L'Evangelizzazione del mondo contemporaneo |
27. - Poiché il problema dell'evangelizzazione solleva oggi molte difficoltà non solo di ordine pastorale e pratico, ma anche di ordine teologico, la Chiesa italiana ritiene opportuno, anzi necessario, che il Sinodo dei Vescovi elabori una teologia dell'evangelizzazione, esplicitando e coordinando i dati della Sacra Scrittura e della Tradizione della Chiesa: si indicherà, in tal modo, alle Chiese patricolari una linea teologica e pastorale su cui tutti possano convenire, al di là delle legittime accentuazioni e differenziazioni richieste da situazioni particolari.
Soprattutto, la Chiesa italiana, ritiene indispensabile che il Sinodo risponda ad alcuni problemi particolari sorti nella Chiesa dopo il Concilio circa l'evangelizzazione, poiché le differenti e talvolta opposte risposte che si danno a tali problemi creano sbandamento e confusione nei fedeli e divisioni e lacerazioni profonde nel tessuto ecclesiale.
La Chiesa italiana, desiderando portare il suo modesto contributo all'opera sinodale, presenta qui dapprima un breve abbozzo di teologia dell'evangelizzazione e poi un tentativo di soluzione agli odierni problemi dell'evangelizzazione.
L'evangelizzazione è l'atto col quale la Chiesa, sotto l'impulso dello Spirito Santo, annunzia ed attua la salvezza che il Padre, nel suo infinito amore, offre a tutti gli uomini in Cristo e per mezzo di Cristo, morto e risorto.
L'evangelizzazione ha dunque una struttura interna ed una struttura esterna:
nella sua struttura interna essa, nella sua origine e nella sua efficacia, è essenzialmente « trinitaria », cioè opera della SS. Trinità, poiché nasce dall'amore del Padre, è compiuta dal Figlio e riceve la sua efficacia dallo Spirito Santo;
nella sua struttura esterna essa è essenzialmente « ecclesiale », perché è opera della Chiesa in quanto è « sacramento di salvezza per tutto il genere umano ».
L'evangelizzazione è, dunque, una realtà complessa, in cui la struttura interna e quella esterna sono intimamente fuse in un unico atto ecclesiale, il quale, però, ha due aspetti, che sono, sì, distinti, ma nello stesso tempo sono complementari.
L'evangelizzazione, infatti, comporta in primo luogo l'annunzio della salvezza; comporta in secondo luogo l'attuazione della salvezza: cosicché l'evangelizzazione esprime non un aspetto soltanto ma tutta la missione della Chiesa.
L'annunzio della « parola di salvezza » ( At 13,26 ) si svolge in varie tappe:
dapprima, l'annunzio è fatto a chi ancora ignora il messaggio di salvezza, allo scopo di portarlo alla « conversione », cioè al pentimento ed alla fede ( annunzio kerigmatico );
poi è fatto a chi è già convertito, per risvegliame ed alimentarne la fede ( catechesi )
o difenderla dagli errori ( definizioni dogmatiche, interventi del magistero ordinario ),
oppure perché conformi la sua vita al messaggio di salvezza ( omelia, predicazione )
o si ponga sulla via della perfezione evangelica ( per esempio, esercizi spirituali ).
L'attuazione della salvezza si ha nel sacramento, perché la salvezza cristiana « viene a noi per via sacramentale » ( C.E.I., Evangelizzazione e sacramenti, n. 32, 12 luglio 1973): anzitutto, in Cristo e per mezzo di Cristo, in quanto è « sacramento del Padre » e del suo amore salvifico, che è all'origine di tutta l'opera della salvezza; poi nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, in quanto è « sacramento di Cristo » e « segno e strumento » della salvezza operata da Cristo ( cfr. Lumen gentium, 1 ); infine nei sacramenti della Chiesa, in quanto attuazioni privilegiate della sacramentalità della Chiesa, alle quali Cristo ha attribuito la singolare efficacia di comunicare agli uomini la sua stessa vita, a cominciare dal Battesimo col quale si entrà a far parte della Chiesa come comunità di salvezza fino all'Eucaristia, la quale, perciò, è « il culmine di tutta l'evangelizzazione » ( Presbyterorum Ordinis, 5 ).
