizio giustissimo per ingannare un re empio, come il profeta Michea afferma che gli venne mostrato in visione. ( 1 Re 22,19-23 )

E altrettanto l'apostolo Paolo, il quale sapendo di dire cosa verissima, non ebbe delle reticenze nell'affermare: Dio invierà loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità. ( 2 Ts 2,11-12 )

Questo [ vale anche ] per l'operato di Mosè, a cui Dio disse: Prendi tutti i capi dei popoli e sacrificali al Signore volgendoti al sole, ( Nm 25,4 ) cioè pubblicamente, alla luce del giorno.

Vale anche per il modo come Mosè li punì per l'idolo che si erano fatto: egli uccise di spada gli empi perché nessuno avesse a risparmiare il suo prossimo. ( Es 32,25-28 )

D'altra parte nemmeno il Signore Gesù tralasciò di dire: E quei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli avanti a me. ( Lc 19,27 )

Dove, in verità, ci si riferisce alla morte delle anime, che deve essere temuta e rifuggita dai fedeli più di quella del corpo.

Per questo lo stesso Signore dice: E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di far perire l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire l'anima e il corpo nella Geenna. ( Mt 10,28 )

16.29 - La misericordia di Dio

Se qualcuno riflette con mente colma di fede comprenderà come una qualsivoglia strage, per quanto enorme, e un fiume di sangue sgorgato da corpi mortali - che in qualche modo prima o poi debbono morire - siano meno gravi di quel genere di morte che invia le anime all'inferno.

Costui, con l'esagerare queste stragi e descrivendole con pomposità retorica per offendere Dio, che castigava con tali morti coloro per i quali tale terrore sarebbe stato benefico, vuole incutere terrore alla mente dei mortali e pensa di ottenere un qualche risultato, per cui, " tirando calci contro la frusta ",1 mentre accusa la provvidenza divina della morte della carne, per la morte del cuore viene gettato nella Geenna.

Chi infatti, uomo o donna, non preferirebbe a ciò il venir trucidato, fosse anche nel modo in cui il sacerdote Finees uccise i fornicatori nell'abbraccio della loro nefanda voluttuosità, ( Nm 25,8 ) divenendo esempio di castigo contro l'esecranda libidine, e per questo piacque sommamente a Dio?

Chi, dico, non preferirebbe patire una simile morte o venir consumato dal peggior fuoco, o esser dilaniato dai morsi delle belve nelle stesse parti intime, piuttosto che venir cacciato nella Geenna del fuoco eterno? ( Mt 25,41 )

Ma perché dunque il Dio dei Cristiani castiga con tali morti i peccatori, in modo tale che dopo la morte transitoria del corpo viene il supplizio eterno nell'inferno, se non perché è unico il Dio dell'uno e dell'altro Testamento?

In verità gli stessi Giudei potrebbero dire contro l'empietà di costui, che per quanto si vogliano accumulare guerre, stragi, ferite, uccisioni e sangue, hanno un Dio incomparabilmente più mite del nostro in quanto punisce più mitemente con la morte transitoria dei corpi e non con le fiamme perpetue della Geenna.

16.30 - La giustizia di Dio

Sembra a costui " che il Dio della Legge e dei Profeti ", che è il Dio unico e vero, " debba essere accusato di crudeltà, perché infligge la pena della morte corporale per motivi lievissimi, anzi per motivi che dovrebbero far arrossire; ad esempio perché Davide aveva fatto il censimento del popolo; ( 2 Sam 24 ) o perché i fanciulli ", come dice costui, " figli del sacerdote Eli, avevano consumato qualcosa preso dalle pentole o dai piatti preparati per Dio ". ( 1 Sam 2,12-17 )

Non mi metto a discutere a questo proposito di quale grande e subdolo peccato di arroganza si macchiò quell'uomo, pure così santo, nel voler censire il popolo di Dio; comunque fu punito con le morti non eterne di coloro per il cui gran numero si era inorgoglito, morti che sarebbero comunque avvenute presto e velocemente si sarebbero esaurite a motivo della condizione umana.

