Sermoni sul Cantico dei Cantici |
1. Credo che ricordiate a quali tende e di quale Salomone venga, secondo me, paragonata la sposa, se tuttavia questa similitudine viene addotta come una dimostrazione e una lode della sua bellezza.
Ma se si pensa che questa somiglianza si riferisca piuttosto al fatto di essere scura, si devono allora ricordare quelle tende con le quali Salomone anticamente ricoperse il tabernacolo.
Erano senza dubbio nere, essendo tutto il giorno esposte al sole e alle intemperie.
E questo non per nulla, ma affinché gli ornamenti che erano riposti all’interno, fossero mantenuti più belli.
Con questo esempio la sposa non nega di essere scura, ma se ne scusa; né si vergogna di presentarsi con un abito dimesso quando sia informato dalla carità, approvato dalla verità.
Infine, chi è infermo, che essa non lo sia con lui?
Chi è scandalizzato, senza che essa bruci?
Si è rivestita del neo della compassione per alleviare e sanare negli altri il morbo della sofferenza; si fa scura per zelo di candore, per lucro di bellezza.
2. Dona a molti il candore il fatto che uno solo sia scuro, non in quanto diventi, tale per la colpa, ma perché applica la cura.
Conviene, è detto, che muoia un solo uomo per il popolo, e non perisca la nazione intera ( Gv 11,50 ): conviene che uno per tutti diventi scuro per la somiglianza della carne del peccato, e non venga condannato tutto il popolo a causa dell’oscurità del peccato, che lo splendore e l’immagine della sostanza di Dio venga obnubilata nella forma dello schiavo, il candore della vita eterna si oscuri nella carne per purgare la carne, colui che è il più bello tra i figli degli uomini, per illuminare questi figli degli uomini si oscuri nella passione, subisca la vergogna della croce e il pallore della morte: in tutto non vi sia in lui né bellezza, né splendore al fine di acquistarsi come sposa la Chiesa bella e leggiadra, senza macchia né ruga.
Riconosco la tenda di Salomone, anzi abbraccio lo stesso Salomone nella sua pelle scura.
Anche Salomone è scuro, ma nella pelle, nero al di fuori, nella pelle, non al di dentro.
Del resto tutta la sua gloria è al di dentro ( Sal 45,15 ).
Al di dentro il candore della divinità, l’ornamento delle virtù, lo splendore della grazia, la purità dell’innocenza; ma queste cose sono ricoperte dallo spregevole colore dell’infermità, e il suo volto è come nascosto e disprezzato mentre egli viene provato in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Riconosco la forma della debole natura, riconosco quelle tuniche di pelle date come abito ai nostri progenitori dopo il peccato.
In una parola, oscurò se stesso prendendo la forma di schiavo e facendosi simile agli uomini, e apparendo in forma umana.
Riconosco sotto la pelle di capretto, che significa il peccato, e la mano che non fece peccato, e il collo per il quale non passò pensiero di male; perciò non fu trovato inganno nella sua bocca.
So che è per natura mansueto, mite e umile di cuore, piacevole all’aspetto, soave di spirito: e davvero unto con olio di letizia tra i suoi eguali.
Donde gli vengono gli ispidi peli che lo fanno somigliare a Esaù?
Di chi è questa rugosa e tetra immagine e questi peli?
Sono miei: le mani pelose infatti esprimono la similitudine del peccatore.
Riconosco questi miei peli: e nella mia pelle vedrò il Dio mio Salvatore.
3. Non è stata tuttavia Rebecca, ma Maria che lo ha rivestito così, e tanto più santa fu colei che lo partorì, tanto fu più degno di ricevere la benedizione, e bene nel mio abito, perché è la mia benedizione che viene chiesta, e la mia eredità.
Aveva difatti udito: Chiedi a me e ti darò in possesso le genti, e in dominio i confini della terra ( Sal 2,6 ).
Ti darò, dice, la tua eredità e il tuo dominio.
Come gliela darai se è sua? E come lo inviti a chiedere una cosa che è sua?
E come è sua se è necessario che la chieda?
Chiede dunque per me colui che per questo ha rivestito la mia forma, per ricevere quanto mi spetta.