31. - In realtà, c'è un legame strettissimo e vivente tra la Parola e il Sacramento, non solo perché Cristo stesso lo ha posto quando ha comandato agli Apostoli di annunziare il messaggio della salvezza e di battezzare ( cfr. Mt 28,19 ), ma perché la Parola, essendo parola di salvezza e quindi di vita, tende a tradursi immediatamente in Sacramento, che è appunto il segno e lo strumento con cui Cristo nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, comunica al credente la sua vita, unendolo vitalmente a sé.
Perciò dice giustamente il documento della C.E.I.: « L'evangelizzazione è indispensabile premessa al sacramento, mentre il sacramento la comprende e ne porta a pienezza l'annunzio, che diventa in tal modo operativo di grazia attraverso il segno » ( Evangelizzazione e sacramenti, n. 41 ).
32. - Intesa, perciò, in senso pieno, l'evangelizzazione non può essere ridotta al solo annunzio del messaggio della salvezza e tanto meno al solo « primo » annunzio ( annunzio kerigmatico ), ma deve comprendere anche l'attività sacramentale, come attuazione « piena » dell'annunzio della salvezza: si può quindi dire che nell'evangelizzazione è compresa ed attuata tutta la missione della Chiesa.
L'evangelizzazione è opera della Chiesa, ma questa evangelizza sotto l'impulso dello Spirito Santo: « È spinta, infatti, dallo Spirito Santo a cooperare perché sia eseguito il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero » ( Lumen gentium, 17 ).
Forte dello Spirito ricevuto nella Pentecoste, come Cristo, unto da Dio di Spirito Santo ( cfr. At 10,38 ), evangelizza « i poveri », così la Chiesa, nei suoi apostoli, annunzia « con tutta franchezza » ( At 28,31 ) il messaggio di Gesù, con la grazia e la forza dello Spirito Santo ( cfr. At 2,4ss ).
È, poi, lo Spirito Santo che con la sua « consolazione » moltiplica la Chiesa ( cfr. At 9,31 ), perché egli dà forza di convinzione alla parola degli apostoli ed apre il cuore dei credenti all'accoglimento dell'annunzio, poiché solo nello Spirito noi conosciamo Cristo e confessiamo che « Gesù è Signore » ( 1 Cor 12,3 ).
L'evangelizzazione è l'opera di « tutta » la Chiesa, della gerarchia e del laicato: « Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere, quanto gli è possibile, la fede » ( Lumen gentium, 17 ).
L'evangelizzazione non è, perciò, riservata alla gerarchia, ma è dovere di tutti i cristiani, anche dei laici: « La vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all'apostolato » ( Apostolicam actuositatem, 2 ).
Però, se nella Chiesa c'è « unità di missione », c'è anche « diversità di ministero » ( Apostolicam actuositatem, 2 ).
Così, per quanto riguarda l'evangelizzazione,
la gerarchia ha il compito primario e specifico di « rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio » ( At 20,24 ) in nome di Cristo e con la sua autorità, di custodirlo nella sua integrità e immune da ogni errore come lo ha ricevuto dagli Apostoli, e di applicarlo alle realtà storiche in continuo movimento;
invece, i laici, esercitando il loro ufficio profetico, di annunzio del Vangelo, devono farlo in spirito di comunione con la gerarchia e di obbedienza filiale al suo insegnamento, pur potendo e dovendo collaborare con essa nell'arricchimento e nello sviluppo omogeneo del messaggio evangelico e nell'applicarlo alle situazioni ed ai problemi del proprio tempo.
35. - Ma, più che su questa « diversità di ministero », bisogna oggi insistere sul dovere che tutti i laici hanno di partecipare, secondo le proprie possibilità, all'unica missione evangelizzatrice della Chiesa.
Nonostante l'insegnamento e le esortazioni del Concilio Vaticano II, i laici cristiani non hanno ancora preso piena coscienza del loro dovere di evangelizzare i loro fratelli.
