Salita del Monte Carmelo

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Capitolo 22

Ove si scioglie un dubbio: ora, sotto la legge della grazia, non è permesso interrogare Dio per via soprannaturale, come lo era sotto l'antica legge.

L'argomento viene provato con l'autorità di san Paolo.

1. Continuano ad affiorare molti dubbi alla mente, ragion per cui non è possibile procedere con la rapidità che vorrei.

Infatti, se vengono sollevati, si devono anche risolvere, affinché la verità della dottrina risulti maggiormente chiara e convincente.

Del resto i dubbi, sebbene rallentino il cammino, servono anche ad approfondire e illuminare ulteriormente l'argomento in questione, come appunto nel presente caso.

2. Nel capitolo precedente ho detto che Dio non vuole che le anime ricerchino conoscenze per via soprannaturale, come visioni, locuzioni, ecc.

D'altra parte, si è visto nello stesso capitolo, e dedotto dalla testimonianza della sacra Scrittura, che rapporti di questo genere con Dio erano consentiti, oltre che comandati, sotto la legge antica.

Quando i figli d'Israele non obbedivano, Dio li rimproverava.

Ciò è quanto si può osservare nel profeta Isaia, dove Dio li rimprovera perché avevano deciso di scendere in Egitto senza averlo consultato: Et os meum non interrogastis: Non avete consultato la mia bocca ( Is 30,2 ), come invece avrebbero dovuto fare.

Anche nel libro di Giosuè si legge che, i figli d'Israele essendo stati ingannati dai gabaoniti, lo Spirito Santo ricordò loro tale colpa in questi termini: Susceperunt ergo de cibariis eorum, et os Domini non interrogaverunt: Assaggiarono le loro provviste, ma non consultarono l'oracolo del Signore ( Gs 9,14 ).

Dalla sacra Scrittura risulta anche che Mosè consultava sempre Dio.

Allo stesso modo si comportavano Davide e tutti i re d'Israele, in occasione d'una guerra o quando sorgeva qualche difficoltà, e anche i sacerdoti nonché i profeti dell'Antico Testamento.

Dio rispondeva e parlava loro, e non si adirava, perché questo modo di fare gli era gradito; se non avessero agito in questo modo, avrebbero sbagliato.

Questa è la verità.

Perché, invece, ora, sotto la legge nuova, la legge della grazia, non è consentito agire allo stesso modo?

3. Il motivo principale per cui nella legge antica le richieste rivolte a Dio erano permesse ed era opportuno che i profeti e i sacerdoti domandassero rivelazioni e visioni divine, sta nel fatto che la fede non era ancora ben fondata e la legge evangelica non era stata ancora promulgata.

Era quindi necessario che interrogassero Dio e che Dio rispondesse loro per mezzo di parole, visioni e rivelazioni, o per mezzo di figure o di immagini, o infine si manifestasse in molti altri modi.

Tutte le risposte di Dio, le sue parole, le sue opere e le sue rivelazioni erano misteri della nostra fede, la riguardavano o la preparavano.

Ora, le verità di fede non vengono dall'uomo, ma dalla stessa bocca di Dio che le rivela personalmente; era quindi necessario che, come ho detto, interrogassero la stessa bocca di Dio.

Per questo motivo Dio rimproverava i figli d'Israele quando non lo consultavano per avere il suo consiglio, e ciò affinché orientassero le loro azioni e gli avvenimenti della vita verso la fede che ancora non conoscevano, perché non ancora donata.

Ma ora che la fede è fondata in Cristo e la legge evangelica è promulgata in quest'era di grazia, non c'è più motivo d'interrogare Dio come prima, perché parli o risponda come faceva allora.

Avendoci, infatti, donato suo Figlio, che è l'unica sua Parola, egli non ha altra parola da darci.

Ci ha detto tutto in una volta e una volta per sempre in questa sola Parola, e non ha altro da aggiungere.

4. Questo è il significato di quel testo, in cui san Paolo cerca d'indurre gli ebrei ad abbandonare le antiche pratiche e i modi di comportarsi con Dio consentiti dalla legge di Mosè, per fissare gli occhi solo su Cristo: Multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis: novissime autem diebus istis locutus est nobis in Filio: Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio ( Eb 1,1-2 ).

