Contro Fausto manicheo |
Del resto Lot, fratello cioè consanguineo di Abramo, non deve essere in alcun modo paragonato con questi, di cui Dio dice: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, ( Es 3,6 ) né annoverato nel numero di quelli cui la Scrittura dà sino alla fine testimonianza di giustizia, sebbene sia vissuto con pietà e castità in mezzo ai Sodomiti e, lodato anche per i meriti della sua ospitalità, sia stato liberato dall'incendio di quella terra e ai suoi discendenti, per il fatto che Abramo era suo zio, sia stata data per dono di Dio la terra della promessa. ( Gen 19 )
Sono questi i meriti che in quei libri sono offerti alla nostra lode: non l'ubriachezza o l'incesto; ( Dt 2,9 ) ma dal momento che dello stesso uomo troviamo scritta un'azione retta e una peccaminosa, l'una ci viene proposta affinché la imitiamo e l'altra affinché ce ne guardiamo.
Ora, se il peccato di Lot, al quale è stata resa, prima che peccasse, testimonianza di giustizia, ( Sap 10,6 ) non solo non oscura la divinità di Dio o la verità della Scrittura, ma anzi la raccomanda alla nostra lode e al nostro amore per il fatto che, come uno specchio nitido e fedele, essa riflette delle persone che le si avvicinano non solo ciò che è bello e integro, ma anche ciò che è brutto e vizioso: quanto meno il fatto che Giuda giacque con sua nuora apporterà motivi per incolpare l'autorità santa! ( Gen 38,13-18 )
La quale, solidamente fondata in quei libri, disdegna con diritto divino non solo le calunniose arguzie di pochissimi Manichei, ma anche l'orribile ostilità di tanti e tanto grandi popoli gentili, che ha già sottomesso quasi tutti al culto dell'unico vero Dio, strappandoli alla nefasta superstizione degli idoli per mezzo dell'impero cristiano, conquistando il mondo intero non con la violenza della guerra ma con la potenza invincibile della verità.
In quale punto delle Scritture, infatti, viene lodato Giuda?
Che cosa di buono la Scrittura testimonia di lui, se non il fatto che nella profezia di Cristo, il quale si preannunziava si sarebbe incarnato dalla sua stirpe, egli ebbe la preminenza sugli altri, raccomandato dalla benedizione di suo padre? ( Gen 49,8-12 )
D'altronde, all'incesto che Fausto gli rimprovera noi aggiungiamo anche il fatto di aver venduto suo fratello Giuseppe in Egitto. ( Gen 37,26-28 )
Forse che le membra storte di qualcuno sfigurano la luce che tutto mette in evidenza?
Ugualmente, le cattive azioni di qualcuno non rendono cattiva la Scrittura, ma per il fatto che essa le mostra vengono rese note ai lettori.
Se dunque si consulta la legge eterna che ordina di conservare l'ordine naturale e proibisce di alterarlo, essa ha stabilito che l'unione carnale debba avvenire soltanto allo scopo della riproduzione, e ciò solamente in nozze regolate dalla società che non perturbino il vincolo della pace, e pertanto la prostituzione delle donne, che si offrono non allo scopo di creare nuovi eredi ma di saziare la libidine, è condannata dalla legge divina e eterna.
La turpitudine che si acquista col denaro disonora completamente colui che la compra.
Per questo Giuda, sebbene avrebbe peccato più gravemente se avesse voluto giacere con lei sapendo che era sua nuora - se infatti un uomo e una donna, come dice il Signore: Non sono più due, ma una carne sola, ( Mt 19,6 ) la nuora va considerata non diversamente da una figlia -, tuttavia non c'è dubbio che, nelle sue intenzioni, giacque vergognosamente con una meretrice.
Essa, che ingannò il suocero, non peccò per desiderio carnale di lui né per brama della mercede da prostituta ma, volendo un figlio da quello stesso sangue da cui non aveva potuto averne, giacché era già stata sposata a due fratelli e un terzo le era stato rifiutato, si fece fecondare con la frode dal padre di quelli e suocero suo, dopo aver ricevuto un pegno della sua mercede, che conservò non come ornamento ma come prova.
Certo, sarebbe stato meglio rimanere senza figli piuttosto che diventare madre fuori della legge matrimoniale: tuttavia essa, per il fatto di essersi procurata il suocero come padre dei suoi figli, peccò con un'intenzione di gran lunga diversa che se lo avesse desiderato come adultero.