In particolare, si deve insistere sul dovere dei genitori di essere i primi maestri della fede dei loro figli e di collaborare con i sacerdoti nell'iniziazione cristiana di essi.
« La famiglia è chiamata ad essere il primo luogo di annunzio del messaggio cristiano e di educazione permanente alla fede » ( Evangelizzazione e sacramenti, n. 95 ).
L'evangelizzazione non è un annunzio qualsiasi, ma è una « testimonianza », è l'annunzio fatto da un « testimone » che si rende garante della verità di quanto annunzia: infatti, per annunziare agli uomini il messaggio della salvezza, Gesù costituisce gli Apostoli suoi « testimoni … fino agli estremi confini della terra » ( At 1,8 ): essi devono attestare solennemente dinanzi agli uomini tutto quello che è avvenuto dal battesimo di Giovanni fino all'ascensione di Gesù e di cui sono stati testimoni ( cfr. At 1,22 ); in particolare, devono essere i testimoni della Risurrezione « davanti al popolo » ( At 13,31 ).
È quanto essi fanno: « Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni » ( At 2,32 ).
Tanto che « credere » è accettare la testimonianza degli Apostoli: « È stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi », scrive San Paolo ai Tessalonicesi ( 2 Ts 1,10 ).
Evangelizzare è quindi testimoniare, è rendere testimonianza a Cristo: testimonianza che può giungere fino al martirio: quanti, infatti, sono perseguitati « a causa della testimonianza resa a Gesù » ( Ap 1,9 ) e quanti sono sgozzati per la testimonianza di Gesù e la Parola di Dio ( cfr. Ap 6,9; Ap 17,6 ).
Allora la testimonianza della fede è consacrata dalla testimonianza del sangue.
37. - Nell'evangelizzazione della Chiesa di oggi permane la testimonianza apostolica, perché per mezzo di una catena ininterrotta di testimoni fedeli ( Tradizione ) la Chiesa di oggi si ricollega agli Apostoli ed alla loro predicazione: cosicché, la testimonianza della Chiesa di oggi è la stessa testimonianza degli Apostoli.
Ma, come gli Apostoli testimoniarono la verità e la realtà di quanto annunziavano con la santità della vita e con la sofferenza spinta fino al martirio, così oggi la Chiesa, per poter evangelizzare efficacemente, deve divenire sempre più santa nella sua vita e sempre più evangelica nelle sue strutture e nel suo comportamento, deve essere sempre pronta a sopportare per il Vangelo la sofferenza, la persecuzione e il martirio.
Non basta che nella Chiesa ci siano dei santi e dei martiri; è necessario che tutta la Chiesa, nella sua globalità di popolo di Dio, appaia sempre di più come il segno di Dio innalzato tra i popoli ( cfr. Is 11,12; Conc. Vat. I, Const. de Fide catholica, c. 3 ).
38. - Perciò, l'evangelizzazione comporta, per la Chiesa e per ogni cristiano, un impegno di fedeltà al Vangelo e di santità di vita sempre più intenso.
Questo non significa che la Chiesa debba rinunciare, come ritengono alcuni, all'evangelizzazione finché non si sia rinnovata interiormente e non appaia chiaramente come segno di Dio nel mondo: ciò vorrebbe dire, per essa, rinunziare definitivamente al suo compito di evangelizzazione, perché, essendo formata di peccatori, la Chiesa non sarà mai santa perfettamente, ma sarà « sempre bisognosa di purificazione » e dovrà « continuamente far penitenza e rinnovarsi » ( Lumen gentium, 8 ).
Significa solo che la Chiesa, prendendo sempre più coscienza dello strettissimo legame che c'è tra evangelizzazione e testimonianza di santità e di martirio, deve impegnarsi sulla via della fedeltà al Vangelo assai più di quanto oggi non faccia.
