Proverbi |
Il libro dei Proverbi si presenta come un'ampia raccolta di massime, sentenze, insegnamenti, esortazioni che vanno dalla semplice descrizione della vita di ogni giorno al poemetto finemente elaborato ( come "l'elogio della donna virtuosa", 31,10-31 ).
È un libro radicato in quella tradizione di saggezza propria dei popoli del Vicino Oriente antico, che è all'origine della letteratura sapienziale.
Il contenuto di questa letteratura è la riflessione sull'esperienza quotidiana, sulla famiglia, sulla condizione dell'uomo e della donna, sui loro vizi e virtù, sul rapporto con Dio e con il prossimo.
Il libro dei Proverbi, quindi, è un'opera che colloca dentro la parola di Dio la parola e l'esperienza quotidiana dell'uomo.
La sua attribuzione a Salomone, il grande re che la tradizione religiosa d'Israele considera come il saggio per eccellenza ( 1,1 ), probabilmente aveva lo scopo di rendere autorevole un testo che all'apparenza sembrava diversificarsi dagli altri libri biblici, radicati nella storia e nell'esperienza religiosa d'Israele.
Il libro dei Proverbi si compone di 31 capitoli così suddivisi:
Introduzione ( 1,1-7 )
La sapienza e i suoi consigli ( 1,8-9,18 )
Proverbi di Salomone ( 10,1-22,16 )
Insegnamenti dei saggi ( 22,17-24,22 )
Altri insegnamenti dei saggi ( 24,23-34 )
Altri proverbi di Salomone raccolti dagli uomini di Ezechia, re di Giuda ( 25,1-29,27 )
Insegnamenti di altri saggi ( 30,1-31,9 )
Elogio della donna virtuosa ( 31,10-31 ).
Nel libro dei Proverbi confluisce un patrimonio sapienziale che abbraccia un arco di cinque secoli ( dal X al V sec. a.C. ), lungo i quali la letteratura di questo genere è andata gradualmente sviluppandosi, dalle forme più semplici della breve massima e dell'indovinello a quelle più elaborate della riflessione e del discorso.
Anche la concezione della sapienza è venuta man mano affinandosi in questo libro, superando il significato generico di capacità o abilità umana, per assurgere a prerogativa divina.
I cc. 22-24 sono quelli che maggiormente si ispirano alla raccolta egiziana delle massime di Amenemope ( XIII-XII sec. ): la letteratura sapienziale biblica, infatti, nasce nel contesto dell'antico mondo sapienziale orientale ( Egitto e Mesopotamia ).
I cc. 30-31 contengono brevi raccolte, composte da alcune sentenze attribuite a due saggi orientali, estranei a Israele, e da altre basate sul gioco dei numeri ( i cosiddetti "proverbi numerici" ).
I cc. 10-22 contengono proverbi attribuiti a Salomone, conosciuto dalla tradizione ebraica come autore di parecchie sentenze ( 1 Re 5,9-14 ) e saggio governante ( 1 Re 3,16-28; Sir 47,14-17 ).
Si tratta di un'ampia sezione, con una profonda ispirazione religiosa ( il nome del Signore vi appare con molta frequenza ) e da collocare tra il materiale più antico del libro.
Un rimando al re Salomone si trova anche nei cc. 25-29 dove vengono presentati altri proverbi, raccolti all'epoca di Ezechia, re di Giuda ( VIII-VII sec. ).
Ultimo brano è una composizione alfabetica, che traccia l'ideale della donna, descritto secondo i canoni della società patriarcale ( 31,10-31 ).
Proprio i primi capitoli del libro dei Proverbi, che sono anche i più recenti ( cc. 1-9 ), costituiscono la parte più teologica, quasi a mostrare che gli elementi della sapienza popolare racchiusi nell'opera contengono in se stessi un profondo valore religioso.
La sapienza è qui personificata ed è presentata come uno dei modi in cui Dio rivela se stesso, accanto alla parola e alla legge, e comunica con l'uomo.
Il libro dei Proverbi, nonostante sia stato attribuito a Salomone ( 1,1 ), va considerato come opera di diversi autori, che hanno contribuito a fissare il testo attuale in un lungo arco di tempo.
La parte più antica risale all'epoca della monarchia in Israele ( X-VII sec. ); essa ha come destinatario l'ambiente di corte, della famiglia e della scuola, e come finalità la formazione degli scribi e di quanti venivano impiegati nell'amministrazione del regno.
I primi nove capitoli riflettono invece la concezione della sapienza che si è affermata dopo l'esilio babilonese ( V sec. ): la sapienza diventa anzitutto una prerogativa divina, e non è più soltanto un mezzo per ottenere successo e benevolenza.
