Leggenda perugina

[1566] Giovanni il semplice

19. Un giorno Francesco si recò nella chiesa di una borgata del territorio di Assisi e si mise a fare le pulizie.

Immediatamente si sparse nel villaggio la voce del suo arrivo, poiché quella gente lo vedeva e ascoltava volentieri.

Sentì la notizia anche un certo Giovanni, uomo di meravigliosa semplicità, che stava arando un suo campo vicino a quella chiesa.

E subito andò da lui, e lo trovò intento a pulire.

Gli disse: « Fratello, da' la scopa a me, voglio aiutarti ».

Prese lui la scopa e finì di fare pulizia.

Poi si misero a sedere, e Giovanni prese a dire: « Da molto tempo ho intenzione di servire a Dio, soprattutto da quando ho inteso parlare di te e dei tuoi fratelli.

Ma non sapevo come unirmi a te.

Ma dal momento che è piaciuto al Signore ch'io ti vedessi, sono disposto a fare tutto quello che ti piace ».

Osservando il fervore di lui, Francesco esultò nel Signore, anche perché allora aveva pochi fratelli e perché quell'uomo, con la sua pura semplicità, gli dava affidamento che sarebbe un buon religioso.

Gli rispose: « Fratello, se vuoi condividere la nostra vita e stare con noi, è necessario che tu doni ai poveri, secondo il consiglio del santo Vangelo tutti i beni che possiedi legittimamente.

Così hanno fatto i miei fratelli cui è stato possibile ».

Sentendo ciò, subito Giovanni si diresse verso il campo dove aveva lasciato i buoi, li sciolse e ne portò uno davanti a Francesco, dicendogli: « Fratello, per tanti anni ho lavorato per mio padre e gli altri della famiglia.

Sebbene questa parte della mia eredità sia scarsa, voglio prendere questo bue e darlo ai poveri nel modo che ti sembrerà più opportuno secondo Dio ».

Vedendo che voleva abbandonarli, i genitori, i fratelli che erano ancora piccoli, e tutti quelli di casa cominciarono a lacrimare e piangere forte.

Francesco si sentì mosso a compassione, massime perché la famiglia era numerosa e senza risorse.

Disse loro: « Preparate un pranzo, mangeremo insieme.

E non piangete, poiché vi farò lieti ».

Quelli si misero all'opera, e pranzarono tutti con molta allegria.

Finito il desinare, Francesco parlò: « Questo vostro figlio vuole servire a Dio.

Non dovete contristarvi di ciò, ma essere contenti.

È un onore per voi, non solo davanti a Dio ma anche agli occhi della gente; e ne avrete vantaggio per l'anima e per il corpo.

Di fatti, è uno del vostro sangue che dà onore a Dio, e d'ora innanzi tutti i nostri frati saranno vostri figli e fratelli.

Una creatura di Dio si propone di servire al suo Creatore - ed essere suo servo vuol dire essere re, - voi capite quindi che non posso e non debbo ridarvi vostro figlio.

Tuttavia, affinché riceviate da lui un po' di conforto, io dispongo ch'egli rinunci per voi, che siete poveri alla proprietà di questo bue, benché secondo il consiglio dei santo Vangelo dovesse darlo agli altri poveri ».

Furono tutti confortati dal discorso di Francesco, e soprattutto furono felici che fosse loro reso il bue, poiché erano veramente poveri.

Francesco, cui piacque sempre la pura e santa semplicità in se stesso e negli altri, ebbe grande affetto per Giovanni.

E appena lo ebbe vestito del saio, prese lui come suo compagno.

Era questi talmente semplice, che si riteneva obbligato a fare qualunque cosa facesse Francesco.

Quando il Santo stava a pregare in una chiesa o in un luogo appartato, Giovanni voleva vederlo e fissarlo, per ripetere tutti i gesti di lui: se Francesco piegava le ginocchia, se alzava al cielo le mani giunte, se sputava o tossiva, anche lui faceva altrettanto.

Pur essendo incantato da tale semplicità di cuore, Francesco cominciò a rimproverarlo.

Ma Giovanni rispose: « Fratello, ho promesso di fare tutto quello che fai tu; e perciò intendo fare tutto quello che tu fai ».