L'autore di questo testo vuol far capire che Dio ora tace: non ha altro da dire, perché ciò che aveva detto in parte mediante i profeti, l'ha ora rivelato completamente nel suo Figlio, e ci ha donato così il Tutto, che è suo Figlio.

5. Pertanto, chi ora volesse interrogare Dio o chiedergli qualche visione o rivelazione, non solo farebbe una sciocchezza, ma anche offenderebbe Dio, perché non fisserebbe gli occhi unicamente su Cristo senza cercare altre cose o novità.

Dio potrebbe rispondergli così: Se ti ho già detto tutto nella mia Parola, che è mio Figlio, non ho altro da aggiungere.

Cosa ti potrei rispondere o rivelare di più?

Fissa il tuo sguardo unicamente su di lui, perché in lui ti ho detto e rivelato tutto e troverai in lui anche più di ciò che chiedi e desideri.

Tu domandi locuzioni e rivelazioni particolari, mentre, se tu fissi gli occhi su di lui, vi troverai l'intera rivelazione, perché egli è tutta la mia parola, tutta la mia risposta, tutta la mia visione e tutta la mia rivelazione.

Ora, io ti ho già parlato, risposto, manifestato, rivelato, quando te l'ho donato come fratello, compagno, maestro, caparra e premio.

Il giorno in cui, sul monte Tabor, scesi su di lui con il mio Spirito, ho detto: Hic est filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui, ipsum audite: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo ( Mt 17,5 ).

D'allora in poi ho interrotto ogni forma d'insegnamento e di risposta, rimettendo tutto nelle sue mani.

Ascoltate lui, perché non ho altra verità di fede da rivelare né altre cose da manifestare.

Se in passato parlavo, lo facevo per promettere la venuta di Cristo; e se mi interrogavano, rispondevo per orientare alla venuta e alla speranza di Cristo, nel quale avrebbero trovato ogni bene, come risulta chiaramente da tutta la dottrina degli evangelisti e degli apostoli.

Ma se uno mi interrogasse adesso come allora e mi chiedesse qualche visione o rivelazione, sarebbe come se mi chiedesse un'altra volta il Cristo o più fede di quanta ne abbia già offerta in Cristo.

In questo modo offenderebbe profondamente il mio amato Figlio, perché non solo mancherebbe di fede in lui, ma lo obbligherebbe anche a incarnarsi di nuovo, a ricominciare la sua vita e a morire di nuovo.

Non desidererai, quindi, né chiederai rivelazioni o visioni da parte mia.

Guarda bene a lui e saprai che in lui ho fatto e detto molto più di quanto mi domandi.

6. Se vuoi che ti risponda con qualche parola di consolazione, guarda mio Figlio, a me obbediente e per amor mio sottomesso e sofferente, e avrai molte risposte.

Se vuoi che ti spieghi qualche fatto o avvenimento misterioso, non hai che da guardare a lui e scoprirai i misteri nascosti, i tesori della sapienza e le meraviglie di Dio in lui racchiuse, come dice l'apostolo Paolo: In quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae Dei asconditi: Nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza ( Col 2,3 ).

Questi tesori di sapienza saranno per te molto più profondi, dilettevoli e utili di tutte le cose che vorresti sapere.

Di queste si gloriava lo stesso Apostolo quando diceva: Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso ( 1 Cor 2,2 ).

Se tu volessi ancora altre visioni e rivelazioni divine o umane, contemplalo nella sua umanità e vi troverai più di quanto pensi, come afferma sempre l'apostolo Paolo: In ipso habitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter: È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità ( Col 2,9 ).

7. Non è più opportuno, dunque, interrogare Dio come un tempo, tanto meno è necessario che egli parli ancora, poiché, avendo finito di rivelarci tutta la fede in Cristo, non ha altra verità di fede da rivelare, né ve ne sarà più.

Chi volesse ancora ricevere per via soprannaturale alcune comunicazioni, con ciò accuserebbe Dio di non aver dato nel suo Figlio tutto ciò che ci era necessario.

Ammesso che una persona agisca così per fede e creda negli insegnamenti che questa ci trasmette, allora manifesterebbe curiosità e fede imperfetta.