Così non affermo che quei figli di Eli non fossero fanciulli, come asserisce costui senza sapere quello che dice, ma erano certo in un'età in cui li si può e deve punire con una pena appropriata per il sacrilegio commesso nell'anteporre se stessi nei sacrifici offerti al Signore Dio.

Dio vendicò questa mancanza anche con una guerra e, con ciò, non ebbe cura di se stesso ma del popolo a cui avrebbe giovato la religione e la pietà: infatti i vincitori avrebbero potuto accrescere il proprio timor di Dio mediante la morte di coloro che, se anche fossero diventati vecchi, comunque non sarebbero morti molto tempo dopo.

Anche di altri leggiamo che sono morti di morte corporale non a causa dei propri peccati, ma dei peccati altrui. ( 1 Sam 2-4 )

Qui è più dolorosa la piaga nel cuore di coloro che vivono, che non il castigo di quanti muoiono per il disfarsi della carne!

E le anime che lasciano i corpi hanno in sé i motivi delle proprie responsabilità, buone o cattive, ma non ne sono gravate perché spogliate [ del corpo ]; quanto invece alla morte dell'anima, nessuno paga per le colpe dell'altro.

Ora io chiedo: quanto crede che sia grave, costui, il peccato di quell'uomo che nel banchetto nuziale fu trovato senza l'abito nuziale? ( Mt 22,11 )

Credo che, se valutiamo in base ai criteri umani, in un simile frangente a quel tale sarebbe potuto bastare vergognarsi un poco e l'indignazione del padrone di casa sarebbe potuta giungere, al massimo, al punto di indurre l'ospite a cambiarsi; e tuttavia sta scritto: legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridor di denti. ( Mt 22,13 )

Ma risponderà: ciò vuol dire che la colpa di non aver indossato l'abito della festa non è piccola, perché le cose piccole sono segno delle cose grandi.

Così dunque anche i sacrifici visibili, pur essendo da poco per le cose terrene, sono segno di cose grandi e divine e, quanto ad esse, i figli del sacerdote hanno anteposto se stessi allo stesso Dio, l'onore del quale va considerato nei sacrifici.

Il commensale invece non ha anteposto se stesso allo sposo, ma non è stato rispettoso soltanto perché non indossava un abito da cerimonia nuziale.

Certo che se costui nota la differenza tra le pene con cui l'uno e l'altro sono stati puniti, dovrebbe pure comprendere come quest'ultima pena superi in modo incommensurabile l'altra, ammesso che egli anteponga le cose spirituali ed eterne a quelle corporali e caduche.

16.31 - L'identità di Dio nei due Testamenti

Ma che necessità vi è di voler introdurre a tutti i costi il discorso, non adatto ai sensi della carne, dei significati mistici dei sacrifici e dell'abito nuziale?

Parliamo di ciò che è più manifesto: quando il Signore paragona il Vangelo con la Legge antica e afferma che quanto gli uomini avevano appreso in precedenza non è falso, ma quanto egli insegna è più perfetto, dice: Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; e chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.

Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio.

Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. ( Mt 5,21-22 )

Quale tra i peccati è così piccolo come dire al proprio fratello: pazzo? E quale tra i castighi è più grande del fuoco dell'inferno?

Se costui avesse trovato nella Legge e nei Profeti qualcuno che avesse detto a suo fratello: pazzo, e fosse stato condannato a venir lapidato per volontà di Dio, quanta crudeltà avrebbe attribuito a Dio?

E chi non avrebbe preferito, non solo venir lapidato, ma venir dilaniato e consumato, ancora in vita e in pienezza dei sensi, membra dopo membra, anzi pezzo per pezzo a poco a poco e lentamente, piuttosto che venir assoggettato al fuoco della Geenna?

Che non avvenga che qualcuno dica che il Dio del Vangelo è più crudele del Dio della Legge argomentando che il Dio dei due Testamenti è uno e lo stesso, però minaccia nella Legge con pene carnali e nel Vangelo con supplizi spirituali.

Tanto in quello come in questo egli è fedele, ma in nessuno dei due crudele.

