Eucaristia, comunione e comunità |
Fin qui ci siamo accostati, in umiltà e con commosso stupore, al « Mistero della fede », lasciandoci guidare docilmente dai testi biblici.
Se la Parola è sempre « lucerna ai nostri passi », ( Sal 119,105 ) lo è soprattutto quando ci avviciniamo al grande rito, in cui non solo « è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa »,51 ma l'evento pasquale che ha fatto scoccare l'ora della salvezza si fa presente con tutto il suo potenziale di grazia.
Tornano alla mente le parole che Dio disse a Mosè: « Togliti i calzari perché il terreno che calpesti è sacro »
( Es 3,5 ).
Chiesa ed Eucaristia sono apparse così strettamente connesse, da non poter esistere l'una senza l'altra.
Ma l'itinerario biblico non è l'unico.
Ce n'è un altro con cui i credenti fanno immediatamente l'impatto, ed è la celebrazione.
Essa tuttavia non è « altra cosa » rispetto alla divina Parola.
La Chiesa, infatti, quando si raduna per celebrare l'Eucaristia, fa quello che ha fatto il suo Signore, obbedendo al suo comando.
E la Bibbia non descrive precisamente il gesto del Signore e la sua portata?
I due itinerari dunque si corrispondono e si illuminano a vicenda.
D'altra parte la celebrazione in cui si incarna il gesto del Signore è « segno efficace »: quindi fa quello che dice e di conseguenza dice quello che fa.
Lo dice attraverso il « segno », che rende visibile la grazia e le esigenze del mistero, con un linguaggio in cui parola e gesti si compongono nell'unità del rito, parlando con efficacia pedagogica a tutto l'uomo e non solo alla sua mente.
35. Il criterio fondamentale enunciato dal Concilio è perciò di fare l'esperienza del mistero passando attraverso quella del rito: « I fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente ed attivamente ».52
Era il classico metodo con il quale i Padri della Chiesa introducevano i fedeli alla esperienza del mistero cristiano, ed è quello che seguiamo anche noi in questo capitolo.
La celebrazione, direbbe Sant'Agostino, è « parola visibile ».
Essa « è azione e non solo lezione, è azione di vita »:53 azione della Chiesa in cui si incarna l'agire di Dio, cioè tutto il dramma della storia della salvezza che cammina verso la Pasqua di Cristo.
Perciò i vari momenti che la compongono e si succedono non sono elementi giustapposti, ma parte di un tutto organico.
Vivendola, siamo condotti passo passo dalla pedagogia della Chiesa a far nostri i sentimenti che furono in Cristo Gesù durante la cena pasquale e sulla croce e a tradurli nel nostro stile di vita.
Così la Chiesa che, secondo San Girolamo, è il « noi » dei cristiani e il prolungamento di Cristo nella storia, diventa anche segno trasparente della sua presenza.
Il primo grande segno di cui si fa esperienza nella celebrazione, e all'interno del quale si pongono tutti gli altri, è l'assemblea.
Essa ha il suo punto di partenza nella iniziativa libera e gratuita del Signore che convoca i credenti intorno a sé.
Come ad Emmaus, il Signore scende così sulla strada dell'uomo per farsi suo compagno di viaggio e animarlo di speranza per il suo cammino.
Il tutto inizia già quando, al suono della campana - ed è bene oggi riscoprire questo suono - i fedeli escono di casa e si avviano verso la Chiesa.
In quel movimento che fa convergere i fedeli verso lo stesso luogo per diventare il soggetto attivo dell'unica azione, il mistero della Chiesa trova una manifestazione sensibile, e insieme l'attuazione più piena.54
Lì si vede che la Chiesa - come dice San Cipriano - è « popolo radunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».55
E il nuovo popolo sacerdotale che Dio ha convocato in Cristo Gesù in modo permanente, ma che ha il suo tempo forte proprio nell'Eucaristia, in cui la Chiesa si costruisce e si rinnova incessantemente.56
Ma il segno rituale dell'assemblea ha il suo contenuto nella « comunione » dello Spirito.
Occorre distruggere tutti i residui di diffidenza e di incomprensione che ci dividono.
