Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXXXIII

I. Come qualunque anima che voglia trasformarsi e uniformarsi a Lui, possa, in base a queste parole, ritornare ad aver fiducia nel Verbo

1. Per tre giorni, quanto l’ora regolare ha permesso, abbiamo impiegato il tempo assegnato per parlare a voi per dimostrare l’affinità tra il Verbo e l’anima.

Quale utilità in tutto questo lavoro?

Questa: abbiamo insegnato che ogni anima, anche se carica di peccati, irretita nei vizi, presa dalle lusinghe, prigioniera in esilio, nel carcere del corpo, aderente al fango, immersa nel pantano, legata alle membra, attanagliata dalle preoccupazioni, dissipata dagli affari, contratta dai timori, afflitta dai dolori, sbandata tra gli errori, ansiosa nelle sollecitudini, inquieta per i sospetti, in una parola pellegrina in terra di nemici, secondo la parola del Profeta, infetta in mezzo ai morti, destinata alla compagnia con quelli che sono nell’inferno; per quanto così dannata e disperata, abbiamo detto che essa può notare in sé un motivo non solo di respirare nella speranza del perdono, nella speranza della misericordia, ma anche una ragione per osare aspirare alle nozze con il Verbo, per non trepidare di concludere con Dio un patto di alleanza, e non temere di sottoporsi al soave giogo di amore con il Re degli Angeli.

Che cosa non oserà, infatti, senza timore presso colui della cui immagine si vede decorata, e della cui somiglianza illustrata?

Che cosa avrà da temere dalla maestà essa a cui è data fiducia a motivo della sua origine?

Basta che abbia cura di conservare con l’onestà della vita la libertà della natura; anzi, cerchi di abbellire e ornare con i degni colori dei costumi e degli affetti il celeste decoro che possiede dall’origine.

2. Perché mai dovrebbe sonnecchiare l’industria?

Essa è un grande dono fatto a noi dalla natura, che se non mette in opera le sue parti, il rimanente che la natura ha in noi sarà deturpato, e tutto verrà ricoperto da una specie di ruggine come roba vecchia.

Questo reca ingiuria all’autore.

Ed è per questo che l’autore, Dio stesso, ha voluto che nell’anima si conservasse in perpetuo il segno della divina generosità, perché questa abbia sempre in sé dal Verbo materia di ammonimento, per stare sempre con lui, o per tornarvi qualora se ne fosse allontanata.

Non allontanata quasi passando a un altro luogo o camminando con i piedi, ma come si addice a una sostanza spirituale, la quale con gli affetti, anzi con i difetti peggiora da sé e si rende dissimile a se stessa con la cattiveria della condotta, rendendosi degenere, la quale dissomiglianza non è distruzione della natura ma vizio, che fa risaltare al paragone il bene stesso della natura, e nello stesso tempo lo contamina unendosi ad esso.

Ora, poi, il ritorno dell’anima, la sua conversione al Verbo la porta a riformare se stessa per mezzo di lui e a conformarsi a lui.

In che cosa? Nella carità.

Dice, infatti: Siate imitatori di Dio come figli carissimi e camminate nell’amore come Cristo ha amato voi ( Ef 5,1 ).

3. Tale conformità rende l’anima sposa del Verbo.

Mentre si mostra simile per la volontà a lui al quale è simile per natura, amandolo come ne é amata.

Dunque, se ama perfettamente è diventata sposa.

Che cosa più dolce di tale conformità?

Che cosa più desiderabile che la carità per la quale, o anima, non contenta del magistero umano, da te stessa accedi con fiducia al Verbo, aderisci costantemente a lui, lo interroghi con familiarità e lo consulti su ogni cosa, quanto capace di intelligenza altrettanto audace nel desiderio?

Questo è veramente un contratto di spirituale e santo connubio.

Ho detto poco, contratto: è un amplesso.

Amplesso veramente dove il volere e non volere le medesime cose ha fatto uno solo di due spiriti.

