La città di Dio |
Poiché con il libero arbitrio della volontà il genere umano continuava ad aumentare avvennero la commischianza e, mediante la partecipazione della immoralità, una certa indistinzione delle due città.
Ancora una volta il danno ebbe ragion d'essere dal sesso femminile, non nella maniera che si ebbe all'inizio perché non si trattò del caso che donne sedotte dall'inganno di qualcuno inducessero i mariti a peccare.
Però fin dal principio le donne, che per i cattivi costumi appartenevano alla città terrena, cioè alla società dei generati della terra, furono amate per la bellezza fisica dai figli di Dio, cioè dai cittadini dell'altra città in esilio nel tempo. ( Gen 6,1 )
La bellezza è un bene che è dono di Dio, ma è concessa anche ai cattivi perché non sembri un gran bene ai buoni.
Abbandonato quindi il bene grande e proprio dei buoni, avvenne la caduta al bene più basso, non proprio dei buoni ma comune a buoni e cattivi.
Così i figli di Dio furono avvinti dall'amore per le figlie degli uomini e per averle come mogli decaddero nella moralità della società terrena abbandonando la religione che osservavano nella società santa.
In tal modo la bellezza fisica, che è certamente un bene prodotto da Dio ma temporale carnale infimo, è amata male perché si trascura Dio, bene eterno spirituale perenne, come con la violazione della giustizia l'oro è amato dagli avari non per un peccato dell'oro ma dell'uomo.
Così è ogni creatura. Essendo un bene si può amare bene e male, cioè bene nel rispetto dell'ordine, male nella violazione dell'ordine.
Ho espresso brevemente questi concetti in un elogio al cero: Queste cose sono tue e sono buone perché Tu che sei buono le hai create.
Niente di nostro v'è in esse se non che, violando l'ordine, pecchiamo amando non Te ma ciò che da Te è creato.23
Se il Creatore si ama secondo verità, cioè se non si ama invece di Lui altro che Egli non è, non è possibile che sia amato di amore cattivo.
Anche l'amore si deve amare ordinatamente perché con esso si ama l'oggetto che si deve amare affinché sia in noi la virtù con cui si vive bene.
Mi sembra quindi che definizione breve e vera della virtù è l'ordine dell'amore.
Per questo nel sacro Cantico dei Cantici la sposa di Cristo, cioè la città di Dio, canta: Date ordine in me alla carità. ( Ct 2,4 )
Dunque infranto l'ordine di questa carità, cioè dell'affetto e dell'amore, i figli di Dio trascurarono Dio e amarono le figlie degli uomini.
Con i due termini si distinguono sufficientemente le due città.
Anche essi per natura erano figli degli uomini ma avevano cominciato ad avere un altro nome per effetto della grazia.
Nel medesimo libro della Scrittura, in cui si dice che i figli di Dio amarono le figlie degli uomini, si dice anche che essi erano angeli di Dio.
Per questo molti pensano che non fossero uomini ma angeli.
Ho lasciato senza soluzione la questione accennata di passaggio nel terzo libro di questa opera, cioè se gli angeli, pur essendo spirito, possono coire con donne.24
Si ha nella Scrittura: Egli rende suoi angeli gli esseri spirituali, cioè rende suoi angeli esseri che per natura sono spiriti affidando loro l'incarico di messaggeri.
La parola greca, άγγελος , che nella forma latina si rende con la parola "angelo", nella nostra lingua si traduce "messaggero".
Ma è dubbio se subito dopo ha inteso il loro corpo con le parole: Rende le vampe del fuoco suoi servitori, ( Sal 104,4 ) ovvero che i suoi servitori devono ardere di carità come di un fuoco spirituale.
Ma la stessa Scrittura, che è sommamente veritiera, afferma che gli angeli sono apparsi in un corpo tale che era possibile non solo vederli ma anche toccarli.
Ed è notizia assai diffusa e molti confermano di averlo sperimentato o di avere udito chi l'aveva sperimentato che i silvani e i fauni, i quali comunemente sono denominati "incubi", spesso sono stati sfacciati con le donne e che hanno bramato e compiuto l'accoppiamento con loro.