Mentre i corpi sono gomito a gomito, i cuori devono fondersi nell'unità: « Molti corpi ma non molti cuori » commenta Sant'Agostino riferendosi all'ideale della comunità di Gerusalemme.
I fedeli possono cantare con l'antico inno: « Ci ha raccolti insieme l'amore di Cristo ».
Chi entra nell'assemblea deve quasi vedere e toccare con mano la natura della Chiesa.
Del mistero della Chiesa l'assemblea eucaristica evidenzia alcuni aspetti:
In ogni assemblea, per quanto piccola, si realizza tutto il mistero della Chiesa, Una e Santa.
Essa si fa evento ovunque c'è comunione di fede intorno al Risorto.
Perciò ogni assemblea, segno della Chiesa intera, deve aprirsi sulle altre comunità e sull'intera cattolicità, assumendo un respiro universale.
Coesione interna ed apertura agli altri sono i due poli di ogni gruppo ecclesiale.
Quando al contrario un gruppo si chiude su se stesso, intristisce.
Tutto ciò si fonda sulla universalità della salvezza e sulla esigenza di entrare nel grande disegno di Dio che abbraccia tutto l'arco del tempo e dello spazio.
38. La Chiesa in un determinato luogo non è costituita semplicemente dalle persone che si aggiungono l'una all'altra, non è il frutto dell'umano stare insieme.
Questo sfocerebbe in una unità psicologica.
La Chiesa trascende tale unità, essendo « comunione dello Spirito Santo » che riunisce i figli di Dio dispersi.
C'è una comunione fondante che discende da presso Dio come la Gerusalemme celeste, ( Cfr. Ap 21,2 ) ed ha la forza di abbattere ogni divisione e di ristabilire il circuito dell'amore nell'unico corpo di Cristo.
Diventa quasi un riflesso del divino scambio: del ricevere e del donare.
Questo appare con somma evidenza nell'Eucaristia, spazio totale di grazia, dono gratuito che discende dall'alto.
E questo ogni celebrazione lo deve evidenziare evitando ogni orizzontalismo sociologico.
39. Nell'assemblea Eucaristica convocata da Dio, ogni fedele è da lui accolto sotto il segno della gratuità.
E questo deve suscitare lo stesso atteggiamento verso i fratelli, cominciando da quelli che sono riuniti nell'assemblea.
Si traduce così in atto l'invito dell'Apostolo: « Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi per la gloria del Padre » ( Rm 15,7 ).
Ognuno si sente effettivamente accolto come fratello, come membro di una famiglia, come un uomo che ha una sua dignità e merita perciò attenzione e rispetto, specie se povero ed emarginato.
Ne nasce uno stile evangelico che si inscrive poi nei rapporti quotidiani.
40. Poiché il peccato è sorgente di ogni divisione, i convitati avvertono che la comunione con Cristo e con i fratelli è offuscata e compromessa dai loro tradimenti.
Da questa consapevolezza nasce l'esigenza della conversione e della riconciliazione che si esprimono nell'atto penitenziale: il rapporto infranto si ricompone.
Se tale atto non ha valore sacramentale in senso stretto, e non sostituisce dunque il sacramento della Penitenza, ha tuttavia una grande valenza spirituale e pedagogica: associa il senso del peccato, che ostacola l'avvento del Regno, a una fiducia sconfinata nella misericordia del Padre che nel « sacrificio di riconciliazione » ci viene incontro in modo inaudito.
Al popolo nuovo che ha convocato in assemblea, Dio rivolge la sua Parola: « Egli, nel suo immenso amore, parla agli uomini come ad amici, e si intrattiene con essi ».58
Inizia così l'azione concreta di cui l'assemblea, presieduta dal sacerdote, è soggetto.
È un unico atto di culto, in due momenti distinti ma strettamente connessi: liturgia della Parola e liturgia eucaristica.
Si accoglie la Parola e poi si partecipa al mistero.
Come ai piedi del monte Sinai: dal « sì » al Signore che parla nasce la nuova alleanza, matrice del nuovo popolo, che Cristo sigilla poi con il suo sangue.