Infine, quando condotta alla morte per ordine di lui essa presentò il bastone, il cordone e l'anello con il sigillo, dicendo di essere incinta di colui al quale quei pegni appartenevano, egli, non appena riconobbe ciò che le aveva dato, rispose che era più giustificata di lui: poiché non aveva voluto darle suo figlio come marito essa, spinta da quel rifiuto, si era conquistata una discendenza in quel modo piuttosto che in nessuno, non da altrove che da quella medesima stirpe.
Con tali affermazioni, dicendo non che era giusta ma che era più giusta di lui, egli non la lodò, bensì la antepose a sé nel paragone, ritenendo meno colpevole il desiderio di avere figli, spinta dal quale essa si era unita al suocero, che la libidinosa passione della carne, vinto dalla quale egli stesso era entrato presso di lei come da una meretrice: parimenti si dice ad alcuni: Avete giustificato Sodoma, ( Ez 16,52 ) cioè avete peccato a tal punto che Sodoma, paragonata a voi, appare giusta.
Del resto, se anche si intendesse che il suocero non riteneva questa donna meno colpevole nel paragone con un'azione peggiore, ma la lodava invece senza riserve ( sebbene, consultando la legge eterna che proibisce di alterare l'ordine naturale non solo dei corpi, ma soprattutto e in primo luogo delle anime, scopriamo che essa è meritatamente colpevole, non avendo rispettato l'ordine sociale nella procreazione dei figli ), che c'è di strano se una peccatrice viene lodata da un peccatore?
Fausto, o la stessa perversità dei Manichei, ritiene che ciò sia contro di noi, quasi che noi, accordando venerazione e degno elogio a quella Scrittura, dovessimo necessariamente approvare i vizi degli uomini che essa menziona.
La necessità è piuttosto un'altra: quanto più religiosamente accettiamo la Scrittura, tanto più risolutamente accusiamo le cose che, per mezzo della sua verità, abbiamo imparato con più certezza doversi accusare.
Lì infatti la fornicazione e ogni illecito rapporto carnale sono condannati per diritto divino ( Es 20, 14.17 ) e per questo, quando la Scrittura ricorda di qualcuno simili azioni tacendo in quel punto il proprio giudizio, ci mette in grado di giudicarle, non ci prescrive certo di lodarle.
Infatti, chi di noi nel Vangelo stesso non aborrisce la crudeltà di Erode, quando preoccupato per la nascita di Cristo ordinò di uccidere tutti quei bambini? ( Mt 2,16 )
Eppure questo fatto lì non viene biasimato, ma soltanto narrato.
Ma i Manichei, affinché nella loro folle impudenza non sostengano che ciò è falso - visto che negano la stessa nascita di Cristo per la quale Erode era turbato -, vadano a leggere in che modo lì sia solo narrata e non biasimata la crudeltà e la cecità dei Giudei, che tuttavia è universalmente detestata.
" Però, sostengono, questo Giuda che giacque con sua nuora viene annoverato tra i dodici patriarchi ". ( Gen 35,22-26 )
E allora? Forse non si conta tra i dodici apostoli quel Giuda che tradì il Signore, e non fu inviato con loro e come uno di loro a predicare il Vangelo, egli che era un diavolo? ( Mt 10,2-5; Gv 6,70 )
Ma ancora ribattono e dicono: " Dopo un delitto così grande, quello si impiccò e fu escluso dal numero degli apostoli; ( Mt 27,5 ) costui invece, dopo una tale sconcezza, fu benedetto in modo speciale rispetto ai suoi fratelli e lodato al di sopra di tutti loro da quel padre cui Dio rende tanto grande testimonianza ". ( Gen 49,8-12 )
Certamente: poiché da questo passo appare ancora più chiaro che quella profezia non si riferisce a lui ma a Cristo, che si annunziava sarebbe venuto nella carne dalla tribù di lui; a maggior ragione dunque la divina Scrittura non avrebbe dovuto tacere il suo crimine, come infatti non lo ha taciuto, affinché nelle parole del padre con cui egli viene lodato dopo quella vergogna si vada a ricercare un'altra cosa, giacché non è lui che in esse si riconosce.
