Apocrifo/i
1) agg. Di scritto, documento, opera d'arte attribuita a un autore o a un'epoca ma in realtà non autentica
Sinonimo: falso
2) rel. Di testo delle scritture rivelate non riconosciuto come canonico
Originariamente il termine non soleva indicare un testo falso oppure escluso dal canone ma, al contrario, tutto ciò che era da considerarsi tanto sacro da non poter essere letto pubblicamente.
Alcune di tali opere furono considerate canoniche secondo la testimonianza di Girolamo ( Epist. CVIII, 12; e Prol. gal. in Samuel et Mal. ) e di Agostino di Ippona ( CD, XV, 23, 4 ).
Soltanto successivamente in molti di questi scritti, benché legati al nome di un apostolo, si rintracceranno contenuti eretici giungendo in tal modo a identificare il termine " apocrifo " con quello di falso, spurio o non accettabile.
Benché il valore storico di un apocrifo sia minimo, è certo che costituisca uno strumento importante per addentrarsi nello studio del cristianesimo eterodosso e anche per comprendere alcuni aspetti dell'arte cristiana.
Gli apocrifi possono classificarsi in:
1. Interpolazioni negli apocrifi dell'Antico Testamento,
2. Vangeli apocrifi,
3. Atti apocrifi degli apostoli,
4. Apocalissi apocrife,
5. Lettere apocrife degli Apostoli.
È parola greca che etimologicamente vale "sottratto alla vista", "occulto"; parlando di libri, sarebbero quelli "tenuti segreti", perciò "non letti pubblicamente" e quindi "non riconosciuti".
Si tratta di scritti giudaici e cristiani che pullularono soprattutto nei due secoli prima e dopo Cristo: i loro autori, anonimi, tendono ad attribuirli ad illustri personaggi biblici nella ricerca di autorevolezza; concernono sia l'AT che il NT, affiancandosi, come generi letterari, agli scritti canonici.
Oltre ad avere intenti morali, si propongono principalmente di completare narrazioni, specie nei settori che più sono stati lasciati in ombra dai testi ufficiali o che sono più aperti al fermento dell'immaginazione: per il NT si accentrano quindi soprattutto sull'infanzia di Gesù, sulla vita della Madonna e di S. Giuseppe, sulla Passione di Gesù e sulla sua discesa agli inferi.
Sono redatti generalmente in greco e di scarso valore letterario, nonostante talune pagine graziose ed alcune fini intuizioni, che, anche per merito delle loro sollecitazioni fantastiche, sono diventate popolari e si sono espresse in varie raffigurazioni dell'arte religiosa.
Si soffermano con predilezione su miracoli che sono spesso di un'ingenuità elementare e talora di un gusto scadente.
Non di rado propagandano divagazioni gnostiche o tesi di altre eresie e indulgono volentieri alle drammatizzazioni escatologiche.
Lontanissimi dall'immacolato candore e dal solidissimo equilibrio dei libri canonici, non furono mai accettati dalla Chiesa, che non riconobbe loro nessuna ispirazione divina.
Gli apocrifi ( dal greco apókryphos: nascosto, non pubblico ) sono un gruppo di scritti religiosi che non sono entrati nel canone ( v. ) della Bibbia ( v. ).
L'attributo ha tuttavia assunto due diversi significati.
Nella tradizione della Riforma, apocrifi sono i libri presenti nella traduzione greca dei Settanta passati in quella latina della Vulgata, ma assenti dal canone ebraico.
Altri invece sono stati accolti dal canone cattolico e ortodosso come deuterocanonici ( v. ): Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide, Baruc, 1 e 2 Maccabei, alcuni capitoli di Ester e Daniele.
Nelle edizioni luterane più recenti o in quelle interconfessionali, questi libri sono collocati tra l'Antico e il Nuovo Testamento.
Altri libri non sono entrati nemmeno nel canone cattolico ( Salmi di Salomone, la preghiera di Manasse, 3 e 4 Maccabei, 3 e 4 Esdra ).