Non ci si può, dunque, aspettare a motivo di tale curiosità dottrina alcuna né una qualsiasi comunicazione per via soprannaturale.

Nel momento in cui Cristo, spirando sulla croce, ha esclamato: Consummatum est: Tutto è compiuto! ( Gv 19,30 ), non solo sono finite tutte queste comunicazioni soprannaturali, ma altresì tutte le cerimonie e i riti dell'antica legge.

Ora, perciò, deve guidarci in tutto la legge di Cristo uomo, della sua Chiesa e dei suoi ministri, che ci parlano in maniera umana e visibile.

Solo in questo modo troveremo un rimedio alla nostra ignoranza e debolezza spirituale; per questa via troveremo abbondante medicina per tutti i nostri bisogni.

Cercando altrove, manifesteremmo non solo curiosità, ma anche impudenza.

Non si deve credere a nulla di ciò che ci viene per via soprannaturale, ma solo all'insegnamento di Cristo uomo e, ripeto, a quello dei suoi ministri, uomini anch'essi.

Tant'è vero che san Paolo si esprime in questi termini: Quod si angelus de caelo evangelizaverit, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit: Se anche un angelo dal cielo predicasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! ( Gal 1,8 ).

8. È quanto mai vero, dunque, che dobbiamo attenerci a ciò che Cristo ci ha insegnato.

Tutto il resto è nulla, perciò non dobbiamo crederlo se non è conforme al suo insegnamento.

Invano si sforza chi vuole trattare ora con Dio come si faceva nella legge antica.

Del resto, anche allora non era permesso a chiunque interrogare Dio, né Dio rispondeva a tutti, ma solo ai sacerdoti e ai profeti, dalla bocca dei quali il popolo doveva apprendere la sua legge e i suoi insegnamenti.

Se qualcuno voleva sapere qualcosa da Dio, lo chiedeva tramite il profeta o il sacerdote, non lui direttamente.

Se Davide alcune volte ha chiesto personalmente qualcosa a Dio, lo ha fatto perché era profeta; ma anche in questo caso non lo faceva senza indossare le vesti sacerdotali, come si legge nel brano del primo libro di Samuele, dove disse al sacerdote Ebiatar, figlio di Abimelech: Porta qui l'efod ( 1 Sam 23,9 ), che era una delle vesti più rappresentative dei sacerdoti; soltanto dopo consultò Dio.

Altre volte lo fece tramite il profeta Natan o altri profeti.

Dobbiamo credere che ciò che veniva detto da loro non era un'opinione personale, ma proveniva da Dio.

9. Ciò che Dio diceva a quei tempi non aveva, dunque, per loro nessuna autorità o forza se non riceveva l'approvazione dalla bocca dei sacerdoti e dei profeti.

Dio, infatti, preferisce che l'uomo sia accompagnato e guidato da un altro uomo e che sia retto e governato dalla ragione, non prestando facilmente credito alle cose che gli vengono comunicate per via soprannaturale; vuole inoltre che non si creda confermato nella sicurezza e solidità di tali cose finché non siano passate per il canale umano della bocca di un uomo.

Ogni volta che il Signore dice o rivela qualcosa a un'anima, lo fa in modo da spingerla a riferire la cosa a chi di dovere.

Fin quando essa non ha fatto così, di solito non è confermata circa la rivelazione in questione.

Dio desidera che ad assicurarla sia una persona umana.

Ciò è quanto accadde al comandante Gedeone, come leggiamo nel libro dei Giudici.

Dio gli aveva ripetutamente detto che avrebbe sconfitto i madianiti; ciò nonostante egli era rimasto nel dubbio e nella paura.

Ora Dio lo tenne in quella debolezza fin quando egli udì dalla bocca degli uomini ciò che Dio gli aveva detto direttamente.

Per aiutarlo a vincere la paura, Dio gli disse: Alzati e piomba sul campo: et cum audieris quod loquantur, tunc confortabuntur manus tuae, et securior ad hostium castra descendes, cioè: Quando udrai quello che dicono, prenderai vigore per piombare sul campo ( Gdc 7,9-11 ).

