Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXVII

I. Con chi parla la sposa quando dice: « Il mio diletto a me ecc. » e come la parola dello sposo sia paragonabile a un banchetto

1. Il mio diletto è a me e io a lui ( Ct 2,16 ).

Fino a ora erano parole dello Sposo.

Ci stia egli vicino, perché possiamo degnamente, a gloria di lui e a salvezza delle nostre anime, investigare le parole della sua sposa.

Sono infatti tali che non possono da noi essere considerate e discusse come meritano, se egli non ci guida parlandoci interiormente.

Sono infatti queste parole tanto soavi per la grazia quanto ricche di senso e di profondi misteri.

A che cosa le assomiglierò?

Per ora a una qualche vivanda che abbia eminentemente queste tre doti: deliziosa al palato, che costituisce un solido nutrimento e un’efficace medicina.

Così, dico, così ogni singola parola della sposa eccita l’affetto per la sua dolcezza, impingua e nutre la mente per la molteplicità dei sensi e la profondità dei misteri, mentre tanto più esercita l’intelligenza, tanto più incute timore, sanando in modo mirabile il timore della scienza che gonfia.

Infatti, se uno di quelli che si credono saputelli si applica con curiosità a scrutare queste cose, scorgendo come le forze del suo ingegno sono del tutto insufficienti, e sentendo ridursi in cattività tutta l’intelligenza, non sarà forse costretto a dire: Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta e io non la comprendo ( Sal 139,6 )?

Pertanto, fin dalle prime parole quanta dolcezza dimostra!

Ecco come comincia: Il mio diletto è a me e io a lui.

Sembra una semplice voce, perché il suo suono è soave; di questo si vedrà in seguito.

2. Ora comincia dalla dilezione, prosegue circa il diletto, giudicando di non sapere altro se non il diletto.

È chiaro di che cosa parla; non è ugualmente evidente con chi.

Non è, infatti, permesso sentire come quando era con lui, dato che ora lui non è presente.

Di questo non v’è dubbio, sembra infatti che ella lo richiami, e quasi gli gridi dietro: Ritorna, diletto mio ( Ct 2,17 ).

Siamo perciò indotti a pensare che, finite le sue parole, nuovamente, secondo il suo modo di fare, si sia assentato, ed essa sia rimasta a parlare di lui che non è in effetti mai lontano da lei.

Così è: ritenne nella bocca colui che non si assentava dal cuore, anche quando se ne andava.

Quello che esce dalla bocca viene dal cuore, e la bocca parla dall’abbondanza del cuore ( Lc 6,45 ).

Parla dunque del diletto, come vera diletta e veramente degna di essere amata, perché ama molto.

Cerchiamo con chi parli, perché sappiamo di chi parla.

E non si presentano altri interlocutori al di fuori delle giovinette, le quali non possono stare lontano dalla madre quando lo Sposo se n’è andato.

II. La migliore interpretazione è che parli con se stessa e quale è il motivo di un’espressione cosi ellittica

Ma è meglio che riteniamo, penso io, che ella abbia parlato a se stessa, e non con un altro, specialmente perché la stessa espressione è tronca e non sembra aver senso, insufficiente davvero a far comprendere a chi ascolta.

E normalmente noi parliamo tra di noi soprattutto per farci comprendere.

Il mio diletto è a me e io a lui. Niente più?

La frase è sospesa, non solo, ma manca qualche cosa.

L’uditore pure rimane sospeso, né viene informato ma reso attento.

3. Che cosa significa « lui a me e io a lui »?

Non sappiamo che cosa voglia dire perché non sentiamo quello che lei sente.

O anima santa, che cosa è per te quel tuo, e che cosa sei tu per lui?

Quale, di grazia, è questa vostra vicendevole disponibilità che vi scambiate con tanta familiarità e devozione?

Egli è a te, e tu a tua volta a lui.

Ma che cosa? Sei tu per lui lo stesso che lui è per te, o diverso?

Se parli a noi, alla nostra intelligenza, dicci chiaramente quello che senti.

Fino a quando ci tieni sospesi?

O, secondo il Profeta, il tuo segreto lo tieni per te?