Nella tradizione cattolica, apocrifi sono tutti gli scritti non canonici della tradizione giudaica o cristiana, attribuiti in modo fittizio a qualche personaggio biblico ( Adamo, Enoc, Abramo, Isaia … ); ciò spiega come mai la tradizione protestante li abbia definiti pseudepigrafi.
Il termine fu usato nella tradizione ermetica e gnostica per gli scritti che dovevano essere tenuti celati ai non iniziati, a coloro che non potevano pienamente comprenderli.
Nella Chiesa antica il termine apocrifi connotò dapprima proprio le opere provenienti da tali ambienti e, poiché esse contenevano dottrine non accettate dalla ortodossia cristiana, andò acquistando anche l'accezione di "falso".
Il processo che portò alla formazione del canone, cioè all'individuazione degli scritti considerati ispirati da Dio e perciò sacri all'interno dell'ebraismo ( sec. II ) e del cristianesimo ( sec. IV ), finì per contrassegnare gli apocrifi come quei testi che non erano stati ammessi nel canone.
La tradizione cristiana conosce apocrifi appartenenti a tutti i generi letterari del Nuovo Testamento e risalenti ai secc. II-VIII:
Vangeli ( di Tommaso, di Verità, di Maria, di Giacomo, dell'Infanzia ecc. );
Atti ( di Pilato, di Pietro e Paolo ecc.);
Lettere ( di Paolo a Seneca e ai Laodicesi, di Gesù ad Abgar ecc. );
Apocalissi ( di Pietro, di Paolo, di Tommaso ecc. ).
Anche l'ebraismo produsse testi di vario genere, tra il sec. II a.C. e il sec. II d.C., che pur godendo di ampio seguito vennero esclusi dal canone della Bibbia: Enoch, Giubilei, Testamenti dei dodici patriarchi ecc.
La letteratura apocrifa, che si è sviluppata parallelamente alle ultime opere dell'Antico Testamento, è un'importante testimonianza del giudaismo antico.
Raccolta in greco da cristiani e adattata alle loro esigenze dottrinali, ha avuto un'influenza reale nella Chiesa per diversi secoli, pur essendo stata esclusa dal canone sia cristiano sia ebraico.
Fra gli apocrifi del Nuovo Testamento ha goduto di eccezionale diffusione il cosiddetto Protoevangelo di Giacomo, il più antico dei Vangeli apocrifi dell'infanzia di Gesù, nel quale, per rispondere ad un'esigenza agiografìca, si narrano numerosi episodi della sua vita, dalla nascita alla fuga in Egitto.
Nonostante i racconti non siano verosimili, l'influenza di questo romanzo pio fu eccezionale.
Ne venivano letti brani durante le funzioni monastiche in Oriente.
Proibito in Occidente dal decreto di Gelasio ( V sec. ), ispirò dei rimaneggiamenti ai quali si ricollegò la tradizione iconografica e la pietà popolare del Medioevo e del Rinascimento.
Dal greco « nascosti, occulti ».
È chiamato così un certo gruppo di scritti, sia giudaici che cristiani, dal II secolo a.C. fino al IV-V secolo d.C., che non sono stati accettati ufficialmente nel canone dei libri sacri della Bibbia, pur essendo però in quel tempo letti e ascoltati con interesse.
Vi sono parecchi « Vangeli apocrifi » ( non riconosciuti dalla Chiesa ), oltre i quattro « Vangeli canonici » ( Vangelo ).
La parola « apocrifo » ha assunto oggi il significato più negativo di « spurio, non autentico ».
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Gli apocrifi sono un complesso di scritti giudaici o cristiani che, nonostante il loro contenuto religioso, non furono mai accettati come fonte di rivelazione divina; perciò non sono ritenuti ispirati da Dio.
Nei primi secoli del cristianesimo, si diffusero sempre in modo clandestino ( apòkryphos = nascosto, segreto ) ed erano usati da gruppi minoritari che cadevano spesso in comportamenti ereticali.
Siccome la letteratura apocrifa è abbondante, si cerca di classificarla in base alle sue tematiche:
È una letteratura molto abbondante, dove la fantasia serve ad avallare la pietà.
