Ripensando al SS. Crocifisso

B64-A9

Giovanni Gualberto desiderava trarre vendetta dell'assassino di un suo congiunto, quando un giorno, nell'incamminarsi verso Firenze a cavallo e in compagnia dei suoi scudieri, si incontrò all'improvviso nell'assassino.

Questi si vide perduto, balzò da cavallo e stese le braccia in forma di croce, chiese il perdono e la vita che non meritava e stava per perdere.

La vista di quelle braccia stese richiamò subito alla mente di Giovanni Gualberto la figura del Crocifisso.

Commosso, perdonò subito al nemico e gli permise di passare oltre liberamente.

Indi si ritrasse in una chiesa vicina e vide il Crocifisso piegare, il capo verso di lui, quasi ringraziandolo d'aver salvato un infelice.

Giovanni allora deliberò di abbandonare il mondo e di farsi monaco e santo, come si fece.

Anche S. Eleazaro vinceva se stesso considerando il Crocifisso.

Era egli gran signore, secondo il mondo conte d'Arriano; ma non mancava di tribolazioni; ma nei suoi dolori, tenendo lo sguardo della fede fisso nei patimenti di Cristo, giunse a pazienza sì invitta che niuno lo vide mai turbato in mezzo alle sue contrarietà.

Interrogato un giorno da sua moglie se egli fosse di stucco oppur di marmo, mentre ai fieri colpi degli affronti e delle villanie punto si risentiva, le rispose così: "Che giova adirarsi, Delfina? Quando mi sento toccare sul vivo, mi rivolgo a contemplare con l'occhio della fede le ingiurie immense che per me patì il Redentore, e con questo sguardo sento colmarmi il cuore di tanta dolcezza che io non amo meno chi mi fa affronti che chi mi comparte favori; né tanto meno per gli uni che per gli altri porgo a Dio affettuose preghiere".