Perché il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui ( Is 53,5 ) e il Signore ha posto su di lui l’iniquità di noi tutti ( Is 53,6 ), come, dice il Profeta: Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, come dice l’Apostolo, per diventare misericordioso ( Eb 2,17 ).
Per questo la voce è sì di Giacobbe, ma le mani sono di Esaù ( Gen 27,22 ).
Suo è quello che si sente da lui; quello che in lui si vede è nostro.
Quello che dice è spirito e vita; quel che appare è mortale e morte.
Altro è quello che si vede, altro quello che si crede.
Il senso lo apprende nero, la fede lo dimostra candido, e bello.
È scuro agli occhi degli insipienti, mentre per le menti dei fedeli è molto bello.
Scuro, ma bello; scuro nel pensiero di Erode, bello nella confessione del ladrone, per la fede del centurione.
4. Come lo aveva trovato bello colui che esclamava: Veramente quest’uomo era figlio di Dio! ( Mc 15,39 ).
Ma è da notare in che cosa lo abbia visto così.
Se infatti avesse badato all’apparenza, come gli sarebbe apparso bello, come avrebbe visto in lui il Figlio di Dio?
Come appariva agli occhi di chi lo guardava se non deforme e scuro, quando, stese le mani sulla croce, muoveva al riso i maligni e al pianto i fedeli?
E muoveva solo al riso, lui che solo poteva suscitare il terrore, solo meritava di essere onorato.
Da che cosa capì dunque la bellezza del crocifisso, da che cosa dedusse che era Figlio di Dio, mentre era considerato come un malfattore?
A questa nostra domanda non è possibile rispondere; né necessario: il diligente evangelista, infatti, non ha tralasciato di notarlo.
Dice pertanto: Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo disse: « Veramente quest’uomo era Figlio di Dio » ( Mc 15,39 ).
Credette dunque sentendo la voce, dalla voce credette al Figlio di Dio, non dalla faccia.
Era forse infatti una delle sue pecore, delle quali dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce ( Gv 10,27 ).
5. Toccò all’udito riconoscere ciò che non riconobbe la vista.
All’occhio appariva infermo, ripugnante, miserabile, condannato a una morte ignominiosa: all’orecchio si rivelava Figlio di Dio, bello, ma non agli orecchi dei Giudei, perché essi erano incirconcisi di orecchi.
Giustamente Pietro tagliò l’orecchio al servo per aprire la, via alla verità, e così la verità lo liberasse, cioè lo facesse liberto.
Quel centurione era incirconciso, ma non di orecchi, egli che al solo udire il grido di Gesù morente riconobbe il Signore della maestà, pur tra tanti indizi di debolezza.
E perciò non disprezzò ciò che vide, perché credette in ciò che non vide.
E non credette per ciò che vide, ma sicuramente per quello che udì, perché la fede viene dall’ascolto ( Rm 10,17 ).
Veramente sarebbe stata cosa degna che la verità entrasse nell’anima attraverso la finestra degli occhi superiori; ma questo, o anima, ci viene riservato per quando, in seguito, vedremo faccia a faccia.
Ma ora entri il rimedio di dove è entrata la malattia, e la vita segua la medesima via che ha percorso la morte, la luce segua le tracce delle tenebre, e l’antidoto venga di dove è venuto il veleno del serpente, e risani l’occhio che è rimasto turbato, affinché, sereno, possa vedere colui che, turbato, non può vedere.
L’orecchio, prima porta della morte, si apra per primo alla vita; l’udito che aveva impedito la vista la risani, poiché non comprenderemo se non crederemo.
L’udito pertanto si riferisce al merito, la vista al premio.
Perciò dice il Profeta: Fammi sentire gioia e letizia ( Sal 51,10 ), perché la ricompensa dell’ascolto è la beata visione, e merito della beata visione è il fedele ascolto.
Ma Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ( Mt 5,8 ).
Bisogna pertanto purificare con la fede l’occhio perché possa vedere Dio, come sta scritto: purificandone i cuori con la fede ( At 15,9 ).
6. Frattanto dunque, fino a che l’Occhio non sia preparato si ecciti l’udito, si eserciti l’udito, accolga l’udito la verità.
Felice colui del quale la Verità può attestare: All’udirmi subito mi ha obbedito ( Sal 18,45 )
Sarò degno di vedere se prima sarò trovato obbediente; vedrò con sicurezza colui al quale avrò prestato in precedenza l’ossequio della mia obbedienza.