Che certi demoni, denominati "dusi" dai Galli, continuamente tentano e compiono questa porcheria lo affermano parecchi e sono di tale prestigio che negarlo sembrerebbe mancanza di rispetto.
Non oso dedurne che alcuni spiriti, presa forma corporea nell'aria, giacché questo elemento è percepito sensibilmente col tatto anche agitando un ventaglio, possono essere soggetti a questa sensualità sicché si uniscono alle donne come è loro possibile.
Tuttavia in nessun senso ammetterei che gli angeli santi di Dio abbiano potuto allora decadere in tal modo.
Neanche l'apostolo Pietro alludeva a quei tali quando scrisse: Se Dio non ha perdonato agli angeli che avevano peccato ma, rinchiudendoli nelle carceri tenebrose dell'abisso, ingiunse che fossero riservati per essere puniti nel giudizio, ( 2 Pt 2,4 ) ma alluse piuttosto a quelli che al principio ribellandosi a Dio decaddero col diavolo, loro principe, il quale per invidia fece cadere il primo uomo con l'inganno del serpente.
La sacra Scrittura stessa attesta frequentemente che anche gli uomini di Dio sono stati dichiarati angeli.
Si dice di Giovanni: Ecco io mando il mio angelo davanti a te ed egli preparerà la tua via. ( Mc 1,2; Ml 3,1 )
Anche il profeta Malachia per una sua grazia personale, cioè per una grazia impartita personalmente a lui, fu chiamato angelo. ( Ml 2,7 )
Alcuni sono sconcertati quando leggiamo che da coloro che furono chiamati angeli di Dio e dalle donne da essi amate, non nacquero uomini della nostra specie ma giganti.
Reagiscono quasi che, come ho ricordato sopra, ai nostri tempi non siano venute al mondo delle corporature umane che superano la nostra statura.
Pochi anni addietro, un po' prima del saccheggio della città di Roma operato dai Goti, venne a Roma col padre e con la madre una donna che con una corporatura in certo senso gigantesca superava di molto gli altri.
Avveniva di continuo un'incredibile affluenza di gente per vederla.
Ed era di grande ammirazione il fatto che tutti e due i suoi genitori non erano almeno di una statura tale da arrivare agli individui dalla statura più alta che di solito vediamo.
È possibile dunque che i giganti nascessero anche prima che i figli di Dio, detti anche angeli di Dio, si unissero alle figlie degli uomini, quanto dire che vivevano secondo gli uomini, cioè la figliolanza di Set con quella di Caino.
Infatti la sacra Scrittura, nel libro in cui leggiamo l'episodio, si esprime con queste parole: Avvenne dopo che gli uomini cominciarono ad aumentare di numero sulla terra e nacquero loro delle figlie.
Vedendo gli angeli di Dio che le figlie degli uomini erano buone, ne presero per mogli tutte quelle che avevano scelto.
Disse il Signore: non rimarrà per sempre il mio Spirito in questi uomini perché sono carne.
Sarà la loro vita per altri centoventi anni.
V'erano dei giganti sulla terra in quei giorni e dopo il fatto che i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini e generavano per sé i figli, questi erano giganti, uomini famosi nel tempo. ( Gen 6,1-4 )
Queste parole del Libro sacro indicano sufficientemente che in quei giorni v'erano giganti sulla terra, quando, cioè, i figli di Dio presero per mogli le figlie degli uomini perché le volevano buone cioè belle.
È abituale in questa parte della Scrittura chiamare buoni anche i belli d'aspetto.
Ma anche dopo questa evenienza nacquero dei giganti.
Dice infatti: V'erano dei giganti sulla terra in quei giorni e dopo il fatto che figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini.
Quindi in quei giorni prima e dopo il fatto.
La frase: E generavano per sé mostra con evidenza che anteriormente, prima che i figli di Dio decadessero in quel modo, generavano per il Signore, non per sé, cioè non perché dominava la libidine dell'accoppiamento, ma perché era impegnato il dovere di procreare e non la famiglia della propria presunzione, ma i cittadini della città di Dio.
