Catechismo Tridentino |
Fra tutti i sacri misteri che N.S. Gesù Cristo ci ha elargito quali infallibili strumenti della grazia, non ce n'è uno che possa paragonarsi al santissimo sacramento dell'Eucaristia; ma appunto perciò non v'è colpa per cui i fedeli abbiano più a temere di esser puniti da Dio, che il trattare senza sacro rispetto un mistero cosi pieno di ogni santità, un mistero, anzi, che contiene lo stesso autore e fonte della santità.
L'Apostolo lo ha sapientemente capito e ci ha chiaramente ammonito intorno a questo punto, quando dopo aver mostrato l'enorme delitto di quelli che non distinguono il corpo del Signore, soggiunge: Per questo molti tra voi sono infermi e senza forze, e molti dormono ( 1 Cor 11,30 ).
Pertanto, affinché i fedeli possano ritrarre maggior frutto e fuggire la giusta ira di Dio, dopo aver ben compreso quali onori divini si debbano tributare a questo sacramento, i Parroci dovranno con somma diligenza esporre tutto quanto può meglio illustrare la maestà dell'Eucaristia.
A questo scopo, seguendo l'esempio di san Paolo che dichiaro di avere trasmesso ai Corinzi quel che aveva appreso dal Signore, i Parroci spiegheranno innanzi tutto l'istituzione di questo sacramento, la quale, secondo la bella testimonianza dell'Evangelista, avvenne come segue.
Avendo il Signore amato i suoi, li amo fino alla fine ( Gv 13,1 ); e, per dare un pegno mirabilmente divino di questo amore, sapendo giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, per non allontanarsi mai dai suoi, compi con ineffabile consiglio un mistero che supera ogni ordine e limite di natura.
Celebrata coi discepoli la cena dell'agnello pasquale, affinché la figura cedesse il luogo alla verità e l'ombra al corpo, prese il pane, e dopo aver reso grazie a Dio, lo benedisse, lo spezzo e lo distribuì ai discepoli dicendo: " Prendete e mangiate: questo è il mio corpo che sarà immolato per voi.
Fate questo in memoria di me ".
E cosi prese il calice, dopo cenato, dicendo: " Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio: fate questo, ogni volta che lo berrete, in memoria di me " ( Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19; 1 Cor 11,24 ).
Gli scrittori ecclesiastici sapendo di non poter riuscire ad esprimere con una sola parola la dignità e l'eccellenza di questo mirabile sacramento, hanno tentato di esprimerla con vari nomi.
L'hanno chiamata talora Eucarestia, che si può tradurre: grazia eccellente, o azione di grazie.
E veramente è una grazia eccellente, in quanto prefigura la vita eterna di cui sta scritto: Grazia di Dio è la vita eterna ( Rm 6,23 ), e in quanto contiene in sé Gesù Cristo, vera grazia e fonte di tutti i carismi.
Con eguale verità si chiama azione di grazie, perché, immolando questa purissima ostia, rendiamo ogni giorno infinite grazie a Dio per tutti i suoi benefici; e innanzi tutto per l'ottimo beneficio della sua grazia che ci elargisce in questo sacramento.
Ma il nome stesso conviene benissimo anche alle azioni che Cristo ha compiuto istituendo questo sacramento, quando prese il pane, lo spezzo e rese grazie ( Lc 22,19; 1 Cor 11,24 ).
Anche Davide, contemplando la grandezza di questo mistero, prima di prorompere nel verso: " Ha reso memorabili le sue meraviglie il Signore clemente e misericordioso: egli provvede il cibo a coloro che lo temono ", giudica opportuno premettere l'azione di grazie col dire: " Ogni sua azione è gloriosa e magnifica " ( Sal 111,3-5 ).
Questo sacramento è chiamato spesso anche sacrificio, e di ciò in seguito parleremo più a lungo.
Ed è chiamato pure comunione, il quale vocabolo è preso dal passo dell'Apostolo: Il calice di benedizione, cui noi benediciamo, non è forse comunione del sangue di Cristo? e il pane che noi spezziamo, non è forse partecipazione del corpo del Signore? ( 1 Cor 10,16 ).
Infatti, come spiega il Damasceno, questo sacramento ci unisce a Cristo, ci fa partecipi della sua carne e della sua divinità, e in lui ci concilia e congiunge, quasi cementandoci in un unico corpo ( Della fede ortod. 4,13 ).
Ecco perché questo sacramento è detto anche sacramento di pace e di carità, per fare intendere quanto siano indegni del nome cristiano quelli che alimentano inimicizie, e come si debbano sterminare quale orribile peste gli odi, i dissidi e le discordie, tanto più che nel sacrificio quotidiano professiamo di serbare sopra tutto la pace e la carità.
Spesso è chiamato anche viatico dagli scrittori ecclesiastici, sia perché è il cibo spirituale che ci sostenta nel pellegrinaggio della vita, sia perché spiana la via alla gloria e felicità eterna.
Per questo è antica e fedele tradizione della Chiesa cattolica che nessuno dei fedeli parta da questa vita senza questo sacramento.
I Padri più antichi, seguendo l'Apostolo ( 1 Cor 11,20 ), hanno talora chiamato l'Eucaristia anche cena, perché fu istituita da Cristo durante il salutare mistero dell'ultima Cena.
Non per questo però si deve concluderne che sia permesso consacrare o ricevere l'Eucaristia dopo aver mangiato o bevuto; che anzi, secondo la testimonianza degli antichi scrittori, gli Apostoli stessi hanno introdotto la salutare consuetudine che l'Eucaristia sia ricevuta soltanto da chi è digiuno.
Spiegato il valore del nome, si deve insegnare che l'Eucaristia è un vero sacramento: uno di quei sette, che la santa Chiesa ha sempre devotamente riconosciuto e venerato: tanto è vero che, alla consacrazione del calice, è detto mistero della fede.
Inoltre, per omettere le quasi infinite testimonianze di scrittori sacri, che hanno sempre ritenuto doversi l'Eucaristia porre tra i veri sacramenti, possiamo dimostrare l'assunto, partendo dalle proprietà e dalla natura stessa di questo sacramento.
Infatti esso consta di segni esterni e sensibili; significa e produce la grazia, ed è stato istituito da Cristo, come gli evangelisti e l'Apostolo lo hanno affermato in maniera indubbia.
Ora, essendo questi appunto i requisiti che concorrono a confermare la verità di un sacramento, è chiaro che non v'è bisogno di altri argomenti.
Ma i Parroci osserveranno con cura che in questo mistero molte sono le cose a cui gli scrittori ecclesiastici hanno dato il nome di sacramento.
Talora infatti hanno chiamato sacramento la consacrazione, l'atto della comunione, e, spesso, lo stesso corpo e sangue del Signore che si contiene nell'Eucaristia.
Dice infatti sant'Agostino che questo sacramento risulta di due cose: l'apparenza visibile degli elementi e la carne e sangue invisibili di N.S. Gesù Cristo ( vedi in Lanfranco e. Bereng.; cfr. Grat. p. 3, dist. 2, e. 48 ).
E appunto in questo medesimo senso noi affermiamo che bisogna adorare questo sacramento, intendendo cioè il corpo e il sangue del Signore.
Ma è chiaro che tutte queste cose sono dette sacramenti solo impropriamente.
Tale nome, invece, in senso stretto spetta solo alle specie del pane e del vino.
Si rileva facilmente in che cosa l'Eucaristia differisca dagli altri sacramenti.
Questi si compiono con l'uso della materia, cioè durante il tempo in cui vengono amministrati.
Cosi il Battesimo diviene sacramento proprio nell'istante in cui l'individuo viene lavato; mentre, per fare l'Eucaristia, basta la consacrazione della materia, che non cessa di essere sacramento, rimanendo conservata nella pisside.
Di più, nel fare gli altri sacramenti non si verifica mutazione della rispettiva materia in un'altra sostanza; l'acqua del Battesimo infatti o l'olio della Cresima non perdono la loro originaria natura di acqua e di olio; mentre nell'Eucaristia quel che era pane e vino prima della consacrazione, diviene, dopo quella, la sostanza vera del corpo e del sangue del Signore.
Ma pur essendo due gli elementi, il pane e il vino, che servono a costituire il sacramento integrale della Eucaristia, dobbiamo credere, ammaestrati dall'autorità della Chiesa, che essi formino un solo sacramento; altrimenti non si potrebbe mantenere il numero settenario dei sacramenti, com'è stato sempre insegnato e confermato dai concili Lateranense, Fiorentino e Tridentino.
Infatti se la grazia di questo sacramento fa dei fedeli un solo corpo mistico, bisogna che esso sia uno in se stesso, appunto, perché armonizzi con l'effetto che produce.
Ed è uno, non perché consta di un solo elemento, ma perché significa una sola cosa.
Come infatti il mangiare e il bere, che sono due cose diverse, sono adoperati per ottenere un unico effetto, cioè il ristoro delle forze del corpo, cosi era conveniente che ad essi corrispondessero quei due elementi materiali del sacramento, i quali significano il cibo spirituale, che sostenta e ricrea l'anima.
Perciò Cristo disse: La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda ( Gv 6,56 ).
Importa anche spiegare con cura che cosa significhi il sacramento dell'Eucaristia; affinché i fedeli, guardando con gli occhi del corpo i sacri misteri, pascano l'animo con la contemplazione delle cose divine.
Tre sono le cose significate da questo sacramento.
La prima è un avvenimento passato: la passione del Signore, come Egli stesso ci ha insegnato: Fate questo in memoria di me ( Lc 22,19 ); e l'Apostolo attesta: Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore, fino a quando egli venga ( 1 Cor 11,26 ).
La seconda è una realtà presente, cioè la grazia divina e celeste, che questo sacramento ci dona per nutrire e conservare le anime nostre.
Come il Battesimo ci genera a nuova vita, e la Cresima ci fortifica perché possiamo respingere il demonio e confessare apertamente il nome di Cristo, cosi l'Eucaristia ci nutre e ci sostenta.
La terza è un preannunzio del futuro: cioè il frutto dell'eterna gloria e felicità, che riceveremo nella patria celeste, secondo la promessa di Dio.