Gli Ebrei mostrarono di possedere doti eminenti nel genere sapienziale, in quella poesia didascalica, cioè, il cui oggetto è la sapienza, ricercata direttamente o divulgata attraverso massime, sentenze, consigli ecc. redatti in prosa o in versi.
Il termine sapienza per gli Ebrei non comprende un concetto unico, ma può indicare la virtù con la quale gli atti umani sono rettamente indirizzati al fine, i beni del corpo e della fortuna, i costumi, e allora abbraccia tutto il complesso delle virtù morali, poiché ha per base il timor di Dio, per strumenti la disciplina e la scienza, e come aiuto la prudenza, la riflessione e il consiglio ( Pr 3,21; Pr 7,4; Pr 8,14 ).
Si noti però che la sapienza ebraica non trae precetti e consigli dalla legge divina positiva o legge mosaica, ma dalla ragione ( legge naturale ) e specie dall'esperienza: assomiglia alla filosofia etica e ne possiede perciò il valore universale.
Nella legge mosaica, erano già tramandate norme importantissime di vita retta e giusta; perciò qualche volta la sapienza viene identificata e personificata nella stessa legge mosaica, che in quel caso assurge a esempio e prototipo di sapienza.
Ancora più importante però è la personificazione della sapienza di Dio: la divina sapienza, che è la sorgente di ogni saggezza e che risplende mirabilmente nelle opere della creazione, è presentata dagli autori sacri come persona che sta a sé e agisce indipendentemente da Dio: esce da lui, in lui ha il fondamento e principio, a lui nello stesso tempo è legata e ne è distinta.
È vero che molti hanno pensato a una imitazione ebraica delle forme del pensiero orientale ed ellenistico; ma il fatto che in altri libri della Bibbia si trovino personificati diversi attributi di Dio ( la parola di Dio, la clemenza, la verità, la giustizia, ecc. ) può far concludere che per spiegare la personificazione della sapienza non è necessario ricorrere all'imitazione di altre religioni o correnti filosofiche.
Tra i sapienziali, primo per antichità e ampiezza è il libro dei Proverbi detto in ebraico: Meshalim di Salomone.
Si chiama mashal un proverbio o una sentenza morale, espressa in forma concisa e spesso arguta, racchiusa di solito in due stichi e, più raramente, in tre o anche quattro.
Vi sono tre specie di mashal:
1) il semplice mashal, similitudine o paragone o parabola, tratta dalle cose visibili, per illustrare una verità morale ( Pr 25,28 );
2) meliga, detto arguto ( Pr 26,17 );
3) khida, una specie di indovinello ( Pr 30,15-16 ).
Così dunque il mashal è un'espressione che non si rivolge solo alla mente o alla coscienza, ma, per essere più efficace, cerca di interessare anche la fantasia: al principio morale che deve essere messo in evidenza si contrappone un fatto analogo, di natura tutta diversa.
La disposizione attuale dei Prov. è la seguente:
1) Invito generale a seguire la sapienza: 1-9.
2) Proverbi di Salomone: prima serie: 10,1-22,16.
3) Detti dei saggi: prima serie: 22,17-24,22.
4) Detti dei saggi : seconda serie: 24,23-34.
5) Proverbi di Salomone: seconda serie: 25-29.
6) Detti di Agur: 30,1-14.
7) Sentenze numerali: 30,15-33.
8) Detti di Lemuel: 31,1-9.
9) Elogio della donna virtuosa: 31,10-31.
Nella versione greca, queste nove parti si susseguono in quest'ordine: 1. 2. 3. 6. 4. 7. 8. 5. 9, con aggiunte e omissioni di vv., segno di una recensione diversa.
L'insieme del libro si può raccogliere in maniere differenti:
1) o mettendo in risalto le parti attribuite a Salomone, come nucleo principale dell'opera e centro intorno al quale si andarono adunando gli altri scritti,
2) o dividendo il tutto in nove parti, a seconda dell'argomento trattato, ma più ancora a seconda dell'autore di ciascuna di esse.
Tuttavia, in ambedue le divisioni, dobbiamo notare che affiorano caratteri comuni e cioè, nell'analisi più minuziosa che si ottiene con la seconda, vengono ugualmente messi in risalto gli elementi caratteristici propri della prima, cosi che, senza dare la preferenza all'una o all'altra, stimiamo meglio esporre le conclusioni che derivano dai due metodi fusi insieme.