Ad essi dovevano annunziare, come angeli di Dio, di porre in Dio la propria speranza, ( Sal 78,7 ) simili a colui che nacque da Set come figlio della risurrezione e sperò d'invocare il nome del Signore.
In questa speranza dovevano essere coeredi dei beni eterni con i discendenti, inoltre fratelli dei figli nella soggezione a Dio Padre.
Senza possibilità di dubbio la Scrittura attesta che non furono angeli di Dio nel senso che non erano uomini, come alcuni pensano, ma che certamente furono uomini.
Era premesso infatti: Vedendo gli angeli di Dio che le figlie degli uomini erano buone, ne presero per mogli tutte quelle che avevano scelto; però di seguito si ha: Disse il Signore: il mio Spirito mai più rimarrà con questi uomini perché sono carne. ( Gen 6,3 )
Con lo Spirito di Dio erano diventati angeli di Dio e figli di Dio ma, decadendo ai beni inferiori, sono considerati uomini in termini di natura e non di grazia.
Sono considerati anche carne perché avevano abbandonato lo Spirito e abbandonandolo erano stati abbandonati.
Anche i Settanta li hanno denominati angeli di Dio e figli di Dio, ma non tutti i testi hanno la duplice denominazione, alcuni hanno soltanto figli di Dio.
Aquila il traduttore, che i Giudei preferiscono, non ha tradotto né angeli di Dio né figli di Dio, ma figli degli dèi.25
Le due versioni sono vere.
Infatti erano figli di Dio e in lui Padre erano anche fratelli dei padri, erano inoltre figli degli dèi perché generati da dèi, in quanto con loro anche essi erano dèi, secondo la frase del Salmo: Io ho detto: Siete dèi e figli dell'Eccelso tutti. ( Sal 82,6 )
Giustamente quindi si ritiene che i Settanta hanno avuto un'ispirazione profetica in modo che se col suo influsso modificavano qualcosa usando parole diverse da quelle che traducevano, non si deve dubitare che anche questo testo è di derivazione divina.
Però si presenta come incerto che per il testo ebraico fosse possibile tradurre i figli di Dio con i figli degli dèi.
Tralasciamo quindi le favole di quei libri della Scrittura chiamati apocrifi perché la loro indimostrabile autenticità non fu evidente ai padri dai quali l'autorità dei libri genuini è giunta a noi mediante una trasmissione molto fedele e notoria.
Negli apocrifi, a causa dei molti errori, non si ha alcuna autorità canonica, sebbene vi sia contenuta qualche verità.
Non possiamo negare che Enoch, settimo da Adamo, abbia scritto qualcosa per divina ispirazione perché lo dice l'apostolo Giuda in una lettera canonica. ( Gd 14 )
Ma giustamente i suoi scritti non sono in quel canone delle Scritture che si conservava nel tempio del popolo ebraico per la premura dei sacerdoti che si succedevano.
A causa dell'antichità sono stati giudicati d'incerta credibilità, né si poteva dimostrare che fossero gli autentici da lui scritti in quanto non si avevano documenti che secondo le norme li avessero conservati nella serie della trasmissione.
Quindi gli scritti, che sono trasmessi col suo nome e contengono sui giganti la favola che non ebbero uomini per padre, dai critici con evidenza sono ritenuti non autentici.
Allo stesso modo dagli eretici sono stati rassegnati molti scritti intestati ad altri profeti e i più recenti ad apostoli, ma sono stati tutti estromessi dopo diligente esame dall'autorità canonica col nome di apocrifi.
Quindi secondo le Scritture canoniche ebraiche e cristiane non v'è dubbio che prima del diluvio vi furono molti giganti e che furono cittadini della città degli uomini generata dalla terra e che i figli di Dio, i quali discendevano secondo la carne da Set, abbandonata la giustizia, si aggregarono a questa società.
E non c'è da meravigliarsi se anche da loro nacquero giganti.
Non tutti furono giganti ma furono assai di più che negli altri tempi dopo il diluvio.
E piacque al Creatore crearli affinché da questo fatto venisse dimostrato che non soltanto la bellezza ma anche la grandezza e forza fisica non si devono tener in gran conto dal sapiente, il quale ottiene la felicità con beni spirituali e indefettibili di gran lunga più nobili e sicuri e propri dei buoni e non comuni a buoni e cattivi.