Queste tre cose però riferentisi al passato, al presente e al futuro, sono espresse cosi bene dal mistero dell'Eucaristia, che tutto intero il sacramento, pur constando di due specie diverse, serve a indicare ciascuna di esse quale distinti significati di un'unica realtà.
I parroci dovranno prima di tutto ben conoscere la materia di questo sacramento, sia per effettuarlo debitamente, sia per illustrarne il simbolismo ai fedeli, onde accenderli allo studio e al desiderio della sua sacrosanta realtà.
La materia di questo sacramento, dunque, è duplice: la prima di cui parliamo subito è il pane di grano, dell'altra si dirà poi.
Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca narrano che Cristo prese in mano il pane, lo benedisse e lo spezzo dicendo: Questo è il mio corpo ( Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19 ).
In san Giovanni il Redentore chiama sé stesso pane dicendo: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo ( Gv 6,41 ).
Vi sono varie specie di pane, sia che differiscano nella materia: pane di grano, pane di orzo, pane di legumi o d'altri prodotti della terra, sia che differiscano nella qualità: pane fermentato, pane senza lievito.
Le parole del Salvatore mostrano che il pane deve essere di grano, giacché nel linguaggio ordinario la parola pane indica senz'altro quello di grano.
Ciò viene confermato anche da una figura del vecchio Testamento, dove il Signore ordina che i pani di proposizione, che prefiguravano l'Eucaristia, fossero fatti di fior di frumento ( Lv 24,5 ).
Ma come il solo pane di grano deve esser considerato materia dell'Eucaristia, conforme alla tradizione apostolica e all'insegnamento della Chiesa, cosi è facile convincersi, da quanto Gesù stesso fece, che questo pane deve essere senza lievito.
Egli infatti istituì questo sacramento nel primo giorno degli azimi, quando non era lecito ai Giudei tenere in casa nulla di fermentato.
Né vale opporre l'autorità di san Giovanni evangelista, che afferma essere queste cose avvenute prima della festa di Pasqua ( Gv 13,1 ).
La risposta è facile.
La festa degli azimi cominciava la sera della quinta feria; e appunto in questa sera il Salvatore celebro la Pasqua.
Ma mentre gli altri evangelisti chiamano questo il primo giorno degli azimi, san Giovanni lo chiama antecedente alla Pasqua, perché considera il giorno naturale che comincia con il levare del sole.
Perciò anche san Giovanni Crisostomo chiama primo giorno degli azimi quello, alla sera del quale si dovevano mangiare gli azimi ( In Mt omil. 81,1 ).
Inoltre la consacrazione del pane azzimo conviene assai a quell'integrità e purezza di cuore, che i fedeli devono recare a questo sacramento, come insegna l'Apostolo: Purificatevi dal vecchio lievito, onde siate una pasta nuova, senza lievito, come siete di fatto; poiché la nostra Pasqua, che è Cristo, è stata immolata.
Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azimi della purità e della verità ( 1 Cor 5,7-8 ).
Tuttavia tale qualità del pane non è cosi necessaria che senza di essa il sacramento non possa sussistere: poiché tanto l'azimo quanto il fermentato hanno ugualmente il nome e la natura vera del pane.
Ma a nessuno è lecito, con privata autorità, o piuttosto temerità, mutare il lodevole rito della Chiesa; molto meno ai sacerdoti Latini, ai quali i sommi Pontefici hanno ordinato di consacrare il pane azimo.
Basti questo per la prima parte della materia eucaristica.
Dobbiamo però notare che non è stata mai determinata una quantità precisa di pane da consacrare, non potendosi fissare il numero di coloro, che vogliono e possono partecipare ai sacri misteri.
Veniamo cosi all'altra materia, o elemento dell'Eucaristia: si tratta del vino spremuto dal frutto della vite, con l'aggiunta di un po' d'acqua.
La Chiesa cattolica ha sempre ritenuto e insegnato che il nostro Signore e Salvatore nell'istituire questo sacramento usò il vino, avendo egli stesso detto: Non berrò d'ora in poi di questo frutto della vite fino a quel giorno ( Mt 26,29; Mc 14,25 ).
Si parla di frutto della vite, dice a questo proposito il Crisostomo, che produce certamente vino e non acqua ( In Mt omilia LXXXII,2 ), quasi volendo confutare in antecedenza l'eresia di coloro, che ritennero doversi in questo sacramento usare soltanto l'acqua.
La Chiesa poi ha sempre mescolata l'acqua al vino; primo, perché ciò fu fatto da Cristo stesso come si prova con l'autorità dei Concili e la testimonianza di san Cipriano ( Epist. LXIII ); secondo, perché con questa mescolanza si rinnova la memoria del sangue e dell'acqua sgorgati dal suo costato aperto; terzo, perché le acque significano i popoli ( Ap 17,15 ); perciò l'acqua mescolata al vino significa la congiunzione del popolo fedele con Cristo suo capo.
Quest'uso del resto è di tradizione apostolica e la Chiesa l'ha sempre osservato.
Ma sebbene i motivi della mescolanza siano tanto gravi che questa non si può omettere senza peccato mortale, il sacramento può sempre sussistere, anche senza di essa.
Avvertano poi i sacerdoti che devono si infondere l'acqua nel vino, ma poca; poiché a giudizio degli scrittori ecclesiastici, essa deve convertirsi in vino.
Scrisse papa Onorio: Nel tuo paese si è introdotto il pernicioso abuso di usare più acqua che vino nel sacrificio, mentre invece, secondo la ragionevole consuetudine della Chiesa universale, si deve adoperare molto più vino che acqua ( Decretai. lib. 3, tit. 41, e. 13 ).
Soltanto due dunque sono gli elementi di questo sacramento; e a buon diritto la Chiesa ha proibito con molti decreti di offrire altra cosa che il pane e il vino, come taluni avevano la temerità di fare.
Bisogna ora vedere come i due segni del pane e del vino siano atti ad esprimere quelle realtà che la fede ci presenta come sacramenti.
Innanzi tutto essi significano Cristo, la vera vita degli uomini, avendo egli stesso detto: La mia carne è davvero cibo e il mio sangue è davvero bevanda ( Gv 6,55 ).
Se, dunque il corpo di N. S. Gesù Cristo dà in realtà nutrimento di vita eterna a chi con purezza e santità lo riceve, giustamente l'Eucaristia ha per materia quegli elementi, che servono a sostenere la vita terrena; cosi i fedeli potranno agevolmente intendere che, grazie alla Comunione del corpo e del sangue di Cristo, l'anima loro potrà esser satollata.
Secondo, questi elementi servono anche a convincere gli uomini che nell'Eucaristia c'è realmente il corpo e il sangue del Signore; giacché vedendo noi ogni giorno, per virtù della natura, il pane e il vino trasformarsi in carne e sangue umano, più facilmente siamo condotti a credere che la sostanza del pane e del vino si converta nella vera carne e nel vero sangue di Cristo, in virtù della celeste consacrazione.
Terzo, questa mirabile mutazione di elementi aiuta a raffigurarci quello che avviene nell'anima.
Come la sostanza del pane e del vino si cambia realmente nel corpo e nel sangue di Cristo, sebbene non vi sia alcuna visibile trasmutazione esterna, cosi noi, ricevendo nell'Eucaristia la vera vita, interiormente sorgiamo a nuova vita, pur non apparendo in noi mutamento alcuno.
Quarto, come l'unione di molti membri costituisce l'unico corpo della Chiesa, cosi nulla, degli elementi del pane e del vino può farla meglio risplendere.
Come, infatti, il pane risulta da molti grani di frumento e il vino si sprema da molti grappoli d'uva, cosi noi, pur essendo molti, per virtù di questo divino mistero veniamo strettamente collegati e quasi cementati in un solo corpo.
Veniamo ora a trattare della forma per la consacrazione del pane, non perché si debbano insegnare ai fedeli questi misteri, senza necessità - che anzi non è necessario istruire in proposito chi non è negli Ordini sacri -, ma affinché i sacerdoti non errino gravemente nel consacrare, per ignoranza della forma.
I santi evangelisti Matteo e Luca insieme con l'Apostolo ci insegnano che la forma è questa: "Questo è il mio corpo".
Poiché sta scritto: Mentre essi cenavano, Gesù prese il pane, e lo benedisse, lo spezzo, e dandolo ai suoi discepoli, disse: Prendete e mangiate: Questo è il mio corpo ( Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19; 1 Cor 11,24 ).
Tale forma, perché adoperata dal Signore stesso, è stata sempre conservata dalla Chiesa Cattolica.
Tralasciamo qui le testimonianze dei santi Padri, che sarebbe lungo citare, e il decreto del Concilio di Firenze a tutti ben noto, tanto più che le parole del Salvatore: Fate questo in memoria di me ( Lc 22,19 ), ne sono una conferma.
Infatti l'ordine dato dal Signore deve riferirsi non solo a quel che egli aveva fatto, ma anche a quel che aveva detto, e specialmente alle parole che aveva pronunciato, sia per produrre, sia per significare l'effetto del sacramento.
Del resto anche il ragionamento porta alla stessa conclusione.
Infatti la forma è la formula che esprime quel che si opera in questo sacramento.
Ora, le parole in questione significano e dichiarano quel che viene operato, cioè la conversione del pane nel corpo del Signore.
Dunque esse sono la forma del sacramento.
A questa conclusione portano pure le altre parole dell'evangelista: Benedisse il pane, come se avesse detto: Preso il pane lo benedisse dicendo: Questo è il mio corpo ( Mt 26,26 ).
E sebbene l'evangelista premetta la frase: Prendete e mangiate, è chiaro che quest'ultima non riguarda la consacrazione, ma l'uso della materia.
Perciò, pur dovendosi tassativamente pronunciare dal sacerdote, non è necessaria per operare il sacramento, come non è necessaria la congiunzione: poiché ( enim ) nella consacrazione del corpo e del sangue.
Altrimenti l'Eucaristia non si dovrebbe, né si potrebbe consacrare qualora non ci fosse nessuno cui amministrarla; mentre è certissimo che il sacerdote, una volta pronunziate secondo l'uso e il rito della Chiesa le parole del Signore, consacra veramente la materia del pane, anche se poi non si dovesse amministrare a nessuno.
