Il dialogo e l'annuncio |
Un giudizio equo delle altre tradizioni religiose presuppone normalmente uno stretto contatto con esse, il che comporta - al di là della conoscenza teorica - un'esperienza pratica di dialogo interreligioso con i seguaci di tali tradizioni, tuttavia, è anche vero che una valutazione teologica corretta di queste tradizioni, per lo meno in termini generali, è un presupposto necessario per il dialogo interreligioso.
Queste tradizioni devono essere avvicinate con una grande sensibilità, tenendo sempre conto dei valori sperimentali e umani che sono racchiuse in esse.
Esse esigono il nostro rispetto poiché, nel corso dei secoli, hanno reso testimonianza dei ( loro ) grandi sforzi di trovare risposte ai profondi misteri della condizione umana" ( NA 1 ), e hanno dato espressione all'esperienza religiosa e continuano a farlo tuttora.
Il Concilio Vaticano II ha fornito le linee guida di questa valutazione positiva.
Il significato esatto di quanto è affermato dal Concilio necessita un'analisi attenta e accurata.
Il Concilio riafferma la dottrina tradizionale secondo la quale la salvezza in Gesù Cristo è - in modo misterioso - una realtà aperta a tutte le persone di buona volontà.
Un'enunciazione evidente di questa convinzione basilare del Vaticano II si trova nella Costituzione "Gaudium et Spes".
Il Concilio insegna che Cristo, il Nuovo Adamo, tramite il mistero della sua incarnazione, morte e resurrezione, lavora all'interno di ogni essere umano per produrre in esso il rinnovamento interiore.
"Ciò rimane una verità non soltanto per i cristiani, ma anche per tutte le persone di buona volontà, nei cui cuori la Grazia è attiva in modo irreversibile.
Poiché, dal momento che Cristo è morto per tutti, e dal momento che tutti sono di fatto chiamati allo stesso unico destino, che è divino, noi dobbiamo credere fermamente al fatto che lo Spirito Santo offre a tutti la possibilità di essere resi partecipi, in un modo noto a Dio, del mistero pasquale" ( GS 22 ).
[ che il modo sia noto a Dio è possibile; ma la responsabilità personale e il dialogo Trinitario che si instaura in Cristo nel credente, la cui Azione "teandrica", sola, lo trasforma attraverso un sì da pronunciare e un "rimanere" in Lui, grazie alla fedeltà e all'osservanza dei comandamenti resa possibile non in forza della Legge ma dal cuore Redento? - ndR ]
Il Concilio va ancora oltre.
Facendo propria la visione e la terminologia di alcuni primi Padri della Chiesa, la "Nostra Aetate" parla della presenza, in queste tradizioni, di "un raggio di quella verità che illumina tutti" ( NA 2 ).
La "Ad Gentes"riconosce la presenza dei "semi del Verbo", [ secondo i Padri della Chiesa, iniziando da Giustino, i semi del Verbo non fecondano le religioni pagane, alle quali essi riservano giudizi molto severi, quanto piuttosto la filosofia greca e la sapienza dei poeti e delle Sibille.
Non si può ignorare che i frammenti di verità presenti nelle altre religioni e confessioni cristiane hanno un ruolo parziale incompleto mentre gli errori all'interno dei quali sono costrette le distorcono e ne falsano la vera portata.
Si pensi all'esclusione del dogma della Trinità da parte del giudaismo e dell'islamismo - ndR ] mette in risalto i doni che un Dio generoso ha distribuito presso tutte le nazioni" ( AG 11 ).
Inoltre, la "Lumen Gentium" fa riferimento al bene che "è seminato" non solo "nelle menti e nei cuori", ma anche "nei riti e costumi dei popoli" ( LG 17 ).
Queste poche citazioni sono già sufficienti per mostrare come il Concilio abbia apertamente riconosciuto la presenza di valori positivi non solo nella vita religiosa dei singoli credenti di altre tradizioni religiose, ma anche nelle tradizioni religiose stesse di cui essi appartengono.
