Credo in Gesù Cristo: morì
Come l'esistenza di Cristo è stata un impegno per la vita degli uomini, cosi la sua morte è diventata il gesto supremo di solidarietà con gli uomini.
"Li amò sino alla fine".
Gesù muore per dare vita;
la sua morte è stata un gesto supremo di solidarietà con gli uomini che era venuto a salvare.
La sua agonia si è consumata nella solitudine:
nel Getzemani Gesù prova terrore di fronte al peso dei male presente nella storia umana nel corso dei secoli.
Ora questo male grava tutto su di Lui.
Gesù prova terrore di fronte alla prospettiva della Croce:
suda sangue per lo spasimo dell'angoscia che l'opprime mentre non ha vicino a sé che tre apostoli che dormono.
Sulla Croce, durante l'atroce agonia che precede la morte di croce, Gesù sperimenta il fallimento della sua missione ed esce nel tragico grido:
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"
Ma questo fallimento non era che apparente.
Da questa morte sgorga la vita:
è una morte che manifesta il progetto di amore di Dio per gli uomini, è una morte che riconcilia la terra con il cielo.
Mentre tutto crolla attorno, egli accoglie la morte come il termine del cammino di donazione e si rivolge al Padre con la fiducia dei figlio che vive coi genitore una profonda comunione di vita:
"Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" ( Lc 23,46 ).
È il gesto di abbandono e di infinita fiducia nel Dio della vita, il quale non permette che il giusto veda la corruzione ( At 2,27 ).
Meditando la tragedia dei Calvario, il credente non si accontenta di dire che Cristo, nella morte, ha assunto ed espresso le sofferenze del mondo;
nella morte di Cristo scorge il gesto supremo di solidarietà con gli uomini, scopre l'azione stessa di Dio, che si abbassa al rango di servo, identificandosi con la sua creatura in ciò che vi è di più tragico e doloroso ( Fil 2,6-8 ).
Nel discorso di addio ai cristiani di Mileto Paolo parla della "chiesa di Dio, che egli ( Cristo ) si è acquistata con il suo sangue" ( At 20,28 ).
È l'unica volta che gli scritti del Nuovo Testamento parlano di "morte di Dio".
L'espressione ardita, scrive un famoso biblista, ha scombussolato i copisti i quali hanno cercato di attenuare il testo sostituendo il nome di "Dio" con quello di "Signore" o di "Cristo"…
Ma il testo deve essere accolto in tutta la sua forza d'urto che presuppone una inscindibile solidarietà tra Dio e la morte redentrice di Cristo" ( R. Fabris, Atti, Borla, p. 592 ).
In tal modo Gesù diviene veramente riconciliazione tra cielo e terra e la sua morte manifesta il progetto di amore di Dio per gli uomini.
Così l'ha vista il centurione romano ( Mc 15,39 ), così la presenta Giovanni nel vangelo e così l'ha interpretata la fede della chiesa dei primi tempi.
I credenti continuano a "fare memoria" di questo gesto salvifico soprattutto nella "cena dei Signore", dove "il corpo offerto in sacrificio… e il sangue versato" ( Lc 22,19-20 ) infondono nei cristiani nuovo slancio soprattutto nelle ore più buie dell'esistenza e li stimolano a vivere con rinnovato impegno la solidarietà fraterna tra gli uomini.