Un altro Profeta, riferendosi a questa verità, dice: Vi furono i famosi giganti che fin da giovani furono di grande statura e addestrati alla guerra.
Il Signore non li ha scelti e non ha affidato loro il cammino della scienza, ma scomparvero perché non ebbero la sapienza e andarono in rovina per la loro stupidaggine. ( Bar 3,26-28 )
La parola di Dio: La loro vita sarà di centoventi anni ( Gen 6,3 ) non si deve interpretare nel senso di un preannuncio che dopo quei fatti gli uomini non avrebbero sorpassato i centoventi anni di vita.
Troviamo che anche dopo il diluvio superarono perfino i cinquecento anni.
Si deve intendere invece che Dio parlò così perché Noè era verso la fine dei cinquecento anni, ne aveva cioè quattrocentottanta che la Scrittura, per un suo modo d'esprimersi, considera cinquecento secondo la figura retorica della parte più alta per il tutto.
All'anno seicento, secondo mese, della vita di Noè infatti avvenne il diluvio, ( Gen 7,11 ) così i centoventi anni sarebbero stati gli anni avvenire della vita degli uomini che dovevano morire perché, una volta passati, sarebbero stati sterminati dal diluvio.
Né si deve credere senza ragione che il diluvio avvenne quando già in terra non si trovavano più coloro che meritavano di soccombere con una morte simile, giacché con essa si compì la vendetta contro gli empi.
Non si dice nel senso che un tal genere di morte produca un effetto che potrebbe esser dannoso dopo la morte ai buoni che eventualmente ne morissero.
Tuttavia nessuno di quelli, che la sacra Scrittura ricorda come discendenti della stirpe di Set, morì nel diluvio.
Per divina ispirazione è narrata così la causa del diluvio: Vedendo il Signore che le malvagità dell'uomo aumentavano sulla terra e che ciascuno nel proprio cuore pensava con pertinacia tutti i giorni ad azioni cattive, Dio pensò al perché aveva creato l'uomo sulla terra e vi ripensò e disse: devo cancellare dalla faccia della terra l'uomo che ho creato, dall'uomo al bestiame e dai rettili fino agli uccelli del cielo perché sono adirato per averli creati. ( Gen 6,5-7 )
L'ira di Dio non è un turbamento del suo spirito ma un giudizio con cui s'infligge la pena al peccato.
Il suo pensare e ripensare agli eventi posti nel divenire è un disegno fuori del divenire.
Dio non si pente, come l'uomo, di una sua azione perché di tutte le cose ha un giudizio assolutamente determinato e una consapevole prescienza.
Ma se la Scrittura non usasse questi termini non si farebbe ascoltare in forma più accessibile da ogni tipo di uomini, ai quali vuole essere norma, per sbigottire gli orgogliosi, stimolare gli indolenti, animare i desiderosi di sapere, rinvigorire gli intelligenti.
Non otterrebbe questi effetti se prima non si piegasse e in certo senso non si inchinasse verso coloro che sono caduti.
Ad esempio, il comminare la fine di tutti i mammiferi e volatili enuncia l'estensione della futura ecatombe, ma non minaccia lo sterminio ad esseri animati privi di ragione, come se anch'essi avessero peccato.
C'è poi l'ordine di Dio a Noè, uomo giusto e, come di lui afferma con verità la Scrittura, ( Gen 6,9 ) perfetto nella sua generazione, non certamente come diverranno perfetti i cittadini della città di Dio nella condizione d'immortalità, con la quale saranno eguali agli angeli di Dio, ( Lc 20,36 ) ma come possono esser perfetti in questo esilio.
Dunque Dio gli ordinò di costruire l'arca con la quale sfuggire alla rovina del diluvio assieme ai suoi familiari, cioè moglie, figli e nuore e con gli animali che per comando di Dio entrarono assieme a lui nell'arca. ( Gen 6,14-21 )
Essa è senza dubbio allegoria della città di Dio esule nel tempo, cioè della Chiesa che ottiene la salvezza mediante il legno nel quale fu appeso il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )
Le misure stesse della lunghezza, altezza e larghezza dell'arca simboleggiano il corpo umano perché si ebbe l'annunzio profetico che Gesù sarebbe venuto e venne in un vero corpo umano.