Nella liturgia della Parola trova espressione tutta la vicenda della storia della salvezza, dalla quale emerge sempre il primato di Dio che chiama.
E Dio che va incontro all'uomo, è lui che incomincia a parlare.
Perciò intorno all'altare c'è un popolo in ascolto del suo Dio che « qui-ora » parla.
Nella proclamazione della Parola, « Cristo annunzia ancora il suo Vangelo ».59
E non è solo una parola che dice, cioè comunica.
È « forza di salvezza per chiunque crede » ( Rm 1,16 ) perché è il Risorto presente che parla.
« È come se vedessi la sua bocca », direbbe Gregorio Magno.
Perciò è insieme « glorificazione di Dio ed evento salvifico per gli uomini ».61
Partecipa dell'efficacia dell'evento pasquale che ha dato gloria al Padre e riconciliato il mondo.
Questo faceva dire ad Ignazio d'Antiochia: « Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo ».62
42. In quest'ottica la liturgia della Parola appare un momento di fondamentale importanza sia per l'edificazione della comunità che per la fede che la deve animare.
Anzitutto, oggi come ieri, la Chiesa nasce dall'annunzio del Vangelo e ad esso si alimenta per la sua crescita.
Quando gli Apostoli predicano, quelli che accolgono la Parola « si aggiungono alla comunità ». ( Cfr. At 2,47 )
E se è vero che è con l'iniziazione cristiana, culminante nell'Eucaristia, che si entra nella Chiesa, è altrettanto vero che si tratta di « sacramenti della fede »; e quindi non solo presuppongono l'annunzio, ma lo esigono di loro natura con la proclamazione della Parola.
Il Vangelo accolto è dunque l'atto costitutivo della Chiesa.64
Di conseguenza « la Chiesa esiste per evangelizzare ».
È « la sua grazia e vocazione propria, la sua identità più profonda ».65
Essa ha l'unico scopo di essere per tutti strumento di salvezza: non con le sue sole forze, ma con i mezzi di grazia che Cristo ha posto nelle sue mani, anzitutto la Parola e i Sacramenti.
D'altronde, se l'annunzio riveste forme e modalità molteplici, rimane pur sempre vero che la liturgia è culmine e fonte di tutta l'attività ecclesiale e quindi l'annunzio, che in essa si realizza, è culmine e fonte di tutta la predicazione.
Strettamente congiunto alla Scrittura e al Sacramento, e fondendoli nell'unico atto di culto, l'annunzio realizza in pienezza il passaggio del Signore in mezzo al suo popolo.
43. L'omelia assume in quest'ottica un grande rilievo.
Da una parte essa attualizza il messaggio biblico tenendo conto « sia del mistero celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta ».66
Dall'altra è l'unico mezzo per spezzare il pane della Parola alla massa dei battezzati, non raggiunti dalle altre iniziative di catechesi.
Se essa dunque non funziona, il messaggio non arriva e la casa di Dio piomba nel buio.
I tre cicli festivi che proclamano i Vangeli, le pagine centrali dell'Antico Testamento e le lettere apostoliche, permettono di presentare tutto l'universo rivelato, tutta la grande storia con cui Dio ci ha salvato.
Se si è fedeli alla oggettività del messaggio ne risulta che, nel complesso, da una parte non ci sono ripetizioni, dall'altra tutto il messaggio biblico è presente, secondo un nuovo tipo di organicità che non è quello dei manuali, ma quello della storia della salvezza.
Inoltre, i fedeli sono condotti a partecipare vivamente all'Eucaristia, in cui l'annunzio si traduce in evento, e poi ad esprimere nella vita quanto hanno ricevuto nella fede.67
È esattamente quello che ha fatto il risorto Signore con i discepoli di Emmaus: « E cominciando da Mosè, attraverso tutti i profeti, spiegava loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava » ( Lc 24,27 ).
A Dio che ha parlato, i fedeli rispondono anzitutto con il Salmo, preghiera ispirata, nella convinzione espressa da Pascal, che « solo Dio parla bene a Dio ».