È così: ha parlato l’affetto, non l’intelletto, e perciò non all’intelligenza.

A che cosa dunque? A nulla.

Se non che piena di meraviglioso diletto e fortemente bramosa verso i desiderati colloqui, quando egli vi pose termine non poté tacere del tutto, né fu in grado di esprimere quello che sentiva.

A questo non erano dirette le parole che disse, ma solo per non tacere.

Dall’abbondanza del cuore la bocca ha parlato, ma non per esprimere quell’abbondanza.

Gli affetti hanno le loro parole con le quali, anche quando non vogliono, si tradiscono.

Quelle del timore per esempio sono meticolose, quelle del dolore gemebonde, e quelle dell’amore gioconde.

Forse che i pianti dei sofferenti, i singulti degli afflitti o i gemiti di chi è sottoposto alle percosse, e così le grida improvvise e strazianti di chi è colto da spavento, o anche i rutti di chi è sazio sono creati dall’usanza o eccitati dalla ragione, o prodotti liberamente, o premeditati?

Certo queste cose non escono per un cenno dell’animo, ma erompono per un movimento istintivo.

Così l’amore ardente e veemente, specialmente quello divino, quando non riesce a contenersi in sé non bada a quale ordine, per quale legge, attraverso quali numerose o poche parole si sfoghi, purché non senta da ciò alcun danno per sé.

Talvolta non cerca neppure delle parole, contentandosi di sospiri.

Di qui deriva che la sposa, infuocata di santo amore e questo in modo incredibile, per quanto si può dedurre dal quel po’ di irradiazione del fuoco che la infiamma, non bada a quello che dice o come lo dica, ma erutta, più che esporre quanto le viene in bocca sotto la spinta dell’amore.

Che cosa non dovrebbe eruttare lei cosi nutrita, così piena?

4. Ripassa il testo di questo epitalamio dall’inizio fin qui, e vedi se in tutte le visite e in tutti i colloqui dello Sposo sia stata data mai tanta abbondanza di grazia come questa volta, e se mai dalla bocca di lui abbia sentito, non dico così numerose, ma così dolci parole.

Colei, dunque, che aveva saziato il suo desiderio di tali beni, che meraviglia c’è se ha messo fuori un rutto più che una parola?

E se ti sembra una parola, pensala eruttata, non preparata o pre-ordinata.

Né la sposa pensa di fare una rapina se si applica il detto del Profeta: Il mio cuore eruttò una buona parola ( Sal 45,1 ), in quanto ripiena del medesimo spirito.

III. La parola della sposa è quasi un rutto; il gusto e l’odorato; ciò che il giusto gusta il peccatore lo odora

Il mio diletto a me e io a lui.

Non si può trarne una conseguenza, in quanto è una frase mancante.

Allora? È un rutto.

Come cercare in un rutto le connessioni delle frasi, le espressioni solenni?

Quali regole o leggi puoi imporre a un rutto?

Non riceve la tua moderazione, non aspetta che tu lo disponga a dovere, non cerca la comodità o l’opportunità.

Da sé erompe dall’intimo, non solo quando non vuoi, ma quando non te ne accorgi, strappato più che emesso.

E tuttavia il rutto porta un odore a volte buono, a volte cattivo, secondo le qualità contrarie dei vasi dai quali sale.

L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre il cattivo cose cattive ( Mt 12,35 ).

È un vaso buono la sposa del mio Signore, ed è buono per me l’odore che emana da lei.

5. Ti ringrazio, Signore Gesù, che ti sei degnato di ammettermi almeno a sentire il profumo.

Così Signore: poiché anche i cagnolini si nutrono delle briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni ( Mt 15,27 ).

Per me ha buon odore il rutto della tua diletta, e ben volentieri ricevo, sia pure poco, dalla pienezza di lei.

Mi erutta la memoria dell’abbondante tua soavità, ed ho sentito un certo ineffabile profumo della tua degnazione in queste parole: Il mio diletto a me e io a lui.

Essa, come è giusto, banchetti ed esulti nel tuo cospetto, e sia piena di letizia; tuttavia sia esuberante con te e sobria per noi.