Beato chi può dire: Il Signore mi ha aperto l’orecchio, e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro ( Is 50,5 )!
Qui hai l’espressione di una spontanea obbedienza e di un esempio di longanimità.
Dove infatti non si contraddice si ha spontaneità; e chi non si tira indietro è perseverante.
Due cose necessarie, perché Dio ama chi dona con gioia ( 2 Cor 9,7 ), e chi persevererà fino alla fine sarà salvo ( Mt 10,22 ).
Si degni il Signore di aprire anche a me l’orecchio, sicché entri nel mio cuore la parola di verità che mi purifichi l’occhio e mi prepari alla beata visione, e possa dire anch’io a Dio: Tu porgi l’orecchio alla supplica del mio cuore preparato ( Sal 10,17 )!
Possa udire anche io da Dio con tutti quelli che gli obbediscono: Anche voi siete mondi per la parola che vi ho annunziato ( Gv 15,3 ).
Non tutti quelli che ascoltano sono mondati, ma quelli che obbediscono.
Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
Richiede un tale ascolto colui che dice: Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta ( 1 Re 3,10 ); e promette di ascoltare così colui che dice: Ascolterò che cosa mi dice Dio, il Signore ( Sal 85,9 ).
7. E puoi costatare che anche lo Spirito Santo, nel progresso spirituale dell’anima, tiene quest’ordine, cioè forma l’udito prima di alleviare la vista.
Ascolta, dice, o figlia e vedi ( Sal 45,11 ).
Perché fissi l’occhio? Prepara l’orecchio.
Desideri vedere Cristo? Bisogna prima che tu ascolti lui, che senta parlare di lui, onde poter dire quando lo avrai veduto: Come abbiamo sentito, così abbiamo visto ( Sal 48,9 ).
Lo splendore è immenso, e la tua vista angusta è impotente di fronte a esso.
Riesci a percepirlo più con l’udito che con lo sguardo.
Quando Dio gridava: Adamo, dove sei? ( Gen 3,9 ) io, ormai peccatore, non lo vedevo più, ma lo sentivo.
Ma l’udito ridarà la vista se precederà con pietà, con vigilanza e con fede.
La fede purificherà l’occhio che l’empietà aveva turbato, l’obbedienza riaprirà l’occhio che la disobbedienza aveva reso cieco.
Infine: Dai tuoi decreti ricevo intelligenza ( Sal 119,104 ), perché l’osservanza dei comandamenti restituisce l’intelligenza che era stata tolta dalla trasgressione.
Nota ancora come nel santo vecchio Isacco, tra tutti i sensi gli era rimasto in vecchiaia sano l’udito.
Si oscurano gli occhi del Patriarca, il palato non distingue più, la mano s’inganna, ma non s’inganna l’udito.
Che, meraviglia se l’orecchio percepisce la verità, dal momento che la fede viene dall’ascolto della parola di Dio, e la parola di Dio è la verità?
La voce, dice Isacco, è quella di Giacobbe: nulla, di più vero; ma le mani sono quelle di Esaù ( Gen 27,22 ): nulla di più falso.
Ti inganni: la somiglianza delle mani ti ha trattò in inganno.
E neppure nel gusto c’è la verità, anche se ha trovato il cibo delizioso; ha infatti creduto cacciagione quella che era invece la carne di domestici capretti.
E molto meno ancora la verità viene dall’occhio che era cieco.
Non c’è verità nell’occhio, non c’è sapienza.
Guai a voi che siete sapienti ai vostri occhi ( Is 5,21 ), dice la Scrittura.
È forse buona la sapienza che viene maledetta?
Quella è sapienza del mondo, che è stoltezza presso Dio.
8. La buona e vera sapienza ha origine da luoghi occulti, come dice bene il santo Giobbe ( Gb 28,13 ).
Perché la cerchi fuori nei sensi del corpo?
Nel palato c’è il sapore, la sapienza è nel cuore.
E non cercare la sapienza con l’occhio carnale, perché la carne e il sangue non la rivelano, ma lo spirito.
Non è nel gusto della bocca: non si trova infatti nella terra di coloro che vivono nelle delizie.