Difatti la lunghezza del corpo umano dalla sommità della testa ai piedi è sei volte la larghezza da un fianco all'altro e dieci volte l'altezza, la cui misura si ha nel fianco dal dorso all'addome.
Quindi se misuri l'uomo disteso, supino o bocconi, è lungo dalla testa ai piedi sei volte più che largo da destra a sinistra o da sinistra a destra e dieci volte più che alto da terra.
Per questo appunto è stata costruita l'arca di trecento cubiti in lunghezza, cinquanta in larghezza e trenta in altezza.
L'apertura da un lato è la ferita con cui fu trafitto il costato del Crocifisso. ( Gv 19,34 )
Per essa entrano quelli che vengono a Lui perché da lì sgorgano i sacramenti con cui sono iniziati i credenti.
L'ordine di costruirla con tavole di forma quadra simboleggia la vita dei santi stabile da ogni parte.
Difatti da qualsiasi parte volterai un quadrato resterà quadrato.
Anche le altre indicazioni sulla costruzione dell'arca sono simboli di realtà riguardanti la Chiesa.
Ma è lungo continuare per il momento.
Ne ho parlato già nell'opera che ho scritto Contro Fausto manicheo,26 il quale nega che nei libri degli Ebrei vi siano profezie riguardanti il Cristo.
È anche possibile che qualcuno dia una spiegazione più appropriata anche a me e un altro ad altri, purché queste interpretazioni siano riferite alla città di Dio, di cui stiamo parlando, che è esule viandante in questo fluire di tempi malvagi, simile a un diluvio, se chi interpreta non vuole deviare di molto dal pensiero dell'agiografo.
Ad esempio, qualcuno può interpretare la frase: Vi farai locali in basso, al piano due e al piano tre ( Gen 6,16 ) diversamente da come l'ho interpretata io nell'opera citata.27
Dal momento, ho detto, che la Chiesa si raduna da tutti i popoli, l'arca è scompartita al piano due in riferimento alle due categorie di persone, cioè circoncisi e non circoncisi, che l'Apostolo con altri termini chiama Giudei e Greci, ( Rm 3,9 ) al piano tre perché dopo il diluvio tutti i popoli ripresero a crescere nelle stirpi dei tre figli di Noè.
Ma ognuno può interpretare in altro senso purché non sia contrario alla regola della fede.
Inoltre, poiché Dio volle che l'arca avesse locali non solo nel piano inferiore, ma anche in quello di sopra che ha indicato come secondo piano e in quello più in alto ancora, che ha chiamato locali al terzo piano, in modo che il terzo ambiente da abitare s'ergesse dal basso in alto, è possibile in questo brano intendere le tre virtù che raccomanda l'Apostolo: fede, speranza e carità. ( 1 Cor 13,13 )
Vi si possono molto più convenientemente individuare i tre gradi di fertilità secondo il Vangelo del trenta, sessanta e cento per uno in modo che in basso soggiorni la castità coniugale, sopra quella vedovile, in alto quella verginale e qualsiasi altro significato di alto valore che si può pensare e dire secondo la fede di questa città. ( Mt 13,4-9 )
Lo direi anche di altri modi d'intendere che si devono esporre in proposito perché, anche se sono commentati in forma diversa, si devono ricondurre all'accordo unitario della fede cattolica.
Non si deve pensare che questi eventi siano stati tramandati senza un intento o che vi si deve ricercare soltanto la verità storica senza i vari significati allegorici, o al contrario che non sono avvenimenti ma esclusivamente metafore letterarie, o che qualunque ne sia il senso, non appartengono all'annuncio profetico della Chiesa.
Soltanto uno stravagante può sostenere che sono stati scritti senza uno scopo libri conservati con tanta devozione per migliaia di anni nel rispetto di una regolare trasmissione o che in essi si deve tener conto soltanto degli avvenimenti.