Tuttavia si capisce che Fausto, col suo dente maldicente, ha voluto mordere il fatto che noi predichiamo che Cristo venne da quella tribù, soprattutto perché nelle generazioni dei suoi antenati menzionate da Matteo figura anche Zara, che la stessa Tamar generò concependolo da Giuda. ( Mt 13; Gen 38,30 )
Infatti, se avesse voluto colpire la stirpe di Giacobbe e non la genealogia di Cristo, avrebbe piuttosto addotto in primo luogo Ruben, che violò con indicibile dissolutezza il letto paterno: ( Gen 35,22 ) fornicazione che l'Apostolo dice mai sentita neppure tra i Gentili. ( 1 Cor 5,1 )
Anche il padre stesso Giacobbe, quando li benedisse, non tacque di questo fatto, accusandolo e deprecandolo sopra il capo di lui. ( Gen 49,3-4 )
Senza dubbio Fausto avrebbe piuttosto obiettato questo crimine, che evidenzia non un errore dovuto all'abito di una prostituta bensì una profanazione del tutto volontaria del giaciglio paterno: invece è proprio Tamar stessa che egli odiava, assai più per il fatto che in quell'amplesso essa desiderò null'altro che partorire che non se avesse bruciato di pura passione carnale, e incolpando i progenitori di Cristo voleva infirmare la sua incarnazione, ignorando, il misero, che il verissimo e veracissimo Salvatore si è dimostrato maestro non solo con la parola, ma anche con la nascita. Infatti i suoi fedeli, che sarebbero provenuti da tutte le genti, dovevano apprendere anche dall'esempio della sua carne che non potevano essere danneggiati dalle iniquità dei loro padri.
Pertanto quello sposo, che adattandosi ai suoi invitati avrebbe chiamato alle nozze buoni e cattivi, volle anche nascere da buoni e cattivi, ( Mt 22,10 ) per confermare che la profezia della Pasqua, nella quale fu prescritto di mangiare un agnello preso da pecore e da capri ( Es 12,3-5 ) come da buoni e da cattivi, lo aveva preceduto per prefigurare lui stesso.
Per conservarci ovunque prove del fatto che era Dio e uomo, non disdegnò antenati sia buoni che cattivi per conformarsi alla condizione umana, mentre scelse di nascere da una vergine come prova miracolosa della sua divinità.
Invano dunque Fausto, che col suo dente sacrilego infierisce piuttosto contro se stesso, accusa la sacra Scrittura, a ragione venerata ormai in tutto il mondo: essa, come ho detto sopra, quale specchio nitido e fedele non accetta di adulare nessuno, ma o giudica essa stessa le azioni degli uomini con la lode o la riprovazione oppure le fa giudicare ai lettori, e non solo indica uomini riprovevoli o lodevoli, ma anche non tace azioni lodevoli in uomini riprovevoli e azioni riprovevoli in uomini lodevoli.
Infatti, non perché Saul era un uomo riprovevole non è da lodarsi il fatto che egli, dopo aver tanto diligentemente indagato chi avesse mangiato nonostante la maledizione, tanto severamente cercò di castigarlo per obbedire a Dio che aveva ingiunto il divieto, ( 1 Sam 14,24-45 ) oppure il fatto che radiò dal suo regno negromanti e indovini; ( 1 Sam 28,3 ) né perché Davide era degno di lode, allora i suoi peccati, che Dio stesso gli rimprovera per mezzo del profeta, ( 2 Sam 12,1-14 ) sono da approvare o imitare.
Ugualmente, anche in Ponzio Pilato non si deve biasimare che contro le accuse dei Giudei giudicò innocente il Signore, ( Gv 19, 4.6 ) e in Pietro non si deve lodare che rinnegò tre volte il Signore, ( Mt 26,70-74 ) o che fu da lui chiamato Satana perché, non pensando secondo Dio, lo voleva allontanare dalla sua passione, cioè dalla nostra salvezza: dunque egli, poco prima chiamato beato, ( Mt 16,17 ) poco dopo è chiamato Satana. ( Mt 16,22-23 )
Ma ciò che in lui prevalse, ce lo testimoniano il suo apostolato e la corona del martirio.
Così pure del re Davide leggiamo i peccati, ma leggiamo anche le azioni rette.
In cosa egli fosse superiore o donde derivasse la sua vittoria risulta sufficientemente chiaro non alla cecità malevola con cui Fausto si scaglia contro i libri e gli uomini santi, ma alla prudenza religiosa con cui si possono scorgere e discernere l'autorità divina e i meriti umani.