Non nel tatto della mano, perché dice il santo: Non ho baciato con la bocca la mia mano, il che sarebbe grandissima iniquità e come rinnegare Dio ( Gb 31,27-28 ).
Questo avviene, penso io, quando il dono di Dio che è la sapienza, viene attribuito non a Dio, ma ai meriti delle proprie azioni.
Isacco fu sapiente, tuttavia sbagliò nei sensi.
Solo nell’udito, che percepisce la parola, c’è la verità.
Giustamente viene vietato alla donna che pensa secondo la carne di toccare la carne, risorta del Verbo, in quanto dava più importanza all’occhio che alla profezia, cioè più al senso che non alla parola di Dio.
Non aveva infatti creduto che sarebbe risorto colui che aveva veduto morto, pur avendolo egli stesso promesso.
E infine il suo occhio non riposò fino a che non fu soddisfatto dalla vista di lui, perché non c’era consolazione della fede, né fiducia nella promessa di Dio.
Non è forse vero che il cielo e la terra, e tutto quello che di carnale l’occhio può scorgere, passeranno e periranno prima che passi un solo iota o un solo apice di tutto quello che ha detto Dio?
Eppure la Maddalena cessò di piangere solo quando vide Gesù con gli occhi e non aveva voluto consolarsi nella parola del Signore, facendo più conto dell’esperienza che non della fede.
Ma l’esperienza può ingannare.
9. Viene dunque rimandata alla conoscenza più sicura che viene dalla fede; poiché colei che apprende ciò che il senso ignora, fa una esperienza fallace.
Non toccarmi ( Gv 20,17 ) le dice, vale a dire: non fidarti di questo ingannevole senso; appoggiati sulla parola, abituati alla fede.
La fede non può sbagliare, la fede che abbraccia le cose invisibili non sente la povertà del senso e va oltre anche i confini dell’umana ragione, il corso della natura ei termini dell’esperienza.
Perché interrogare l’occhio per una realtà a cui esso non arriva?
E perché cercare dalla mano ciò che è al di sopra di essa?
È troppo scarsa l’informazione che l’uno e l’altra ti possono dare.
La fede ti parli di me, essa che può farlo senza sminuire la mia maestà.
Impara a cercare la certezza, e a seguire la sicurezza in quello che essa ti suggerisce.
Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre mio ( Gv 20,17 ).
Quasi che una volta asceso al Padre voglia o possa essere toccato da lei.
E lo potrà veramente, ma con l’affetto, non con la mano; con il desiderio, non con gli occhi; con la fede, non con i sensi.
Perché, dice, cerchi tu adesso di toccarmi, tu che pensi di comprendere la gloria della risurrezione tramite i sensi del corpo?
Non sai che ancora durante la mia vita mortale, gli occhi dei discepoli non furono capaci di sostenere per un momento la gloria del mio corpo trasfigurato, che pure avrebbe dovuto morire?
Io mi adatto, è vero, ai tuoi sensi, mostrandomi in forma servile, per farmi riconoscere, come d’abitudine.
Ma la mia gloria è divenuta stupenda per te, troppo alta e non la puoi comprendere.
Differisci dunque il giudizio, sospendi la sentenza, e non affidare la definizione di una cosa così grande ai sensi, ma riservala alla fede.
Questa darà una definizione più degna, più certa, avendo una cognizione più piena.
Questa comprende, con il suo mistico e profondo seno quale sia la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità.
Ciò che occhio non vide, né orecchio udì, né cuore umano comprese, questa lo porta in sé quasi racchiuso in un involucro, e lo conserva sigillato.
10. Sarà pertanto degna di toccarmi colei che mi considererà seduto alla destra del Padre, non più ormai in umili sembianze, sempre nella medesima carne, ma in altro splendore.
Perché vuoi toccare me deforme? Aspetta a toccarmi glorioso.
Poiché io che sono ora deforme, sarò allora bello: deforme al tatto, deforme all’aspetto, deforme infine, per te che sei deforme, che aderisci più ai sensi che alla fede.
Sii bella, e allora toccami pure, sii animata dalla fede e sarai bella, e bella tu toccherai più degnamente colui che è bello e lo farai con maggiore gaudio.
Mi toccherai con la mano della fede, con il dito del desiderio, con l’abbraccio della devozione, mi toccherai con l’occhio della mente.
Ma sarò ancora scuro? Affatto.