Non si deve, infatti, sottovalutare - e il Sinodo dovrebbe prestarvi una particolare attenzione - il fatto che, almeno in alcuni Paesi di antica cristianità, oggi la Chiesa « istituzionale » da alcuni cattolici, appartenenti ai gruppi del « dissenso » e dei « cristiani critici », sia accusata di essere il principale ostacolo all'evangelizzazione per la sua vita ed il suo agire difformi dal Vangelo, e dai non credenti e credenti « marginali » sia considerata non « credibile » nel suo annunzio del messaggio evangelico, proprio per la distanza e l'incoerenza tra ciò che fa e ciò che annunzia, tra la sua vita e il suo messaggio.
Ma, se la testimonianza della vita è necessaria per l'efficacia dell'evangelizzazione, da sola non basta all'evangelizzazione, come oggi alcuni pretendono: in realtà, essa è resa intelligibile dalla proclamazione della Parola: non si comprende il significato ed il valore d'una testimonianza se non si sa a chi o a che cosa si dà testimonianza.
A sua volta, però, la proclamazione della Parola è resa credibile dalla testimonianza che con la sua vita, con le sue opere e, se è necessario, col suo sangue rende a quella parola colui che la proclama.
La Parola di Dio « è potenza di Dio per la salvezza » ( Rm 1,16 ): ha, perciò, un vigore interiore proprio che non gli viene da colui che la proclama.
Essa agisce per forza propria, non per la forza che le viene dal modo intelligente e persuasivo con cui l'apostolo la proclama.
Perciò, san Paolo annunzia il Vangelo « non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo » ( 1 Cor 1,17 ): poiché « è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione » ( 1 Cor 1,21 ), egli non è venuto a Corinto ad annunziare « la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza », ma si è presentato ai corinzi « in debolezza e con molto timore e trepidazione » e la sua parola e il suo messaggio « non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza », ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza », affinché la fede dei corinzi « non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio » ( 1 Cor 2,1-5 ).
L'evangelizzazione, perciò, va fatta con mezzi « poveri », nello stile di umiltà e di povertà che fu proprio di Cristo e degli Apostoli, e l'apostolo non deve porre la sua fiducia nei mezzi umani di cui può disporre ( ma che possono anche mancargli ), bensì nella potenza di Dio.
Perciò, egli non si lascerà impaurire dalle difficoltà ma annunzierà il Vangelo « con franchezza e senza impedimento » ( parresìa ) ( At 28,31 ), « in ogni occasione opportuna e non opportuna » ( 2 Tm 4,2 ), sapendo di essere un « collaboratore di Dio » ( 1 Cor 3,9 ) ed un « ambasciatore di Cristo » per riconciliare gli uomini con Dio ( 2 Cor 5,20 ).
Essendo comunicazione della salvezza agli uomini mediante la Parola ed i Sacramenti, l'evangelizzazione esige un linguaggio e dei segni che siano comprensibili e significativi per l'uomo a cui essa è diretta.
Ciò pone due grossi problemi: il problema del linguaggio e il problema dei segni.
Il linguaggio non è solo un sistema di segni fonici convenzionali, ma è legato al carattere, alla mentalità ed alla cultura di un popolo: perciò, non si può comprendere il linguaggio di un popolo se non se ne conoscono la psicologia, la storia e la cultura, se non si riesce a penetrarne lo spirito.
Ciò pone all'evangelizzazione un grave problema.
Infatti, oggi l'evangelizzazione è fatta in un linguaggio che non è quello del nostro tempo, perché o viene usato il linguaggio biblico o viene usata una terminologia che risente fortemente del linguaggio della filosofia e della teologia scolastica.
Ora il linguaggio biblico ( ebraico, aramaico e greco-popolare ) appartiene ad una civiltà molto lontana dalla nostra: affinché perciò l'annunzio del messaggio della salvezza, che è fatto nel linguaggio biblico, sia compreso rettamente, è necessaria una buona catechesi biblica, la quale, però, è di difficile attuazione, data anche la brevità del tempo di cui si dispone per l'evangelizzazione e la ristretta capacità di ascolto di coloro ai quali è rivolto l'annunzio della salvezza.
Per quanto riguarda la terminologia scolastica, essa è molto utile per esprimere con esattezza e precisione la fede cristiana, ma per la sua astrattezza è molto lontana dal linguaggio di oggi, assai concreto e legato ad una mentalità scientifica e positiva.