Il Santo era meravigliato e felice davanti a tanta purità e semplicità.

Giovanni fece tali progressi in tutte le virtù, che Francesco e gli altri frati restavano stupefatti della sua santità.

E dopo non molto tempo egli morì in questa santa perfezione.

Francesco, colmo di letizia nell'intimo ed esteriormente, raccontava ai frati la vita di lui, e lo chiamava « san Giovanni » in luogo di « frate Giovanni ».

[1567] Una falsa vocazione

20. Francesco percorreva una volta la provincia della Marca predicando.

Un giorno, dopo la predica alla gente di un villaggio, un uomo venne da lui e gli disse: « Fratello voglio lasciare il mondo ed entrare nella tua fraternità ».

Rispose Francesco: « Fratello, se vuoi entrare nella nostra famiglia, è necessario per prima cosa che tu distribuisca ai poveri tutti i tuoi beni, secondo la perfezione consigliata dal santo Vangelo, e poi che tu rinunzi completamente alla tua volontà ».

A queste parole, colui partì in fretta, ma ispirato da amore carnale e non spirituale, donò i suoi beni ai consanguinei.

Tornò poi da Francesco e gli disse: « Fratello, ecco, mi sono privato di tutti i miei averi! ».

E Francesco: « Come hai fatto? ».

Rispose quello: « Fratello, ho donato tutto il mio ad alcuni parenti, che erano nella necessità ».

Conobbe Francesco, per mezzo dello Spirito Santo, che quello era un uomo carnale, e subito lo accomiatò: « Vai per la tua strada, frate Mosca, poiché hai dato il tuo ai consanguinei, e ora vorresti vivere di elemosine tra i frati ».

E colui se ne andò per la sua strada, ricusando di distribuire i suoi averi ad altri poveri.

[1568] Tentazione e serenità

21. In quello stesso torno di tempo, mentre Francesco dimorava nel luogo della Porziuncola, fu assalito per il bene del suo spirito da una gravissima tentazione.

Interiormente ed esteriormente ne era duramente turbato, tanto che alle volte sfuggiva la compagnia dei fratelli perché, sopraffatto da quella tortura, non riusciva a mostrarsi loro nella sua abituale serenità.

Si mortificava, si asteneva dal cibo e dalla conversazione.

Spesso si internava a pregare nella selva che si stendeva vicino alla chiesa, per dare liberamente sfogo all'angoscia e al pianto in presenza del Signore, affinché Dio, che può tutto, si degnasse d'inviargli dal cielo la sua medicina in quella così violenta tribolazione.

E per oltre due anni fu tormentato giorno e notte dalla tentazione.

Accadde che un giorno, mentre stava pregando nella chiesa di Santa Maria, gli fu detta in spirito quella parola del Vangelo: « Se tu avessi una fede grande come un granello di senape, e dicessi a quel monte di trasportarsi da quello a un altro posto, avverrebbe così.

Francesco domandò: " E quale è quel monte? ".

Gli fu risposto: " Il monte è la tua tentazione ".

Rispose Francesco " Allora, Signore, sia fatto a me secondo che hai detto ".

E all'istante fu liberato, così che gli parve di non avere mai sofferto quella tentazione ».

[1569] A mensa con il lebbroso

22. Altra volta, essendo tornato un giorno Francesco alla Porziuncola, vi incontrò frate Giacomo il semplice, in compagnia di un lebbroso sfigurato dalle ulcere, capitato colà lo stesso giorno.

Il Santo aveva raccomandato a frate Giacomo con insistenza quel lebbroso e tutti quelli che erano più corrosi dal male.

A quei tempi, infatti, i frati abitavano nei lazzaretti.

Giacomo faceva da medico ai più colpiti, e di buon grado toccava le loro piaghe, le curava, ne mutava le bende.

Francesco si rivolse a frate Giacomo con tono di rimprovero: « Non dovresti condurre qui i fratelli cristiani, poiché non è conveniente per te né per loro ».

Il Santo chiamava « fratelli cristiani » i lebbrosi.

Fece questa osservazione perché, pur essendo felice che frate Giacomo aiutasse e servisse i lebbrosi, non voleva però che facesse uscire dal lazzaretto i più gravemente piagati.