16.32 - La relazione tra la colpa e la pena

E che cosa dire di quest'altro caso? Se uno incontrasse una lingua nemica di Cristo e blasfema, meritevole di condanna proprio come quella di costui per la sua empia loquacità, non verrebbe sconvolto in modo ancor più grave e amaro di quanto non lo sia costui, indignato per il fatto che il sacrilegio della violazione delle cibarie offerte a Dio sia stato punito con una pena carnale e temporale?

Infatti il Signore minaccia di venire e dire alla gente posta alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli. ( Mt 25,41 )

Cerchi il motivo di un supplizio così crudele? Ho avuto fame, disse, e non mi avete dato da mangiare. ( Mt 25,42 )

Ecco come per un alimento temporale non perché rubato ma soltanto perché non è stato dato, viene comminato un supplizio eterno e orrendo.

E a ragione, se consulti la verità. In verità è pochissimo ciò che si dà in elemosina, ma quando si dona con cuore pio si acquista un merito eterno.

E inoltre poiché ciò che si dà è poco, è grande mancanza di pietà tralasciare di darlo.

Per cui non ci si deve stupire che stia pronto per così grande sterilità, come per quella di alberi che non danno frutto, il supplizio del fuoco eterno.

Se poi discuti con un uomo perché ti dia una risposta personale ( infatti ogni uomo è mentitore! ( Sal 116,11 ) ), allora quest'uomo tiene in poco conto la colpa ed evidenzia la pena: la prima infatti non la vede a causa del suo spirito carnale e la seconda l'ha in orrore proprio per la sua carne mortale.

Così fa costui con le pene corporali di tutti gli uomini che vengono puniti o castigati nel Vecchio Testamento molto più lievemente di quanto non si legga nel Vangelo.

Infatti quale diluvio può essere paragonato al fuoco eterno? Quale carneficina e quali ferite e quali morti corporali alle fiamme eterne?

E questo stolto lamenta con tanto strepito i ventiquattromila caduti ( Nm 25,9 ) come se ogni giorno non morissero su tutta la terra innumerevoli migliaia di persone.

Ma questa morte del corpo è transitoria e invece chi può calcolare quante migliaia di persone di tutte le Genti staranno alla sinistra, condannate al fuoco eterno?

16.33 - Il timore del castigo

Che vada pure gridando costui, con la bocca spalancata e gli occhi chiusi, " come se Dio avesse confessato la propria crudeltà per aver detto, mediante il profeta: Affilerò come folgore la mia spada, inebrierò di sangue le mie frecce, si pascerà di carne la mia spada e del sangue dei feriti ". ( Dt 32,41-42 )

Con queste parole costui accusa " Dio di essere sempre assetato di sangue umano ", come se Dio stesso avesse detto: " Mi inebrierò di sangue ", o: " Mi ciberò della carne e del sangue dei feriti ".

Ma per quanto questo oppositore vano e insensato inorridisca di fronte a quest'utile " minaccia divina quasi che sia avida di vedere gente colpevole e soddisfatta ", come egli stesso dice, " per pura crudeltà soltanto del male ", che cosa conta e quanto, tutto ciò, al confronto delle parole che dicono: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli? ( Mt 25,41 )

Lì le frecce non si inebrieranno di sangue, ma le fiamme non si sazieranno di tutte le membra dei dannati, né la spada divorerà le carni privando i morti della percezione del dolore più celermente di quanto non la infligga ai feriti; nessuno sarà sottratto alle pene, neppure morendo, per evitare che in colui che muore muoia contemporaneamente la stessa pena.

Perché costui qui non afferma: " Come si fa a dire che questo Dio deve essere venerato, e non piuttosto maledetto ed evitato "?

Forse ha però paura a dir ciò del Cristo, perché teme di non evitare il supplizio di quel fuoco eterno in cui egli si appresta ad inviare gli empi.

Ma allora questo sciagurato miserabile ignora che nel dire ciò del Dio dei Profeti lo afferma anche di quello stesso la cui così tremenda severità espressa nel Vangelo egli ha paura di offendere?