Sia essa ripiena dei beni della tua casa, e si abbeveri al torrente della tua voluttà; ma, di grazia, giunga anche a me povero almeno un tenue odore mentre lei, una volta saziata, erutterà.

Bene per me eruttò Mosè e nel suo rutto vi fu un buon odore, di potenza creatrice: In principio, dice, Dio creò il cielo e la terra ( Gen 1,1 ).

Bene eruttò Isaia: Ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato tra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori ( Is 53,12 ) perché non perissero.

Che cosa mai ha così profumo di misericordia?

Buono anche il rutto di Geremia, buono quello di Davide che dice: Il mio cuore eruttò una buona parola ( Sal 45,2 ).

Furono ripieni di Spirito Santo ed eruttando riempirono ogni cosa di bontà.

Chiedete il rutto di Geremia?

Non mi sono dimenticato, già lo stavo preparando: È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore ( Lam 3,26 ).

È di lui, non mi sbaglio: accostate le narici; vince il balsamo il soave profumo che emana dalla giustizia che ricompensa.

Vuole che io aspetti con pazienza la giusta mercede in futuro, non che la riceva al presente, perché la mercede della giustizia è la salvezza che viene non dal secolo, ma dal Signore.

Se tarda, aspettalo ( Ab 2,3 ) e non mormorare, perché è bene aspettare in silenzio.

Farò, dunque, quanto mi consiglia: Aspetterò il Signore mio Salvatore ( Mi 7,7 ).

6. Ma sono peccatore e mi resta da percorrere ancora una lunga strada perché lontana dai peccatori è la salvezza ( Sal 119,155 ).

Non mormorerò tuttavia. Nel frattempo mi consolerò con l’odore.

Il giusto si rallegrerà nel Signore, sperimentando con il gusto quello che io sento con l’odorato.

Ciò che il giusto contempla il peccatore lo aspetta, e l’attesa è l’odorato: La creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio ( Rm 8,19 ).

Ora, aspettare è gustare e vedere come è soave il Signore.

IV. Che cosa queste parole sottintendano; il fine delle parole della sposa o del Profeta

O non piuttosto è il giusto che aspetta, e chi già possiede è beato?

L’attesa dei giusti è gioia ( Pr 10,28 ).

Il peccatore, infatti, non aspetta nulla.

È appunto peccatore perché non solo trattenuto dai beni presenti, ma contentandosi di essi, nulla aspetta nel futuro, sordo a quella voce: Aspettatemi, dice il Signore, nel giorno della mia resurrezione in futuro ( Sof 3,8 ).

E perciò era giusto Simeone, perché aspettava e adorava già Cristo in spirito prima che potesse adorarlo nella carne; e beato nella sua attesa, e per l’odore dell’attesa pervenne al gusto della contemplazione.

E infine disse: I miei occhi hanno visto la tua salvezza ( Lc 2,30 ).

Giusto anche Abramo, che aspettò anche lui di vedere il giorno del Signore, e non fu confuso nella sua attesa perché lo vide e ne fu pieno di gioia.

Giusti gli Apostoli quando udivano: E voi simili a uomini che aspettano il loro Signore ( Lc 12,36 ).

7. Giusto anche Davide quando diceva: Ho aspettato, ho aspettato il Signore ( Sal 40,2 ).

Egli è il quarto dei miei ruttatori che ho sopra nominati e che quasi lasciavo in disparte.

Ciò non conviene. Questi ha aperto la sua bocca e attirò lo spirito, e, sazio, non solo eruttò, ma cantò anche.

O Gesù buono, quanta dolcezza ha questi infuso alle mie narici e ai miei orecchi nel suo rutto e canto circa l’olio di esultanza di cui ti ha unto Dio a preferenza dei tuoi eguali, e la mirra, l’aloe e la cassia delle tue vesti, e i palazzi d’avorio da cui ti allietano le cetre e le figlie di re tra le tue predilette! ( Sal 45,8-10 ).