Per la medesima ragione, sopra ricordata, è necessario che il sacerdote conosca bene anche quanto si riferisce alla consacrazione del vino, che è l'altra materia di questo sacramento.
Si deve ritener per fede che essa è costituita dalle parole ( Decretai, lib. 3, tit. 41, e. 6 ): " Questo è il calice del sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza ( mistero della fede! ) il quale per voi e per molti sarà sparso a remissione dei peccati ".
Molte di queste parole sono prese dalla Scrittura; le altre la Chiesa le ha ricevute dalla tradizione apostolica.
Infatti, Questo è il calice, si trova in san Luca ( Lc 22,20 ) e in san Paolo ( 1 Cor 11,25 ); del sangue mio, o il mio sangue della nuova Alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati, si trovano in san Luca ( Lc 22,20 ) e in san Matteo ( Mt 26,28 ); le parole: eterno e mistero della fede, ci vengono dalla tradizione, interprete e custode della cattolica verità.
Qualora si richiami quel che abbiamo detto sopra a proposito della consacrazione del pane, nessuno potrà dubitare di questa forma.
Essa consta di quelle parole che significano il cambiamento della sostanza del vino nel sangue del Signore.
Ma poiché le parole ricordate esprimono appunto questo, è chiaro che non vi può essere altra forma per la consacrazione del vino.
Esse esprimono, inoltre, taluni mirabili frutti del sangue del Signore, sparso nella passione; frutti che appartengono in modo tutto particolare a questo sacramento.
Il primo è l'accesso all'eredità eterna a cui ci da diritto il nuovo ed eterno Testamento.
Il secondo è l'accesso alla giustizia mediante il mistero della fede.
Infatti Dio ha preordinato Gesù propiziatore mediante la fede nel suo sangue, per mostrare insieme che egli è giusto ed è fonte di giustizia, per chi ha fede in Gesù Cristo ( Rm 3,25-26 ).
Il terzo è la remissione dei peccati.
Ma occorre esaminare con più diligenza le parole della consacrazione del vino, che sono piene di misteri e convengono perfettamente al loro soggetto.
Le parole: Questo è il calice del sangue mio, significano: questo è il mio sangue contenuto in questo calice.
Ed è con ragione che mentre si consacra il sangue in quanto è bevanda dei fedeli, viene menzionato il calice; poiché il sangue di per sé non significherebbe una bevanda, se non fosse presentato in una coppa.
Seguono le parole: della nuova Alleanza, per farci intendere che il sangue del Signore viene offerto agli uomini nella nuova Alleanza, ma in realtà non in figura, come nella vecchia Alleanza, di cui san Paolo scrivendo agli Ebrei ha detto che non fu stipulata senza sangue ( Eb 9,18 ).
Perciò l'Apostolo ha scritto: Gesù Cristo è mediatore della nuova Alleanza, affinché avvenuta la sua morte per riscattare le trasgressioni commesse sotto la prima Alleanza, i chiamati ricevano l'eterna eredità, loro promessa ( Eb 9,15 ).
L'aggettivo eterna si riferisce all'eterna eredità, che a buon diritto ci è pervenuta per la morte del Cristo eterno testatore.
Mentre le parole, mistero della fede, non tendono a escludere la verità della cosa, ma indicano che bisogna credere con ferma fede quel che rimane occulto e remotissimo agli occhi nostri.
Il senso di questa frase è diverso qui da quello che riveste applicata al Battesimo.
Qui infatti diciamo mistero di fede in quanto vediamo solo cogli occhi della fede il sangue di Gesù Cristo, nascosto sotto le specie del vino; mentre il Battesimo è chiamato sacramento di fede, e dai Greci mistero di fede, in quanto comprende l'intera professione della fede cristiana. Chiamiamo il sangue del Signore mistero di fede, anche perché la ragione umana trova molta difficoltà e grande fatica ad ammettere quel che le propone la fede: che cioè N.S. Gesù Cristo, vero figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, abbia per noi sofferto la morte, la quale viene appunto significata dal sacramento del sangue.
Ecco perché, a preferenza che nella consacrazione del corpo, viene fatta qui menzione della passione del Signore con le parole: che sarà sparso in remissione dei peccati.
Il sangue infatti, consacrato separatamente, ha più forza ed efficacia per mettere sotto gli occhi di tutti la passione del Signore, la sua morte e la natura delle sue sofferenze.
Le parole: per voi e per molti, prese separatamente da Matteo ( Mt 26,28 ) e da Luca ( Lc 22,20 ), sono riunite dalla santa Chiesa, ispirata da Dio, per esprimere il frutto e l'utilità della passione.
Infatti se consideriamo l'efficace virtù della passione, dobbiamo ammettere che il sangue del Signore è stato sparso per la salute di tutti; ma se esaminiamo il frutto che gli uomini ne hanno ritratto, ammetteremo facilmente che ai vantaggi della passione partecipano non tutti, ma soltanto molti.
Perciò dicendo: per voi, ha voluto significare i presenti, con cui parlava, eccetto Giuda, oppure gli eletti del popolo Ebreo, quali erano i discepoli.
Ed aggiungendo: per molti, ha voluto intendere gli altri eletti, Ebrei e i Gentili.
Con ragione dunque non è stato detto: per tutti, trattandosi qui soltanto dei frutti della passione, la quale apporta salute soltanto agli eletti.
In questo senso bisogna intendere anche le parole dell'Apostolo: Gesù Cristo fu offerto una sola volta per togliere i peccati di molti ( Eb 9,28 ); e quelle del Signore: Prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai dati, perché sono tuoi ( Gv 17,9 ).
Molti altri misteri sono ancora nascosti in queste parole della consacrazione: i Pastori li scopriranno da sé, con l'aiuto di Dio, mediante un'assidua e diligente meditazione delle cose divine.
È tempo di riprendere la spiegazione di taluni punti di dottrina, che i fedeli non devono in nessun modo ignorare.
E poiché l'Apostolo insegna che coloro che non distinguono il corpo del Signore ( 1 Cor 11,29 ) commettono un grave delitto, i Parroci dovranno innanzi tutto esortare i fedeli a fare ogni sforzo per elevare il loro spirito e la loro mente al di sopra dei sensi.
Se i fedeli pensassero che nel mistero dell'Eucaristia si contiene solo ciò che vi scorgono i sensi, commetterebbero fatalmente la grande empietà di credere che in questo sacramento c'è soltanto il pane e il vino; perché cogli occhi, col tatto, con l'odorato e col gusto non si scorge altro che l'apparenza del pane e del vino.
Bisogna che la loro mente, per quanto è possibile, astragga dal giudizio dei sensi e si ecciti a contemplare l'immensa virtù e potenza di Dio.
Tre sono sopratutto le cose mirabili e degne di considerazione, che in questo sacramento avvengono in forza della consacrazione, come la fede Cattolica senza alcun dubbio crede e confessa.
La prima è che nell'Eucaristia si contiene il vero corpo di N. S. Gesù Cristo; quello medesimo che nacque dalla vergine Maria e ora siede in cielo alla destra del Padre.
La seconda è che non resta in essa nulla della sostanza degli elementi, sebbene ciò sembri opposto e contrario alla testimonianza dei sensi.
La terza, che si ricava facilmente dalle due precedenti e che viene positivamente espressa dalle parole della consacrazione, si è che, per una disposizione inesplicabile e miracolosa, gli accidenti che si vedono con gli occhi o che si percepiscono con gli altri sensi, rimangono senza il loro sostrato o soggetto.
Certo, si vedono tutti gli accidenti del pane e del vino; ma essi non si appoggiano ad alcuna sostanza, ma sussistono da sé: essendosi la sostanza del pane e del vino mutata nel corpo e nel sangue del Signore, la stessa sostanza cessa di esistere.
Prima di tutto i Parroci spieghino quanto siano chiare e perspicue le parole del Signore, che dimostrano la reale presenza del suo corpo nell'Eucaristia: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue.
Nessuno, che sia sano di mente, può fraintendere il loro significato, massime trattandosi qui della natura umana, che fu reale in Cristo, come la fede ci impone di credere.
Tanto che il santo e dottissimo Ilario ha scritto in proposito non esservi luogo al dubbio, avendo Gesù Cristo medesimo dichiarato, e la fede ce lo conferma, che la sua carne è veramente cibo ( Della Trinità, 8,14 ).
Dovranno qui i Pastori spiegare un altro passo, da cui chiaramente si deduce che nell'Eucaristia sono contenuti il vero corpo e sangue del Signore.
L'Apostolo infatti, ricordata la consacrazione del pane e del vino da parte di Cristo e la distribuzione dei sacri misteri agli apostoli, soggiunge: Provi perciò l'uomo se stesso, e cosi mangi quel pane e beva quel calice.
Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, perché non riconosce il corpo del Signore ( 1 Cor 11,28 ).
Se in questo sacramento, come pretendono gli eretici, non vi fosse da venerare che la memoria e il simbolo della passione del Signore, perché ammonire si gravemente i fedeli a esaminare se stessi?
Invece, con la terribile parola: condanna, ha voluto l'Apostolo dichiarare che è nefando crimine quello di chi, ricevendo indegnamente il corpo del Signore, latente nell'Eucaristia, mostra di non distinguerlo dalle altre specie di cibo.
Egli stesso più ampiamente lo spiega nella medesima lettera: Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è una comunione del sangue di Cristo?
E il pane che spezziamo, non è una partecipazione del corpo di Cristo? ( 1 Cor 10,16 ).
Parole che mostrano chiaramente la vera sostanza del corpo e del sangue del Signore.
I Pastori spieghino tutti questi passi scritturali e rilevino prima di tutto che in essi non c'è nulla di dubbio o d'incerto, massime dopo l'interpretazione della sacrosanta autorità della Chiesa di Dio, a conoscere la quale possiamo giungere in due modi.
Primo, interrogando i Padri fioriti nella Chiesa in tutte le epoche fin dai suoi primordi, e che sono i migliori testimoni della sua dottrina.
Essi con unanime consenso hanno insegnato chiaramente la verità di questo dogma.
E poiché sarebbe troppo lungo addurne le singole testimonianze, basterà notarne poche, o meglio additare quelle, da cui più facilmente si potrà giudicare le altre.