Ciò esige una traduzione del messaggio evangelico in un linguaggio che, senza tradirne il contenuto, lo renda immediatamente comprensibile e significativo per l'uomo di oggi: cosa non facile, perché, non essendo il linguaggio mai « neutro » ma legato alla mentalità dell'epoca, in un'epoca di secolarizzazione qual è la nostra, si rischia di « secolarizzare » il messaggio evangelico.
A parte i segni naturali, che sono patrimonio di ogni civiltà e comprensibili per ogni uomo, i segni convenzionali variano da civiltà a civiltà.
Così, alcuni dei segni sacramentali sono immediatamente percepibili anche da parte dell'uomo moderno, ma altri lo sono meno o non lo sono affatto: se, per esempio, in una civiltà rurale, l'olio è un segno facilmente comprensibile, in una civiltà urbana ed industriale lo è molto di meno e fuori dell'area mediterranea può non esserlo affatto.
Di qui la necessità d'una catechesi dei segni sacramentali e, per quanto attiene ai segni non sacramentali, la necessità che ciascun popolo o ciascuna area di civiltà abbia segni propri, immediatamente percepibili: solo così il cristianesimo può incarnarsi nelle varie culture e divenire una religione non più straniera per i popoli non-occidentali.
Il messaggio della salvezza è rivolto a tutti, perché Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità » ( 1 Tm 2,3 ).
Perciò, nessuno può e deve essere escluso dall'annunzio del Vangelo: si tratti di uomini singoli o di classi sociali.
È, quindi, da condannare la pretesa di alcuni cristiani di riservare l'annunzio evangelico ai soli « poveri », intendendo con questo termine la classe « sociale » dei poveri, degli oppressi e degli emarginati.
La Chiesa deve fare come il seminatore che getta il seme della Parola dovunque - anche sulla strada, tra le pietre e tra i rovi ( cfr. Mt 13,3-9 ) - poiché « Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre » ( Mt 3,9 ).
Si deve tuttavia riconoscere che, nell'annunzio della salvezza, i « poveri », cioè coloro che non avendo beni terreni ed essendo privi o privati del potere su cui potersi appoggiare per farsi valere, pongono la loro fiducia e la loro speranza in Dio, attendendo da lui la loro salvezza, godono di un particolare « privilegio »: essi sono i « primi » ad essere chiamati al Regno di Dio; anzi, il Regno di Dio appartiene già ad essi ( cfr. Mt 5,3 ).
Perciò, come Cristo è stato inviato dal Padre « per annunziare ai poveri un lieto messaggio » ( Lc 4,18 ), così la Chiesa è inviata da Cristo ad evangelizzare, prima di tutti gli altri, i poveri.
Quindi, nell'annunzio del messaggio evangelico, la Chiesa deve privilegiare i poveri, gli emarginati, gli oppressi.
43. - Ma, rivolta a tutti gli uomini, e in maniera privilegiata ai poveri, la Parola di Dio fruttificherà in maniera assai differente: talvolta fruttificherà poco o non fruttificherà affatto; anche quando cadrà sulla « terra buona », darà ora il cento, ora il sessanta ed ora il trenta ( cfr. Mt 13,8 ).
Ciò significa che, se da una parte, la Chiesa dovrà preoccuparsi di un cattolicesimo « qualitativo », dall'altra, non dovrà cessare di essere « Chiesa di popolo ».
Si deve, perciò, respingere la tendenza rigorista che vorrebbe ridurre la Chiesa ad un « piccolo gregge » di cristiani ferventi, mettendo fuori di essa coloro che, pur conservando qualche germe di fede, non praticano se non in maniera sporadica oppure non si mostrano degni del nome cristiano: poiché, se la Chiesa ha l'obbligo di porre questi cristiani di fronte alle loro responsabilità e di esigere da essi coerenza tra fede e vita, ha anche l'obbligo di non spegnere il lucignolo fumigante, ma piuttosto di adoperarsi perché esso prenda vigore.
