Relazione finale

Indice

C) La Chiesa come comunione

1. Significato di comunione

L'ecclesiogia di comunione è l'idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio.

La Koinonia/comunione, fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni.

Perciò molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente tradotta nella vita.

Che cosa significa la complessa parola "comunione"?

Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo.

Questa comunione si ha nella Parola di Dio e nei Sacramenti.

Il Battesimo è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa.

L'Eucarestia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana ( cfr. LG 11 ).

La Comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima comunione di tutti i fedeli nel Corpo di Cristo che è la Chiesa ( 1 Cor 10,16 ).

Pertanto l'ecclesiologia di comunione non può essere ridotta a pure questioni organizzative o a problemi che riguardino semplicemente i poteri.

Tuttavia l'ecclesiologia di comunione è anche fondamento per l'ordine nella Chiesa e soprattutto per una corretta relazione tra unità e pluriformità nella Chiesa.

2. Unità e pluriformità nella Chiesa

Come crediamo in un solo Dio e in uno ed unico mediatore Gesù Cristo, in un solo Spirito, così abbiamo un solo battesimo ed una sola Eucarestia, con cui sono significate ed edificate l'unità e l'unicità della Chiesa.

Ciò è di grande importanza specialmente nei nostri tempi poiché la Chiesa, in quanto una ed unica, come sacramento, è cioè segno e strumento di unità e di riconciliazione, di pace fra gli uomini, le nazioni, la classi ed i popoli.

Nell'unità della fede e dei sacramenti e nell'unità gerarchica, specialmente con il centro di unità, datoci da Cristo nel servizio di Pietro, la Chiesa è quel popolo messianico di cui parla la Costituzione "Lumen Gentium" n. 9.

In questo modo la comunione ecclesiale con Pietro e con i suoi successori non è ostacolo ma anticipazione e segno profetico di una unità più piena.

D'altra parte l'unico e medesimo Spirito opera con molti e vari doni spirituali e carismi ( 1 Cor 12,4ss ), l'unica e medesima Eucarestia viene celebrata in vari luoghi.

Per questo l'unica ed universale Chiesa è presente veramente in tutte le Chiesa particolari ( CD 11 ), e queste sono formate ad immagine della Chiesa universale in modo tale che l'una ed unica Chiesa cattolica esiste in e attraverso le Chiese particolari ( LG 23 ).

Qui abbiamo il vero principio teologico della varietà e della pluriformità nell'unità, ma bisogna distinguere la pluriformità dal puro pluralismo.

Quando la pluriformità è vera ricchezza e porta con sé la pienezza, questa è vera cattolicità.

Invece il pluralismo di posizioni fondamentalmente opposte porta alla dissoluzione, distruzione e perdita dell'identità.

3. Chiese orientali

A partire da questo aspetto della comunione, la Chiesa cattolica oggi stima molto le istituzioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita cristiana nelle Chiese orientali, perché risplendono per la loro veneranda antichità e perché in loro è presente la tradizione degli Apostoli attraverso i Padri ( OE 1 ).

In esse già da tempi antichissimi vige l'istituzione patriarcale, che è stata riconosciuta dai primi Concili ecumenici ( OE 7 ).

Si aggiunge inoltre che le Chiese orientali hanno dato testimonianza con la morte e il sangue dei loro martiri per Cristo e per la Sua Chiesa.

4. Collegialità

L'ecclesiologia di comunione offre il fondamento sacramentale della collegialità.

Per questo la teologia della collegialità è molto più estesa del suo semplice aspetto giuridico.

Lo spirito collegiale è più ampio della collegialità effettiva intesa in modo esclusivamente giuridico.

Lo spirito collegiale è l'anima della collaborazione tra i Vescovi in campo regionale, nazionale ed internazionale.

L'azione collegiale in senso stretto implica l'attività di tutto il collegio, insieme al suo capo, su tutta la Chiesa.

La sua massima espressione si ha nel Concilio ecumenico.

In tutta la questione teologica sulla relazione tra primato e collegio dei Vescovi non si può fare distinzione tra il Romano Pontefice ed i Vescovi considerati in modo collettivo, ma tra il Romano Pontefice da solo e tra il Romano Pontefice insieme con i Vescovi ( LG nota espl. 3 ) perché il collegio esiste con il suo "capo" e mai senza di esso, soggetto della suprema e piena potestà in tutta la Chiesa ( LG 22 ).

Da questa prima collegialità intesa in senso stretto, bisogna distinguere le diverse realizzazioni parziali, che sono autenticamente segno e strumento dello spirito collegiale: il Sinodo dei Vescovi, le Conferenze Episcopali, la Curia Romana, le Visite "ad limina", ecc.

Tutte queste attuazioni non possono essere dedotte direttamente dal principio teologico della collegialità; ma sono regolate dal diritto ecclesiastico.

Tuttavia queste ed altre forme, come i viaggi pastorali del Sommo Pontefice, sono un servizio di grande importanza per tutto il collegio dei Vescovi insieme con il Papa ed anche per i singoli Vescovi che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio ( At 20,28 ).

5. Le Conferenze Episcopali

Lo spirito collegiale ha una applicazione concreta nelle conferenze episcopali ( LG 23 ).

Nessuno può dubitare della loro utilità pastorale, anzi della loro necessità nella situazione attuale.