Esistono varie categorie di apocrifi veterotestamentari:
a) storici, dove l'autore espone le sue idee collocandole in uno scenario concreto collegato con una data epoca o con un evento storico del passato o del presente.
Tra questi scritti, si possono citare: il Libro dei Giubilei, 3 Esdra, 3 Maccabei, l'Apocalisse di Mosè, le Vite di Adamo ed Eva, il Testamento di Adamo, l'Assunzione di Isaia, la storia di Giuseppe e di Asenat, il Testamento di Giobbe, il Testamento di Salomone e la Lettera di Aristea.
b) didattici: cercano di fissare norme di comportamento morale.
I più importanti sono: i Testamenti dei Dodici Patriarchi, i Salmi di Salomone, la Preghiera di Manasse, 4 Maccabei e le Appendici a Giobbe.
c) apocalittici: si propongono di svelare il futuro, mescolando idee religiose e politiche riguardo alla venuta del Messia.
Tra questi, vanno ricordati: il Libro di Enoc, l'Assunzione di Mosè, 4 Esdra, l'Apocalisse di Baruc, di Abramo, di Elia, di Sofonia, di Ezechiele, il Testamento di Abramo e gli Oracoli Sibillini.
Hanno tutti dei riferimenti con l'attività di Gesù o con qualche personaggio importante dell'epoca neotestamentaria.
Alcuni sono stati composti per la pietà popolare; altri sono frutto di riflessioni esoteriche, specialmente di carattere gnostico.
Si è soliti distinguere le seguenti categorie:
a) Vangeli, scritti con l'intento di colmare presunte lacune nella vita di Gesù.
I più importanti sono: il Vangelo degli Egiziani, degli Ebrei, degli Ebioniti, di Pietro, di Mattia, di Bartolomeo, di Nicodemo, dello Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo, il vangelo arabo dell'infanzia di Gesù, la storia di Giudeppe il falegname, il transito di Maria.
b) Lettere: scritte per valorizzare alcune Chiese locali o per ricuperare l'opera perduta di autori famosi.
Si possono ricordare: la Lettera degli Apostoli; la Lettera ai Laodicesi, la Lettera agli Alessandrini, Lettere si Corinzi, la Corrispondenza di Gesù con Abgar, re di Edessa, e la Corrispondenza di Paolo con Seneca.
c) Atti, dove si celebrano le gesta e i portenti di qualche apostolo o discepolo di Gesù.
I titoli più noti sono: gli Atti di Pietro, di Paolo, di Andrea, di Giovanni, di Tommaso, di Pietro e Paolo, di Filippo, di Mattia, di Barnaba e la Predicazione di Pietro.
d) Apocalissi, che deplorano il presente auspicando un futuro migliore, e tutto ciò mediante estasi o visioni fantastiche.
Le più importanti sono: l'Apocalisse di Pietro, di Paolo, di Tommaso e Stefano, di Giovanni e di Maria.
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Per i cattolici gli apocrifi sono scritti che, non essendo ispirati, non furono ammessi nel canone dei libri sacri, benché sia per il titolo che per il contenuto ostentassero autorità divina e ispirazione, od anche, una volta, considerati canonici almeno da parte di alcuni scrittori o di qualche chiesa particolare.
I protestanti chiamano apocrifi i nostri deutero-canonici ( v. canone ), e pseudepigrafi i nostri apocrifi
Il concetto corrisponde alla denominazione di "libri estranei" ( hisonim ), usata dagli ebrei, partendo dal II sec. d. C., per i libri fuori del canone palestinese, la cui lettura era stata vietata.
Il nome, invece, "nascosto, messo in nascondiglio" è uguale a genuzim, "rotoli scartati dalla circolazione e messi in geniza, nascondiglio"; nelle sette religiose e filosofiche dell'antichità, il termine viene conferito agli scritti fondamentali contenenti le dottrine esoteriche.
Il processo letterario che consiste nell'attribuire una composizione ad un personaggio biblico, frequente dopo l'esilio ( Iob, Cant., Eccle. ), diventa comunissimo partendo dal II sec. d. C.