Che costoro leggano, e vedano come Dio rimproverò a Davide più cose che Fausto stesso; ( 2 Sam 12; 2 Sam 24 ) ma lì si trova anche il sacrificio della penitenza, lì si trova anche quella incomparabile mansuetudine persino verso il nemico più terribile e crudele il quale, tutte le volte che cadde nelle sue mani potentissime, fu da lui con mani pietosissime rilasciato incolume. ( 1 Sam 24; 1 Sam 26 )
Lì c'è una memorabile umiltà sotto la sferza di Dio e una cervice regale così sottomessa al giogo del Signore che egli, nonostante fosse armato e scortato da armati, sopportò con infinita pazienza amari insulti dalla bocca del nemico e trattenne con estrema modestia il compagno che, infiammato d'ira perché il suo re doveva sentire tali cose, era già sul punto di abbattersi con destra vendicatrice sulla testa dell'oltraggiatore, aggiungendo al suo ordine regale il peso del timore di Dio e dicendo che quella era la ricompensa per i propri meriti da parte del giudizio celeste, dal quale chi lo insultava era stato mandato per bersagliarlo con simili ingiurie. ( 2 Sam 16 )
Lì c'è un amore così grande del pastore per le greggi a lui affidate che egli avrebbe voluto morire per loro, allorché, dopo il censimento del popolo, Dio volle punire il suo peccato di orgoglio proprio diminuendo con la morte di molti quel numero, la cui ampiezza aveva tentato di superbia il cuore del re: con questo occulto giudizio Dio, ( Rm 9,14 ) presso il quale non c'è ingiustizia, sottrasse a questa vita quelli che trovò indegni di essa e allo stesso tempo, in colui che si era esaltato per l'abbondanza di uomini, guarì la gonfiezza dell'animo umano con la diminuzione di quell'abbondanza.
Lì il religioso timore di Dio custodiva il mistero di Cristo nella santa unzione a tal punto che il suo cuore trepidò di pia preoccupazione quando, di nascosto, tagliò un pezzetto della veste dello stesso Saul per avere di che dimostrargli che, pur potendo, non aveva voluto ucciderlo.
Lì lo si trova così saggio verso i figli e di tale clemenza che, sebbene non pianse la morte del bimbo innocente, per la cui malattia aveva supplicato il Signore prostrandosi con molte lacrime e con gli abiti dimessi dell'umiliato, egli stesso voleva mantenere in vita - e pianse quando fu ucciso - un giovane figlio rovinato dal furore parricida, che aveva macchiato il letto paterno con stupri nefandi e conduceva contro il padre una guerra criminosa: prevedendo le pene eterne della sua anima avviluppata in così grandi delitti, desiderava che, onde evitarle, egli vivesse, per correggersi e umiliarsi mediante la penitenza. ( 2 Sam 18 )
Queste e molte altre cose degne di lode e di imitazione si troveranno in quell'uomo santo, se si scruta la Scrittura che parla di lui con un animo non perverso, e soprattutto se seguiamo con mente sottomessa, pietosa e pienamente fedele il giudizio di Dio, che conosceva il segreto del suo cuore: lì egli fu così gradito al cospetto di Colui che non può ingannarsi, che egli lo propose ai suoi figli come esempio da imitare.
Che altro infatti vedeva lo Spirito di Dio se non le profondità del suo cuore quando, rimproverato dal profeta, Davide disse: Ho peccato e immediatamente, a seguito di queste uniche parole, meritò di udire che aveva ricevuto il perdono?
E a che scopo, se non per la salvezza eterna? Dio infatti non tralasciò di colpirlo con sferza di padre secondo quanto gli aveva minacciato, affinché confessando venisse liberato per l'eternità e soffrendo fosse provato temporalmente.
E non fu certo prova mediocre della forza della sua fede, o piccolo indizio di un'anima mite e obbediente il fatto che egli, avendo udito dal profeta che Dio lo aveva perdonato, e vedendo tuttavia accadere di seguito ciò che gli era stato minacciato, non disse di essere stato ingannato dalla menzogna del profeta né mormorò contro Dio come se avesse proclamato un falso perdono per i suoi peccati.
Quell'uomo profondamente santo, elevando l'anima sua non contro, ma verso Dio, comprendeva di quali pene eterne, se il Signore non fosse propizio a chi confessa e si pente, sarebbero stati degni i suoi peccati; quando per essi era tormentato da correzioni temporali, vedeva dunque sia che gli veniva conservato il perdono sia che non gli era negata la medicina.
Perché invece Saul, rimproverato da Samuele, pur dicendo anch'egli: Ho peccato, ( 1 Sam 15,24 ) non meritò di udire ciò che udì Davide, che cioè il Signore lo aveva perdonato?
Forse presso Dio c'è preferenza di persone? Non ce n'è. ( Gal 2,6 )
Ma sotto quella voce, simile a udirsi per il senso umano, c'era un cuore diverso, che l'occhio divino discerneva.
Cosa ci viene insegnato con tali esempi, se non che il regno dei cieli è dentro di noi ( Lc 17,28 ) e che dobbiamo adorare Dio nella nostra intimità, affinché la bocca parli dell'abbondanza del cuore, ( Mt 12,34 ) e il popolo non lo onori con le labbra mentre il cuore è lontano da lui? ( Mt 15,8 )
Che non dobbiamo permetterci di giudicare gli uomini, dei quali non possiamo vedere l'intimità, in modo diverso da Dio, che invece può fare questo e non può essere ingannato o sedotto?