Rispondono poi con il « Credo », un «
« sì » che esprime la totale adesione alla Parola ascoltata, che rinnova e rilancia le promesse battesimali e che fa entrare in comunione di fede con Dio.
Così la comunità non solo confessa la sua fede, ma esprime la volontà di conformare la vita a ciò che crede e di impegnare nella missione ogni sua forza, ogni sua disponibilità.
Dopo « l'ascolto della fede », « l'obbedienza della fede »: quella che ha spinto i discepoli di Emmaus a correre a Gerusalemme per professare con gioia insieme agli Undici: « Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone » ( Lc 24,34 ).
In questa prospettiva di dialogo tra Dio e il suo popolo assume speciale rilievo la preghiera universale, nella quale « il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini ».68
Pregare gli uni per gli altri, anche nel discorso ecclesiale di Matteo, è un elemento essenziale della vita di comunità: ( Cfr. Mt 18,20 ) è la forma suprema di carità, perché fa appello all'aiuto del Signore che trascende le povere risorse di cui noi disponiamo.
Tale preghiera, pur con la dovuta attenzione alle istanze del territorio e con lo sforzo di tradurre nel dialogo orante la Parola ascoltata, deve caratterizzarsi soprattutto per la sua universalità.
Il suo orizzonte è la Chiesa universale e il mondo intero.
Siamo educati così a superare l'egoismo anche nella preghiera, e a dimenticarci per pensare ai grandi interessi del regno di Dio.
La Chiesa primitiva di Gerusalemme, assidua « nelle preghiere » oltreché nell'ascolto, ci è modello per la sua apertura sul vasto mondo in cui, dispersa dalle persecuzioni, ha seminato il Vangelo.
45. Il dialogo che si compie nel rito è poi chiamato a esprimersi e a prolungarsi in tutta la vita.
Il cristianesimo è la religione del dialogo, come ebbe a ricordare Paolo VI nella sua enciclica « Ecclesiam suam ».70
La Chiesa, entrando nel dialogo iniziato da Dio nella stona della salvezza, nelle sue caratteristiche di gratuità, di accoglienza, di apertura universale e di rispetto per ogni uomo, impara a dialogare con il mondo, al cui servizio pone la sua missione di portare il lieto annunzio.
« La partecipazione all'ufficio profetico di Cristo stesso - ci ricorda Giovanni Paolo II - plasma la vita di tutta la Chiesa, nella sua dimensione fondamentale.
Una speciale partecipazione a questo ufficio compete ai Pastori della Chiesa, i quali insegnano e, di continuo ed in diversi modi, annunciano e trasmettono la dottrina della fede e della morale cristiana.
Questo insegnamento, sia sotto l'aspetto missionario che sotto quello ordinario, contribuisce ad adunare il popolo di Dio attorno a Cristo, prepara alla partecipazione all'Eucaristia, indica le vie della vita sacramentale …
Inoltre bisogna sempre più procurare che le varie forme della catechesi e i diversi suoi campi - a cominciare da quella forma fondamentale, che è la catechesi familiare, cioè la catechesi dei genitori nei riguardi dei loro figli - attestino la partecipazione universale di tutto il popolo di Dio all'ufficio profetico di Cristo stesso.
Bisogna che, in dipendenza da questo fatto, la responsabilità della Chiesa per la verità divina sia sempre più, e in vari modi, condivisa da tutti ».71
In ogni rapporto di comunione, soprattutto sponsale, viene il momento in cui le parole non bastano ad esprimere tutta la ricchezza e la fecondità dell'amore.
Si fa allora prepotente l'esigenza del dono totale di sé.
Così avviene nel progetto di alleanza-comunione di Dio con i « suoi ».
Egli « dopo aver parlato a più riprese e in diversi modi per mezzo dei profeti » ( Eb 1,1 ), nella pienezza dei tempi non solo ci parla nel Figlio, ma ce lo dona.
E il Figlio « si dona » per amore a noi.
È il più grande atto d'amore della storia, e rivela la serietà con la quale Dio è fedele all'alleanza e vuole stare con l'uomo, per essere solidale con il suo destino di miseria e di morte.