Il testo di Prov. risulta così di due nuclei principali attribuiti a Sailomone ( 10,1-22,16 e 25-29 ); al primo di essi furono aggiunte due appendici o libretti, da alcuni saggi ( autori anonimi; 22,17-24,22 e 24,23-34 ); al secondo invece furono aggiunte quattro appendici, di cui la seconda ( 30,15-33 ) e la quarta ( 31,10-31 ) anonime, la prima di Agur ( 30,1-14 ) e la terza di Lemuel ( 31,1-9 ); ad ambedue i nuclei, infine, fu premessa, come introduzione generale a tutto il libro, una lunga dissertazione anonima, cioè un invito a seguire la sapienza e a ruggire la donna perversa ( cc. 1-9 ).
È evidente che il libro consta di parecchie collezioni, diverse per autore e per età di composizione; tuttavia si può dire che già verso l'anno 200 a. C. la raccolta doveva essere completa, come risulta da Sir 47,15-17 confrontato con Pr 1,6.
Le parti più antiche sono certo quelle attribuite a Salomone: una di queste ( la seconda: cc. 25-29 ) è una raccolta compilata per ordine del re Ezechia ( Pr 25,1 ) ed è posteriore all'altra.
Anche i criteri interni attestano che queste due collezioni sono antichissime.
Infatti: la forma letteraria delle sentenze è la più semplice, cioè presenta la struttura primigenia del mashal, la materia della sentenza è formata, il più delle volte, da "una semplice descrizione e osservazione empirica di usi e costumi; la maniera rispettosa con la quale si parla del re indica un tempo di grande splendore per la monarchia e mal si adatterebbe a tempi postesilici, come vorrebbero alcuni critici recenti.
Perché tali mashal si possano attribuire a Salomone, basta che siano stati da lui pronunciati ( come del resto sembra suggerire 1 Re 5,9-14 ) e poi raccolti da altri, in tempi più o meno vicini all'autore; in tal modo si spiegherebbero facilmente le mutazioni accidentali cadute nel testo e anche le parziali ripetizioni di alcuni detti.
Non sappiamo chi siano gli altri due autori, Agur e Lemuel, i cui detti formano la parte centrale e più recente del libro: i moderni pensano che siano due abitanti della città di Massa, appartenenti alla regione ismaelitica, oltre il Giordano, verso il deserto arabico ( Gen 25,14 ).
Questo è ottenuto interpretando la parola massa del testo ebraico come nome patronimico e non ( come intendevano gli antichi ) indicazione di genere letterario ( « sentenza », « visione » ).
Però, anche nel caso si trattasse di due Ismaeliti, si deve ritenere che sono o di origine ebraica o convertiti all'ebraismo: Agur, infatti, riconosce espressamente come suo dio Jahve ( Pr 30,9 ).
Restano senza precisazione di autore l'inizio e l'epilogo, assolutamente anonimi e la cui aggiunta non può andare oltre il IV o V sec. a. C.
Il titolo che si trova all'inizio deve, perciò, riferirsi alla sezione salomonica che inizia con il c. 10.
Logicamente fu poi ripetuto all'inizio della seconda sezione ( c. 25 ) poiché fra l'una e l'altra entrarono le collezioni di Agur e di Lemuel.
Possiamo pertanto identificare nel modo seguente l'origine di Prov.
I detti memorabili pronunciati da Salomone divennero ben presto patrimonio della sapienza popolare e circolarono sulla bocca di tutti; forse ne furono fatte varie raccolte fin dall'inizio.
Una, comprendente circa 400 di tali massime, cominciò a essere letta e conosciuta sotto il titolo di Proverbi di Salomone.
In seguito, le furono aggiunti altri detti come appendice e sotto forma di Consigli di sapienti.
Non tutte le sentenze di Salomone erano, però, contenute in questa raccolta; altre erano radunate in collezioni diverse, una delle quali, sotto il re Ezechia alla fine del sec. vili, collazionata e adorna di titolo conveniente, fu aggiunta alla prima come seconda raccolta ufficiale.
In seguito, prima o dopo l'esilio o forse in entrambe le epoche, a queste due raccolte principali si aggiunsero in vario modo altre sentenze memorabili di vari autori.
Finalmente, nel sec. V-IV un anonimo diede forma organica al complesso alquanto farraginoso del libro; vi aggiunse come conclusione il carme della donna virtuosa, premise alla collezione completa una introduzione adatta e pubblicò il tutto, ponendolo sotto l'egida dell'autore più illustre, che ne aveva segnato la prima origine.
Non è mancato chi ha spiegato una gran parte del libro come imitazione della sapienza greco-ellenistica: principale indizio sarebbe la personificazione dell'influsso greco, presentato come donna straniera, dalla quale si deve stare lontani.