Pur non escludendo la probabilità di datare certi scritti all'epoca persiana ed ellenistica, la fioritura di questa letteratura pseudonima abbraccia i due secoli prima e i due dopo C.
Il genere letterario prevalente è quello apocalittico.
Non mancano però le composizioni con tendenza
halachica o giuridica, a scopo di spiegare la Legge mosaica e precisarne le applicazioni;
gli scritti haggadici o morali, ad ampliamento pseudostorico delle narrazioni bibliche, che servono di base alle pie esortazioni ossia all'insegnamento e alle speculazioni etiche;
le composizioni gnomico-sapienzali; commentari …
È caratteristico poi il miscuglio dei differenti generi in una stessa composizione.
Questi libri tradotti dall'ebraico o dall'aramaico in greco, e almeno in parte, accettati dai cristiani, spesso tramite i giudeo-cristiani, giunsero fino a noi nella versione greca e nelle recensioni; latine, etiopiche, siriache, paleoslave ecc.
Molti furono ritoccati dai cristiani, anzi rielaborati a fondo, se non addirittura composti integramente e con visibili riferimenti alle tradizioni giudaiche.
Si è convenuto di escludere dal corpo degli apocrifi dell'Antico Testamento gli scritti ebraici antichi, come p. es. le parole di Ahiqar ( pap. di Elefantina, v sec. a. C. ), le opere di Flavio Giuseppe e di Filone Alessandrino; va pure esclusa la letteratura nettamente settaria degli Esseni di Kh Qumran, non però i libri apocrifi senza impronta essena trovati nelle stesse grotte.
Gli apocrifi ora delineati, si classificano in Palestinesi ( I ) e Alessandrini ( II ), salvo che, per ragioni di comodità, i libri omonimi debbono mettersi insieme.
è il più importante e di larga influenza, tipico della teologia giudaica negli ultimi secoli a. C.
È diviso, dall'autore stesso, in cinque parti.
Nella prima ( cc. 1-36 ), Enoch annunzia il giudizio ultimo, racconta la caduta degli Angeli, descrive due viaggi d'oltre tomba.
La seconda ( cc. 37-69 ) in tre magnifiche "parabole" presenta i novissimi: la sorte dei giusti e degli empi, il giudizio messianico realizzato dal Figlio dell'Uomo, la felicità degli eletti.
La terza ( cc. 72-82 ) contiene un trattato astronomico.
Nella quarta ( cc. 83-90 ) è descritto il diluvio e, sotto i simboli di bestie, la storia del mondo; contenuto analogo offre l'"apocalisse delle settimane" nei cc. 91 e 93.
La quinta ( cc. 91-105 ) contiene delle esortazioni ai giusti e delle maledizioni contro gli empi.
Vi sono inoltre parecchi passi desunti dal libro di Noè ( p. es. c. 106 s. ), appena ritoccati.
Gli inizi della letteratura enochica risalgono ad epoca antica.
La redazione delle parti separate è da mettersi nei due secoli a. C.
La rielaborazione superficiale e la compilazione definitiva del "corpus" eterogeneo attuale deve essere attribuita ad un Esseno, forse del I sec. d. C., non escluso però l'ambiente giudeo-cristiano fra le due guerre ( 70-132 ).
Tra i mss. di Qumran sembra che manchi l'originale del I Enoch, nonostante che siano stati trovati frammenti della parte I e IV; frammenti di un ampio trattato astrologico, riassunto nella parte III; frammenti delle parabole di Enoch, differenti da quelle della parte II; del libro di Noè ( in ebr.; gli altri in aram. ).
Fino al III sec. d. C. certe parti dell'Enoch, ormai tradotto in greco, circolavano separatamente, specie la parte V sotto il titolo "La lettera di Enoch", conservata nel pap. Chester Beatty-Michigan ( ed. C. Bonner, Londra 1937 ).