Esso attribuisce questi valori alla presenza attiva di Dio per mezzo del Suo Verbo, mettendo in rilievo anche l'azione universale dello Spirito: "Senz'alcun dubbio", afferma la "Ad Gentes", "lo Spirito Santo era al lavoro nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato" ( n. 4 ).
Da ciò si può vedere come questi fattori, come preparazione del Vangelo ( cfr LG 16 ), hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo provvidenziale nella economia divina della salvezza.
Questo riconoscimento spinge la Chiesa ad entrare in "dialogo e collaborazione" ( NA 2 ): "I cristiani, pur continuando a testimoniare con la loro fede e il loro modo di vivere, devono riconoscere, preservare e incoraggiare il loro bene spirituale e morale che si trova presso i noncristiani, nonché i loro valori sociali e culturali" ( NA 2 ).
Il Concilio non è ignaro della necessità dell'attività missionaria della Chiesa finalizzata a perfezionare in Cristo questi elementi positivi trovati nelle altre religioni.
Il Concilio sancisce senza ambiguità: "ogni verità e grazia vengono trovate presso le nazioni come una sorta di presenza segreta di Dio, vengono liberate da questa attività da ogni macchia di male, e vengono ricondotte a Cristo, il loro Artefice, il quale sbaraglia il potere del diavolo ed estromette la multiforme malizia del vizio.
In questo modo, ogni bene seminato nelle menti e nei cuori degli uomini o nei riti e nelle culture peculiari ai vari popoli, non viene perduto, e anzi, ancor più, esso è guarito, reso nobile e perfezionato per la gloria di Dio, la sconfitta del demonio e la felicità degli uomini" ( AG 9 )
L'Antico Testamento testimonia che, fin dall'inizio della creazione Dio ha stabilito un Patto ( una Alleanza ) con tutte le genti ( Gen 1,11 ).
Ciò sta a dimostrare che vi è una sola storia di salvezza per l'intera umanità.
Il Patto ( l'Alleanza ) con Noè, l'uomo che "camminava con Dio" ( Gen 6,9 ), è un simbolo dell'intervento divino nella storia delle nazioni.
I personaggi non-israelitici dell'Antico Testamento sono considerati, nel Nuovo, appartenenti a tale storia della salvezza.
Abele, Enoch e Noè sono proposti come modelli di fede ( cfr Eb 11,4-7 ).
È questa storia della salvezza che vede il suo compimento finale in Gesù Cristo, nel quale è sancita la nuova e definitiva Alleanza per tutti popoli.
La conoscenza religiosa di Israele è caratterizzata da una profonda consapevolezza del proprio status di Popolo Eletto di Dio.
Questa elezione accompagnata da un processo di formazione e da continue esortazioni a preservare la purezza del monoteismo, costituisce una missione.
I profeti insistono continuamente sulla lealtà e sulla fedeltà all'Unico vero Dio e parlano del Messia promesso.
Questi profeti, in maniera particolare al tempo dell'Esilio, forniscono una prospettiva universalistica, dal momento che la salvezza di Dio viene vista da loro estendersi oltre e attraverso Israele a tutte le nazioni.
Così, Isaia preannuncia che negli ultimi giorni tutte le nazioni affluiranno a la casa di Dio, e diranno: "Venite, andiamo alla montagna del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; possa Egli insegnarci le Sue vie e possiamo noi camminare suoi sentieri!" ( Is 52,10 ).
Anche nella letteratura sapienziale, che resa testimonianza degli scambi culturali tra Israele e i popoli suoi vicini, viene chiaramente affermata l'azione di Dio all'interno dell'intero universo.
Essa va oltre i confini del Popolo Eletto per arrivare a toccare tanto la storia delle nazioni quanto le vite dei singoli individui.
Passando al Nuovo Testamento, osserviamo che Gesù professa di essere venuto a radunare le pecore perdute di Israele ( cfr Mt 15,24 ) e proibisce ai suoi discepoli, per un certo periodo, di rivolgersi ai Gentili ( cfr Mt 10,5 ).