E che, essendo la sua chiarissima sentenza su Davide all'interno della così alta autorità della Divina Scrittura, l'umana temerarietà, che pensa diversamente, è da deridere o meglio da compiangere?
Dunque, in merito agli uomini antichi si deve credere a quei libri divini, che con tanto anticipo hanno predetto ciò che ora vediamo nel presente.
Cos'altro apprendiamo nel Vangelo, quando si sente Pietro confessare Cristo come Figlio di Dio ( Mt 16,16 ) con parole che sono parimenti pronunziate anche dai demoni, ma con cuore di gran lunga diverso? ( Lc 8,28 )
Dunque in parole identiche si loda la fede di Pietro e si raffrena l'impurità dei demoni.
Da parte di chi, se non di colui che, non con orecchio umano ma con intelligenza divina, sa vedere le intime radici di quelle parole e distinguerle senza inganno alcuno?
Quanti altri uomini, infatti, affermano che Cristo è il Figlio del Dio vivo e tuttavia non sono paragonabili ai meriti di Pietro!
Non solo quelli che diranno in quel giorno: Signore, Signore e sentiranno rispondersi: Allontanatevi da me; ( Mt 7,22-23 ) ma anche quelli che saranno raccolti sulla destra, ( Mt 25,33 ) moltissimi dei quali mai rinnegarono Cristo, oppure una sola volta, né disapprovarono che egli patì per la nostra salvezza, né costrinsero i gentili a giudaizzarsi: ( Gal 2,14 ) e tuttavia non appariranno uguali a Pietro, che fece queste cose e siede su uno dei dodici troni e giudica non solo le dodici tribù, ma anche gli angeli.
Allo stesso modo, molti che non desiderarono la moglie di nessuno né perseguitarono sino alla morte il marito di colei che desideravano, non possono avere presso Dio il merito di Davide, che compì tutto questo.
Tanto grande è la differenza tra ciò che uno detesta di se stesso, così tanto da volerlo estirpare dalla radice, e ciò che al posto di quello nasce, fruttifero e abbondante per grande fertilità: poiché anche all'agricoltore piacciono di più i campi che, una volta sradicate le spine per grandi che siano, producono il cento per uno, rispetto a quelli che non hanno mai avuto spine e a fatica raggiungono il trenta.
Ciò vale anche per Mosè: servo fedelissimo di Dio in tutta la sua casa, ministro della legge santa e del comandamento santo, giusto e buono, al quale l'Apostolo dà testimonianza ( Eb 3,5; Rm 7,12 ) - sono infatti sue le parole che ho ricordato -, ministro anche dei misteri, non di quelli che già donano la salvezza ma di quelli che ancora promettevano il Salvatore, come il Salvatore stesso conferma dicendo: Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scritto ( Gv 5,46 ) ( di questo abbiamo trattato a suo luogo per quanto ci è parso opportuno, contro le sfacciate calunnie dei Manichei ); Mosè, che fu servitore del Dio vivo, del Dio vero, del Dio sommo, di colui che creò il cielo e la terra non da materia estranea ma dal nulla, non perché lo premeva la necessità ma perché traboccava di bontà, non mediante il supplizio di un suo membro ma mediante la potenza della sua parola; Mosè, umile nel rifiutare tanto grande ministero, ( Es 4,10 ) sottomesso nell'assumerlo, fedele nel mantenerlo, strenuo nell'esercitarlo; prudente nel governare il popolo, impetuoso nel correggerlo, ardente nell'amarlo, paziente nel sostenerlo; che in favore di coloro di cui era alla guida fece da mediatore con Dio quando era propizio e gli si pose davanti quando era adirato: su un uomo tale e così grande, lungi da noi il giudicare secondo la bocca maldicente di Fausto!
Giudichiamo invece secondo la bocca totalmente veritiera di Dio, il quale conosce veramente l'uomo, che è opera sua, e riconosce come giudice in coloro che non li confessano e perdona come padre a coloro che li confessano i peccati, che non sono opera sua.
Per le parole della sua bocca dunque amiamo, ammiriamo e imitiamo per quanto ci è possibile il suo servo Mosè, poiché gli siamo assai inferiori nei meriti, anche se non abbiamo ucciso o spogliato alcun Egiziano né fatto alcuna guerra: egli compì la prima azione in qualità di futuro difensore, la seconda per comando di Dio.