Nelle Conferenze Episcopali i Vescovi di una nazione o di un territorio esercitano congiuntamente il loro servizio pastorale ( CD 38; CIC can. 447 ).

Nel loro modo di procedere, le Conferenze Episcopali devono tener presente il bene della Chiesa ossia il servizio dell'unità e la responsabilità inalienabile di ciascun Vescovo nei confronti della Chiesa universale e della sua Chiesa particolare.

6. Partecipazione e corresponsabilità nella Chiesa

Poiché la Chiesa è comunione, deve esserci partecipazione e corresponsabilità in tutti i suoi gradi.

Questo principio generale deve essere inteso in modo diverso in ambiti diversi.

Tra il Vescovo e il suo presbiterio esiste una relazione fondata sul sacramento dell'ordine.

Così che i presbiteri rendono presente in qualche modo il Vescovo nelle singole assemblee locali dei fedeli, e assumono ed esercitano in parte con impegno quotidiano i suoi compiti e la sua sollecitudine ( LG 28 ).

Di conseguenza tra i Vescovi e i loro presbiteri devono esistere relazioni amichevoli e piena fiducia.

I Vescovi si sentono legati da riconoscenza ai loro presbiteri, che nel tempo post-conciliare hanno avuto gran parte nell'attuazione del Concilio ( OT 1 ) e vogliono essere con tutte le loro forze vicini ai loro presbiteri e vogliono prestare aiuto e sostegno nel loro spesso non facile lavoro, soprattutto parrocchiale.

Deve essere favorito infine lo spirito di collaborazione con i diaconi e tra il Vescovo e i religiosi e le religiose che operano nella sua Chiesa particolare.

Inoltre dal Concilio Vaticano II si ha positivamente un nuovo stile di collaborazione tra laici e chierici.

Lo spirito di disponibilità con cui molti laici si sono messi al servizio della Chiesa è da annoverare tra i migliori frutti del Concilio.

In questo si ha l'esperienza del fatto che noi tutti siamo la Chiesa.

Spesso in questi ultimi anni si è discusso sulla vocazione e sulla missione delle donne.

La Chiesa si adoperi perché esse possano esprimere a servizio della Chiesa i propri doni e prendano una parte maggiore nei vari campi di apostolato della Chiesa ( cfr. AA 9 ).

I Pastori accettino e promuovano con gratitudine la collaborazione delle donne nell'attività ecclesiale.

Il Concilio chiama i giovani speranza della Chiesa ( GE 2 ).

Questo Sinodo straordinario si rivolge con speciale amore e grande fiducia al giovani e si attende grandi cose dalla loro generosa dedizione e li esorta affinché raccolgano e continuino dinamicamente l'eredità del Concilio, assumendo il loro ruolo nella missione della Chiesa.

Poiché la Chiesa è comunione, le nuove "comunità di base", se veramente vivono in unità con la Chiesa, sono una vera espressione di comunione e mezzo per costruire una comunione più profonda.

Perciò sono motivo di grande speranza per la vita della Chiesa ( EN 58 ).

7. Comunione ecumenica

Basandonsi sulla ecclesiologia di comunione, la Chiesa cattolica, al tempo del Concilio Vaticano II, ha assunto pienamente la sua responsabilità ecumenica.

Dopo questi venti anni, possiamo affermare che l'ecumenismo si è iscritto profondamente e indelebilmente nella coscienza della Chiesa.

Noi Vescovi desideriamo ardentemente che la comunione incompleta già esistente con le Chiese e le comunità non cattoliche, giunga, con la grazia di Dio, alla piena comunione.

Il dialogo ecumenico deve essere esercitato in modo diverso nei diversi gradi della Chiesa, sia dalla Chiesa universale, sia dalle Chiese particolari, sia dalle organizzazioni locali concrete.

Il dialogo deve essere spirituale e teologico.

Il movimento ecumenico si favorisce in modo particolare con la preghiera vicendevole.

Il Dialogo è autentico e fruttuoso se presenta la verità con amore e fedeltà verso la Chiesa.

In questo modo il dialogo ecumenico fa sí che la Chiesa venga vista più chiaramente come sacramento di unità.

La comunione tra i cattolici e gli altri cristiani, sebbene sia incompleta, chiama tutti alla collaborazione nei molteplici campi e rende cosí possibile una certa qual testimonianza comune dell'amore salvifico di Dio verso il mondo bisognoso di salvezza.

8. Suggerimenti

a) Poiché il nuovo Codice di Diritto Canonico, felicemente promulgato, è di grande giovamento alla Chiesa latina nell'applicazione del Concilio, si esprime il desiderio che la codificazione orientale venga portata a termine il più celermente possibile.

b) Poiché le Conferenze Episcopali sono tanto utili, anzi necessarie, nell'odierno lavoro pastorale della Chiesa, si auspica che venga più ampiamente e profondamente esplicitato lo studio del loro "status" teologico e soprattutto il problema della loro autorità dottrinale, tenendo presente quanto è scritto nel Decreto Conciliare "Christus Dominus" n. 38 e nel Codice di Diritto Canonico can. 447 e can. 753.

c) Si raccomanda uno studio che esamini se il principio di sussidiarietà vigente nella società umana possa essere applicato alla Chiesa e in quale grado e senso tale applicazione possa e debba essere fatta ( cfr. Pio XII, 20 febbraio 1946 ).

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