Perciò il dinamismo della celebrazione, che muove dalla convocazione e raduna l'assemblea, si sviluppa nel dialogo e raggiunge il suo vertice nella liturgia eucaristica.
Essa riproduce la cena, la stessa che Gesù ha compiuto nell'ultimo vespro della sua vita, ma contiene la Pasqua: Cristo stesso, cioè, nell'atto di donarsi per amore.
E il « corpo dato » e il « sangue versato », dato per noi e versato per noi, che viene consegnato alla Chiesa negli umili segni del pane e del vino.
Infatti - secondo il rilievo di Tertulliano - è nello stile di Dio « la sproporzione tra i mezzi umilissimi che usa e le cose grandiose che fa ».
Quella di Cristo non è solo una « pre-esistenza » ( il Figlio esiste da sempre presso il Padre, prima di incarnarsi ), ma ancor più una « pro-esistenza »: una vita, cioè, completamente donata e spesa per gli altri.
Questo mistero tocca il suo vertice nella Pasqua e nel segno eucaristico che la attualizza.
Partecipare ad essa non è un gesto rituale da compiere, magari in modo meccanico e ripetitivo.
Dicendo: « Fate questo in memoria di me », Cristo non ha chiesto la pura ripetizione di un gesto rituale.
Ha chiesto di farlo come l'ha fatto lui, assumendo i sentimenti che furono i suoi, ( Cfr. Fil 2,5 ) modellandosi sulla sua autodonazione.
L'Eucaristia è perciò il momento in cui tutta la vita della Chiesa viene raccolta intorno al Cristo pasquale, riceve il dono del suo amore oblativo e poi viene rilanciata per le strade del mondo, per essere un segno della sua presenza di buon Samaritano, quasi per far sperimentare ai fratelli l'intensità e la forza con cui Dio li ama, con la qualità stessa del suo amore.
Un amore che pensa più a dare che a ricevere.
Questo lo esprime attraverso i suoi martiri di ieri e di oggi.
48. Come non pensare a tutti quelli che, nel lungo corso della storia, sono stati immolati proprio mentre presiedevano o partecipavano allrEucaristia?
E un numero considerevole di Vescovi, di presbiteri e di laici che sono passati attraverso una morte violenta per essere stati strenui servitori delle verità evangeliche e del diritto dei più poveri.
Ogni Chiesa locale potrebbe far memoria di molti suoi figli testimoni, a volte anonimi, di un amore al santissimo sacramento dell'Eucaristia che ha sfidato ogni minaccia umana fino al coraggio del martirio.
C'è poi tutta la schiera dei campioni della carità che contrassegnano costantemente il cammino nella storia: dal diacono Lorenzo, a San Vincenzo de' Paoli, a don Orione.
Pensiamo anche a molti testimoni dell'Eucaristia viventi in comunità religiose e monasteri; il mistero eucaristico infatti non sta solo al centro nella loro preghiera ma pure al centro della loro spiritualità e di quel messaggio che tengono incessantemente vivo per il bene delle nostre comunità.
Ne sentiamo forte la necessita, soprattutto oggi, e siamo profondamente grati a questi nostri fratelli e sorelle.
Anche il « volontariato » serio, che impegna cioè la vita con scelta stabile, come « vocazione al servizio », affonda le sue radici in questo stesso amore evangelico.
La comunione ecclesiale, espressione storica della « comunione dei santi », ha qui la sua legge statutaria: l'unica sua legge, come dice San Paolo, che riassume tutte le altre. ( Cfr.
1 Cor 12,31;
1 Cor 13,1-13;
cfr. Rm 14,1-23 )
Il cuore della liturgia eucaristica è la grande preghiera « di azioile di grazie e di santificazione ».74
In essa il sacerdote, e con lui l'assemblea, rende grazie:
- fa memoria di tutta la storia della salvezza culminante nella Pasqua;
- invoca lo Spirito perché il pane e il vino siano trasformati nel Cristo immolato e glorificato,
- e perché i partecipanti « diventino in Cristo un solo corpo e un solo spirito »;75
- offre il sacrificio della nuova ed eterna alleanza per la vita del mondo,
- in un clima di « confessione » in cui sale al Padre, nel giubilo della fede, ogni onore e gloria.