Tuttavia, Egli dimostra un atteggiamento di apertura nei confronti degli uomini e delle donne che non appartengono al popolo eletto di Israele:
Egli entra in dialogo con loro e riconosce il bene che è in essi;
si meraviglia nella prontezza a credere del centurione, affermando di non aver mai trovato una fede così grande in Israele ( cfr Mt 8,5-13 );
compie miracoli di guarigione degli "stranieri" ( cfr Mc 7,24-30; Mt 15,21-28 ), e questi miracoli sono dei segni della venuta del Regno;
conversa con la Samaritana e le parla di un tempo in cui l'adorazione non sarà ristretta ad alcun luogo particolare, in cui tutti i credenti " adoreranno il Padre in spirito e verità" ( Gv 4,23 ).
Gesù apre in questo modo degli orizzonti nuovi situati al di là della vera realtà locale, estesi a una universalità dalle caratteristiche tanto Cristologiche quanto Pneumatologiche; poiché il nuovo santuario è ora il corpo del Signore Gesù ( cfr Gv 2,21 ), che il Padre ha innalzato nel potere dello Spirito.
Il messaggio di Gesù, provato dalla testimonianza della Sua stessa vita [ e il suo Sacrificio Espiatore e Redentore? - ndR ], e quindi quello che attraverso la Sua persona il Regno di Dio fa il suo ingresso all'interno di tutto il mondo.
All'inizio del suo pubblico ministero, nella Galilea delle genti, Egli può affermare: "Il tempo è giunto, il Regno di Dio è a portata di mano".
Egli indica anche le condizioni per poter entrare nel Regno: "Pentitevi e credete al Vangelo" ( Mc 1,15 ).
Questo messaggio non è rivolto solo alla cerchia limitata di quanti appartengono al popolo eletto: Gesù, infatti, annuncia esplicitamente l'ingresso dei Gentili nel Regno di Dio ( cfr Mt 8,10-11; Mt 11,20-24, Mt 25,31-32,34 ), un Regno che deve essere considerato allo storico escatologico.
Si tratta del Regno tanto del Padre, per la venuta era necessario pregare ( cfr Mt 6,10 ), quanto del Figlio, dal momento che Gesù dichiara apertamente di essere Re ( cfr Gv 18,33-37 ).
Infatti, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo [ per opera dello Spirito Santo ], noi abbiamo la pienezza della rivelazione e della salvezza e il compimento dei desideri delle nazioni. [ e la realizzazione del progetto di Dio per l'umanità? - ndR ]
I riferimenti alla vita religiosa dei Gentili e alle loro tradizioni religiose all'interno del Nuovo Testamento potrebbero sembrare contrastanti, ma possono essere anche considerati complementari.
Da una parte troviamo il verdetto negativo della Lettera ai Romani contro coloro che non hanno riconosciuto Dio nella Sua creazione e sono caduti nella idolatria e nella depravazione ( cfr Rm 1,18-32 ); d'altro canto, gli Atti degli Apostoli testimoniano l'atteggiamento positivo ed aperto di Paolo nei confronti nei Gentili, tanto nel suo discorso ai Licaoni ( cfr At 14,8-18 ) quanto nel suo discorso dell'Aereopago ad Atene, nel quale egli ha lodato il loro spirito religioso ed ha loro annunciato Colui che essi, senza conoscerlo, riverivano come "Dio ignoto" ( cfr At 17,22-34 ).
Non bisogna dimenticare neanche che la tradizione sapienziale viene applicata nel Nuovo Testamento a Gesù Cristo, Sapienza di Dio, la Parola di Dio che illumina ogni uomo ( cfr Gv 1,9 ) e che, con la sua Incarnazione pianta la sua tenda tra di noi ( cfr Gv 1,14 ).
Anche la tradizione post-biblica contiene dati contrastanti.
Si possono estrapolare numerosi giudizi negativi sul mondo religioso del loro tempo dagli scritti dei Padri.