17.34 - Il tesoro dell'amore nei due Testamenti

Costui critica anche " il fatto che Dio dica che le pene degli empi, significate con il succo del fiele e con grappoli d'uva amari, col furore dei draghi e dei serpenti, sono adunate presso di lui e sigillate nei suoi tesori in attesa del momento in cui il piede degli empi cada in fallo ". ( Dt 32,32-35 )

Ebbene costui ignora che qui vengono chiamati tesori i provvedimenti occulti di Dio che dispone di dare a ciascuno secondo le rispettive opere.

Per cui l'Apostolo dice: Tu però con la durezza del tuo cuore e il cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Rm 2,5-6 )

Al cospetto di chi infatti il cuore impenitente accumula su di sé l'ira, se non al cospetto di colui che giudicherà i vivi e i morti? ( 2 Tm 4,1 )

Infatti i Libri del Vecchio Testamento non ignorano cosa sia il tesoro desiderabile del quale sta scritto che riposa nella bocca del saggio. ( Pr 21,20 sec. LXX )

E nei Proverbi si legge che Dio accumula la salvezza per quelli che lo amano; ( Pr 8,21 ) e il profeta Isaia dice che la nostra salvezza è nei tesori; lì sono la disciplina e la pietà verso Dio; questi sono i tesori della giustizia. ( Is 33,6 )

Ma questi mendaci corruttori dello spirito che contraddicono quelle sacre Scritture, che non vogliono neppure intendere, mettono in evidenza i passi severi che si trovano in esse, proprio per sottolineare la severità di Dio; nei Libri evangelici e apostolici scelgono invece i passi miti che vi si trovano per mettere in evidenza la bontà di Dio.

Così dinanzi a degli uomini inesperti suscitano terrore per il Dio del Vecchio Testamento e favore per quello del Nuovo.

Come se fosse difficile per qualche altro, che però sarebbe ugualmente blasfemo ed empio, denigrare il Nuovo Testamento, come costui fa con il Vecchio, prendendo dal Vecchio Testamento quei passi in cui si celebra la bontà di Dio e, al contrario, dal Nuovo, quelli in cui si esalta la severità di Dio.

E allora gridi pure invidioso e con le vene gonfie: Ecco il Dio che va adorato, quello buono e pietoso, lento all'ira e grande nell'amore, che non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno, che non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Quanto dista l'oriente dall'occidente, così allontana da noi le nostre colpe; così come un padre ha pietà dei suoi figli, il Signore ha pietà di quanti lo temono; ( Sal 103,8-13 ) il Dio che dice: Non ho piacere per la morte del peccatore, ma che desista dalla sua condotta e viva. ( Ez 18,23; Ez 33,11 )

Non va adorato il Dio che, per l'avidità di guadagno, mandò nelle tenebre esteriori dove è pianto e stridor di denti ( Mt 25,14-30 ) con le mani e i piedi legati anche quel servo che, pur non avendo perso il talento che aveva ricevuto, non ne aveva ottenuti degli altri; né il Dio che caccia dal suo banchetto l'uomo che non ha l'abito nuziale e, legatolo in modo simile, lo castiga con lo stesso supplizio; ( Mt 22,11-13 ) e nemmeno il Dio che risponde: Non vi conosco a coloro che andavano a lui e gridavano: Signore, aprici, ( Mt 25,11-12 ) solamente perché non avevano ascoltato il suo consiglio d'avere con sé l'olio per alimentare le proprie lanterne.

Neanche il Dio che per una sola parola offensiva scaglia nella Geenna ( Mt 5,22 ) e che, per non aver ricevuto cibo temporale, condanna al fuoco eterno. ( Mt 25,41-42 )

Un sacrilego dalla mente insana potrebbe raccogliere questi ed altri passi simili, traendo dal Vecchio Testamento quelli miti e dal Nuovo quelli severi, e cercare in questo modo di allontanare da Cristo le persone che non conoscono nessuno dei due Testamenti accusandolo d'essere disumano e crudele, per convertirle al Dio dei Profeti, che sarebbe, invece, buono e comprensivo.

Ebbene, questo nuovo sacrilego che si permettesse di trattare così il Nuovo Testamento non apparirebbe schifoso ed empio agli occhi stesi di quell'altro, che nella stessa maniera si comporta con il Vecchio Testamento?