Come già si è detto, la personificazione di virtù e vizi è abbastanza comune nei Salmi e in Is., perché si debba scorgervi un influsso letterario greco.
Inoltre, poiché l'A. sembra voglia inculcare la fedeltà matrimoniale, sembra più opportuno interpretare le espressioni che riguardano la donna straniera in senso letterale e non metaforico.
Si tratterebbe, perciò, di esortazioni a fuggire ogni commercio extramatrimoniale, a fuggire l'adulterio e la fornicazione, intendendo con queste parole i peccati specifici e non l'apostasia dalla legge per dedicarsi alla sapienza pagana.
Ne manca oggi chi vede nei testi cananeo-fenici e nei documenti di Ras Shamra-Ugarit possibili fonti di Prov.
Maggiore gravita presenta invece il problema della eventuale dipendenza di Prov. dalla letteratura sapienziale egiziana.
Un libro, noto sotto il titolo di Insegnamenti di Amen-em-ope presenta caratteri di somiglianza spiccatissima con Pr 22-24 per cui alcuni hanno concluso immediatamente per una dipendenza dell'ebraico dall'egiziano.
Le affinità non sono solo sostanziali ( materia uguale, facilmente spiegabile ) ma anche letterarie e accidentali; si nota, però, una differenza di non poco valore.
Le somiglianze più impressionanti si trovano nella prima raccolta dei saggi, che venne aggiunta alla prima serie di Salomone ( cc. 22-24 ); le sentenze che a essa corrispondono nel libro egiziano si trovano sparse in tutta l'opera di Amen-em-ope.
Visto che tale influsso si avverte principalmente in quella parte di Prov. che per la sua natura si prestava a raccogliere gli elementi più disparati ( detti dei saggi ), non si può negare che si debba riconoscere un influsso egiziano su questi saggi, autori delle predette sentenze; ma da ciò non segue che tale influsso si sia esteso a tutto il libro.
Probabilmente si tratta di detti che, importati dall'Egitto o modellati secondo schemi letterari egiziani, furono poi aggiunti alla sezione salomonica; forse il compilatore definitivo del libro o, anche, quello stesso della prima raccolta salomonica non avverti più nelle predette sentenze l'influsso egiziano, tanto esse erano ambientate e armonizzate con lo spirito ebraico.
Altri pensano che i libri egiziani dipendano da quelli ebraici.
Alcuni, infine, ammettono una fonte comune sia alla raccolta egiziana che a quella ebraica: tutti e due gli autori se ne sarebbero serviti, indipendentemente l'uno dall'altro; rimane, però, la questione: il libro a cui ambedue hanno attinto era ebraico o egiziano?
Prov. è citato diverse volte sia nel N. T. ( Gv 7,38; Rm 12,20; Gc 4,6 ) che presso gli antichi Padri della Chiesa.
In modo particolare esso è legato alla controversia contro gli Ariani, specie per 8,22-31, in cui si parla delle relazioni della sapienza con Dio.
In questi passi infatti la sapienza divina è concepita non come un'astrazione, ma è personificata.
Anche nelle lezioni della Liturgia latina e greca i Proverbi sono usati frequentemente.
L'introduzione e l'epilogo del libro, come più recenti, hanno meno sofferto nella trasmissione lungo i secoli; le parti di mezzo, specie le più antiche, subirono diversi ritocchi.
Tuttavia la ricostruzione di un testo passabile è resa meno difficile dalla legge del parallelismo, che consente spesso di correggere con sicurezza.
La versione greca si scosta parecchio dal testo ebraico; tuttavia il valore della sua testimonianza è di poco peso, per varie ragioni: prima delle quali è che il traduttore mostra di conoscere ben poco la lingua ebraica e spesso commette veri e propri errori da principiante.
Ne si cura di rendere alla lettera il senso, ma, per gusto di eleganza, non si trattiene dall'aggiungere di suo qualche volta interi vv, come parafrasi.
A volte mancano vv. che si trovano nel testo ebraico: ciò che fu aggiunto invece, raramente ha l'impronta della genuinità, per cui non si può essere certi che si trovasse realmente nel manoscritto ebraico, usato dal traduttore.
La versione latina venne fatta da Girolamo in gran fretta, ma con molta perspicuità, per cui, tranne nei luoghi difficili in cui ricorre alla versione greca, rende sempre molto bene l'ebraico.
Don Federico Tartaglia
Don Claudio Doglio
Card. Gianfranco Ravasi
La Sapienza nelle piazze fa udire la sua voce
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