Oh! se mi concedessi di incontrare un così grande Profeta e amico tuo nel giorno della solennità e della letizia, quando esce dal tuo talamo cantando il suo epitalamio, con la cetra melodiosa e con l’arpa, traboccante di gioia, asperso e cospergendo ogni cosa di polvere aromatica!

In quel giorno, o piuttosto, in quell’ora quando si tratta di un’ora, e forse una mezz’ora, secondo il detto della Scrittura: Si fece silenzio in cielo per quasi una mezz’ora ( Ap 8,1 ) dunque in quell’ora si riempirà di gaudio la mia bocca e la mia lingua di esultanza, poiché i singoli, non dico Salmi ma versetti li sentirò come altrettanti rutti, e profumati più di ogni aroma.

Che cosa più fragrante del rutto di Giovanni, che mi sa di eternità del Verbo, della sua generazione, della sua divinità?

Che dirò dei rutti di Paolo, di quanta soavità abbiano riempito il mondo?

Egli era il buon odore di Cristo in ogni luogo.

Anche se non proferisce le parole ineffabili che ha udito, di modo che io pure le possa udire, ne parla tuttavia per accendere il mio desiderio, e mi piaccia odorare quello che non è possibile udire.

Non so infatti per quale ragione le cose che più sono nascoste piacciono maggiormente, e bramiamo con più avidità quelle che ci sono negate.

V. L’altra accezione dell’attesa con cui il giusto attende, il peccatore no; il rutto di Davide o di Giovanni o di Paolo

Ma nota ora una cosa simile nella sposa: come, alla maniera di Paolo, in questo capitolo non svela il segreto, né lo nasconde completamente, concedendo qualche cosa al nostro olfatto, che non giudica forse adatto per ora al nostro gusto, sia per la nostra indegnità, sia per la nostra incapacità.

8. Il mio diletto è a me e io a lui.

Quello di cui non v’è dubbio è che il vicendevole amore dei due è ardente; ma in questo amore risalta la somma felicità dell’una, e la mirabile adeguazione dell’altro.

Poiché questo mutuo amore e mutua unione non è tra due esseri pari.

Del resto quell’amore che la sposa si gloria di ricevere per tanta degnazione dello Sposo, e che ricambia con tanto ardore, nessuno può a fondo presumere di conoscere se non chi, per una particolare purezza di mente e santità di corpo, avrà meritato di sperimentare una tale cosa in se stesso.

La cosa consiste negli affetti, né vi si arriva con la ragione, ma con la conformità della volontà.

Quanto pochi sono quelli che possono dire: E noi a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello spirito del Signore ( 2 Cor 3,18 ).

9. Ma per ridurre a una qualche forma intellegibile ciò che si legge, salvo sempre il singolare segreto della sposa, al quale per il momento non ci è concesso di accostarci, a noi specialmente, così come siamo, si deve presentare qualche cosa tanto più adattata al senso comune quanto più di uso comune, che esprima il legame delle parole e si renda comprensibile ai piccoli.

E a me sembrerebbe sufficiente alla nostra grossolana e in un certo modo popolare intelligenza se dicendo il mio diletto a me, sottintendiamo « si rivolge », in modo che il senso sia: « Il mio diletto si rivolge a me, e io a lui ».

Non sarei il solo a pensare così, perché il Profeta prima di me ha detto: Ho aspettato, ho aspettato il Signore; e si è rivolto a me ( Sal 40,2 ).

Hai qui apertamente il voltarsi del Signore al Profeta e del Profeta al Signore, perché chi aspetta si volge, e aspettare è voltarsi là di dove si aspetta.

Così sarebbero quasi le stesse le parole del Profeta e della sposa, salvo che il Profeta avrebbe messo prima quelle che la sposa ha messo dopo e viceversa.

10. Del resto la sposa ha parlato più rettamente e senza pretendere il merito, ma premettendo il beneficio, e confessando di essere prevenuta dalla grazia del diletto.

Giusto veramente.

Poiché chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? ( Rm 11,35 ).

E infine, senti come la pensa Giovanni nella sua epistola a questo riguardo: In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi per primo ( 1 Gv 4,10 ).

Il Profeta, tuttavia, anche se non accennò alla prevenzione della grazia, non negò la conseguenza.