Ma le antiche tradizioni mostrano una notevole apertura.
Molti Padri della Chiesa attingono alla tradizione sapienziale riflessa nel Nuovo Testamento.
In particolare, scrittori del secondo secolo e della prima parte del terzo secolo come Giustino, Ireneo e Clemente d'Alessandria, più o meno esplicitamente, parlano dei "semi" piantati dal verbo di Dio nelle nazioni,10 tanto che si può dire che secondo loro Dio a già manifestato sé stesso, in maniera incompleta, prima al di fuori della rivelazione cristiana.
Questa manifestazione del "Logos" è una primizia della piena rivelazione in Gesù Cristo cui essa tende.
I più antichi Padri della Chiesa forniscono quella che può essere definita teologia della storia.
La storia diviene storia della salvezza, dal momento che attraverso di essa Dio si manifesta progressivamente e comunica con l'umanità.
Questo processo di manifestazione e comunicazione divina raggiunge il suo apice nell'incarnazione del Figlio di Dio in Gesù Cristo.
Per questo motivo Ireneo distingue quattro "alleanze" offerte da Dio al genere umano: in Adamo, in Noè, in Mosè ed in Gesù Cristo.11
Si può affermare che questa corrente patristica, la cui importanza non deve essere sottovalutata, culmini in Agostino, il quale, nelle sue opere più tarde, ammesse in evidenza la presenza universale e l'influenza del mistero di Cristo anche prima dell'Incarnazione.
Per completare il suo piano di salvezza, Dio nel suo Figlio si è offerto all'intera umanità.
Per cui, per un certo senso, la Cristianità esiste già "all'inizio del genere umano"12
È a questa visione della Chiesa caratteristica del primissimo Cristianesimo che il Concilio Vaticano Secondo ha fatto riferimento quello di Papa Giovanni Paolo II - è andato ancora oltre nella stessa direzione.
In primo momento il Papa ha riconosciuto la presenza operativa dello Spirito Santo nella vita dei membri delle altre tradizioni religiose, come nel passo della "Redemptor Hominis" in cui egli parla della loro "fede salda" come di "un effetto dello Spirito di verità operante al di fuori dei confini visibili del Corpo Mistico " ( n. 6 ).
In "Dominum et Vivificantem", il Pontefice compie un passo ulteriore, affermando l'azione universale dello stesso Spirito oggi, anche al di fuori del corpo visibile della Chiesa ( cfr n. 53 ).
Nel suo discorso rivolto alla Curie Romana dopo la Giornata Mondiale della Preghiera per la Pace ad Assisi, Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato ancora una volta la presenza universale dello Spirito Santo, sancendo che "ogni persona che prega con l'atteggiamento di autenticità è ispirata dallo Spirito Santo, che è misteriosamente presente nel cuore di ognuno", Cristiano o meno.
Ma di ancora nuovo nello stesso discorso, il Papa, andando oltre la prospettiva individuale, ha articolato gli elementi principali che devono essere considerati le basi teologiche per un approccio positivo alle altre tradizioni religiose e alla pratica del dialogo interreligioso.
Al primo punto è situato il fatto che l'intera umanità forma una sola famiglia, poiché tutti gli uomini e le donne hanno un'origine comune, essendo stati creati a immagine di Dio.
Parallelamente, tutti sono chiamati allo stesso destino comune, vale a dire la pienezza della vita in Dio.
Inoltre, vi è un solo piano di salvezza per l'umanità, con il suo centro in Gesù Cristo, il quale nella sua incarnazione "si è unito in un certo qual modo ad ogni persona" ( RH 13; cfr n. 65 ).
Infine, è necessario menzionare l'attiva presenza dello Spirito Santo nella vita religiosa dei membri delle altre tradizioni religiose.