Descrive il viaggio di Enoch attraverso i sette cieli, presentando così un insieme caratteristico delle credenze di un ambiente ebraico della diaspora alessandrina nel I sec. d. C., forse attribuibile ai Terapeuti ( v. ), fratelli egiziani degli Esseni.
Il libro, composto in greco, conosciuto da Origene e dai talmudisti, poi perduto e dimenticato, fu ritrovato alla fine del secolo passato nella versione paleoslava.
Il libro è chiamato così, perché divide la storia del mondo nei periodi di 49 anni; dalla creazione fino alla rivelazione sul M. Sinai si avrebbero 49 giubilei.
Sotto la forma delle rivelazioni fatte da Dio a Mosè, contiene la parafrasi della Genesi e dei primi capitoli dell'Esodo.
La prima redazione risale forse al III sec. a. C., la definitiva alla metà del II.
Lo scritto godeva di grande autorità fra gli Esseni, i quali adoperavano il calendario caratteristico di questo libro.
Tra i manoscritti di Qumran si sono trovati finora frammenti dei 4 esemplari dei Giubilei, esibenti un testo ebraico notevolmente identico con quello delle versioni secondarie conservate, l'etiopica e la latina.
Ci sono anche i resti di una recensione siriaca ( E. Tisserant, in RB, 30 [1921] 55- 86.206-32 ).
Questo scritto aramaico molto antico, forse dell'epoca persiana, utilizzato nel I Enoch, nei Giubilei e riassunto nel Testamento di Levi dell'apocrifi seguente, non è conservato che nei frammenti della Geniza Cairense ( in JQR, 12 [1900] 651-61; 19 [1907] 566-83; R. H. Charles nell'edizione dei Testamenti dei XII Patriarchi, insieme con un frammento greco ) e della grotta prima e quarta di Qumran.
La parte principale contiene le prescrizioni rituali per il servizio del Tempio.
Sotto la forma delle ammonizioni impartite dai figli di Giacobbe sul letto di morte, divise schematicamente in tre parti: storia, parenesi, profezia, il libro contiene "summam theologiae moralis" degli ambienti pietistici del giudaismo, quasi all'affacciarsi dell'era cristiana.
Le considerazioni etiche sulle virtù e i vizi e le speculazioni dualistiche su due spiriti e due vie sono intrecciate con elementi haggadici ( p. es. guerre di patriarchi nel Testamento di Giuda ), rituali, polemistici ( contro il sacerdozio ufficiale ), escatologici ( i due Messia, tre o sette cieli ).
I prototipi di taluni testamenti sono probabilmente assai antichi.
Una fase di questa letteratura è fissata da E. J. Bickerman ai primi del II sec. a. C. ( in JBL, 69 [1950] 245.60 ).
La compilazione attuale, datata di solito all'inizio del l sec. a. C., risale piuttosto al periodo fra le due guerre giudaiche, poiché sembra che manchino gli esemplari dei Testamenti fra i manoscritti di Qumran.
Del testo originale, probabilmente ebraico, si è conservata la versione greca, dalla quale derivano l'armena e la slava.
Collezione di 18 salmi, redatti in ebraico da uno o più autori d'impronta farisaica, tra gli anni 80 e 40 del I sec. a. C., principalmente sotto l'impressione della presa di Gerusalemme da parte di Pompeo ( apocrifi 63 ).
La versione greca si trova nelle edizioni dei LXX; la siriaca nell'edizione di J. R. Harris e A. Mingana, Manchester 1916·1920 ( nei manoscritti siriaci vi sono anche le Odi di Salomone, scritto cristiano-settario del III sec. d. C. ).
Prima di morire, Mosè rivela a Giosuè le sorti d'Israele dalla conquista della Palestina fino alla morte d'Erode il Grande ( a. C. ).
Non ne resta che la traduzione latina in un manoscritto dell'Ambrosiana.
In uno scritto cristiano del III-IV sec. è stata incorporata la narrazione del martirio d'Isaia, d'origine giudaica ( I sec. d. C. ).
Conservato completo nella versione etiopica e frammentario nella greca ( pap. Arnherst l ) e latina.