In più, frate Giacomo era molto semplice, e spesso andava alla chiesa di Santa Maria con qualche lebbroso.

Oltre tutto, la gente ha orrore dei lebbrosi sfatti dalle ulcere.

Non aveva finito di parlare, che subito Francesco si pentì di quello che aveva detto e andò a confessare la sua colpa a Pietro di Catanio, ministro generale in carica: aveva rimorso di aver contristato il lebbroso, rimproverando frate Giacomo.

Per questo confessò la sua colpa, con l'idea di rendere soddisfazione a Dio e a quello sventurato.

Disse quindi a frate Pietro: « Ti chiedo di approvare, senza contraddirmi, la penitenza che voglio fare ».

Rispose frate Pietro: « Fratello, sia come ti piace ».

Talmente egli venerava e temeva Francesco, gli era così obbediente, che non osava mutare i suoi ordini, benché in questa e in molte altre circostanze ne restasse afflitto in cuore e anche esteriormente.

Seguitò Francesco: « Sia questa la mia penitenza; mangiare nello stesso piatto con il fratello cristiano ».

E così fu.

Francesco sedette a mensa con il lebbroso e gli altri frati, e fu posta una scodella tra loro due.

Ora, il lebbroso era tutto una piaga; le dita con le quali prendeva il cibo erano contratte e sanguinolente, così che ogni volta che le immergeva nella scodella, vi colava dentro il sangue.

Al vedere simile spettacolo, frate Pietro e gli altri frati furono sgomenti, ma non osavano dir nulla, per timore del padre santo.

Colui che ora scrive, ha visto quella scena e ne rende testimonianza.

[1570] Visione di Frate Pacifico

23. Un'altra volta, Francesco andava per la valle di Spoleto ed era con lui frate Pacifico, oriundo della Marca di Ancona e che nel secolo era chiamato " il re dei versi", uomo nobile e cortese, maestro di canto.

Furono ospitati in un lebbrosario di Trevi.

E disse Francesco al compagno: « Andiamo alla chiesa di San Pietro di Bovara, perché questa notte voglio rimanere là ».

La chiesa, non molto lontana dal lebbrosario, non era officiata, giacché in quegli anni il paese di Trevi era distrutto e non ci abitava più nessuno.

Mentre camminavano, Francesco disse a Pacifico: « Ritorna al lazzaretto, poiché voglio restare solo, qui, stanotte.

Verrai da me domani, all'alba ».

Rimasto solo in chiesa, il Santo recitò la compieta e altre orazioni, poi volle riposare e dormire.

Ma non poté, poiché il suo spirito fu assalito da paura e sconvolto da suggestioni diaboliche.

Subito si alzò, uscì all'aperto e si fece il segno della croce, dicendo « Da parte di Dio onnipotente, vi ingiungo, o demoni, di scatenare contro il mio corpo la violenza concessa a voi dal Signore Gesù Cristo.

Sono pronto a sopportare ogni travaglio.

Il peggior nemico che io abbia è il mio corpo, e voi quindi farete vendetta del mio avversario ».

Le suggestioni disparvero immediatamente.

E il Santo, facendo ritorno al luogo dove prima si era messo a giacere, riposò e dormì in pace.

Allo spuntare del giorno, ritornò da lui Pacifico.

Il Santo era in orazione davanti all'altare, entro il coro.

Pacifico stava ad aspettarlo fuori del coro, dinanzi al crocifisso, pregando anche lui il Signore.

Appena cominciata la preghiera, fu elevato in estasi ( se nel corpo o fuori del corpo, Dio lo sa ), e vide molti troni in cielo, tra i quali uno più alto, glorioso e raggiante, adorno d'ogni sorta di pietre preziose.

Mentre ammirava quello splendore, prese a riflettere fra sé cosa fosse quel trono e a chi appartenesse.

E subito udì una voce: « Questo trono fu di Lucifero, e al suo posto vi si assiderà Francesco ».

Tornato in sé, ecco Francesco venirgli incontro.

Pacifico si prostrò ai suoi piedi con le braccia in croce, considerandolo, in seguito alla visione, come già fosse in cielo.

E gli disse: « Padre, perdonami i miei peccati, e prega il Signore che mi perdoni e abbia misericordia di me ».