Così accadde che, udendo un madianita raccontare a un suo compagno di aver sognato che Gedeone li avrebbe sconfitti, acquistò un grande coraggio e si preparò con allegrezza alla battaglia.

Questo episodio dimostra che Dio non volle che si sentisse sicuro soltanto per via soprannaturale, senza averne conferma per via naturale.

10. Stupisce ancora di più ciò che accadde a Mosè.

Dio gli aveva comandato in molti modi e gli aveva confermato con i segni del bastone tramutato in serpente e della mano sana in lebbrosa di andare a liberare i figli di Israele.

Ciò nonostante Mosè era così esitante, debole e insicuro che Dio si adirò: non aveva ancora conseguito la fede solida, necessaria in quel caso, finché il Signore non lo incoraggiò ricordandogli il fratello Aronne: Aaron frater tuus levites scio quod eloquens sit: ecce ipse egredietur in occursum tuum, vidensque te, laetabitur corde. Loquere ad eum, et pone verba mea in ore eius, et ego ero in ore tuo, et in ore illius, ecc.: Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita?

Io so che lui sa parlar bene.

Anzi, sta venendoti incontro.

Ti vedrà e gioirà in cuor suo.

Tu gli parlerai e metterai sulla sua bocca le parole da dire e io sarò con te e con lui mentre parlate ( Es 4,14-15 ), perché v'incoraggiate a vicenda.

11. Udite queste parole, Mosè riprese subito coraggio e fiducia al pensiero di essere confortato dal consiglio di suo fratello.

L'anima umile, infatti, non osa trattare da sola con Dio, e si sente sicura solo quando si lascia guidare e consigliare da un suo simile.

D'altra parte Dio vuole così, perché egli si mostra presente laddove si uniscono le anime per cercare la verità e in questa li assicura con ragioni naturali, come promise a Mosè e ad Aronne insieme, parlando per bocca dell'uno e dell'altro.

Per questo nel vangelo si afferma: Ubi fuerint duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum ego in medio eorum: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ( Mt 18,20 ) per illuminare e confermare nei loro cuori le verità divine.

Va notato che il Signore non ha detto: dove sarà uno ci sarò anch'io, ma: dove saranno almeno due.

Con questa espressione Dio vuol farci capire che non vuole che nessuno dia credito da solo alle comunicazioni che ritiene provenienti dall'alto, né che vi si conformi o si appoggi senza il consiglio della Chiesa e dei suoi ministri.

Chi è solo, non ha il Signore che gli chiarisca o gli confermi le verità nel cuore, e così rimarrà sempre debole e freddo nei confronti della verità.

12. Su quanto sto dicendo l'Ecclesiaste insiste in questi termini: Vae soli, qui cum ceciderit, non habet sublevantem se. Si dormierint duo, fovebantur mutuo: unus quomodo calefiet? Et si quispiam praevaluerit contra unum, duo resistent ei ( Qo 4,10-12 ): Guai a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi.

Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare: possono scaldarsi con il calore di Dio, che è in mezzo a loro.

Ma uno solo come fa a riscaldarsi?

Cioè: certamente sarà freddo nelle cose di Dio.

E se qualcuno lo aggredisse, prevarrebbe: cioè il demonio, che riesce a prevalere contro coloro che vogliono fare da soli nelle cose di Dio, mentre due insieme possono resistergli, cioè il discepolo e il maestro, che si uniscono per conoscere e fare la verità.

Fino a quando l'uomo è solo, ordinariamente si sente tiepido e debole nei confronti della verità, sebbene l'abbia ripetutamente ricevuta da Dio.

Per questo motivo san Paolo, pur predicando da molto tempo il vangelo che diceva di aver ricevuto da Dio e non dagli uomini, non si dette pace finché non andò a parlarne con san Pietro e gli apostoli, in questi termini: Ne forte in vanum currerem, aut cucurrissem: Per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano ( Gal 2,2 ).

Non si sentiva sicuro di sé fin quando non ebbe la conferma da un uomo.

Non è così sorprendente, o Paolo, che colui che ti aveva rivelato il vangelo non ti avesse conferito anche la sicurezza contro l'errore nella predicazione della sua verità?

13. Tutto questo ci permette di capire chiaramente che non c'è sicurezza nelle rivelazioni di Dio, a meno che non si seguano i consigli dati sopra.