I brevi racconti delle vite dei profeti, raccolti dalle tradizioni popolari ebraiche, furono ampliati dai cenni dottrinali ed esegetici negli ambienti giudeo-cristiani verso la fine del I sec. d. C.
Del testo greco c'è una recente edizione di C. C. Torrey, Philadelphia 1946.
Riassunto haggadico dei primi libri della Bibbia, con la storia dei Giudici prolissamente trattata.
Furono probabilmente scritte negli ultimi anni del I sec. d. C.; conservate nella versione latina ( G. Kisch, Notre Dame, Indiana, 1949 ).
È forse il più bel libro che la letteratura apocrifa ebrea ci abbia trasmesso.
Godette della più grande diffusione nell'Oriente e nell'Occidente cristiano e ricevette, nel corso della sua trasmissione, alcune aggiunte cristiane.
L'apocrifo giudeo non comprende che i cc. 3-14 della versione latina ( nell'appendice della Volgata ), i cc. 1-2 costituendo il V Esdra ed i cc. 15-16 il VI Esdra.
Si divide in sette visioni.
Con un linguaggio potente l'autore, ebreo ortodosso della scuola moderata, verso l'apocrifi 100 d. C., domanda a Dio le ragioni delle calamità che opprimono il popolo Eletto, discute il problema del male, senza arrivare a delle soluzioni soddisfacenti, contempla l'era escatologica imminente, il Giudizio ( pochi salvati ), la gloria futura di Gerusalemme.
Ne dipendono gli scritti omonimi, cristiani e tardivi, quali L'apocalisse greca di Esdra e La visione dello stesso Esdra.
Senza divisioni nette, il libro tratta gli stessi problemi che il IV d'Esdra, presentando però una escatologia differente e dando una apocalisse originale della storia del mondo ( cc. 53.76 ).
Appartenente alla scuola rabbinica più rigorosa, l'autore doveva vivere sotto Traiano o Adriano.
Il libro non è conservato che in un unico manoscritto, quello della Peshitto milanese, insieme con il IV Esdra.
In parecchi manoscritti, invece, si ritrova La lettera di Baruc alle nove tribù e mezza ( cc. 78- 87 ).
Un po' posteriori sono due scritti omonimi: il III Baruc ( Apocalisse greca di B. ) e il IV Baruc ( Resti delle parole di B., Paralipomeni di Geremia ).
Al II sec. d. C. sembrano pure datarsi Testamento di Giobbe, conservato in greco, e Vita di Adamo ed Eva, in latino, greco, armeno, slavo ( pubblicata sotto il titolo erroneo Apocalisse di Mosè ).
Presenta la traduzione greca di varie sezioni dei libri canonici: Par.-Esd.-Neh. ed in più un punto proprio ( cc. 3, 1.5, 6 ): la disputa di tre guardie del corpo dinanzi a Dario I, la terza disputa è vinta da Zorobabel con l'encomio della Verità-Sapienza.
Nei LXX è messo in primo posto come I Esdra, nell'appendice della Volgata come III Esdra.
Questo romanzo edificante racconta una pretesa persecuzione degli Ebrei alessandrini da parte di Tolomeo IV Filopatore ( 221-204 ), conclusa si con un riscatto miracoloso, di cui si fa una commemorazione annuale.
Fu composto in Alessandria nel I o nel II sec. d. C.
È considerato canonico nella Chiesa greca, siriaca, armena.
Diatriba stoica, scritta sull'apparire dell'era cristiana per dimostrare che "la ragione diretta dalla pietà possiede il potere sovrano sopra le passioni"; dopo le prove teoriche filosofiche, si danno gli esempi storici: Onia e Apollonio, martirio di Eleazaro, martirio dei sette fratelli e della loro madre.
Si trova in parecchi manoscritti dei LXX, della Peshitto, della Volgata.
È una apologia del giudaismo, scritta verso l'apocrifi 100 a. C., attribuita ad un pagano, Aristea, ufficiale di Tolomeo II Filadelfo ( 285-245 ).
Tema centrale è la storia della traduzione greca del Pentateuco fatta dai 72 traduttori verso l'aanno 250, alla quale non si può negare un nucleo storico.