Francesco stese la mano e lo rialzò, e comprese che il compagno aveva avuto una visione durante la preghiera.

Appariva tutto trasfigurato e parlava a Francesco non come a una persona in carne e ossa, ma come a un santo già regnante in cielo.

Poi, come facendo lo gnorri, perché non voleva rivelare la visione a Francesco, Pacifico lo interrogò: « Cosa pensi di te stesso, fratello? ».

Rispose Francesco: « Sono convinto di essere l'uomo più peccatore che esista al mondo ».

E subito una voce parlò in cuore a Pacifico: « Da questo puoi conoscere che la visione che hai avuto è vera.

Come Lucifero per la sua superbia fu precipitato da quel trono, così Francesco per la sua umiltà meriterà di esservi esaltato e di assidervisi ».

[1571] La creta angelica

24. All'epoca in cui Francesco era presso Rieti, alloggiando per alcuni giorni in una camera di Tebaldo Saraceno per motivo del suo male d'occhi, disse una volta a uno dei compagni che nel mondo aveva imparato a suonare la cetra: « Fratello, i figli di questo secolo non sono sensibili alle cose divine.

Usano gli strumenti musicali, come cetre, arpe a dieci corde e altri, per la vanità e il peccato, contro il volere di Dio, mentre nei tempi antichi gli uomini li utilizzavano per la lode di Dio e il sollievo dello spirito.

Io vorrei che tu acquistassi di nascosto una cetra da qualche onesto uomo, e facessi per me una canzone devota.

Ne approfitteremmo per accompagnare le parole e le lodi del Signore.

Il mio corpo è afflitto da una grande infermità e sofferenza; così, per mezzo della cetra bramerei alleviare il dolore fisico, trasformandolo in letizia e consolazione dello spirito ».

Francesco di fatti aveva composto alcune laudi al Signore durante la sua malattia e le faceva talora cantare dai compagni a gloria di Dio e a conforto della sua anima, nonché allo scopo di edificare il prossimo

Il fratello gli rispose: « Padre, mi vergogno di andare a chiedere una cetra, perché la gente di questa città sa che io nel secolo sonavo la cetra, e temo che mi sospettino ripreso dalla tentazione di suonare ».

Francesco concluse: « Bene, fratello, lasciamo andare ».

La notte seguente il Santo stava sveglio.

Ed ecco sulla mezzanotte, fremere intorno alla casa dove giaceva il suono di una cetra: era il canto più bello e dilettoso che avesse udito in vita sua.

L'ignoto musicista si scostava tanto lontano, quanto potesse farsi sentire, e poi si riavvicinava, sempre pizzicando lo strumento.

Per una grande ora durò quella musica.

Francesco, intuendo che quella era opera di Dio e non di un uomo, fu ricolmo di intensa gioia, e con il cuore esultante e traboccante di affetto lodò il Signore che lo aveva voluto deliziare con una consolazione così soave e grande.

Al mattino, alzandosi, disse al compagno: « Ti avevo pregato, fratello, e tu non mi hai esaudito.

Ma il Signore che consola i suoi amici posti nella tribolazione, questa notte si è degnato di consolarmi ».

E narrò l'esperienza avuta.

Stupirono i fratelli, comprendendo che si trattava di un grande miracolo, e conclusero che Dio stesso era intervenuto a portare gioia a Francesco.

In effetti, non solo a mezzanotte, ma anche al terzo rintocco della campana, per ordine del podestà, nessuno poteva circolare per la città.

D'altronde, come Francesco riferì, la cetra sonante andava e tornava nel silenzio, senza parole di bocca umana, e ciò per una grande ora, a sollievo del suo spirito.

[1572] La vigna del Prete di Rieti

25. In quello stesso periodo, Francesco a causa della sua malattia d'occhi soggiornò presso la chiesa di San Fabiano, non lontano da quella città, ospite di un povero prete secolare.

Aveva allora residenza in Rieti il signore papa Onorio III con i cardinali.

E molti di costoro e altri ecclesiastici, per riverenza e devozione verso Francesco, venivano a fargli visita quasi ogni giorno.

Possedeva quella chiesa una piccola vigna, che si estendeva vicino alla casa dove dimorava Francesco.