Tale preghiera non è solo un testo da recitare, ma una grande « azione » da compiere.
In questo il sacerdote non è solo ma, agendo a nome di tutti, associa strettamente tutta l'assemblea presente, la quale deve partecipare con una tensione interna di fede e di carità.
50. La ricca tematica del canone, che non può trovare qui sviluppo adeguato, si raccoglie intorno a un suo centro: il « memoriale ».
Esso non è solo ricordo, non fa riferimento unicamente al passato.
Implica la presenza attiva di ciò che è ricordato: e così le meraviglie di Dio rivivono nell'oggi, perché Dio « si ricorda » di ciò che ha fatto e interviene nel presente.
Ma anche la comunità, insieme a lui, « si ricorda »: e lo fa attivamente, partecipando a ciò che Dio ha fatto.
I credenti cioè mostrano l'agire di Dio nel loro agire.
Poiché Dio fa misericordia, anche noi facciamo misericordia.
Poiché Dio perdona, anche noi perdoniamo.
Poiché Dio fa alleanza, anche noi stringiamo vincoli di comunione con i fratelli.
Così il fedele, lasciandosi plasmare dal dono divino, si modella sull'atteggiamento del « Signore-che-si-dona » e diventa lo strumento per cui quel dono passa ai fratelli.
Questo è il memoriale autentico, liturgia vissuta.
Allora si supera la barriera del formalismo, e la celebrazione provoca l'impegno, compromette la responsabilità.
I riti di comunione, che sono parte essenziale del rito conviviale, si aprono con la preghiera del « Padre nostro ».
Con essa l'assemblea esprime la coscienza esaltante di appartenere alla famiglia dei figli di Dio.
Perciò « osa » rivolgersi a lui chiamandolo « Abbà-Padre », e si accosta con fiducia al banchetto che egli ha preparato per i suoi figli.
L'abbraccio di pace, scelto « per significare l'unità »,76 diventa simbolo trasparente dei vincoli fraterni che intercorrono tra i credenti.
Anche la « frazione del pane » si colloca nella stessa logica di comunione, quella che Paolo ha richiamato ai Corinzi: un solo pane spezzato fra tutti, quindi un solo corpo.
La comunione sacramentale acquista così la pienezza delle sue dimensioni: mentre è il modo pieno di partecipare al banchetto della nuova alleanza, è anche piena inserzione nel corpo mistico del Signore, ove vige la legge della piena comunione di vita tra le membra.
È come se ogni comunicante potesse dire al fratello: che cosa ci potrà separare se viviamo tutti del pane spezzato che il Padre ci offre, donandoci il suo Cristo?
Per questa strada la comunione eucaristica si riscatta da una visione intimistica e devozionale, che tende a separare il Capo divino dalle membra.
52. Nella liturgia i segni « parlano »: il pane non è fatto solo per essere mangiato.
Esige anche di essere condiviso.
Quindi il dono ricevuto si inscrive nella vita solo se spinge chi si comunica a farsi commensale di ogni uomo.
E questo soprattutto con chi nel mondo, ancora afflitto da disuguaglianze ed ingiustizie, soffre la fame.
Sono una schiera senza numero.
« Spezza il tuo pane con l'affamato », diceva già Isaia. ( Cfr. Is 58,7 )
L'Eucaristia sostiene così con la divina energia l'impegno quotidiano di condivisione con ogni forma di miseria.
Come abbiamo già accennato, facendo eco della prassi comune e interpretando l'istanza operativa del mistero celebrato, San Giustino, fin dai primi tempi della Chiesa, esorta a mettere « nelle mani di colui che presiede … quanto viene raccolto » per essere poi consegnato ai più bisognosi.78
La « diaconia » ecclesiale procede dunque dall'Eucaristia.
Forse per questo Luca collega con il racconto della cena l'esortazione di Gesù al servizio. ( Cfr. Lc 22,24-27 )
E il Cristo della cena, nel racconto di Giovanni, è in atteggiamento essenzialmente « diaconale »: mentre è a tavola con i suoi compie un servizio riservato agli schiavi, lavando i piedi ai discepoli.