Chi tributa invece a Dio il culto che gli spetta sicuramente trova che è unico il Dio dei due Testamenti e ama la bontà dello stesso ed unico Dio in entrambi, e tanto nell'uno come nell'altro ne teme la severità: riconoscendo nell'uno il Cristo promesso e accettando, nell'altro, il Cristo venuto.

17.35 - Dio, unico e vero creatore dei beni temporali ed eterni

Forse costui non ha letto nel Vecchio Testamento che non si deve ricambiare il male con il male, né il passo in cui viene ordinato a chi incontra un giumento smarrito dal suo nemico di riportarlo al suo padrone e a chi lo vede accasciarsi nel cammino di non passare indifferente ma insieme al padrone sollevare la bestia? ( Es 23,4-5 )

Forse non stava già scritto in quei libri ciò che l'Apostolo afferma: Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere? ( Pr 25,21; Rm 12,20 )

Forse non leggiamo anche là che la prima cosa che ogni uomo di Dio dice al suo Dio [ nell'invocarlo ], sapendo che ciò gli sarà gradito, è: Signore mio Dio, se così ho agito, se c'è iniquità nelle mie mani, se ho reso il male a coloro che me ne facevano? ( Sal 7,4-5 )

Forse non aveva già descritto il profeta Geremia la pazienza del santo che offre a chi lo percuote la sua guancia? ( Lam 3,30 )

Forse non viene già comandato prima da un altro profeta che non si deve covare odio contro un proprio fratello? ( Lv 19,18 )

Come mai dunque questo blasfemo raccoglie tutti quei passi del Nuovo Testamento spacciandoli per difformi rispetto al Vecchio se non perché ignora sia l'uno che l'altro, o perché, per ingannare gli inesperti, dissimula di conoscerli?

Se a qualcuno viene chiesto quando chi manda un uomo nel fuoco eterno un cibo non dato ( Mt 25,41-42 ) non stia ricambiando il male con il male, di certo costui si stupirà e affermerà che è incomparabilmente più benevolo ricambiare il torto di qualcuno secondo l'occhio per occhio e il dente per dente ( Es 21,24 ) - in cui la misura della punizione non supera la gravità dell'ingiustizia - che non ripagare con tanta severità un atto d'umanità non compiuto: qui infatti la colpa è transitoria, la pena invece non ha fine.

E così capirà, se non è ostinato, che in entrambi i Testamenti deve essere amata la bontà dell'unico Dio così come deve esser temuta la sua severità.

È vero infatti che nel Vecchio Testamento la Gerusalemme temporale dava alla luce dei servi a motivo della promessa di beni terreni e del timore di mali terreni, nel Nuovo invece la fede impetra quella carità in virtù della quale la Legge può esser realizzata non tanto per timore della pena quanto piuttosto per amor della giustizia, ( Gal 5,6 ) e per questo la Gerusalemme eterna dà alla luce figli liberi. ( Gal 4,22-31 )

Senza dubbio tuttavia anche nel Vecchio Testamento vi furono dei giusti spirituali che non furono uccisi dalla lettera che prescrive, ma sono stati vivificati dallo spirito che forniva l'aiuto. ( 2 Cor 3,6 )

Così, come la fede nel Cristo venturo abitava già certamente nei Profeti che ne annunciavano la venuta, ( Ag 2,8; Eb 10,37 ) così ora vi sono moltissimi uomini carnali che o suscitano eresie nel loro non intender le Scritture, o che, pur nel seno della Chiesa, si alimentano di latte, come i neonati, o persistono nell'esser come paglia che si prepara alle fiamme eterne. ( Mt 3,12; Lc 3,17 )

E come Dio è l'unico e vero creatore dei beni tanto temporali quanto eterni, allo stesso modo egli è autore dei due Testamenti: perché il Nuovo è prefigurato nel Vecchio e il Vecchio è realizzato dal Nuovo.