Ometterò per ora il fatto che quando Mosè colpì l'Egiziano, ( Es 2,12 ) sebbene non fosse stato Dio a ordinarglielo, la divina volontà permise tuttavia che ciò gli accadesse in quanto personaggio profetico, per significare qualcosa di futuro.
Non mi occupo al momento di questo livello dei fatti e ne tratto invece come se non avessero senso profetico.
Consultata la legge eterna trovo che egli, privo di legittimo potere, non doveva uccidere quell'uomo, sebbene oltraggioso e malvagio.
Tuttavia spesso le anime capaci e feconde rispetto alla virtù presentano vizi che rivelano quale sia la virtù ad esse più congeniale qualora le si coltivi con i precetti.
Come accade agli agricoltori: quando vedono che un terreno produce erbe abbondanti sebbene inutili, lo giudicano adatto ai cereali; se vedono la felce, pur sapendo che va sradicata, capiscono che il luogo è adeguato a vigneti vigorosi; quando notano un colle rigoglioso di oleastri, non dubitano che, coltivato, diverrà buono per gli olivi.
Così quel moto dell'animo con cui Mosè, pur senza averne l'autorità, non tollerò che un suo fratello straniero ingiuriato da un cittadino malvagio rimanesse senza vendetta, non era inutile dal punto di vista dei frutti della virtù: egli, ancora incolto, generava certo frutti viziosi, segni però di una grande fertilità.
Infine, colui che per mezzo del suo angelo con parole divine chiamò Mosè sul monte Sinai per liberare attraverso di lui il popolo di Israele dall'Egitto, e lo preparò al frutto dell'obbedienza con il prodigio della visione del roveto che ardeva senza consumarsi e con la parola del Signore, ( Es 3,4 ) è lo stesso che ha chiamato dal cielo Saulo che perseguitava la Chiesa e che lo ha abbattuto, sollevato, colmato, quasi che lo abbia colpito, potato, innestato, fecondato. ( At 9,4 )
Infatti la ferocia con cui Paolo, ad emulazione delle tradizioni dei suoi padri, perseguitava la Chiesa, ( Gal 1,14 ) credendo di servire Dio, era come un vizio selvatico, indizio però di grande fecondità.
Stessa cosa per Pietro, quando volendo difendere il Signore sguainò la spada e tagliò un orecchio al persecutore: azione che il Signore gli rimproverò con tono piuttosto minaccioso dicendo: Rimetti la spada nel fodero, perché chi mette mano alla spada perirà di spada. ( Mt 26,51-52 )
Si serve della spada chi, senza che un'autorità superiore glielo ordini o glielo permetta, si arma per spargere il sangue di qualcuno.
Il Signore infatti aveva certo ordinato ai discepoli di portare la spada, ma non aveva loro ordinato di ferire con essa.
Cosa c'è dunque di strano se Pietro dopo questo peccato fu costituito pastore della Chiesa, così come Mosè dopo aver colpito l'Egiziano fu costituito capo della Sinagoga?
Ciascuno dei due, infatti, oltrepassò i limiti della giustizia non per una crudeltà esecrabile, ma per un'animosità emendabile, e ciascuno peccò per odio verso la malvagità altrui e per amore, sebbene ancora carnale, l'uno verso il fratello, l'altro verso il Signore.
Questo vizio va reciso e sradicato: tuttavia un cuore grande va coltivato perché produca le virtù, come la terra i frutti.
Cosa dunque obietta Fausto in merito alla spoliazione degli Egiziani, senza sapere quel che dice?
Compiendola, Mosè a tal punto non peccò, che avrebbe peccato non compiendola. ( Es 3,21-22; Es 11,2; Es 12,35-36 )
L'aveva infatti ordinata Dio, che sa ciò che ciascun uomo debba patire e per mezzo di chi, in base non solo alle sue azioni, ma anche al suo cuore.
Certo quel popolo era ancora carnale e posseduto dalla cupidigia delle cose terrene, ma gli Egiziani erano sacrileghi e iniqui; infatti usando male di quell'oro, cioè di una creatura di Dio, per ingiuriare il Creatore, servivano i propri idoli e vessavano ingiustamente e duramente uomini stranieri facendoli lavorare senza mercede.
Dunque gli uni erano degni di ricevere quell'ordine, gli altri di subirlo.
E forse gli Ebrei, più che ricevere un ordine, furono lasciati liberi di agire secondo la loro volontà e i loro desideri; Dio volle però far conoscere loro il suo permesso attraverso il suo servo Mosè, quando gli comandò di annunziarlo.
Può anche darsi che esistano altre cause occultissime per cui Dio lo abbia detto a quel popolo: ma ai comandi di Dio si deve cedere obbedendo, e non resistere discutendo.