Venga primo sant'Ambrogio, che nella sua opera sugli Iniziandi ai Misteri attesta, come articolo incontestabile di fede, che nell'Eucaristia si riceve il vero corpo di Cristo, come realmente fu formato nel seno di Maria Vergine ( Dei Misteri, 9 ); e altrove insegna che prima della consacrazione vi è il pane, ma dopo, vi è la carne di Cristo ( Dei Sacram. 4,4 ).
Venga il Crisostomo, teste di non minore fede e gravita.
Egli professa ed insegna in molti luoghi la medesima verità, ma specialmente nell'Omelia 60 su quelli che partecipano indegnamente ai misteri, e nelle Omelie 44 e 45 su san Giovanni, dove dice: Obbediamo a Dio; né osiamo contradirgli anche quando sembri dire cose contrarie alla ragione o ai sensi; la sua parola è infallibile, mentre il nostro senso facilmente c'inganna.
Con essi concorda in tutto e sempre sant'Agostino, propugnatore validissimo della fede cattolica, ma specialmente nel commento al titolo del Salmo 33: Portare se stesso nelle proprie mani è impossibile all'uomo; può competere solo a Cristo, il quale si portava nelle sue stesse mani quando offrendo il suo corpo disse: Questo è il mio corpo ( Nel Sal 34,1,10 ).
E san Cirillo ( omettiamo Giustino e Ireneo ) afferma cosi apertamente, nel libro 4 su san Giovanni, la verità della carne di Cristo nell'Eucaristia, che le sue parole non possono esser volte ad interpretazioni capziose e fallaci.
Desiderando i Parroci altre testimonianze, potranno citare i santi Dionigi, Ilario, Girolamo, il Damasceno ed altri innumerevoli, le cui gravissime sentenze intorno a questo argomento si possono leggere dovunque, essendo state raccolte insieme dall'industre lavoro di uomini dotti e pii.
Altra via per conoscere la dottrina della Chiesa in materia di fede è la condanna di dottrine e opinioni contrarie.
Ora è noto a tutti che la realtà del corpo di Cristo nell'Eucaristia è stata sempre cosi diffusa in tutta la Chiesa e accettata concordemente da tutti i fedeli, che quando, or sono cinquecento anni, Berengario osò negarla, affermando non esservi che un simbolo, fu subito condannato per unanime sentenza nel concilio di Vercelli convocato per ordine di Leone IX, ed egli medesimo lanciò anatema alla propria eresia.
Quando più tardi ricadde nello stesso empio errore, fu di nuovo condannato da tre altri concili, uno a Tours e due a Roma; questi ultimi convocati rispettivamente da Nicolo II e Gregorio VII.
Queste decisioni furono confermate da Innocenzo III nel concilio ecumenico Lateranense: in seguito i concili generali di Firenze e di Trento più apertamente hanno dichiarato e stabilito la fede di tale verità.
Se i Pastori esporranno tutto ciò con diligenza, potranno, non diciamo far rinsavire coloro che accecati dall'errore nulla odiano più della luce della verità, ma confermare i deboli e riempire di grandissima letizia le anime dei buoni; tanto più che la fede in questo dogma, come deve essere evidente per tutti i fedeli, è connessa con gli altri articoli della dottrina Cristiana.
Perché chiunque crede e confessa che Dio è onnipotente, deve anche credere che a lui non manca il potere di operare l'immenso prodigio che ammiriamo e adoriamo nell'Eucaristia.
E chi crede la santa Chiesa cattolica deve anche ammettere la verità di questo sacramento nel senso spiegato.
Quel che mette il colmo alla letizia e all'edificazione delle anime pie è il contemplare la dignità sublime di questo sacramento.
Esse intendono innanzi tutto quanto sia grande la perfezione della legge Evangelica, cui è stato concesso di possedere nella realtà quel che era stato solo adombrato in simboli e figure nella legge Mosaica.
A tale proposito fu detto mirabilmente da san Dionigi che la nostra Chiesa stà in mezzo tra la Sinagoga e la Gerusalemme celeste, partecipando dell'una e dell'altra ( Della Gerarch. eccl. 5,1 ).
E certo mai i fedeli ammireranno abbastanza la perfezione della santa Chiesa e l'altezza della sua gloria, poiché un solo gradino la separa dalla beatitudine celeste.
Infatti, con i beati abbiamo in comune la presenza di Cristo, Dio e uomo; mentre ne differiamo per il fatto che essi, come a lui presenti, godono della visione beata; noi invece veneriamo, con ferma e costante fede, Cristo presente, ma invisibile agli occhi e coperto dal mirabile velame dei sacri misteri.
Inoltre i fedeli, in grazia di questo sacramento, sperimentano l'immenso amore di Cristo Salvatore nostro.
Infatti conveniva assai alla sua bontà il non privarci mai di quella natura, che da noi aveva assunta, ma anzi rimanere, per quanto possibile, con noi, affinché si avverassero quelle parole: É mia delizia stare coi figli degli uomini ( Pr 8,31 ).
I Parroci devono spiegare che nell'Eucaristia si contiene non soltanto il vero corpo di Cristo e tutto quanto appartiene a un vero corpo, come le ossa e i nervi, ma Cristo tutto intero; ed insegnare che Cristo è un termine che indica insieme Dio e l'uomo, cioè una sola persona in cui sono unite le nature divina ed umana; perciò possiede entrambe le sostanze e tutto quello che a queste consegue, cioè la divinità e la natura umana tutta intiera: l'anima, le varie parti del corpo, e il sangue.
Dobbiamo credere che nell'Eucaristia sono contenute tutte queste realtà.
In cielo l'umanità di Cristo è unita alla divinità in una sola persona ed ipostasi; sarebbe pertanto empio supporre che il corpo di Cristo, presente nell'Eucaristia, sia separato dalla divinità.
Ma i Pastori avvertiranno che non tutte le realtà sopra accennate sono contenute nell'Eucaristia allo stesso modo e per lo stesso motivo.
Alcune vi si trovano in virtù della consacrazione.
Si sa che le parole della consacrazione producono quel che significano, e i teologi dicono che una cosa è contenuta nel sacramento in forza del sacramento, quando è espressa dalla forma; di guisa che se potesse avvenire ( per ipotesi ) che una cosa fosse del tutto separata dalle altre, si ritroverebbe nel sacramento soltanto quella espressa dalla forma e non il resto.
Altre vi si trovano in quanto sono congiunte realmente con quanto è espresso dalla forma.
Cosi, poiché la forma adoperata per la consacrazione del pane significa il corpo del Signore secondo le parole: " Questo è il mio corpo ", in virtù del sacramento, sarà nell'Eucaristia il corpo stesso di Cristo.
Ma poiché al corpo sono congiunti il sangue, l'anima e la divinità, anche queste si ritroveranno nel sacramento, non in forza della consacrazione, ma in quanto sono in realtà inseparabilmente congiunte al corpo di Cristo; cioè, in altre parole, per concomitanza.
Dal che segue che il Cristo è tutto intero nell'Eucaristia, perché data una unione di questo genere tra due cose, dov'è l'una è necessario che sia anche l'altra.
Dunque il Cristo è contenuto tutto intero nelle specie del pane e del vino; di modo che come la specie del pane contiene non solo il corpo, ma anche il sangue e il Cristo tutto intiero, cosi nella specie del vino si contiene non solo il sangue, ma anche il corpo e tutto intero Gesù Cristo.
Sebbene i fedeli debbano esser certi e persuasi che questa è la verità, giustamente è stato stabilito di fare separatamente le due consacrazioni; primo, per meglio esprimere la passione del Signore, nella quale il sangue fu separato dal corpo, ed è per questo che nella consacrazione si menziona l'effusione del sangue; secondo, perché era convenientissimo che questo sacramento, destinato a nutrir le anime, fosse istituito sotto forma di cibo e di bevanda, poiché queste due cose costituiscono l'alimento completo del nostro corpo.
Né si dimentichi che il Cristo si trova tutto intero non solo in ciascuna specie del pane e del vino, ma anche nella minima particella di ciascuna specie.
Al quale proposito ha scritto sant'Agostino: Ciascuno riceve il Signore Cristo, il quale è tutto intero nelle singole particelle, né si fraziona nei singoli, ma si offre intero a ciascuno ( Della Consecr. dist. 2 ).
Ciò si ricava facilmente anche dai testi evangelici.
Poiché non si deve credere che il Signore abbia separatamente consacrato ciascuno dei pezzi di pane, che distribui agli apostoli: che anzi egli con un'unica consacrazione consacrò tutto il pane necessario per fare il sacramento e per distribuirlo agli apostoli.
Ciò appare evidentemente a proposito del calice, quando disse: Prendete e dividetelo tra voi ( Lc 22,17 ).
Quanto è stato detto fin qui serve ai Pastori per dimostrare al popolo che nel sacramento dell'Eucaristia si contiene il vero corpo e sangue di Cristo.
Come secondo punto, i Pastori insegneranno che dopo la consacrazione nulla resta della sostanza del pane e del vino nell'Eucaristia.
Per quanto ciò possa sembrare prodigioso, è una necessaria conseguenza di quanto è stato più sopra spiegato.
Perché, se dopo la consacrazione si trova sotto le specie del pane e del vino il vero corpo di Gesù Cristo, che prima non c'era, bisogna che ciò avvenga o per mutazione di luogo, o per creazione, o per cambiamento di sostanza.
Ora, non può essere che il corpo di Cristo venga a trovarsi nel sacramento per mutazione di luogo, perché ne seguirebbe che non si trova più in cielo; infatti nulla può muoversi da un luogo all'altro, senza allontanarsi dal luogo da cui muove.
Né può ammettersi, anzi neppure è lecito pensarlo, che il corpo di Cristo vi sia creato.
Rimane dunque che esso si trovi nell'Eucaristia per cambiamento di sostanza, e perciò nulla più vi resti della sostanza del pane.
Persuasi i Padri di questa verità, l'hanno chiaramente confermata nei concili ecumenici Lateranense e Fiorentino; e il Tridentino l'ha più formalmente definita in questi termini: Se qualcuno dirà che nel sacramento dell'Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino insieme col corpo e col sangue di Cristo, sia scomunicato ( Conc. Trid. sess. 13,4 ).