17.36 - La giustizia che vendica il peccato

La mansuetudine misericordiosa che perdona, in virtù della quale è stato detto che al fratello debbono essere rimessi i peccati non solo sette volte ma settanta volte sette, non ha lo scopo di permettere che i peccati restino impuniti e la disciplina sia trascurata e rimanga addormentata, la qual cosa sarebbe più dannosa che una punizione diligente e vigilante.

Le chiavi del Regno dei Cieli Cristo le diede alla Chiesa non dicendo semplicemente: Tutto ciò che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo, nel qual caso chiarissimamente la Chiesa rende il bene per il male e non il male per il male, ma aggiungendo anche: Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo, ( Mt 18,18 ) perché è buona anche la giustizia che punisce.

Infatti il passo che dice: Se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano ( Mt 18,17 ) è molto più grave che non l'esser ferito da spada, l'esser consumato dalle fiamme e l'esser sbranato dalle fiere.

Lì si legge anche: In verità vi dico, tutto ciò che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo ( Mt 18,18 ) perché si capisse che è castigato molto più gravemente colui che, quasi dimenticato, viene lasciato impunito.

Che costui spieghi qui, per cortesia, come dovremo intendere allora i comandamenti del Salvatore che ordina: A nessuno renderete il male per il male; ma se qualcuno vi avrà percosso una guancia, porgete anche l'altra, e: Perdonate le ingiustizie ai vostri fratelli. ( Mt 5,39; Mt 18,35 )

Ecco qua infatti: l'uomo è legato con le chiavi della Chiesa da uomini, che non rendono il male con il male, più amaramente e infelicemente di quanto possano farlo catene ferree pesantissime e durissime o lacci duri come diamante.

" Lungi da me ", replicherà, " l'asserire una tal cosa, perché sono cristiano! ".

Ma se davvero lo fosse, non avrebbe detto neppure quelle altre cose.

Perché il Dio dei Profeti, dei quali egli ingiuria gli scritti, è lo stesso Dio degli Apostoli, gli scritti dei quali egli teme di ingiuriare.

18.37 - Il sacrificio unico

" Ma Davide, dice, chiese a Dio di perdonare gli uomini che non avevano commesso peccato e non fu esaudito se non dopo aver offerto un sacrificio, e perciò quel Dio non deve esser ritenuto il Dio vero perché si compiace dei sacrifici ". ( 2 Sam 24 )

Già sopra abbiamo risposto alla questione della pena di morte inflitta ad uomini per i quali, siccome dovevano comunque morire, quella morte naturale non procurò alcun nocumento, mentre, con la loro morte, venne giustamente percosso il cuore arrogante del re.

Nei riguardi poi del sacrificio costui non capisce assolutamente nulla: per questo sbaglia, perché il popolo di Dio non offre più a Dio tali sacrifici dopo che è stato consumato quel sacrificio unico di cui tutti gli altri - che non lo escludevano ma prefiguravano - erano stati un'ombra. ( Eb 8,5 )

E come una cosa può esser detta in molti modi e in molte lingue, così il solo vero ed unico sacrificio fu significato dalle diverse figure dei sacrifici anteriori.

Capite che sarebbe molto lungo affrontare ciascuna di tali questioni.

E tuttavia una cosa vogliano saperla anche gli stolti, tardi nel comprendere e rapidi nel riprendere gli altri, che cioè il demonio non pretenderebbe per sé un sacrificio se non sapesse che esso è dovuto al Dio vero. ( Mt 4,10 )

Il dio falso infatti vuole essere onorato da quelli che inganna così come il Dio vero da quelli di cui ha cura; e il sacrificio è ciò che innanzi tutto va tributato a Dio.

I restanti ossequi che si presentano alla divinità, gli uomini con altera superbia hanno osato pretenderli anche per se stessi.

Tuttavia si ha memoria di pochissimi che abbiano osato pretendere che si sacrificasse in loro onore, sebbene potessero farlo essendo dei re.

E quei tali che osarono simile onore, con ciò stesso vollero essere considerati dèi.

Ma chi non sa che Dio non ha bisogno di sacrifici? Non necessita neppure delle nostre lodi.

E in verità come è utile a noi e non a Dio, lodare Dio, così a noi e non a Dio è utile sacrificare a Dio.