Accanto alla vasta letteratura sibillina pagana, circolavano dal II sec. a. C. gli scritti sibillini degli Ebrei alessandrini.
Fra i 12 libri superstiti, d'origine giudaica e relativamente immuni delle aggiunte cristiane sono i libri: III (I sec. a. C.), IV ( dopo l'anno 79 d. C. ), V ( sotto M. Aurelio ).
Negli altri libri, elementi giudaici si mescolano con quelli pagani, cristiani, giudeo-cristiani, gnostici, eretici.
Di origine alessandrina è anche La preghiera di Manasse, che si trova nell'appendice della Volgata.
Un frammento papiraceo di uno scritto ebreo del I sec. d. C. è stato pubblicato da P. Benoit ( in RB, 58 [1951] 549-65 ).
Si notino, infine, gli apocrifi cristiani del III-IV sec., che utilizzano le tradizioni giudaiche: parecchi libri di Adamo e Eva, Apocalisse di Abramo, Testamenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, Apocalissi di Elia e di Sofonia, Apocalisse di Sedrach, Apocrifo di Ezechiele, Storia di Giuseppe e Aseneth.
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Contro la vasta circolazione degli scritti apocrifi la Chiesa delle origini fece valere la tradizione pubblica, "portata dalla successione episcopale nelle diverse Chiese", e si definì progressivamente un consenso sui libri cristiani ritenuti autentici e ispirati.
Presto il termine "apocrifo" divenne quindi sinonimo di "falso", anche se la prima lista ufficiale pervenutaci delle opere rigettate dalla Chiesa risale al VI secolo, in quello che è noto come Decretum Gelasianum
I pronunciamenti della Chiesa primitiva sono tuttavia molto più antichi, e ci sono pervenuti anche tramite la testimonianza dei Padri della Chiesa.
Così, secondo Ireneo di Lione, gli gnostici "insinuano una massa indescrivibile di scritti apocrifi e spuri, forgiati da loro stessi"; Ireneo attacca la pretesa di Basilide di possedere discorsi apocrifi ( lógous apokryphous ) che l'apostolo Mattia avrebbe ricevuto dal Signore.
Tertulliano accoppia come equivalenti i concetti di apocrifo e falso.
Origene applica il termine di apocrifi a scritti giudaici non canonici, senza con ciò condannarli, e afferma che non tutto ciò che si trova negli apocrifi è da respingere.
Sempre Origene ( citato da Eusebio di Cesarea, St. eccl., 6,25 ) distingue gli scritti cristiani ammessi da tutti ( homologoúmena ), quelli unanimemente rifiutati ( pseudé ) e quelli discussi ( amphiballómena ); ma non parla in tale contesto di apocrifi, né lo fa Eusebio, che da lui riprende la tripartizione ( St. eccl., 3,25 ).
Atanasio di Alessandria, stabilendo nella sua Lettera festale 39, del 367, il canone degli scritti biblici, pone all'indice gli apocrifi come invenzione di eretici, composti tardivamente e spacciati per antichi.
Il consolidamento del canone in Occidente e in Oriente condusse alla definitiva svalutazione del termine "apocrifo" e alla sua associazione con "eretico", attestata intorno al 400 da Agostino e Girolamo.
Fu il binomio Scrittura-Tradizione, "sostenuto dalle Chiese che si richiamavano alla fondazione apostolica", ad operare una selezione all'interno di una vasta produzione che imitava i generi letterari del Nuovo Testamento con l'intento "di esplicitarne i messaggi e colmarne le lacune".
In quest'ottica gli scritti apocrifi furono esclusi quasi immediatamente dal canone cristiano, tuttavia nel Medioevo e nell'antichità non tutti si rassegnarono all'idea che questi testi venissero messi in disparte.
In essi, infatti, si scoprono dati storici che colmano alcune lacune dei vangeli canonici e trovano conferma varie tradizioni locali.