Il tuo diletto è candido e rubicondo.
Bello in verità circondato da fiori di rose e da gigli delle valli cioè dai cori dei Martiri e delle Vergini; e stando in mezzo a essi, sono simile a entrambi, essendo anch’io vergine e martire.
E come non sarei candido come i candidi cori delle Vergini io vergine, figlio della Vergine, sposo della Vergine?
Come non sarei simile ai rosei cori dei Martiri, io che sono la causa, la forza, il frutto e la forma del martirio?
Tale e in tal modo toccami, e dì pure: Il mio diletto è candido e vermiglio, riconoscibile tra mille ( Ct 5,10 ).
Migliaia e migliaia con il diletto, e milioni intorno al diletto, ma nessuno simile al diletto.
C’è forse da temere che cercando colui che ami tra tanti, ti sbagli confondendolo con un altro?
Non avrai affatto da esitare nella scelta.
Facilmente scorgerai lui che è riconoscibile tra mille, superiore a tutti.
Dirai: È questo, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza ( Is 63,1 ).
Non dunque in pelle oscura, come si presentò fino a ora agli occhi di quanti lo perseguitavano, per cui era da loro disprezzato, o anche agli occhi degli amici, perché lo riconoscessero redivivo.
Non ti verrà ormai più incontro in pelle oscura, ma in veste candida, il più bello, non solo tra i figli degli uomini, ma anche tra gli stessi angeli.
Perché mi vuoi ungere nel mio umile abito, nella forma di schiavo nell’apparenza spregevole?
Toccami bello di aspetto, coronato di gloria e di onore, tremendo per la divina maestà, ma grazioso e placido per la mia innata serenità.
11. È pertanto da notare la prudenza della sposa e la profondità delle sue espressioni, mentre sotto la figura delle tende di Salomone, cioè nella carne, ella scopre Dio, nella morte la vita, il sommo della gloria e dell’onore tra gli obbrobri, e sotto lo scuro abito del crocifisso intravede il candore dell’innocenza e lo splendore delle virtù: come quelle tende di Salomone, che pur essendo scure e spregevoli, conservano in sé gli ornamenti più preziosi e splendidi tra le ricchezze del re.
A ragione non disprezza l’oscurità delle tende colui che ha scoperto la bellezza sotto di esse.
E se alcuni l’hanno disprezzata, fu perché non conobbero questa bellezza.
Se infatti l’avessero riconosciuta, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria ( 1 Cor 2,8 ).
Non la conobbe Erode, e perciò disprezzò Cristo; non lo conobbe la Sinagoga, la quale rinfacciando a lui l’oscurità della passione e dell’infermità disse: Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso.
Cristo, Re d’Israele, discenda dalla croce, e gli crederemo ( Mt 27,42 ).
Ma lo conobbe il ladro dalla croce, pur vedendolo crocifisso, e ne confessò la purità dell’innocenza: Ma questi, disse, che male ha fatto? ( Lc 23,41 ).
Nello stesso tempo ne proclamò pure la gloria della regale maestà dicendo: Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ( Lc 23,42 ).
Lo conobbe il centurione, che lo proclamò Figlio di Dio.
Lo conosce la Chiesa che ne imita l’oscurità, per parteciparne la bellezza.
Non si vergogna di apparire scura, per poter dire al suo diletto: Ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta ( Sal 69,10 ).
Ma scura, però, al di fuori, come le tende di Salomone, non al di dentro, perché questo mio Salomone non ha dentro nulla di oscuro.
Del resto non dice: Sono scura come Salomone, ma come le tende di Salomone, perché solo superficiale è l’oscurità del vero Pacifico.
L’oscurità del peccato è dentro, e prima che appaia allo sguardo macchia l’interno.
Dal cuore, infatti, escono i cattivi pensieri, i furti, gli omicidi, gli adulteri, le bestemmie, e sono queste le cose che macchiano l’uomo ( Mt 15,19 ); ma non certamente il nostro Salomone.
Queste cose, infatti, non si possono trovare affatto presso il vero Pacifico.
Poiché deve essere senza peccato colui che toglie i peccati del mondo, colui che è stato trovato idoneo a riconciliare i peccatori, e per questo giustamente si attribuisce il nome di Salomone.