É facile dimostrare questo assunto con testi scritturali.
Prima di tutto con quello che il Signore stesso disse istituendo il Sacramento: " Questo è il mio corpo ".
La forza della parola questo consiste appunto nell'indicare tutta intera la sostanza della cosa presente; tanto che se la sostanza del pane ancora rimanesse, il Signore non avrebbe potuto dire con verità: Questo è il mio corpo.
Di più, il Signore medesimo in san Giovanni dice: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ( Gv 6,52 ); ove chiama sua carne il pane.
E poco dopo aggiunge: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita ( Gv 6,54 ); e ancora: La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda ( Gv 6,56 ).
Chiamando quindi con parole si chiare e formali la sua carne vero pane e vero cibo, e il suo sangue vera bevanda, ha voluto certamente dichiarare che nel sacramento non rimane sostanza alcuna del pane e del vino.
Percorrendo i santi Padri sarà facile rilevare che questa è sempre stata la loro dottrina.
Sant'Ambrogio scrive: Tu forse dirai: Questo è il mio solito pane; ma io ti rispondo, che è certamente pane prima della consacrazione, però dopo diviene carne di Cristo ( De Sacrarti. 4,4 ).
E a meglio chiarirlo adduce vari esempi e similitudini.
Altrove, commentando il versetto: Il Signore ha fatto tutte le cose che ha voluto, cosi in cielo come in terra ( Sal 135,6 ), osserva: Quantunque si veda la figura del pane e del vino, si deve credere che, dopo la consacrazione, vi è solo la carne e il sangue di Cristo.
Sant'Ilario ha adoperato quasi le medesime parole per illustrare la stessa verità, insegnando che nell'Eucaristia ci sono realmente il corpo e il sangue del Signore, sebbene all'esterno non si veda che il pane e il vino ( Della consacr. dist. 2 ).
Qui i Pastori avvertano i fedeli di non meravigliarsi se si è conservato il nome di pane anche dopo la consacrazione, poiché con questo nome si uso di chiamare l'Eucaristia.
Infatti esso conserva le apparenze ed anche la naturale proprietà del pane, che è di nutrire e cibare il corpo.
E del resto consuetudine della S. Scrittura chiamare talora le cose secondo le loro esteriori apparenze.
Per esempio nella Genesi è detto che apparvero ad Abramo tre uomini, mentre invece erano tre angeli ( Gen 18,2 ); e negli Atti i due angeli, che apparvero agli apostoli subito dopo l'ascensione di Cristo al cielo, sono pure detti uomini ( At 1,10 ).
La spiegazione di questo mistero è difficilissima.
Ma i Parroci tenteranno di far capire a quelli che sono più avanzati nella cognizione delle verità della fede e delle Scritture ( per i più deboli v'è a temere che restino oppressi dalla sublimità dell'argomento ), come si opera questa meravigliosa conversione.
Per essa tutta la sostanza del pane si converte, per divina virtù, in tutta la sostanza del corpo di Cristo; e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del sangue di Cristo, senza alcuna mutazione del Signore.
Infatti Cristo non è generato, non si muta né si accresce, ma rimane intatto nella sua sostanza.
Sant'Ambrogio, illustrando questo mistero, ha scritto: Osserva come sia operativa la parola di Cristo.
Se essa è stata tanto efficace da chiamare all'esistenza quel che non era, cioè il mondo, quanto più non sarà efficace nel far si che le cose già esistenti abbiano un nuovo essere e siano tramutate in altre? ( Dei Sacram. 4,4 ).
Nel medesimo senso hanno scritto altri Padri antichi e di grande autorità.
Sant'Agostino: Fedelmente confessiamo che prima della consacrazione vi sono il pane e il vino che la natura ha formati; ma dopo vi sono la carne e il sangue di Cristo, che la benedizione ha consacrato.
E il Damasceno: Il corpo di Cristo, quello medesimo che è nato dalla S. Vergine, è veramente unito nell'Eucaristia alla divinità; non che discenda dal cielo a cui è salito, ma perché il pane e il vino sono trasmutati nel corpo e nel sangue del Signore ( Della fede ortod. 4,13 ).
Con molta ragione ed esattezza, dunque, la santa Chiesa cattolica chiama questa mirabile conversione col nome di transustanziazione, secondo l'insegnamento del sacro concilio di Trento.
Come infatti la generazione naturale può giustamente esser detta trasformazione, perché si ha un cambiamento nella forma, cosi la parola transustanziazione assai propriamente è stata foggiata dai Padri, per esprimere il cambiamento di una sostanza tutta intera in un'altra, qual'è appunto quello che si opera nell'Eucaristia.
Come spesso i nostri santi Padri ripetono, si dovranno avvertire i fedeli di non ricercare con troppa curiosità come possa avvenire un tale cambiamento.
Ci è impossibile comprenderlo; né possiamo trovarne immagine alcuna, né esempi nei cambiamenti della natura o nella creazione degli esseri.
La fede ci insegna solo la realtà della cosa: né dobbiamo curiosamente investigare come avvenga.
I Parroci useranno grande cautela nello spiegare come il corpo di Gesù Cristo nell'Eucaristia si trovi tutto intero in ogni minima particella del pane.
Per quanto è possibile bisogna evitare queste disquisizioni; ma, ove la carità cristiana lo richiedesse, richiamino innanzi tutto alla mente dei fedeli quel detto: Niente è impossibile a Dio ( Lc 1,37 ).
E poi insegnino che N. S. Gesù Cristo non è in questo sacramento come in un luogo, giacché le cose in tanto sono situate in un luogo, in quanto sono estese.
Ora, noi diciamo che Gesù Cristo è nell'Eucaristia non in quanto è grande o piccolo, cioè in rapporto alla quantità: ma in quanto è sostanza, nel senso cioè che la sostanza del pane si converte nella sostanza di Cristo, non nella grandezza o quantità.
Ora nessuno dubiterà che la sostanza può trovarsi in uno spazio piccolo o grande.
Cosi la sostanza dell'aria è tutta intera in uno spazio grande o piccolo; la sostanza dell'acqua è la medesima in un recipiente piccolo e nel fiume.
E poiché il corpo del Signore subentra alla sostanza del pane, ne segue che esso sarà nel sacramento nello stesso modo in cui vi si trovava la sostanza del pane prima della consacrazione.
Ora, che questa vi si trovi in grande o piccola quantità è cosa che non ha alcuna importanza, per la realtà della sostanza stessa.
Resta ora da vedere una terza meraviglia di questo sacramento, quale più agevolmente potrà essere spiegata dai Parroci, dopo le due sopra trattate: e cioè che nell'Eucaristia le specie del pane e del vino sussistono senza essere sostenute da alcun soggetto.
Infatti abbiamo mostrato che il corpo e il sangue di Gesù Cristo sono realmente presenti in questo sacramento, talché non vi resta più alcuna sostanza del pane e del vino.
Ma poiché le specie, o accidenti, del pane e del vino non possono essere inerenti al corpo e al sangue di Cristo, ne segue di necessità, che, al di sopra di ogni ordine della natura, essi si sostengano da sé e non si appoggino ad altra sostanza.
Questa è stata sempre la costante dottrina della Chiesa cattolica; dottrina che si può agevolmente confermare con l'autorità di quelle testimonianze, con le quali abbiam provato non rimanere nell'Eucaristia sostanza alcuna del pane o del vino.
Ma alla pietà dei fedeli sopratutto conviene che, poste da parte queste difficili questioni, si onori e si adori la maestà di questo mirabile sacramento, ammirando la somma Provvidenza di Dio, la quale ha voluto che cosi santi misteri ci venissero amministrati sotto la specie del pane e del vino; poiché, siccome alla natura umana ripugna in genere mangiare carne umana e bere sangue, con grande sapienza ha stabilito che il corpo e il sangue di Cristo ci venissero offerti sotto le specie del pane e del vino, che sono il nostro cibo giornaliero più comune e gradito.
Altri due vantaggi si aggiungono: primo, che siamo al coperto dalla calunnia degli infedeli, difficilmente evitabile, se noi avessimo mangiato nostro Signore sotto la sua propria specie; secondo, che il ricevere il corpo e il sangue del Signore, senza che i nostri sensi possano cogliere la realtà loro, ci offre un efficace mezzo di aumentare la fede nelle anime nostre; poiché, come vuole la nota sentenza di san Gregorio Magno, la fede non ha merito quando la ragione dimostra sperimentalmente ( Omil. 26 in Ev. I ).
Tutte le cose trattate fin qui è necessario spiegarle con grande cautela, secondo la capacità degli uditori e a tempo opportuno.
Invece le virtù e gli effetti di questo mirabile sacramento non v'è classe di fedeli che non debba conoscerli e apprezzarli come necessarie alla salvezza.
Del resto, tutta la dottrina esposta fin qui ha l'unico scopo di far conoscere ai fedeli l'utilità dell'Eucaristia.
Ma poiché l'utilità e i frutti immensi che questa racchiude non possono essere spiegati con un solo discorso, i Parroci dovranno trattar l'uno o l'altro punto, per mostrare quanto abbondante copia di beni si contenga in questi sacrosanti misteri.
Potranno raggiungere in parte il fine se, dopo aver mostrata la virtù e la natura di tutti i sacramenti, assomiglieranno l'Eucaristia alla sorgente, gli altri ai canali.
Infatti l'Eucaristia è davvero la sorgente di tutte le grazie, perché racchiude in maniera mirabile Gesù Cristo, fonte delle grazie e dei doni celesti, e autore di tutti i sacramenti; da Lui come da fonte, deriva agli altri sacramenti tutto quello che hanno di buono e di perfetto.
Da questo punto di vista sarà facile considerare i doni eccelsi della grazia divina, a noi concessi da questo sacramento.
Arriveremo agevolmente al medesimo fine, se considereremo bene la natura del pane e del vino, che sono i segni di questo sacramento; poiché quel che il pane e il vino arrecano al corpo, lo produce l'Eucaristia a salute e giocondità dell'anima, e in modo più perfetto.