L'Apostolo disse: Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? ( Rm 11,34 )
Quindi, quanto al fatto che Dio disse al popolo per mezzo di Mosè che chiedessero agli Egiziani ciò di cui avevano bisogno per portarlo con sé, che la causa sia quella che ho detto, oppure qualunque altra nascosta nei piani segreti e reconditi di Dio, tuttavia confermo che ciò non fu detto né invano né iniquamente, e che non sarebbe stato lecito a Mosè fare altrimenti da come Dio aveva detto: così che al Signore spettò la decisione di comandare e al servo l'obbligo di eseguire.
" Ma in nessun modo si deve credere - dice - che il Dio vero e buono abbia ordinato tali cose ".
Al contrario: cose simili non le ordina con diritto se non il Dio vero e buono, l'unico a conoscere ciò che si deve ordinare a ciascuno, e l'unico a non permettere che alcuno patisca qualcosa di non congruo.
Del resto, questa ignorante e falsa bontà del cuore umano contesterebbe anche Cristo, affinché gli empi non soffrano nulla per ordine del Dio buono, quando egli dirà agli angeli: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla.
Egli tuttavia vietò questa stessa cosa ai servi che volevano compierla al momento non opportuno: Perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. ( Mt 13,29-30 )
Dunque solo il Dio vero e buono sa cosa, quando, a chi e per mezzo di chi comanda o permette che qualcosa accada.
Questa invece, che non è bontà umana, ma chiaramente falsità, avrebbe potuto anche contestare lo stesso Signore, quando accondiscese al malvagio desiderio dei demoni che desideravano e chiedevano di entrare nei porci, ( Mt 8,31-32 ) soprattutto perché i Manichei credono che non solo i porci, ma anche gli animali più piccoli e abbietti possiedano un'anima umana.
Respinta e lasciata cadere questa assurdità, è tuttavia evidente che il Signore nostro Gesù Cristo, unico Figlio di Dio e pertanto egli stesso Dio vero e buono, accondiscese al desiderio dei demoni provocando la morte di una mandria altrui, la rovina di non importa quali esseri viventi e un grave danno per gli uomini.
Ma chi sarebbe così folle da dire che non li avrebbe potuti cacciare dagli uomini anche senza garantire alla loro malvagia volontà la morte dei porci?
Dunque, se il desiderio di spiriti dannati e già destinati al fuoco eterno, per quanto crudele e iniquo, fu dal creatore e ordinatore di tutti gli esseri, con una ragione certo occulta ma completamente giusta, condotto là dove inclinava, che c'è di assurdo se gli Egiziani, dominatori iniqui, meritarono di essere privati dei beni terreni, usati nel culto sacrilego a ingiuria del creatore, per mano degli Ebrei, uomini liberi ai quali erano debitori anche della mercede di un lavoro tanto duro e ingiusto?
Tuttavia, se Mosè avesse ordinato ciò di sua iniziativa, o di loro iniziativa gli Ebrei lo avessero compiuto, avrebbero senz'altro peccato: sebbene forse peccarono, non perché fecero ciò che Dio aveva ordinato o permesso, ma perché concupirono quei beni.
Comunque, fu loro permesso di farlo per divino disegno, per il giudizio e la bontà di colui che sa reprimere con le pene i malvagi e istruire i sottomessi, dare precetti superiori ai più sani e disporre appropriati gradi medicinali per i più deboli.
Mosè però non può essere accusato né di cupidigia, come se avesse desiderato quei beni, né di riottosità, come se avesse disprezzato qualcuno degli ordini divini.
La legge eterna che ordina di preservare l'ordine naturale e vieta di alterarlo ha collocato per gli uomini alcune azioni quasi in un punto medio, affinché la sfrontatezza nell'usurparle venga meritatamente redarguita e l'obbedienza nell'eseguirle giustamente lodata.
A tal punto, nell'ordine naturale, è importante quale azione si compia, e sotto quale autorità.
Se Abramo avesse immolato il figlio di sua volontà, cosa sarebbe stato, se non un uomo orribile e folle?
Se invece fu Dio a ordinarglielo, cosa fu se non un uomo fedele e devoto? ( Gen 22,10 )
La verità stessa proclama ciò a tal punto che Fausto, terrorizzato dalla sua voce, pur giungendo sino alla menzogna calunniosa nel cercare con le unghie e coi denti cosa dire contro Abramo, non ha tuttavia osato rimproverarglielo: a meno che non si sia dimenticato di questa azione, così famosa che dovrebbe venirgli in mente anche senza leggerla o ricercarla, e che essendo cantata in tante lingue e dipinta in tanti luoghi ferirebbe gli orecchi e gli occhi che volessero nasconderla.