Da una porta di questa quasi tutti i visitatori passavano nella vigna contigua, attirati sia dalla stagione delle uve mature, sia dall'amenità del luogo che invitava a sostarvi.

Successe quindi che, a motivo di quel viavai, la vigna fu pressoché tutta messa a soqquadro: chi coglieva i grappoli e se li piluccava sul posto, chi li pigliava per portarseli via, altri calpestavano il terreno.

Il prete cominciò ad agitarsi e protestare, dicendo: « Quest'anno il raccolto è perduto.

Per quanto piccola, la vigna mi dava il vino sufficiente al mio bisogno ».

Sentito questo lamento, Francesco lo fece chiamare e gli disse: « Non star male e non agitarti!

Ormai non possiamo farci niente.

Ma confida nel Signore, che può riparare al danno per amore di me, suo piccolo servo.

Dimmi: quante some hai fatto, negli anni di migliore raccolto? ».

Il sacerdote gli rispose: « Fino a tredici some, padre ».

E Francesco: « Coraggio, non contristarti più, non ingiuriare nessuno, non fare lamentele in giro, abbi fede nel Signore e nelle mie parole.

Se raccoglierai meno di venti some, prometto di rifondertene io ».

Il sacerdote si calmò e stette tranquillo.

E accadde per intervento di Dio che raccolse effettivamente non meno di venti some, come Francesco gli aveva promesso.

Quel sacerdote ne rimase attonito, e con lui tutti gli altri che riseppero la cosa, e attribuirono il prodigio ai meriti del beato Francesco.

In verità, la vigna era stata devastata; ma anche fosse grondante di grappoli, sembrava impossibile ricavarne venti some di vino.

Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare che quando diceva: « È così », oppure: « Così sarà », avveniva sempre come aveva predetto.

E noi molte cose vedemmo realizzarsi mentre era in vita e anche dopo la sua morte.

[1573] Il pranzo offerto al medico

26. Sempre in quel periodo, Francesco soggiornò per curare il suo male d'occhi nel romitorio dei frati di Fonte Colombo, presso Rieti.

Un giorno l'oculista della città era venuto a visitarlo.

Si era trattenuto con lui, come d'abitudine, per qualche ora.

Mentre si disponeva a partire, Francesco disse a uno dei compagni: « Andate, e servite al medico un buon pranzo ».

Il compagno rispose: « Padre, te lo confessiamo con vergogna: siamo così poveri adesso, che non osiamo invitarlo e offrirgli da mangiare ».

Francesco si rivolse ai compagni: « Uomini di poca fede, non mi fate ripetere l'ordine ».

Intervenne il medico e disse a Francesco e ai compagni: « Fratello, proprio perché sono tanto poveri, più volentieri mangerò insieme a loro ».

Quel sanitario era molto ricco, e, sebbene il Santo e i compagni lo avessero invitato a mensa sovente, mai aveva accettato.

Andarono dunque i frati a preparare la tavola, e con vergogna vi disposero quel poco di pane e di vino che avevano e gli scarsi legumi che si erano cucinati.

Sedutisi a mensa, avevano appena cominciato a mangiare, quando qualcuno bussò alla porta.

Un frate si alzò e corse ad aprire: c'era una donna che recava un gran canestro pieno di bel pane, pesci, pasticcio di gamberi, miele e grappoli di uva colti di fresco.

Era un dono inviato a Francesco dalla signora di un castello che distava dal romitaggio quasi sette miglia.

A quella sorpresa, i frati e il medico rimasero trasecolati, riflettendo alla santità di Francesco.

E disse il medico agli ospiti: « Fratelli miei, né voi, come dovreste, né noi conosciamo la santità di quest'uomo ».

[1574] Predice la conversione di un marito

27. Andava un giorno Francesco alle Celle di Cortona, seguendo la strada che scorre ai piedi della cittadina di Lisciano, presso il luogo dei frati di Preggio.

E accadde che una nobildonna di quella città scese in fretta per parlare al Santo.

Uno dei frati, vedendo la signora che si avvicinava, stanca per il viaggio, disse a Francesco: « Padre, per amore di Dio, aspettiamo quella signora che ci segue per parlare con te, ed è così affaticata ».