Infatti non è il sacramento che si converte, come il pane e il vino, nella nostra sostanza; ma siamo noi che, in qualche modo, ci convertiamo nella sua natura; sicché bene a proposito si può citare qui il passo di sant'Agostino: Io sono il cibo dei grandi; cresci e mi mangerai.
Né tu mi muterai in te, come fai per il cibo del tuo corpo, ma piuttosto tu ti muterai in me ( Confess. 7,10 ).
Se da Gesù Cristo sono venute la verità e la grazia ( Gv 1,17 ) deve questa necessariamente diffondersi nell'anima quando si riceve con cuore puro e santo Colui che ha detto di sé: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui ( Gv 6,57 ).
Nessuno, infatti, può dubitare che quelli che partecipano a questo sacramento con sensi di fede e di pietà, riceveranno il Figlio di Dio in maniera da trovarsi in qualche modo innestati sul suo corpo, quasi membra vive; poiché sta scritto: Chi mangia di me, vivrà per me ( Gv 6,58 ); e ancora: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ( Gv 6,52 ).
Al qual proposito san Cirillo scrive: Il Verbo di Dio, unendosi alla sua propria carne, l'ha resa vivificante.
Era pertanto conveniente che egli si unisse ai nostri corpi in maniera ammirabile, per mezzo della sua sacratissima carne e del suo sangue prezioso, che riceviamo nella vivificante benedizione del pane e del vino ( In Jn 4,3 ).
Ma i Pastori avvertano i fedeli che, quando si dice che l'Eucaristia dona la grazia, non si deve intendere che non sia necessario essere già in grazia per ricevere con frutto questo sacramento; poiché come ai cadaveri non giova il cibo naturale, cosi all'anima, morta nello spirito, non giovano i sacri misteri.
Questi presentano le specie del pane e del vino appunto per significare che sono stati istituiti, non per dare, ma per conservare la vita dell'anima.
Si dice tuttavia che l'Eucaristia dona la grazia, perché anche la prima grazia ( necessaria per ricevere sulle labbra l'Eucaristia, senza il pericolo di mangiare e bere la propria condanna ) non si da se non a chi riceve questo sacramento col desiderio e con l'aspirazione.
L'Eucaristia, infatti, è il fine di tutti i sacramenti e il simbolo dell'unità associativa dei membri della Chiesa, fuori della quale nessuno può conseguire la grazia.
Inoltre, come il cibo naturale non solo conserva ma anche accresce il corpo e gli fa ogni giorno gustare nuova dolcezza e nuovo piacere, cosi il sacrosanto cibo dell'Eucaristia non solo sostenta l'anima, ma ancora le accresce le forze e fa si che lo spirito sia ogni giorno maggiormente preso dal diletto delle cose divine.
Ecco perché giustamente abbiamo detto che l'Eucaristia dà la grazia, potendosi a buon diritto paragonare alla manna, nella quale si trovava la delizia di tutti i sapori.
Nessuno poi deve dubitare che l'Eucaristia rimetta i peccati leggeri, o veniali.
Tutto quello che l'anima, trascinata dall'ardore della concupiscenza, aveva perduto in materia lieve, le viene reso da questo sacramento, che cancella i peccati minori; come appunto, per servirci sempre della medesima similitudine, noi sentiamo che il cibo corporale accresce e ripara quel che ogni giorno si perde e viene sottratto dal calore naturale.
Perciò sant'Ambrogio ha giustamente scritto dell'Eucaristia: Questo pane quotidiano ogni giorno si riceve come rimedio delle quotidiane infermità ( De' Sacram. 4,4 ).
S'intende che tutto ciò va riferito a quei peccati il cui diletto non travolge l'anima.
Un altro effetto dell'Eucaristia è di conservarci puri ed integri dal peccato e di salvarci da ogni impeto di tentazione, immunizzando, quasi celeste farmaco, l'anima, affinché non abbia ad infettarsi o corrompersi per il veleno di mortifere passioni.
Perciò, come attesta san Cipriano ( Epist. LIV ), quando gli antichi cristiani erano condannati dai tiranni ai tormenti e alla morte per la confessione della fede, la Chiesa volle che i Vescovi amministrassero loro il sacramento del corpo e del sangue del Signore, affinché non cedessero in quel supremo cimento, vinti dall'acerbità dei dolori.
Inoltre l'Eucaristia raffrena e reprime la libidine della carne, poiché da una parte accende gli animi col fuoco della carità, dall'altra necessariamente raffredda gli ardori della concupiscenza.
Finalmente, per compendiare in una sola parola tutti i vantaggi e benefici di questo sacramento, basta dire che esso possiede una virtù somma per procurarci l'eterna gloria, avendo detto Gesù: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno ( Gv 6,55 ).
Ed invero per virtù dell'Eucaristia i fedeli, fin da questa vita, godono di una somma pace e tranquillità di coscienza; e, al momento della morte, ricreati dalla sua virtù, se ne volano verso la gloria e beatitudine eterna come Elia, il quale, per virtù del pane cotto sotto la cenere, andò fino sull'Oreb, che era il monte di Dio ( 1 Re 19,8 ).
Sarà agevole ai Parroci spiegare più a lungo tutti questi benefici dell'Eucaristia, sia commentando ai fedeli il cap. 6 di san Giovanni, che manifesta molti effetti di questo sacramento, sia percorrendo la mirabile serie delle opere di Cristo.
Vi potranno far rilevare che se a buon diritto stimiamo beati coloro che ospitarono Gesù mortale nelle loro case, o ricuperarono la sanità toccando le sue vesti, quanto più siamo beati e fortunati noi che lo riceviamo nelle anime nostre, rivestito di gloria immortale, affinché ne risani le ferite ed a sé le unisca, dopo averle ornate di ricchissimi doni.
Si deve poi insegnare chi siano quelli che sono in grado di ricevere i grandi frutti dell'Eucaristia ora ricordati.
Ed è necessario prima di tutto spiegare che ci sono varie maniere di comunicarsi, affinché i fedeli desiderino la migliore.
Sapientemente i Padri nostri, come leggiamo nel Tridentino, hanno distinto tre modi di ricevere questo divino sacramento.
Taluni, e cioè i peccatori, ricevono soltanto sacramentalmente i sacri misteri, in quanto non hanno terrore di riceverli con labbra e cuore impuri.
Di costoro l'Apostolo ha detto che mangiano e bevono indegnamente il corpo e il sangue del Signore ( 1 Cor 11,29 ).
E sant'Agostino ha scritto che colui, il quale non si trova in Cristo e Cristo in lui, non mangia certo spiritualmente la sua carne, sebbene in modo carnale e visibile stringa con i denti il sacramento del suo corpo e del suo sangue ( In Jn tratt. 26,18 ).
Coloro pertanto che, cosi mal disposti, ricevono i sacri misteri, non solo non ne traggono frutto, ma, per sentenza di san Paolo, mangiano e bevono la propria condanna ( 1 Cor 11,29 ).
Altri ricevono l'Eucaristia solo spiritualmente; e sono quelli che, animati dalla fede viva che opera per mezzo della carità ( Gal 5,6 ), si nutrono di questo pane celeste con i desideri e i voti ardenti, riportandone se non tutti, certo i più grandi vantaggi.
Vi sono infine altri che ricevono l'Eucaristia sacramentalmente e spiritualmente: e sono quelli che, seguendo l'avviso dell'Apostolo, hanno prima provato se stessi e indossato la veste nuziale, per poi avvicinarsi alla sacra mensa, riportandone tutti i copiosi e utilissimi benefici sopra ricordati.
É evidente però che si privano di beni immensi e celesti coloro che, pur potendosi preparare a ricevere il sacramento del corpo del Signore, si contentano di riceverlo solo spiritualmente.
È tempo di dire come si debbano preparare i fedeli a ricevere il sacramento dell'Eucaristia.
a rilevare la necessità di questa preparazione, giova l'esempio del nostro Salvatore; il quale, prima di dare agli apostoli il sacramento del suo corpo e del suo sangue prezioso, sebbene già fossero mondi, pure lavo loro i piedi, per mostrare che si deve adoperare ogni diligenza perché siano in noi una somma integrità e innocenza d'animo, quando ci appressiamo a ricevere questo sacramento.
Di più, devono ben capire i fedeli che, come ricevendo con animo ben disposto l'Eucaristia, se ne riporta l'abbondanza dei doni celesti, cosi, ricevendola mal preparati, non solo non se ne ritrae alcun vantaggio, ma ne derivano danni gravissimi.
Giacché è proprietà delle cose ottime e salutari produrre il più gran giovamento, se vengono usate a tempo opportuno, mentre riescono perniciose se sono usate malamente.
Non c'è quindi da meravigliarsi, se questi immensi e ricchissimi doni di Dio, qualora siano ricevuti con buone disposizioni, giovino assai a conseguire la gloria celeste; mentre apportano la morte eterna se li riceviamo indegnamente.
Abbiamo una prova di questa verità nell'arca dell'alleanza, la cosa più santa che gli Israeliti possedessero, e di cui Dio s'era spesso servito per accordare loro grandi ed innumerevoli benefici.
Avendola una volta i Filistei rubata, essa attiro su loro un terribile flagello, non meno pernicioso che disonorevole ( 1 Sam 5 ); cosi il cibo ricevuto per bocca, se scende in uno stomaco ben preparato, nutre e sostenta il corpo; ma quello che entra in uno stomaco pieno di umori morbosi, cagiona gravissime infermità.
Perciò la prima preparazione che faranno i fedeli, sarà di distinguere mensa da mensa, cioè questo convito sacro da quelli profani, questo pane celeste dal pane comune.
Ciò si ottiene credendo fermamente che nell'Eucaristia è presente il vero corpo e sangue del Signore, che in cielo gli angeli adorano, al cui cenno tremano le colonne del cielo, della cui gloria sono pieni il cielo e la terra.
Questo significa discernere il corpo del Signore, come vuole san Paolo: Bisogna cioè contentarsi di adorare la profonda grandezza di questo mistero, piuttosto che ricercare con curiose disquisizioni la sua altissima verità.
indispensabile, si è di interrogare noi stessi, per vedere se siamo in pace con tutti, se amiamo di vero cuore il prossimo: Se tu per fare l'offerta all'altare e ti viene alla memoria che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, posa la tua offerta davanti all'altare, va prima a riconciliarti col tuo fratello, e poi ritorna a fare la tua offerta ( Mt 5,23-24 ).
esaminare diligentemente la nostra coscienza, per vedere se sia macchiata di qualche peccato mortale, di cui pentirci e mondarci mediante la contrizione e la Confessione.