12. Ma c’è un’oscurità che proviene dal lamento della penitenza, quando si piangono i peccati.
Questa forse non disdegna in me Salomone, se spontaneamente mi rivesto di tali, sentimenti, perché Dio non disprezza un cuore contrito e umiliato ( Sal 51,19 ).
C’è anche l’oscurità della compassione, se condividi il dolore e la pena dei fratelli.
Anche questa non viene rigettata dal nostro Pacifico, in quanto egli stesso l’ha rivestita con somma degnazione per noi, avendo, preso i nostri peccati nel suo corpo sulla croce.
Vi è anche quella della persecuzione, che è anzi considerata come sommo ornamento, a condizione che sia sopportata per la giustizia e la verità.
Perciò è detto: I discepoli se ne andavano dal Sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù ( At 5,41 ).
E ancora: Beati coloro che soffrono persecuzione per giustizia ( Mt 5,10 ).
Di questa penso che si glori soprattutto la Chiesa, felice di imitare in questo le tende del suo Sposo.
Del resto le era stato promesso: Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi ( Gv 15,20 ).
13. Per questo aggiunge anche la sposa: Non state a guardare che sono bruna, poiché mi ha abbronzato il sole ( Ct 1,6 ).
Vale a dire: Non meravigliatevi, quasi io fossi deforme per il fatto che, a causa dell’imperversare della persecuzione, mi vedete meno florida, meno brillante di gloria secondo il mondo.
Perché mi rinfacciate la faccia scura, effetto della dura persecuzione, non di una cattiva condotta?
Oppure chiama sole lo zelo per la giustizia di cui arde e del quale si arma contro i maligni, dicendo a Dio: Lo zelo della tua casa mi ha divorato ( Sal 69,10 ); e altrove: Mi divora lo zelo della tua casa, perché i miei nemici dimenticano le tue parole ( Sal 119,139 ); e ancora: M’ha preso lo sdegno contro gli empi che abbandonano la tua legge ( Sal 119,53 ); e di nuovo: Non odio forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? ( Sal 139,21 ).
Essa osserva anche con cautela quel detto del saggio: Hai figlie? non mostrare loro un volto troppo indulgente ( Sir 7,24 ), non mostri cioè il candore della serenità, ma la faccia scura della severità ai rilassati e ai fiacchi che fuggono la disciplina.
Oppure, essere abbronzata dal sole sta a significare l’ardore della carità fraterna, piangere con chi piange e godere con chi gode, mostrarsi infermo con chi è infermo, bruciare di fronte agli scandali dei singoli.
Ovvero ancora: sono stata abbronzata da Cristo, sole di giustizia, per amore del quale languisco.
Questo languore in qualche modo toglie il colore, e fa venire meno l’anima presa dal desiderio; per questo dice: Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito ( Sal 77,4 ).
Dunque l’ardore del desiderio, come un sole bruciante, rende scuro il corpo di colei che è pellegrina, mentre, sentendosi respinta nella sua brama di contemplare il volto glorioso dello Sposo, diventa impaziente, e la dilazione per lei che ama, un tormento.
Chi di noi è così ardente di santo amore che il desiderio di vedere Cristo gli faccia venire a noia ogni colore della gloria e letizia presente, e glielo faccia deporre rivolgendosi a lui con quelle parole del Profeta: Non ho desiderato il giorno dell’uomo, tu lo sai ( Ger 17,16 ).
Oppure con il santo Davide: Io rifiuto ogni conforto ( Sal 77,3 ), cioè rifiuto di colorirmi con la vana gioia dei beni presenti.
Ovvero ancora, mi ha scolorito il sole con il paragone del suo splendore, in quanto avvicinandomi a esso mi vedo scura, nera e disprezzo la mia bruttezza.
Del resto però sono bella.
Perché mi chiamate scura perché sono tale, solo di fronte alla bellezza del Sole?
Ma al primo senso sembrano convenire maggiormente le cose che seguono.
Aggiungendo infatti: I figli di mia madre hanno lottato contro di me ( Ct 1,6 ), viene a dire che ha sofferto persecuzione.
Ma di qui prenderemo lo spunto per un altro sermone; per questa volta possono bastare le cose che abbiamo imparato per grazia sua, circa la gloria dello Sposo della Chiesa, che è Dio benedetto nei secoli.
Amen.
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