Perciò alcuni autori ( come il vescovo di Tessalonica Giovanni, morto nel 630 ) elaborano la teoria che gli apocrifi fossero stati composti da autori di sana dottrina, ma interpolati ad opera di eretici, provocando così il rifiuto della Chiesa primitiva.
È grazie a questa benevolenza che alcuni apocrifi hanno esercitato un influsso ampio sulla dottrina, l'iconografia e la prassi cristiana.
L'esempio più chiaro in questo senso è il Protovangelo di Giacomo, risalente alla seconda metà del II secolo, da cui derivano i nomi di Gioacchino ed Anna per i genitori di Maria, è all'origine della festa liturgica per la nascita di Maria, ha promosso la dottrina della sua verginità perpetua, ed ha influito sulla rappresentazione tradizionale del presepe.
Insomma, nonostante le condanne ecclesiastiche, alcuni tra gli scritti apocrifi servivano alla riflessione teologica su determinati temi, o alla devozione, e conservarono un durevole successo in ambito del tutto "ortodosso", diventando presto patrimonio comune della religiosità popolare.
Così lo stesso Agostino, che si scagliò spesso contro gli apocrifi, utilizzò nelle sue omelie sul Natale motivi di origine apocrifa: non solo la verginità di Maria in partu ( Cfr. Serm. 184,1; Serm. 186,1; ecc. ), ma anche l'asino e il bue alla mangiatoia, con la citazione di Is 1,3, come nel vangelo dello Pseudo Matteo 14 (Cfr. Serm. 189,4; Serm. 204,2 ).
Anche Girolamo, fierissimo avversario degli apocrifi, insiste sul motivo ( Cfr. Epist. 108,10 ).
Tra gli apocrifi del Nuovo Testamento suscitano un certo interesse i vangeli apocrifi, alcuni scritti da autori cristiani in comunione con la Chiesa, altri scritti da comunità eretiche.
I primi non contengono nulla in contrasto con i fatti esposti nel canone del Nuovo Testamento.
Molti altri vangeli apocrifi furono scritti invece da persone cui mancava la competenza della materia trattata e che non potevano fornire prove sufficienti di dottrina, veridicità, indipendenza di giudizi.
Queste deficienze furono rese evidenti quando questi stessi autori, per dare autorità alle loro produzioni, non esitarono di ricorrere al nome di qualche celebre scrittore o personaggio distinto nella Chiesa.
Sovente alcuni apocrifi, provenienti da comunità bollate come eretiche dalla Chiesa primitiva, rispondevano all'esigenza di diffondere questa eresia.
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La Chiesa, pur autorizzandone la lettura, invita alla prudenza affinché quanto essi affermano non sia considerato automaticamente veritiero e non vi si attinga per la propria salvezza.
Essi, che sono di numero elevatissimo sia riguardo all'Antico che al Nuovo Testamento, riguardano per lo più scritti a volte intrisi di leggende e dal carattere a volte fantastico e fiabesco, che nello specifico della vita del Signore presentano grosso modo un Gesù fautore di miracoli e di prodigi, a volte anche esibizionista e impertinente, forse con il solo scopo di mostrare come e quanto egli sia Dio.
La caratteristica del prodigio e delle varie cose portentose traspare in questi scritti in modo a volte esagerato per poter definire tali scritti un'opera di carattere ispirato, mentre ai racconti storici ( poco attendibili ) si alternano le leggende e le fantasie.
Nella Chiesa delle origini parecchi Padri ricorrevano all'apocrifo Protovangelo di Giacomo per legittimare la verginità della Madonna o altre dottrine mariane, ragion per cui, anche se non del tutto attendibili, potrebbero essere una valida traccia per il percorso della Tradizione della Chiesa.
Magistero |
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Costituzione Apostolica Leone XII - Officiorum ac munerum | 25-1-1897 |
Perciò si adoperò a che gli uomini, per quanto poteva, stessero lontani come da un pessimo veleno dalla lettura dei libri cattivi. | |
Padri |
|
Agostino - Contro Fausto | 11, 2 |
Quale autorità delle Scritture può essere messa in causa, quale libro sacro può essere sfogliato |