Il sacro Concilio di Trento ha dichiarato non essere lecito a chi ha sulla coscienza un peccato mortale e può avvicinare un confessore, di ricevere la Comunione, anche se pentito nella maniera più profonda, prima di essersi purificato mediante la confessione ( Sess. XIII, cap. 7, e can. 11 ).
considerare in silenzio quanto siamo indegni di ricevere un cosi eccelso beneficio del Signore e ripetere di cuore la parola del Centurione, del quale il Salvatore stesso affermo di non aver trovato nemmeno in Israele una fede cosi grande: O Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa ( Mt 8,10 ).
esaminarci se possiamo far nostre le parole di Pietro: O Signore, tu sai che io ti amo ( Gv 21,17 ); e ricordare che colui il quale entro nel convito del Signore senza la veste nuziale, fu gettato nel carcere tenebroso a scontare pene eterne ( Mt 22,11 ).
Però non l'anima soltanto, ma anche il corpo deve essere preparato alla sacra mensa: primo, col digiuno, che impone di non mangiare né bere nulla dalla mezzanotte antecedente fino al momento in cui si riceve l'Eucaristia; secondo, la dignità di tanto sacramento richiede ancora che i coniugati si astengano per qualche giorno dalla copula, dietro l'esempio di Davide il quale, ricevendo dal sacerdote i pani di proposizione, dichiaro di essersi astenuto per tre giorni, egli ed i suoi servi, da commercio carnale ( 1 Sam 21,3ss ).
Queste sono le principali disposizioni che i fedeli dovranno avere per appressarsi a ricevere con frutto i santi misteri; tutte le altre potranno facilmente ridursi a quelle sopra elencate.
Per evitare che taluni diventino troppo negligenti e tardi a ricevere questo sacramento, col pretesto che la preparazione al medesimo è troppo grave e difficile, i fedeli devono essere avvertiti che tutti sono obbligati a ricevere l'Eucaristia.
Anzi la Chiesa ha stabilito che coloro i quali non si comunicheranno almeno una volta l'anno, a Pasqua, siano espulsi dalla Chiesa.
Questo non significa che sia sufficiente ubbidire a questo precetto e perciò basti ricevere una volta all'anno il corpo del Signore; anzi i fedeli devono frequentare la mensa eucaristica.
Non è possibile prescrivere con regola fissa per tutti se sia meglio comunicarsi ogni mese, ogni settimana oppure ogni giorno; ma si abbia sempre presente la norma sicura di S. Agostino: Vivi in maniera da poterti comunicare ogni giorno.
Toccherà al Parroco esortare spesso i fedeli che, come giudicano necessario dare cibo al corpo tutti i giorni, cosi curino ogni giorno di pascere l'anima con questo nutrimento, essendo chiaro che l'alimento spirituale è necessario all'anima quanto quello materiale al corpo.
E gioverà molto richiamare gli immensi e divini benefizi che, come abbiamo detto, si acquistano dalla pratica della Comunione.
Si può aggiungere l'esempio della manna, che ogni giorno si raccoglieva per ristorare le forze del corpo, e riportare l'autorità dei Padri che lodano e approvano la frequenza di questo sacramento.
Non è solo sant'Agostino a dire: Ogni giorno pecchi; dunque ogni giorno comunicati.
Chi vorrà leggere i Padri che hanno scritto su questo argomento, si convincerà facilmente che hanno tutti questo medesimo pensiero.
Leggiamo negli Atti ( At 2,42-46 ) che un tempo i fedeli ricevevano ogni giorno l'Eucaristia.
I Cristiani d'allora erano infiammati da una carità cosi profonda e sincera, che, dediti com'erano continuamente alle orazioni e alle opere di carità, si trovavano ognora pronti a ricevere il santissimo sacramento.
Quando la consuetudine sembro indebolirsi, il santo papa e martire Anacleto la rinnovo in parte, ordinando che tutti i Ministri che assistevano al sacrificio della Messa, si comunicassero; affermava che ciò era stato ordinato dagli Apostoli ( in Graz. par. IlI, dist. 2, cap. 10 ).
Durò a lungo nella Chiesa l'uso che il sacerdote, compiuto il Sacrificio e presa l'Eucaristia, si rivolgesse al popolo invitandolo alla sacra mensa con queste parole: Venite, fratelli, alla comunione.
Allora quelli che eran preparati ricevevano i misteri con gran devozione.
Essendosi in seguito tanto raffreddate la devozione e la carità, che i fedeli si accostavano solo raramente alla Comunione, il papa Fabiano ( ib. cap. 16 ) decretò che tre volte all'anno, a Natale, Pasqua e Pentecoste, i fedeli si comunicassero; il che fu poi confermato da molti Concili e specialmente dal primo di Agda ( can. 18 ).
Da ultimo, essendosi giunti a tanto rilassamento, che non solo non si osservava più un precetto cosi santo e salutare, ma si differiva di molti anni la Comunione, il concilio Lateranense quarto stabili che i fedeli si accostassero alla mensa eucaristica almeno una volta all'anno, a Pasqua, vietando l'ingresso in chiesa a chi avesse trascurato di ubbidire.
Quantunque la legge della frequenza, sancita dall'autorità di Dio e della Chiesa, obblighi tutti i fedeli, tuttavia ne sono eccettuati coloro, che per la tenera età non hanno ancora l'uso della ragione.
Essi infatti sono incapaci di distinguere il pane eucaristico da quello ordinario, né possono avere devozione o riverenza nel riceverlo.
Sembra anche opporvisi l'istituzione stessa fatta da Cristo, il quale disse: Prendete e mangiate ( Mt 26,26 ).
Ora, è chiaro che i bambini non possono prendere e mangiare.
Ci fu, in taluni luoghi l'usanza di amministrare anche ai fanciullini l'Eucaristia; ma ora è stata, per ordine della Chiesa e da molto tempo, abolita, per le ragioni sopra addotte e per molte altre assai conformi alla pietà cristiana.
Quanto all'età per la Comunione dei fanciulli, nessuno potrà deciderla meglio del loro padre e confessore, cui appartiene verificare se i fanciulli hanno una qualche conoscenza o gusto di questo mirabile sacramento.
Nemmeno ai pazzi, alieni durante la loro disgrazia da ogni sentimento di religione, si deve amministrare l'Eucaristia.
Ma se prima di cadere in pazzia avevano mostrato sensi di religiosa pietà, sarà lecito dar loro in punto di morte la Comunione, secondo il decreto del concilio Cartaginese ( 4,76 ), purché non vi sia da temere pericolo di vomito, o di altra irriverenza, o indecenza.
Per quel che riguarda il rito eucaristico, insegnino i Parroci esser proibito per legge ecclesiastica che, senza espressa autorizzazione della Chiesa, i fedeli, all'infuori dei sacerdoti che celebrano il Sacrificio, ricevano l'Eucaristia sotto entrambe le specie.
Infatti, come spiega il concilio di Trento, sebbene N.S. Gesù Cristo nell'ultima cena abbia istituito questo augusto sacramento sotto le due specie del pane e del vino e lo abbia cosi somministrato agli apostoli, non ne segue che abbia ordinato di dare a tutti i fedeli il sacramento sotto le due specie.
Che anzi il Redentore, quando parla di questo sacramento, il più sovente fa menzione di una sola specie: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ( Gv 6,51 ).
Per molte e gravissime ragioni la Chiesa si è decisa non solo ad approvare, ma anche a sancire con la sua autorità la regola di comunicare sotto la sola specie del pane.
Innanzi tutto bisognava con grande cura impedire che il sangue del Signore cadesse in terra; cosa difficile a evitare, se si deve distribuire a una massa di popolo.
Secondo, dovendo l'Eucaristia esser sempre pronta per gl'infermi, c'era da temere che la specie del vino conservata a lungo s'inacidisse.
Terzo, molti non possono tollerare il gusto e nemmeno l'odore del vino; era dunque conveniente che la Chiesa ordinasse la comunione sotto la sola specie del pane, per evitare che quel che si distribuisce per la salute delle anime, possa nuocere a quella del corpo;
quarto, in molti paesi vi è penuria di vino, il quale vi si può trasportare solo con grandi spese e attraverso lunghe e malagevoli strade;
infine, e questo è il più importante, bisognava estirpare l'eresia di coloro, che pretendevano che Gesù Cristo non è tutto intero sotto ciascuna specie, ma che quella del pane contiene il corpo senza sangue, e quella del vino il sangue senza il corpo.
Affinché, pertanto, la verità della fede Cattolica fosse meglio palese a tutti, fu con savio consiglio introdotta la comunione sotto la sola specie del pane.
Altre ragioni ancora sono state raccolte dagli scrittori che han trattato questa materia; i Parroci, ove lo giudicassero necessario, le potranno addurre.
Sebbene nessuno ne sia all'oscuro, trattiamo ora del ministro, tanto per non tralasciare nulla di quel che si riannoda a questo sacramento.
Insegneranno i Parroci che soltanto i sacerdoti hanno la potestà di consacrare l'Eucaristia e di distribuirla ai fedeli.
Sempre - insegna il concilio di Trento - è stata nella Chiesa osservata la consuetudine, che il popolo riceve i sacramenti dai sacerdoti, mentre questi si comunichino da sé durante la celebrazione; consuetudine che il Concilio fa risalire agli Apostoli.
Esso ordina di osservarla religiosamente ( Sess. XIII, cap. 8, can. 10 ), massime perché Gesù Cristo ce ne ha lasciato chiarissimo esempio, avendo egli stesso consacrato il suo corpo per poi distribuirlo con le sue mani agli apostoli ( Mt 26,26; Mc 14,22 ).
Al fine di rilevare con ogni mezzo la dignità di tanto sacramento, non solo è riservata ai sacerdoti la potestà di amministrarlo, ma è proibito per legge ecclesiastica, a chi non è negli ordini sacri, di toccare o trattare i vasi sacri, i corporali e tutta la suppellettile necessaria per la consacrazione, salvo il caso di grave necessità.