Per non parlar d'altro, se il numero degli animali costringeva a realizzare un così vasto ambiente dell'arca, niente costringeva a introdurre due e due animali immondi e sette e sette mondi. ( Gen 7,2 )
Anche di egual numero potevano esservi accolti gli uni e gli altri.
Eppoi Dio, che aveva ordinato di conservarli per mantenere la specie, poteva riprodurli nel modo con cui li aveva già prodotti.
Coloro i quali contestano che non sono fatti ma soltanto allegorie simboliche ritengono, prima di tutto, che non poté verificarsi un diluvio così imponente da far salire l'acqua di quindici cubiti sopra i monti più alti in considerazione della vetta del monte Olimpo.
Dicono che sopra di esso non possono addensarsi le nubi perché è così in alto nella volta celeste che non si ha più l'atmosfera dotata di gravità in cui si producono venti, nuvole e piogge, ma non riflettono che v'era la terra, la quale di tutti gli elementi è la più dotata di gravità.
Non negheranno certo che la vetta di un monte è terra.
Non v'è ragione dunque di ribattere che fu possibile alla terra di elevarsi a quell'altezza e non fu possibile all'acqua se costoro, i quali conoscono la misura e il peso degli elementi, affermano che l'acqua è più in alto della terra perché più leggera.
Non possono quindi addurre un motivo per cui la terra più pesante e più in basso abbia occupato per periodi di tanti anni uno spazio dell'atmosfera più immune da movimenti e che questo non fu permesso all'acqua più leggera e più in alto per almeno un breve periodo di tempo.
Dicono anche che l'ampiezza dell'arca non poteva contenere tante specie di animali nei due sessi, due e due degli immondi, sette e sette dei mondi.
Mi pare che costoro calcolano soltanto i trecento cubiti di lunghezza e i cinquanta di larghezza e non pensano che altrettanto ve n'è nel piano superiore e altrettanto nel piano più alto e che quindi quei cubiti moltiplicati per tre ne fanno novecento per centocinquanta.
Se poi teniamo presente, come con un certo senso critico ha dimostrato Origene, che Mosè, uomo di Dio, come è detto nella Scrittura, istruito in tutta la sapienza degli Egiziani, ( At 7,22 ) i quali ebbero predilezione soprattutto per la geometria, ha potuto indicare i cubiti geometrici dei quali uno corrisponde a sei dei nostri, ognuno capisce che quell'ampiezza poteva contenere una gran quantità di cose.
Cianciano a sproposito coloro i quali obiettano che non era possibile allestire l'arca di tanta ampiezza, sebbene sappiano che furono costruite città grandiose, ( Gen 4,17 ) e non tengono conto dei cento anni durante i quali l'arca fu costruita, a meno che una pietra si possa attaccare a un'altra saldata con la sola calcina in modo che un muro gira intorno per alcune miglia, mentre una tavola non possa essere attaccata a un'altra con spranghe, sbarre, chiodi, colla di bitume in modo da fabbricare l'arca protesa da linee rette, non curve, per lungo e per largo.
Eppoi non doveva spingerla in mare lo sforzo di uomini, ma per la naturale legge di gravità la sollevava il flutto sopravveniente e affinché, mentre fluttuava, non subisse il naufragio possibile da ogni parte, la proteggeva di più la divina provvidenza che l'umana abilità.
Abitualmente da alcuni con molta pedanteria si propone la domanda sulle bestiole più piccole, come topi e tarantole non solo ma anche cavallette, scarabei, mosche e infine pulci se nell'arca furono di un numero più grande di quello stabilito secondo l'ordine di Dio.
Si devono avvertire coloro i quali si lasciano turbare da queste riflessioni che la frase: Quelli che strisciano sulla terra ( Gen 6,20 ) si deve interpretare nel senso che non era necessario accogliere nell'arca gli animali che possono vivere nell'acqua, come pesci, ma anche quelli che vi galleggiano, come molti degli alati.
Il comando: Saranno maschio e femmina ( Gen 6,19; Gen 7,2-9 ) s'intende dato per la conservazione della specie.
Perciò non era necessario che vi fossero gli animali che possono nascere senza accoppiamento da svariate sostanze o dalla loro decomposizione.