Ma senti la sua confessione su questo argomentò, più chiara, in altro passo: La tua misericordia, dice, mi seguirà tutti i giorni della mia vita ( Sal 23,6 ).

Senti anche il suo pensiero non meno certo circa la prevenzione di Dio: La tua misericordia, o Dio, mi preverrà ( Sal 59,11 ); e ancora: Presto ci venga incontro la tua misericordia, poiché siamo troppo infelici ( Sal 79,8 ).

VI. Grazia preveniente e susseguente

Bene la sposa più avanti mette queste stesse parole non nello stesso ordine, ma segue anche lei l’ordine del Profeta dicendo così: Io al mio diletto e il mio diletto a me ( Ct 6,2 ).

Perché così? Per dimostrarsi allora maggiormente piena di grazia quando egli le ha dato tutte le grazie, attribuendo cioè a lui le prime e le ultime parti.

Diversamente come sarebbe piena di grazia, se ha avuto qualche cosa non dalla grazia?

Non c’è posto per la grazia dove il merito occupa tutto.

Dunque, la piena confessione della grazia dimostra nell’anima che fa questa confessione la pienezza della medesima grazia.

Poiché se c’è qualche cosa di proprio, in quanto c’è, la grazia gli deve cedere il posto.

Manca alla grazia quanto attribuisci ai meriti.

Non voglio il merito che escluda la grazia.

Ho orrore di tutto quello che viene da me per essere mio, se non che forse è maggiormente mio quello che fa mio me.

La grazia mi rende giustificato gratuitamente, e così liberato dalla schiavitù del peccato.

E poi dove è lo spirito, ivi è la libertà ( 2 Cor 3,17 ).

11. Oh, sciocca sposa Sinagoga, che disprezzando la giustizia di Dio, cioè la grazia del suo Sposo, e volendo costituire la giustizia propria non è soggetta alla giustizia di Dio!

Per questo la misera è stata ripudiata, e non è ormai più sposa, ma sposa è la Chiesa, alla quale viene detto: Ti ho sposata nella fede, ti ho sposata a me nel diritto e nella giustizia, ti ho sposata a me nella misericordia e nell’amore ( Os 2,19 ).

Né tu hai scelto me, ma io ho scelto te, né per sceglierti ho guardato ai tuoi meriti, ma li ho prevenuti, così dunque ti ho sposata a me nella fede, e non nelle opere della legge.

E ti ho sposato nella giustizia, ma nella giustizia che viene dalla fede, non dalla legge.

Resta che tu giudichi rettamente tra me e il giudizio in cui ti ho sposata, dove è chiaro che non è intervenuto alcun tuo merito, ma il mio beneplacito.

Questo è il giudizio, che tu non faccia gran caso dei tuoi meriti, non preferisca le opere della legge, non ti vanti di aver sopportato il peso del giorno e del calore, tu che conosci di essermi stata sposata piuttosto nella fede e nella giustizia che viene dalla fede, nonché nella misericordia e nella compassione.

12. Colei che è veramente sposa conosce queste cose, e confessa l’una e l’altra grazia: anzitutto quella che è la prima, che cioè è stata prevenuta, e poi anche quella seguente.

Dice parlando adesso: il mio diletto a me e io a lui, attribuendo il principio al diletto; dirà in seguito: Io al mio diletto e il mio diletto a me, concedendo ancora a lui la consumazione.

Ora vediamo che cosa dice: Il mio diletto a me.

Se questo si prende in modo da sottintendere « si rivolge », come già abbiamo detto e come dice il Profeta: Ho aspettato, ho aspettato il Signore, ed egli si è rivolto a me, io in queste parole sento un non so che di non piccolo, né di mediocre prerogativa.

Ma non è bene esporre una cosa degna di ogni attenzione a orecchie e menti stanche.

Se non riesce gravoso differiamo questo discorso, e non di molto.

Domani il sermone comincerà di qui.

Solamente pregate perché ci difenda nel frattempo dalle assillanti occupazioni la grazia e la misericordia dello Sposo della Chiesa, Gesù Cristo nostro Signore che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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