Cosi i sacerdoti e i fedeli intenderanno come debbano essere religiosi e santi coloro cui spetta di consacrare, amministrare, o ricevere la santissima Eucaristia.
Tuttavia si verifica anche per questo sacramento quel che abbiamo detto per gli altri; che cioè possono esser validamente amministrati anche da ministri indegni, purché siano osservate le norme spettanti alla loro struttura; giacché il loro effetto non dipende dai meriti di chi li amministra, ma dalla virtù e dalla potestà di Cristo Signor nostro.
Questo è quanto si deve spiegare sull'Eucaristia come sacramento.
Resta da considerare l'Eucaristia come sacrifizio.
E cosi sarà completo quel che i Pastori, a norma del concilio di Trento, dovranno conoscere e insegnare al popolo nelle domeniche e nelle altre festività ( Sess. 22, cap. VIII ).
Infatti l'Eucaristia non è solo il tesoro della ricchezza celeste, il cui buon uso procura la grazia e l'amore di Dio, ma possiede anche il mezzo per ringraziare Dio per gl'immensi benefici a noi elargiti.
Volendo comprendere quanto sia grata ed accetta a Dio questa Vittima, quando viene immolata secondo il legittimo rito, si consideri che i sacrifici dell'antica Legge - di cui pure era scritto: Di sacrifici e di offerte tu non prendi diletto ( Sal 40,7 ); e ancora: A te non piacciono i sacrifizi di animali: potrei offrirtene, ma l'olocausto non ti diletta ( Sal 51,18 ) - piacquero tanto al Signore, che secondo la Scrittura Dio sentì in quelli come un odore soavissimo, per significare che gli furono grati ed accetti ( Gen 8,21 ).
Ora che cosa non dobbiamo sperare noi da un sacrifizio, in cui viene immolato Colui del quale per ben due volte una voce celeste proclamò: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto? ( Mt 3,17 ).
I Parroci esporranno dunque diligentemente questo mistero, affinché i fedeli, venendo ad assistere al sacrificio, sappiano meditare con attenzione e pietà i misteri ai quali partecipano.
Insegneranno innanzi tutto che Cristo ha istituito l'Eucaristia per due ragioni: primo, per offrire all'anima un alimento celeste, che ne conservasse la vita spirituale; secondo, affinché la Chiesa avesse un sacrifizio perpetuo, capace di soddisfare per i nostri peccati, e di piegare dall'ira alla misericordia, dalla severità di un giusto castigo alla clemenza, il Padre celeste, spesso gravemente offeso dalle nostre iniquità.
Una figura di ciò la troviamo nell'agnello pasquale, che gli Ebrei immolavano e mangiavano come sacrifizio e come sacramento.
Né poteva il Redentore, prima di offrire se stesso a Dio Padre sull'altare della croce, darci più chiaro pegno del suo immenso amore verso di noi, che lasciandoci questo sacrificio visibile, mediante il quale noi potessimo rinnovare l'immolazione cruenta, che egli era per consumare l'indomani, una volta per sempre, sopra la croce; e, in tal modo, la sua memoria venisse ogni giorno celebrata dalla Chiesa su tutta la terra con grandissimo frutto, fino alla fine del mondo.
Ma tra i concetti di sacramento e di sacrificio vi è grande differenza.
Il sacramento si effettua mediante la consacrazione, mentre l'essenza del sacrifizio sta nell'offerta immolatrice.
Perciò l'Eucaristia, finché è conservata nella pisside o è portata a un infermo, ha carattere di sacramento e non di sacrifizio.
Appunto, come sacramento apporta titoli di merito a coloro che la ricevono, procurando loro i vantaggi sopra ricordati.
Invece, come sacrificio, possiede, oltre alla virtù di meritare, anche quella di soddisfare.
Pertanto come Cristo signor nostro nella sua passione meritò e soddisfece per noi, cosi quelli che offrono questo sacrificio, per il quale comunicano con noi, meritano di partecipare ai frutti della passione del Signore e quindi alla sua opera di soddisfazione.
Il concilio di Trento ha tolto ogni dubbio circa l'istituzione di questo sacrificio, dichiarando che fu istituito da Gesù Cristo nell'ultima cena.
Anatematizza poi chi afferma che a Dio non si offre un vero e proprio sacrificio nella Chiesa, ovvero che offrire non significa altro che dare in cibo ai fedeli la carne del Signore.
Né tralasciò di spiegare diligentemente che il sacrificio si offre solo a Dio; e che la Chiesa, pur celebrando messe in memoria e onore dei santi, offre il sacrificio non ad essi, ma solo a Dio, che ha coronato i santi di gloria immortale.
Il sacerdote non dice mai: Offro il sacrificio a te, Pietro, o Paolo; ma, mentre immola e sacrifica solo a Dio, lo ringrazia per le insigni vittorie riportate dai martiri, e implora il loro patrocinio, affinché si degnino d'intercedere per noi in cielo, mentre facciamo memoria di loro in terra.
La Chiesa Cattolica ha appreso dalla parola stessa di Cristo quanto Egli ci ha insegnato circa la realtà del sacrificio eucaristico.
Cristo, infatti, disse agli Apostoli affidando loro nell'ultima cena i sacri misteri: Fate questo in memoria di me ( Lc 22,19; 1 Cor 11,24 ).
In quel momento li istituì sacerdoti, come insegna il concilio di Trento, ordinando ad essi e a tutti quelli che sarebbero loro succeduti nell'ufficio sacerdotale, di immolare e offrire il suo corpo.
La stessa cosa è chiaramente confermata dalle parole di san Paolo ai Corinzi: Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni.
Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni ( 1 Cor 10,20 ).
Ora, come per mensa dei demoni si deve intendere l'altare su cui questi ricevevano i sacrifici, cosi per mensa del Signore si deve intendere l'altare sul quale si sacrifica a Dio; altrimenti non tornerebbe l'argomentazione dell'Apostolo.
Ricercando nel vecchio Testamento le figure e le profezie intorno al sacrificio eucaristico, troviamo prima di tutto il chiarissimo vaticinio di Malachia: Dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo viene sacrificata ed offerta al mio nome un'oblazione monda, perché grande è il mio nome tra le nazioni, dice il Signore degli eserciti ( Ml 1,11 ).
Questa Vittima era pure prefigurata da tutti i sacrifici offerti sia prima che dopo la promulgazione della legge mosaica; perché i benefici espressi da quelli sono tutti contenuti nell'Eucaristia, che ne è come l'apice e il compimento.
Fra tutte le figure, la più espressiva è quella di Melchisedec, perché il Redentore medesimo, per ben rilevare che era stato costituito sacerdote per l'eternità secondo l'ordine di Melchisedec ( Eb 7,3 ), offri all'Eterno suo Padre, nell'ultima cena, il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino.
Si deve dunque riconoscere che il sacrificio della Messa e quello offerto sulla croce non sono e non devono essere considerati che un solo e identico sacrificio, come una e identica è la vittima: Cristo signor nostro, che si è immolato una sola volta sulla croce in modo cruento.
Ora, la vittima cruenta e quella incruenta sono un'unica vittima e non due, il cui sacrificio, dopo il precetto del Signore: Fate questo in memoria di me, si rinnova ogni giorno nell'Eucaristia.
E anche unico e identico il sacerdote, cioè Cristo medesimo, poiché i ministri celebranti non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo, quando consacrano il suo corpo e il suo sangue.
É provato dalle parole stesse della consacrazione, nelle quali il sacerdote non dice: Questo è il corpo di Cristo, ma: Questo è il mio corpo; appunto perché rappresentando egli, allora, la persona di Cristo, trasforma la sostanza del pane e del vino nella vera sostanza del corpo e del sangue di Lui.
Posta questa verità, bisogna con fermezza insegnare, insieme con il sacro Concilio, che l'augusto sacrificio della Messa non è soltanto un sacrificio di lode e di ringraziamento, né una semplice commemorazione di quello della croce, ma un vero sacrificio propiziatorio, col quale ci rendiamo Dio placato e propizio.
Perché se con puro cuore, con fede viva, con intimo dolore dei nostri peccati immoliamo e offriamo questa Vittima sacrosanta, otterremo infallibilmente dal Signore la misericordia e la grazia al momento opportuno.
Infatti il Signore tanto si compiace del profumo di questa Vittima, che ci perdona i peccati, concedendoci il dono della grazia e della penitenza.
Perciò la Chiesa dice in una solenne preghiera: Quante volte si celebra la memoria di questa Vittima, altrettante si compie l'opera della nostra salvezza ( Dom. 9 dopo Pent. ); poiché tutti gli abbondantissimi meriti della Vittima cruenta si riversano su di noi in grazia di questo sacrificio incruento.
Insegneranno pure i Parroci che l'efficacia di questo sacrificio è tale da giovare non solo a chi l'offre e a chi lo riceve, ma a tutti i fedeli che siano ancora vivi sulla terra, o che, essendo già morti nel Signore, non siano ancora completamente purificati.
Perché è certa tradizione apostolica che il sacrificio della Messa si offre utilmente anche per i morti, oltreché per i peccati, le pene, le soddisfazioni, le varie angustie e calamità dei vivi.
Ne segue che tutte le messe sono sempre da considerarsi comuni, in quanto sono dirette alla comune utilità e salute di tutti i fedeli.
Il sacrificio della Messa abbraccia molti riti notevoli e solenni, nessuno dei quali si può giudicare superfluo o vano, perché tutti sono diretti a far meglio risplendere la maestà di si grande sacrificio, e a trasportare i fedeli dalla vista di così salutiferi misteri alla contemplazione delle cose divine, in essi celate.
In queste cerimonie non è opportuno trattenerci di più, sia perché a trattare tale materia ci vorrebbe uno spazio più ampio, sia perché potranno i sacerdoti facilmente consultare i moltissimi libri e trattati composti da uomini dotti e pii intorno a questo argomento.
Basti quindi quello che fin qui abbiamo esposto, con l'aiuto di Dio, intorno ai punti principali che si riferiscono all'Eucaristia, sia come sacramento, sia come sacrificio.
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