Supponiamo che una persona sia sicura che la rivelazione provenga da Dio, come lo era san Paolo rispetto al vangelo che predicava; e tuttavia può sbagliarsi a suo riguardo o in ciò che la concerne.

Infatti non sempre Dio, manifestando una cosa, rivela anche le altre, e molte volte non dice neppure come realizzarla.

Ordinariamente Dio, pur trattando con familiarità e a lungo con un'anima, non fa né le dice tutto ciò che può essere fatto dall'abilità o dalla prudenza umana.

San Paolo conosceva molto bene questo stato di cose, come si è detto; perciò, quantunque sapesse che il vangelo gli era stato rivelato da Dio, andò a conferirne con gli apostoli.

Tale verità risulta molto evidente nel libro dell'Esodo ( Es 18,21-22 ).

Sebbene Dio trattasse con molta familiarità Mosè, non gli aveva mai dato quel consiglio così utile che gli venne da Ietro, suo suocero.

Doveva, cioè, scegliersi altri giudici che lo aiutassero nelle sue funzioni, perché il popolo non stesse ad aspettare da mane a sera.

Dio approvò quel consiglio; ma non l'aveva rivelato personalmente a Mosè perché la ragione umana poteva arrivarci da sola.

Di solito Dio non concede visioni, rivelazioni e locuzioni; preferisce che ci si muova in base alla ragione, la quale deve regolare tutte le nostre questioni, eccetto le verità di fede, che superano ogni intelligenza e ragione umana, pur non essendo contrarie.

14. Se, dunque, una persona è certa che Dio e i santi trattino con lei familiarmente riguardo a molte cose, non per questo deve pensare che essi siano tenuti a dirle le mancanze in cui può incorrere su certi punti, quando può conoscerle per altre vie.

Non dobbiamo, quindi, mai ritenerci sicuri.

Difatti negli Atti degli Apostoli leggiamo che Pietro, pur essendo capo della Chiesa e quindi istruito direttamente da Dio, si sbagliava circa il comportamento che teneva in mezzo ai pagani, ma Dio taceva; per questo san Paolo lo riprese, come racconta egli stesso: Cum vidissem, quod non recte ad veritatem Evangelii ambularent, dixi Cephae coram omnibus: Si tu iudaeus cum sis, gentiliter vivis, quomodo gentes cogis iudaizare?:

Quando vidi che non si comportava rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu che sei giudeo vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei?" ( Gal 2,14 ).

Dio non aveva messo in guardia Pietro da quest'errore, perché quell'incoerenza poteva essere scoperta per via razionale.

15. Pertanto nel giorno del giudizio Dio castigherà molte colpe e peccati in gran numero di persone con le quali quaggiù sulla terra aveva avuto rapporti familiari e alle quali aveva concesso molte luci e favori.

Confidando solo in questa familiarità che avevano con Dio e nei privilegi che ne ricevevano, esse trascurarono i loro doveri, che pure conoscevano bene.

Come dice il Signore nel vangelo, essi allora saranno colti da stupore e diranno: Domine, Domine, nonne in nomine tuo prophetavimus, et in nomine tuo daemonia eiecimus, et in nomine tuo virtutes multas fecimus?: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni in tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? ( Mt 7,22 ).

Il Signore dice che risponderà loro: Et tunc confitebor illis, quia nunquam novi vos: discedite a me omnes qui operamini iniquitatem: Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità ( Mt 7,23 ).

Fra costoro si possono annoverare il profeta Balaam e altri simili a lui.

Dio parlava loro e concedeva favori, e malgrado ciò rimanevano nel peccato.

Il Signore, perciò, rimprovererà gli eletti suoi amici, con i quali aveva instaurato un rapporto familiare quaggiù, per le colpe e le negligenze da loro commesse; di tali mancanze il Signore non doveva necessariamente avvertirli di persona, perché era sufficiente la sua legge e la ragione naturale che aveva dato loro.

16. Da quanto ho esposto, concludo affermando che qualunque comunicazione un'anima riceva, in qualsiasi modo, per via soprannaturale, deve immediatamente riferirla al suo direttore spirituale in modo chiaro, sincero, integro e semplice.