Anche nei riguardi della religiosità popolare, che oggi alcuni, anche col pretesto dell'opposizione che esisterebbe tra « religione » e « fede », troppo facilmente tacciano di « religione » e di « superstizione », la Chiesa deve sforzarsi di purificarla dalle possibili incrostazioni superstiziose e magiche e di elevarla al piano d'una fede sempre più cosciente e matura, ma non deve eliminarla col pretesto che essa è di ostacolo ad una fede autentica: anche i « poveri » e quelli che hanno una fede « povera » hanno diritto ad avvicinarsi a Dio con i mezzi di cui sono capaci.
Ma il messaggio della salvezza non è rivolto dalla Chiesa solo agli individui ed ai popoli, bensì anche alle culture dei vari popoli.
Ciò, per due motivi.
44. - L'evangelizzazione, per essere efficace e di effetto duraturo, deve incarnare il messaggio cristiano nelle varie culture dei popoli che essa vuole raggiungere; infatti, un uomo o un popolo di una data cultura è veramente evangelizzato solo quando il messaggio evangelico gli è presentato nel suo linguaggio e in un modo confacente alla sua mentalità.
Per questo « la Chiesa, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti ed alle lingue dei diversi popoli; ed inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: allo scopo, cioè, di adattare quanto conveniva il Vangelo sia alla capacità di tutti, sia alle esigenze dei dotti.
E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione » ( Gaudium et spes, 44 ).
45. - Nel disegno di Dio, ogni popolo ed ogni cultura sono destinati a dare il loro apporto alla comprensione sempre più piena delle « imperscrutabili ricchezze di Cristo » ( Ef 3,8 ) e del suo mistero, ad arricchire spiritualmente la Chiesa di Dio con l'immettervi energie nuove di pensiero e di azione e, infine, ad arricchire tutta la comunità dei popoli; ma, affinché ciò avvenga, ogni cultura deve convertirsi al Vangelo:
perciò, nei suoi confronti il messaggio evangelico ha una funzione critica, perché ne denuncia gli aspetti che sono incompatibili con la verità umana e cristiana e spinge a superarli e a correggerli, ed ha una funzione di fermento, perché l'aiuta a sviluppare gli elementi validi: « Così, dice ancora la Cost. Gaudium et spes ( n. 44 ), viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli ».
Qual'è l'oggetto dell'annunzio salvifico?
Che cosa la Chiesa deve evangelizzare?
Ebbene, la Chiesa deve proclamare il messaggio di Gesù e degli Apostoli.
Ora, Gesù ha annunziato la prossima venuta del Regno di Dio ( cfr. Mc 1,15 ): più precisamente, ha annunziato che nella sua persona, nelle sue opere e nel suo messaggio, il Regno escatologico di Dio è già presente ed agisce nel mondo, sia pure in forma incoativa e germinale, e che tutti - in particolare, i poveri, i piccoli, i peccatori, gli esclusi - sono chiamati ad entrarvi ed a prendere parte al grande festino messianico, in cui Dio partecipa la sua gioia agli uomini suoi figli; le uniche condizioni per entrare nel Regno di Dio sono la penitenza, con l'accettazione della grazia del perdono e del rinnovamento che Dio offre, e la fede: « Il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ).
Così, per Gesù il centro del messaggio è il Regno di Dio.
47. - Gli Apostoli, rendendo esplicito il pensiero di Gesù, spostano il centro di gravità del messaggio evangelico dal Regno di Dio a colui che lo porta e lo realizza incoativamente con la sua morte e la sua risurrezione: Gesù, che ha salvato gli uomini dal peccato con la sua morte sulla croce e con la sua risurrezione li ha giustificati, introducendoli nel Regno del Padre e rendendoli partecipi della natura divina in qualità di figli adottivi di Dio.
Oggetto della predicazione apostolica è quindi Gesù, Salvatore degli uomini con la sua morte e la sua risurrezione: al di fuori di lui non c'è per gli uomini speranza di salvezza, poiché « non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » ( At 4,12 ).
È questo messaggio apostolico che la Chiesa deve continuare ad annunziare agli uomini, offrendo loro la salvezza che Cristo ha meritato per essi.