Né vi è da temere che la diversità delle persone faccia zoppicare in qualche cosa la connivenza delle volontà, perché l’amore non conosce la riverenza.

L’amore prende nome dall’amare, non dall’onorare.

Onori pure colui che ha orrore, che si stupisce, che teme, che si meraviglia; tutte queste cose sono assenti in chi ama.

L’amore é già di troppo di per sé.

L’amore dove arriva, trasforma in sé e occupa tutti gli altri affetti.

Perciò colui che ama ama e non conosce nient’altro.

Egli stesso, il Verbo, che a buon diritto merita onore, che giustamente è oggetto di stupore e di meraviglia preferisce di più essere amato.

Sono Sposo e sposa.

Quale altro legame o relazione cerchi tra gli sposi fuori dell’essere amati e di amare?

II. Come il sentimento dell’amore sia più potente degli altri

Questo nesso vince anche quello cha la natura ha più strettamente unito, il vincolo tra i genitori e i figli.

Per questo, dice la Scrittura, l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa ( Mt 19,5 ).

Vedi come questo affetto negli sposi sia più potente degli altri affetti non solo, ma anche di se stesso.

4. Aggiungi che questo Sposo non solo ama, ma è amore.

È, forse, onore? Dica pure qualcuno che lo è; io non l’ho letto.

Ho, invece, letto che Dio è amore ( 1 Gv 4,16 ), e non ho letto che Dio è onore.

Non che Dio non voglia l’onore, lui che dice: Se io sono Padre, dov’è il mio onore? ( Ml 1,6 ).

Questo è il Padre.

Se, invece, si presentasse come Sposo, penso che cambierebbe parola e direbbe: « Se io sono Sposo, dov’è il mio amore? ».

Poiché anche prima aveva detto: Se io sono il Signore, dov’è il mio timore? ( Ml 1,6 ).

Esige, dunque, il Signore di essere temuto come Signore, di essere onorato come Padre, di essere amato come Sposo.

Quale tra queste cose è la più grande, quella che sorpassa le altre?

L’amore certamente.

Senza di questo il timore ha la pena e l’onore manca della grazia.

Il timore è servile quando non è accompagnato dall’amore.

E l’onore che non viene dall’amore non è onore, ma adulazione.

Eppure a Dio solo onore e gloria ( 1 Tm 1,17 ), ma Dio non accetterà nessuna delle due cose se non saranno condite con il miele dell’amore.

Questo invece basta a se stesso, da sé piace e per sé.

Esso è merito e premio a se stesso.

Amo perché amo, amo per amare.

Grande cosa è l’amore, se tuttavia ritorna al suo principio, se rinvenuto alla sua origine, se rifuso nella sua fonte, sempre da esso attingerà per sempre scorrere.

L’amore è il solo dei movimenti dell’anima, sentimenti e affetti in cui la creatura può rispondere, anche se non alla pari, all’autore, di dargli un simile vicendevole contraccambio.

Per esempio, se Dio sarà adirato con me, forse che io potrò essere adirato nello stesso modo con Lui?

Certamente no, ma avrò paura, ma tremerò e chiederò perdono.

E se mi rimprovera, non sarà sgridato da me, ma piuttosto sarà da me giustificato.

Né se mi giudicherà, io giudicherò lui, ma lo adorerò: così, salvando me, non mi chiede di essere a sua volta salvato né viceversa ha bisogno di essere liberato da alcuno lui che libera tutti.

Se domina, a me tocca servirlo; se comanda, io gli devo obbedire e non viceversa posso esigere dal Signore o servizio o ossequio.

Ora vedi come la cosa è diversa per l’amore.

Poiché quando Dio ama, altro non vuole se non essere amato, perché non ama per altro scopo se non per essere riamato, sapendo che per questo stesso amore saranno beati coloro che lo amano.

5. Grande cosa è l’amore; ma in esso vi sono dei gradi.

La sposa sta sul più alto.

Amano, infatti, anche i figli, ma pensano alla eredità, e quando temono in qualsiasi modo perderla, l’amore per colui dal quale l’aspettano diminuisce e si mescola al timore.