Anche se le sembrasse superfluo rendergliene conto e non volesse perdere il suo tempo – perché, come ho detto, se l'anima rifiuta tali favori, non dà loro importanza e neppure li cerca ( soprattutto quando si tratti di visioni o rivelazioni o altre comunicazioni soprannaturali, siano esse molto, poco o per nulla chiare ) si sente tranquilla – tuttavia è indispensabile che ne parli al direttore, anche se non se sembra così, e gli dica tutto.

E questo per tre motivi.

Il primo, perché, come ho detto, Dio comunica molte cose all'anima, ma non le assicura completamente efficacia e forza, luce e certezza, fino a quando, ripeto, non ne parla con colui che Dio ha posto come suo giudice spirituale, il quale ha il potere di legarla o scioglierla, approvare o disapprovare quanto le è accaduto, come ho dimostrato con i testi della Scrittura riportati sopra.

L'esperienza di ogni giorno ne è una riprova.

Vediamo infatti anime umili nelle quali si verificano tali fenomeni; ebbene, solo dopo averne parlato con chi di dovere si sentono molto soddisfatte, piene di forza, di luce e di sicurezza.

Anzi, alcune di loro, prima di parlarne al direttore spirituale, li guardavano con circospezione o come cose che non interessavano; dopo, invece, li considerano come un dono che viene loro concesso nuovamente.

17. Il secondo motivo è che ordinariamente l'anima ha bisogno di essere istruita circa i fatti che le accadono, affinché in tale situazione possa praticare la nudità e povertà di spirito, che è la notte oscura.

Se è privata di tale insegnamento, anche se respinge quei favori, senza accorgersene diventerà grossolana nella via spirituale e si adatterà a quella dei sensi, attraverso i quali passano, in parte, questi fenomeni particolari.

18. Il terzo motivo è il seguente: perché l'anima resti nell'umiltà, nella sottomissione e nella mortificazione, deve rendere conto di quanto le accade al suo padre spirituale, anche se non le pare importante né meritevole d'attenzione.

Alcune anime provano molta difficoltà nel dire queste cose, perché sono convinte della loro scarsa importanza e non sanno ciò che ne penserà il loro direttore, al quale devono parlarne.

Questo è un segno di poca umiltà, ma proprio per questo occorre sottomettersi e manifestarle.

Ce ne sono altre, poi, che provano grande vergogna nel parlarne, perché temono che possano svelare in loro fatti che le facciano passare per sante, o altre cose, e perciò credono meglio tacere; del resto esse non vi danno importanza.

Ma proprio per questo è opportuno che sappiano rinnegarsi e manifestare il proprio intimo, affinché diventino umili, semplici, docili, disponibili a parlarne al direttore; in seguito, poi, lo faranno senza difficoltà.

19. Avendo insistito tanto perché tali fenomeni vengano respinti e i confessori impediscano alle anime di fare discorsi su questo argomento, non si creda che i direttori spirituali debbano mostrare a loro riguardo disgusto, avversione o disprezzo, altrimenti indurrebbero queste anime a chiudersi, così da non avere più il coraggio di manifestarli.

Ciò causerebbe molti inconvenienti.

Perciò torno a ripetere: poiché tali comunicazioni sono un mezzo e una via per cui Dio guida le anime, non si devono disprezzare, e nemmeno ci si deve spaventare o scandalizzare.

Piuttosto è opportuno procedere con molta bontà e calma, per incoraggiare tali anime e sollecitarle a parlarne e, se necessario, comandare di parlarne, perché a volte, a causa della difficoltà che esse provano nel manifestarle, è bene ricorrere a qualsiasi espediente.

I direttori le guideranno nella via della fede, insegnando loro semplicemente a distogliere lo sguardo da questi fenomeni.

Mostreranno loro quanto sia necessario liberare da essi i sensi e lo spirito onde poter meglio andare avanti.

Facciano loro comprendere che agli occhi di Dio è più preziosa un'opera o un atto di volontà, fatto per amore, che tutte le visioni, rivelazioni e comunicazioni celesti che possano avere, perché queste non costituiscono né un merito né un demerito; molte altre anime, che non hanno questi fenomeni, progrediscono assai più di quelle che ne sono abbondantemente favorite.

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