L'evangelizzazione nei suoi due momenti di « Parola » e di « Sacramento » ( momenti inscindibili, perché la Parola solo « nel Sacramento trova tutta la sua pienezza », cosicché « Parola e Sacramento rendono attuale ed operante, in tutta la sua efficacia, la salvezza operata da Cristo », come è detto nel documento della C.E.I., Evangelizzazione e sacramenti, n. 48 ) è, perciò, un atto essenzialmente « religioso » che ha per oggetto la « salvezza » dell'uomo « in Cristo ».
L'evangelizzazione si propone, come suo scopo ultimo, la « salvezza » degli uomini « in Cristo »: salvezza che è un processo continuo di crescita in Cristo, cioè nella fede e nella carità, e che si compirà pienamente e definitivamente nell'ultimo giorno.
Difatti, il cristiano deve essere avido di un « puro latte spirituale per crescere con esso verso la salvezza » ( 1 Pt 2,2 ), la quale è « prossima a rivelarsi negli ultimi tempi » ( 1 Pt 1,5 ), quando Cristo, manifestandosi nella sua gloria di Dio e Salvatore nostro ( Tt 2,13 ), farà conseguire ai suoi eletti la salvezza « insieme alla gloria celeste » ( 2 Tm 2,10 ).
49. - Ma, se la salvezza è lo scopo ultimo dell'evangelizzazione, lo scopo immediato è la « conversione ».
Per questo Gesù, venuto a chiamare i peccatori a convertirsi ( eis metànoian ) » ( Lc 5,32 ), inizia la sua predicazione con l'esortazione a convertirsi: « Convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ).
Cioè, Gesù invita l'uomo a prendere coscienza del suo stato di peccatore, a pentirsi dei suoi peccati ed a rivolgersi con umiltà e fiducia a Dio che è pronto a perdonare: « O Dio, abbi pietà di me peccatore » ( Lc 18,13 ); soprattutto, ad aver fede in lui, che « ha il potere in terra di rimettere i peccati » ( Mt 9,6 ): « la tua fede ti ha salvata; va in pace » ( Lc 7,50 ).
La conversione comporta, dunque, un mutamento radicale di atteggiamento nei confronti di se stesso, del mondo e di Dio: è una conversione del cuore, che si traduce in un modo nuovo di agire.
Paolo può dire ai tessalonicesi « vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio Gesù che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall'ira ventura » ( 1 Ts 1,9-10 ).
La conversione, quindi, comporta il pentimento, la fede, il proposito di una vita nuova nel servizio di Dio e nella ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia.
Essa, però, esige di essere suggellata e coronata dal Battesimo, in cui trova il punto culminante.
Il motivo è che tutto il processo della conversione è opera della grazia di Dio: è, infatti, la grazia che spinge l'uomo al pentimento ( cfr. Lc 15,8ss ); è la grazia che fa dire all'uomo il « sì » della fede ( cfr. Ef 2,8 ).
Il Battesimo altro non è se non il completamento dell'opera della grazia: nel Battesimo, infatti, lo Spirito, mediante i segni sacramentali « del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola » ( Ef 5,26 ), prende possesso del credente, lo unisce a Cristo morto e risorto, e gli dà l'intima certezza di essere entrato nel Regno di Dio.
50. - I credenti, convertiti e battezzati, formano la Chiesa, nuovo popolo di Dio e mistico corpo di Cristo: Chiesa, che è « mistero », ma che è anche « istituzione » visibile e storica.
È nella Chiesa, mistero ed istituzione, in quanto sacramento di Cristo, che i credenti trovano la salvezza.
Così, lo scopo dell'evangelizzazione è triplice:
lo scopo immediato è la conversione degli uomini;
lo scopo mediato è l'edificazione della Chiesa, come istituzione sacramentale di salvezza;
lo scopo ultimo è la salvezza degli uomini in Cristo.
Non si tratta, però, di tre scopi distinti, bensì di tre aspetti di una realtà unica, ma complessa, che San Paolo così esprime nella lettera a Tito: « Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna » ( Tt 3,4-7 ).
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