Mi è sospetto quell’amore che sembra essere sostenuto dalla speranza di ottenere qualche cosa.

È un amore debole, che se per caso quella speranza viene meno, o si spegne o per lo meno diminuisce.

È impuro perché brama anche altre cose.

L’amore puro non è mercenario. L’amore puro non prende forza dalla speranza, né d’altra parte sente i danni della diffidenza; è l’amore della sposa, perché questa è sposa, chiunque essa sia.

Le cose della sposa e la sua speranza sono unicamente il suo amore.

Di questo abbonda la sposa, di questo si accontenta lo Sposo.

Né questi cerca altro, né essa altro ha.

Per questo egli è Sposo ed essa è sposa.

Questo è proprio agli sposi, non appartiene a nessun altro, neppure al figlio.

III. Lo Sposo ama prima e di più, per la sposa basta tuttavia se ama con tutta se stessa

E poi ai figli grida: Dov’è il mio onore ( Ml 1,6 ) e non: « Dov’è il mio amore », riservandone la prerogativa alla sposa.

Ma anche si comanda all’uomo di onorare il proprio padre e la propria madre, e dell’amore non si fa parola: non perché i figli non debbano amare i genitori, ma perché molti figli sono più disposti a onorare i genitori che non ad amarli.

Sia pure che l’onore del re è di amare la giustizia ( Sal 99,4 ); ma l’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore richiede in cambio solo amore e fedeltà.

È dunque consentito alla diletta di ricambiare l’amore.

Come non amerà la sposa, e sposa dell’Amore?

Come non sarebbe amato l’Amore?

6. Giustamente rinunciando a tutti gli altri sentimenti si applica tutta e al solo amore colei che deve rispondere allo stesso amore ricambiando l’amore.

Poiché, quando si sarà tutta effusa nell’amore, che cosa è questo di fronte al perenne profluvio di quella fonte?

Non scorrono certamente con uguale abbondanza l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura, non diversamente che l’assetato e la fonte.

Che dunque? Sarà per questo sprecato e del tutto vano il voto della futura sposa, il desiderio di lei che sospira, l’ardore dell’amante, la fiducia ardimentosa per il fatto che non può correre a pari con un gigante, contendere per dolcezza con il miele, per mansuetudine con l’agnello, per candore con il giglio, per splendore con il sole, per carità con colui che è carità? No.

Poiché, anche se la creatura ama meno perché è inferiore, tuttavia, se ama con tutta se stessa nulla manca dove è tutto.

Perciò, come ho detto, amare così equivale ad aver celebrato le nozze, perché non può amare così ed essere poco amata, e nel mutuo consenso dei due sta l’integro e perfetto connubio.

A meno che qualcuno dubiti che l’anima sia dal Verbo amata prima e di più.

Essa è del tutto prevenuta nell’amore e vinta.

Felice colei che ha meritato di essere prevenuta con la benedizione di tanta dolcezza.

Felice lei, a cui fu dato di sperimentare l’insieme di tanta soavità!

Questo altro non è che l’amore santo e casto, l’amore soave e dolce, amore tanto sereno e sincero, amore vicendevole, intimo e forte, che unisce due non in una sola carne ma in un solo spirito e fa sì che due non siano più due ma una cosa sola, come dice Paolo: Chi aderisce a Dio forma con Lui un solo spirito ( 1 Cor 6,17 ).

E ora piuttosto ascoltiamo lei su questo argomento, lei resa facilmente maestra su ogni cosa, sia dall’unzione maestra, sia dalla sua frequente esperienza.

Ma forse è meglio che riserviamo questo al principio di un altro sermone, per non restringere una cosa buona negli stretti limiti di questo che sta per finire.

E se siete contenti finisco appunto prima del tempo affinché domani ci ritroviamo affamati a gustare le delizie dell’anima santa di cui merita, beata, di godere con il Verbo e a proposito del Verbo suo Sposo Gesù Cristo Signore nostro, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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