Francesco, da uomo pieno di carità e di compassione, si fermò ad attenderla.

E nel vederla appressarsi trafelata e animata da fervore e devozione grande, le disse: « Cosa posso fare per te, signora? ».

Rispose la donna: « Padre, ti prego di darmi la tua benedizione ».

Riprese Francesco: « Sei maritata o sei nubile? ».

E lei: « Padre, è molto tempo che il Signore mi ha dato la volontà di servirgli, ho avuto e ho ancora un desiderio grande di salvare l'anima mia.

Ma ho un marito assai crudele e nemico a se stesso e a me per quanto riguarda il servizio di Cristo.

Così un vivo dolore e un'angoscia mi affliggono l'anima fino a morirne ».

Francesco, considerando lo spirito fervoroso di lei, soprattutto vedendola così giovane e di fisico fragile, fu mosso a pietà di lei, la benedisse e l'accomiatò con queste parole: « Va' pure; troverai tuo marito in casa, e gli dirai da parte mia che prego lui e te, per amore di quel Signore che soffrì la passione di croce per noi, di salvare le vostre anime vivendo a casa vostra ».

La donna se ne andò.

Entrata in casa, vi trovò il marito, come le aveva detto Francesco.

Questi le domandò: « Da dove vieni? ».

E lei: « Vengo da un incontro con Francesco.

Mi ha benedetta, e le sue parole mi hanno consolata e allietata nel Signore.

Inoltre mi incarica di esortarti e pregarti a suo nome che ci salviamo l'anima rimanendo in casa nostra ».

A quelle parole, per i meriti di Francesco, la grazia di Dio scese subito in cuore a quell'uomo.

Rispose egli con molta delicatezza e bontà, completamente trasformato da Dio: « Signora, d'ora in poi, nel modo che vorrai, mettiamoci a servire Cristo e salviamoci l'anima, come ha raccomandato Francesco ».

La moglie soggiunse: « Signore, mi sembra bene che viviamo in castità, virtù che molto piace a Dio e procura una grande ricompensa ».

Concluse l'uomo: « Se piace a te, piace anche a me.

In questo e in ogni altra opera buona, voglio unire la mia volontà alla tua ».

Da quel giorno per lunghi anni i due vissero in castità, facendo generose elemosine ai frati e agli altri poveri.

Non solo i secolari, ma anche i religiosi si stupivano della santità di quei coniugi, soprattutto perché l'uomo, da mondano che era prima, d'un tratto era divenuto così spirituale.

Perseverando in queste e in ogni altra opera buona sino alla fine, morirono a pochi giorni di distanza l'uno dall'altra.

E si fece un gran compianto su di essi, per il profumo emanato dalla loro vita di bontà, lodando e benedicendo il Signore, che aveva largito loro, fra molte altre grazie, quella di servirlo in intima concordia.

Non furono separati nemmeno nella morte, poiché si spensero l'uno appresso all'altro.

E fino ai nostri giorni quelli che li conobbero li ricordano come dei santi.

[1575] Un postulante immaturo

28. Quando ancora nessuno veniva ricevuto nella fraternità senza il consenso di Francesco, si presentò con altri che aspiravano a questa vita il figlio di un nobile di Lucca.

Francesco allora stava poco bene, e abitava nel palazzo del vescovi di Assisi.

Mentre i frati presentavano i nuovi venuti, quel giovane si inchinò davanti a Francesco e scoppiò a piangere forte, supplicando di essere accettato.

Il Santo lo fissò e gli disse: « Misero e carnale uomo, perché stai mentendo allo Spirito Santo e a me?

Carnale e non spirituale è questo tuo pianto ».

Non aveva finito di parlare che irruppero in piazza, a cavallo, i parenti di lui con il proposito di prendere il giovane e riportarlo a casa.

Sentendo egli lo strepito dei cavalli e guardando i sopravvenuti da una finestra del palazzo, scorse i suoi parenti e subito si precipitò fuori incontro ad essi.

In loro compagnia tornò nel mondo, come aveva previsto Francesco, illuminato dallo Spirito Santo.

I frati e gli altri presenti ne furono sbalorditi, e magnificarono e lodarono Dio nel suo Santo.

Indice