Lui che è il maestro e il Signore. ( Cfr. Gv 13,14 )
E anche questo un memoriale consegnato alla Chiesa, un invito a fare come ha fatto lui nell'atto di spezzare il pane.
L'evangelista Giovanni non narra l'istituzione dell'Eucaristia, ma ricorda quel gesto che conduce al cuore dell'Eucaristia: « Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.
Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli » ( Gv 13,4-5 ).
In questo gesto è definito plasticamente lo stile messianico di Cristo, e lo stile di vita di quella Chiesa che nel mondo è segno della sua presenza.
La celebrazione si conclude con il congedo.
Esso non va banalizzato come semplice avvertimento che tutto è finito ed è lecito uscire.
È piuttosto l'invito ad iniziare un'altra celebrazione in cui è impegnata tutta la vita.
L'assemblea si scioglie solo per disperdere i partecipanti nelle strade del mondo, affinché siano in mezzo ai fratelli testimoni della morte e della risurrezione di Cristo.
Quando la bella notizia del Vangelo arde nel cuore, non si riesce a tenerla per sé: si sente l'urgenza di comunicarla.
Quando si è accolto il dono di un amore spinto fino all'estremo limite, si sente che è troppo bello per custodirlo in un geloso intimismo.
Come avrebbero potuto i due di Emmaus restarsene tranquilli nella loro casa?
In questa forte esperienza si radica la missione della Chiesa, e il congedo liturgico, insieme all'orazione conclusiva, ne è il segno espressivo.
D'altronde, collegata con l'Eucaristia, la missione è colta nella sua esatta portata: non si va a portare qualcosa di proprio, ma a comunicare il dono ricevuto, con la forza dello Spirito che l'Eucaristia comunica attraverso il corpo del Risorto.
La missione si trova così legata alla « consacrazione », elemento chiave messo in luce dal Concilio:81 non appare quindi come pura « funzione » tattica, pragmatica o organizzativa.
Più che una cosa da fare, è un modo di essere.
Lo stesso modo di essere del Cristo, che è « l'inviato del Padre ».
Del resto egli presenta l'invio dei suoi come la continuazione immediata della missione ricevuta dal Padre: « Come il Padre ha mandato me, così io mando voi » ( Gv 20,21 ).
La Chiesa è Chiesa proprio perché mandata: e nell'Eucaristia affonda le radici della sua missione, per attingere alla vita del Risorto.
Il Regno infatti non si costruisce con le sole energie umane, ma con la forza dello Spirito.
Fare l'Eucaristia in memoria di Cristo, servo obbediente, sofferente e glorificato, diventa gesto autentico e pieno solo per quelli che dalla celebrazione escono con la chiara coscienza di essere inseriti attivamente nella grande missione ecclesiale.
Indice |
51 | Presbyterorum Ordinis, n. 5 |
52 | Sacrosanctum Concilium, n. 48 |
53 | Il rinnovamento della catechesi, n. 113 |
54 | Cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 41 |
55 | Cipriano, De oratione dominica, 23 |
56 | Cfr. Istruzione Generale Messale Romano, n. 24 |
58 | Dei Verbum, n. 2 |
59 | Sacrosanctum Concilium, n. 33 |
61 | Cfr. Il rinnovamento della catechesi, n. 34 |
62 | Ignazio di Antiochia Ai cristiani di Filippi, V,1 |
64 | Cfr. Paolo VI , Evangelii nuntiandi, n. 15 |
65 | Ibid., 14-15 |
66 | Istruzione Generale Messale Romano, n. 41 |
67 | Ordo Lectionum Missae, n. 24 |
68 | Istruzione Generale Messale Romano, n. 45 |
70 | Paolo VI, Ecclesiam suam, Parte III |
71 | Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 19 |
74 | Cfr. Istruzione Generale Messale Romano, n. 54 |
75 | Preghiera Eucaristica III |
76 | Istruzione Generale Messale Romano, n. 112 |
78 | Cfr. Giustino Apologia prima, 67 |
81 | Cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 48; cfr. Lumen gentium, n. 10; Apostolicam actuositatem, n. 3 |