E siccome il sangue di Cristo fu versato per noi nell'unico e solo vero sacrificio, ( Mt 26,28; Mc 14,24 ) per questo Dio ordinò che nei tempi antichi gli fossero offerti degli animali immacolati, ( Lv 1,3 ) perché il sacrificio [ di Cristo ] era profetizzato da tali prefigurazioni.

Quegli animali erano senza macchia quanto a difetti del corpo: allo stesso modo si doveva sperare che venisse immolato per noi colui che solo era immune da tutti i peccati. ( Eb 8,1-10; 1 Pt 1,19 )

E tali tempi erano stati preannunciati dal profeta: Ha parlato il Signore, Dio degli dèi, e ha convocato tutta la terra da oriente a occidente.

Da Sion, splendore di bellezza, Dio rifulge. ( Sal 50,1-2 )

E poco dopo nello stesso salmo: Ascolta, popolo mio, ti voglio parlare; Israele, testimonierò contro di te, poiché io sono Dio, il tuo Dio.

Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.

Non prenderò giovenchi dalla tua casa, né capri dai tuoi recinti.

Perché sono mie tutte le bestie della foresta, i giumenti nei monti e i buoi.

Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna.

Se avessi fame a te non lo direi: perché mio è il mondo e quanto contiene.

Mangerò forse la carne dei tori e berrò il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all'Altissimo i tuoi voti. ( Sal 50,7-14 )

E alla fine del salmo ancora una volta dice: Chi offre il sacrificio di lode, questi mi onora; a chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio. ( Sal 50,23 )

Quanto a me già prima ho ricordato e dimostrato che la salvezza di Dio è lo stesso Cristo.

Ora qual è il sacrificio di lode più santo [ di quello che consiste ] nel rendimento di grazie?

E in che modo si può meglio render grazie a Dio della sua stessa grazia per Gesù Cristo Signore nostro? ( Gv 1,17 )

E tutto ciò i fedeli lo riconoscono nel sacrificio della Chiesa, sacrificio di cui tutti quelli antichi non furono che un'ombra.

Quanto a questi ciarlatani che correggono il Vecchio Testamento, se non intendono quanto ho ricordato di questo salmo, che basti loro, per quanto riguarda la questione presente, che il Dio dei Profeti, che è anche il Dio degli Apostoli, non mangia carne di tori e non beve sangue di capri.

Così lo conobbero i santi che, colmi del suo spirito, dicevano queste cose.

E quindi il sacrificio che Davide offrì perché il popolo fosse perdonato, era ombra del sacrificio futuro, con la quale [ ombra ] si indicava che per mezzo dell'unico sacrificio tutto il popolo sarebbe stato salvato spiritualmente.

Egli è infatti Gesù Cristo: Il quale è stato messo a morte per i nostri peccati, come dice l'Apostolo, ed è stato resuscitato per la nostra giustificazione; ( Rm 4,25 ) e per lo stesso motivo dice anche: Cristo nostra Pasqua è stato immolato. ( 1 Cor 5,7 )

19.38 - Israele secondo lo spirito

Con i tentativi che fa per provare che " evidentemente servì i demoni colui che ottenne tali cose con i sacrifici ", volendo che si intenda ciò come riferito al santo Davide, costui dimostra ancora più evidentemente quanto grande sia l'inganno con cui insidia le anime degli inesperti.

Egli infatti cita come testimone l'Apostolo in quanto dice: Guarda Israele carnalmente: quelli che si cibano di quanto hanno immolato non partecipano forse dell'altare?

Che cosa intendo dunque dire? Che un idolo è qualche cosa? No, ma che coloro che sacrificano, sacrificano ai demoni.

In verità non si legge affatto così, ma così: Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare?

Che cosa intendo dunque dire? Dico che è qualcosa ciò che si immola agli idoli, o che l'idolo è qualche cosa?

No, ma ciò che immolano, lo immolano ai demoni e non a Dio.

Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni. ( 1 Cor 10,18-20 )

È potuto accadere, per via della varietà delle traduzioni, riguardanti non le cose ma le parole, che ciò che io ho riportato come secondo la carne in altri codici venga riportato come carnalmente; e che ciò che io ho riportato come quelli che mangiano le vittime sacrificali, altri lo riferiscano come si cibano di quanto hanno immolato, e che ciò che esprime dicendo, come ho detto anch'io: Sono in comunione con l'altare, altri lo dicano così: Sono partecipi dell'altare, e che ciò che, quanto a me, suona: Che cosa intendo dunque dire?

Dico che è qualcosa ciò che si immola agli idoli?, quel tale non l'abbia espresso o il suo codice non l'abbia riportato e per questo ha messo " che l'idolo è qualcosa ".

Ma ciò che segue riguarda molto da vicino la nostra questione perché egli lo ha detto in modo diverso.

Infatti l'Apostolo dice: Ma ciò che immolano, lo immolano ai demoni e non a Dio, costui al contrario dice: Coloro che sacrificano, sacrificano ai demoni, come se tutti coloro che offrono sacrifici non sacrificassero se non ai demoni.

Infatti l'Apostolo non dice " coloro che sacrificano ", ma ciò che sacrificano, oppure, come ho detto io immolano.

Quindi: quelli che praticano il culto degli dèi, ciò che sacrificano, lo sacrificano - o: immolano - non a Dio, ma ai demoni e per questo ha aggiunto: Non voglio che voi entriate in comunione con i demoni, per impedire loro che praticassero l'idolatria.

Con ciò voleva dimostrar loro che in questo modo si sarebbero resi complici del demonio, qualora avessero mangiato sacrifici idolatrici ( 1 Cor 8,7 ) così come l'Israele carnale era in comunione con l'altare nel tempio perché mangiava dei sacrifici ivi immolati.

E perciò aggiunse carnalmente, o secondo la carne, perché c'è un Israele spirituale, ovvero secondo lo spirito, ed è quello che segue non le ombre antiche ma quella verità posteriore che era significata in quelle ombre precedenti.

Muovendo da qui comincia a dire: Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria. ( 1 Cor 10,14 )

Poi, proseguendo, mostra a che cosa il sacrificio debba riferirsi, dicendo: Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?

E il pane che spezziamo, non è forse comunione con il corpo del Signore?

Poiché c'è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell'unico pane. ( 1 Cor 10,15-17 )

E per questo aggiungeva: Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare?, ( 1 Cor 10,18 ) perché intendessero così che i primi sono compartecipi del corpo di Cristo così come quegli altri erano compartecipi dell'altare.

E poiché nel dir questo impediva loro che praticassero l'idolatria, come ho ricordato, questo passo del suo sermone fa da esordio.

Affinché non pensassero, per questo, che non vi fosse bisogno di badare al fatto di mangiare o meno delle vittime sacrificali perché l'idolo è nulla, ritenendo così tutto questo come qualche cosa di superfluo che non nuoce loro, lo stesso Apostolo confermò che l'idolo è nulla e che egli non proibisce tali cose perché si immolano agli idoli, cose senza significato, ma perché coloro che immolano - dice -, ovvero i cultori degli idoli, immolano ai demoni e non a Dio, e l'Apostolo non li vuole complici dei demoni. ( 1 Cor 10,20 )

E la stessa verità dichiara apertamente che questo è il significato, poiché è certo che nel tempio nel quale Israele prestava il suo culto carnale non veniva adorato un idolo.

Se infatti i sacrifici che si offrivano a Dio in quel tempio secondo la Legge antica fossero stati condannati come sacrifici offerti agli idoli ovvero immolati ai demoni, lo stesso Cristo Signore non avrebbe mai detto al lebbroso che aveva mondato: Vai, mostrati al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè in testimonianza per loro. ( Mt 8,4 )

Infatti non aveva ancora offerto il sacrificio del suo corpo in sostituzione di quei sacrifici, né aveva ancora risuscitato il tempio del suo corpo. ( Gv 2,21 )

Né avrebbe detto, cacciando da quel tempio quelli che vendevano bovini e colombe: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera; ma voi ne fate una spelonca di ladri. ( Mt 21,13 )

Indice

1 Terenzio, Phormio, 77