Da tutti questi elementi il Papa arriva a definire il "mistero dell'unità", che è stato manifestato chiaramente ad Assisi, "nonostante le differenze tra le confessioni religiose".13
Da questo mistero dell'unità scaturisce il fatto che tutti gli uomini e le donne che sono salvati partecipano sia pure in maniera differente tra loro - allo stesso mistero di salvezza in Gesù Cristo per mezzo del Suo Spirito.
I Cristiani conoscono già questa realtà grazie alla loro fede, mentre gli altri rimangono inconsapevoli del fatto che Gesù Cristo sia la fonte della loro salvezza.
Il mistero della salvezza li raggiunge, in una maniera nota a Dio, tramite l'azione invisibile dello Spirito del Cristo.
Dal punto di vista concreto, sarà nella pratica sincera di ciò che è buono nelle proprie tradizioni religiose e seguendo la voce della propria coscienza che i membri delle altre religioni risponderanno positivamente alla chiamata di Dio e riceveranno la salvezza in Gesù Cristo, anche se essi non lo ritengono o non lo riconoscono come il loro salvatore ( cfr AG 3, AG 9, AG 11 ). [ cristianesimo anonimo di Rahner? ]
I frutti dello Spirito di Dio nella vita personale degli individui, siano essi Cristiani o meno, sono facilmente discernibili ( cfr Gal 5,22-23 ).
Individuare in altre tradizioni religiose elementi di grazia in grado di sostenere la risposta positiva dei loro membri alla chiamata di Dio è più difficile: ciò richiede un discernimento per il quale bisogna stabilire dei criteri.
Gli individui sinceri marcati dallo Spirito di Dio hanno certamente messo il loro sforzo personale nell'elaborazione e nello sviluppo delle loro rispettive tradizioni religiose.
Ciò non implica, tuttavia, che ogni cosa che si trova in esse sia buona.
Affermare che le altre tradizioni religiose includono in sé stesse elementi di grazia non implica il fatto che ogni cosa in esse sia il risultato della grazia, poiché il peccato è sempre stato all'opera nel mondo, e pertanto le tradizioni religiose, nonostante i loro valori positivi, riflettono i limiti dello spirito umano, talvolta incline a scegliere il male.
Un approccio aperto e positivo alle altre tradizioni religiose non può sorvolare contraddizioni che possono esserci tra di esse e la rivelazione cristiana.
Laddove necessario, si devono riconoscere le incompatibilità tra alcuni elementi fondamentali della religione cristiana e alcuni aspetti di tali tradizioni.
Ciò significa che i Cristiani, pur entrando in dialogo e mentalità aperta con i seguaci delle altre tradizioni religiose, devono tuttavia informarsi presso di loro, con spirito pacifico, dei contenuti della loro fede.
Ma anche i Cristiani devono essere disposti ad essere messi in discussione: nonostante la pienezza della rivelazione in Dio in Gesù Cristo, il modo in cui i Cristiani a volte comprendono e praticano la propria religione può aver bisogno di purificazione.
Indice |
10 | Giustino parla dei "semi" piantati dal Logos nelle tradizioni religiose. Attraverso l'incarnazione la manifestazione del Logos diviene completa ( 1 Rv 46,1-4; 2 Rv 8,1; 10,1-3; 13,4-6). Per Ireneo, il Figlio, la manifestazione visibile del Padre, si è rivelato all'umanità "fin dal principio"; mentre l'incarnazione porta con sé qualcosa di interamente nuovo ( Adv. Haer., 4,6,5-7; 4.7,2; 4,20,6-7 ). Clemente di Alessandria afferma che la "filosofia" è stata donata ai Greci da Dio come un "patto", come una "pietra miliare per la filosofia che è in accordo con Cristo," come un "maestro di scuola" che conduce a sé la mente degli Ellenisti ( Stromata, 1,5; 6.8; 7,2 ). |
11 | Adv. Haer., 3,11,8. |
12 | Retract., 1,13,3; cf. Enarr. in Ps. 118 ( Sermo 29,9 ). |
13 | Insegnamenti 1986, IX/2, pp. 2019-2029; OR.EE. 5 gennaio 1987. |