Se v'erano, è possibile che fossero senza un numero definito come abitualmente sono nelle case.
Nel caso poi che il mistero sacro che si compiva e l'allegoria di così alto significato non potevano verificarsi diversamente anche nella realtà storica se nell'arca non erano col numero determinato tutti gli animali che per legge di natura non possono vivere nell'acqua, questo non fu impegno di quell'uomo o di quegli uomini ma di Dio.
Difatti Noè non li introduceva dopo averli catturati ma permetteva che venissero ed entrassero.
In questo senso s'interpreta la frase: Verranno da te, ( Gen 6,20 ) quanto dire non per una azione dell'uomo ma per ordine di Dio.
Si deve perciò ammettere che non v'erano animali privi di sesso.
Era prescritto tassativamente: Saranno maschio e femmina.
È diverso il caso di quegli animali che senza accoppiamento hanno origine da qualsiasi sostanza, poi si accoppiano e generano, come le mosche, e di quelli che non hanno la diversità di maschio e femmina, come le api.
Sarebbe sorprendente che vi fossero stati gli animali che hanno il sesso ma non adatto ad avere il feto, come muli e mule.
Bastava che vi fossero i loro genitori, cioè la specie delle cavalle e degli asini e altri animali che dalla commistione di specie diverse generano individui di altra specie.
Ma se anche questo era di pertinenza del mistero, erano presenti.
Anche questa specie ibrida ha il maschio e la femmina.
Anche il quesito delle forme di alimentazione che potevano avere nell'arca gli animali, i quali, all'apparenza si nutrono soltanto di carne, mette in imbarazzo taluni.
Si chiedono se, senza trasgredire l'ordine, vi fossero in sovrappiù animali che la necessità di nutrire gli altri aveva costretto ad introdurre nell'arca ovvero, ed è più attendibile, se fu possibile che oltre la carne vi fossero alimenti convenienti per tutti.
Sappiamo infatti che molti animali abitualmente carnivori si nutrono di cereali e di frutta, soprattutto fichi e castagne.
Non c'era da stupirsi se quell'uomo saggio e giusto, che anche per divino suggerimento sapeva ciò che a ciascuno conveniva, preparò e ammannì l'alimentazione conveniente a ogni specie.
D'altronde la fame costringeva a cibarsi di tutto.
E Dio poteva rendere gradevole e nutriente qualsiasi cibo perché Egli avrebbe anche potuto con divina compiacenza accordare che vivessero senza alimenti, se il fatto che si nutrissero non conveniva all'adempimento dell'allegoria di un sì grande mistero.
Non è lecito ad alcuno, il quale non sia amante del diverbio, negare che tanti significati storici non siano pertinenti a simboleggiare la Chiesa.
Infatti ormai i popoli, uomini mondi e immondi fino a che non si giunga al fine prestabilito, hanno popolato la Chiesa e vi sono accolti in un contesto di unità che, in base a questo significato assai evidente, non è lecito dubitare degli altri che sono espressi in forma un po' più oscura e sono meno comprensibili.
Stando così le cose, nessun uomo, anche testardo, oserà pensare che questi eventi siano stati consegnati alla scrittura senza scopo, che non simboleggiano nulla se sono avvenuti o al contrario che sono simboli letterari e non avvenimenti storici e che non si può affermare con probabilità che sono pertinenti a simboleggiare la Chiesa.
Si deve invece ammettere che con avvedutezza sono stati consegnati alla storia e alla letteratura, che sono fatti storici, che simboleggiano qualcosa e questo qualcosa è pertinente ad essere allegoria della Chiesa.
Ormai il libro continuato fino a questo punto si deve chiudere per esaminare, dopo il diluvio e gli avvenimenti che seguirono, lo sviluppo delle due città, cioè di quella terrena che vive secondo l'uomo e di quella celeste che vive secondo Dio.
Indice |
23 | Ant. lat.; cf. anche Laus Cerei (PL 46, 817) |
24 | De civ. Dei 3, 5 |
25 | Aquila, in Girolamo, Quaest. hebr. in Gen. 6, 2 |
26 | Agostino, C. Faustum 12, 14 |
27 | Agostino, C. Faustum 12, 16 |