Pertanto, se l'uccidere un figlio è esecrabile come moto spontaneo, quando invece è compiuto da un servo in obbedienza a un ordine di Dio non solo non è colpevole, ma è anche lodevole: perché, Fausto, rimproveri a Mosè di aver spogliato gli Egiziani dei loro beni?
Se ti irrita la presunta umana malvagità di chi fece questo, ti atterrisca l'autorità divina di chi lo ordinò!
Oppure sei pronto a insultare Dio stesso che voleva tali cose?
Lungi da me, Satana, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. ( Mt 16,23 )
Magari tu fossi degno come Pietro di udire queste parole, e predicassi poi quello che con mente malata rimproveri a Dio, allo stesso modo in cui egli in seguito proclamò alle genti con annunzio glorioso ciò che prima, quando il Signore voleva che accadesse, gli dispiaceva!
Se dunque, alla fine, l'umana durezza e la volontà malvagia e pervertita nella rettitudine comprende che c'è una grande differenza tra l'ammettere qualcosa per umana cupidigia o temerarietà e l'obbedire a un comando di Dio, il quale sa cosa, quando, a chi permettere o ordinare, e cosa sia conveniente per ciascuno fare o subire, non si meravigli o si scandalizzi delle guerre intraprese da Mosè, poiché seguendo in esse i comandi divini egli non fu crudele ma obbediente, né Dio nell'ordinarle era crudele, bensì ripagava chi meritava secondo i suoi meriti e intimoriva i degni.
Cosa infatti si biasima nella guerra? Forse il fatto che muoiano quelli che sono destinati a morire, perché i destinati a vivere siano sottomessi nella pace?
Obiettare questo è proprio dei paurosi, non dei religiosi.
Il desiderio di nuocere, la crudeltà della vendetta, l'animo non placato e implacabile, la ferocia della ribellione, la brama di dominare e simili: è questo che a ragione si biasima nelle guerre.
È soprattutto per punire a buon diritto simili cose che le guerre vengono intraprese dai buoni, per ordine di Dio o di qualche altro potere legittimo, contro la violenza di chi si oppone, quando essi vengono a trovarsi in una congiuntura delle umane vicende tale che la situazione stessa li costringe giustamente o a ordinare qualcosa di simile o ad eseguirlo.
Altrimenti Giovanni, quando i soldati andavano da lui per farsi battezzare chiedendo: E noi che dobbiamo fare? avrebbe risposto: " Abbandonate le armi, disertate dal servizio militare, non colpite né ferite né abbattete nessuno "; ma sapendo che essi, quando compivano tali cose nella milizia, non erano omicidi ma servitori della legge, non vendicatori delle loro offese personali ma difensori della salvezza pubblica, rispose: Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe. ( Lc 3,14 )
Ma poiché i Manichei sono soliti oltraggiare apertamente Giovanni, ascoltino almeno lo stesso Signore Gesù Cristo, che ordina di dare a Cesare la paga che Giovanni dice deve bastare al soldato: Rendete, disse, a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. ( Mt 22,21 )
Infatti i tributi si versano per fornire lo stipendio ai soldati, necessari a causa delle guerre.
A ragione poi lodò la fede di quel centurione che diceva: Anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa, ( Mt 8,9-10 ) e non gli ordinò di disertare dalla milizia.
Ma sarebbe lungo adesso discutere sulle guerre giuste e ingiuste, e non è necessario.
Quello che ci interessa è per quali motivi e sotto quali autorità gli uomini intraprendano le guerre.
Tuttavia, l'ordine naturale conformato affinché i mortali stiano nella pace esige che l'autorità e la decisione di intraprendere una guerra spettino al principe, e che i soldati debbano eseguire gli ordini di guerra a favore della pace e della salvezza comune.
Invece, la guerra che si intraprende sotto l'autorità di Dio, non è lecito dubitare che sia intrapresa giustamente allo scopo di intimorire, distruggere o soggiogare la superbia dei mortali, dal momento che neppure quella che si fa per l'umana cupidigia può nuocere non solo al Dio incorruttibile, ma neppure ai suoi santi, ai quali piuttosto risulta utile per esercitare la pazienza, umiliare l'anima e sopportare la disciplina paterna.
Nessuno infatti ha su di essi il potere, se non colui al quale fu dato dall'alto.
Non esiste potere che non venga da Dio, ( Rm 13,1 ) sia che egli comandi sia che permetta.
Dunque se un giusto, che si trovi a militare sotto un re umano magari sacrilego, può a buon diritto combattere ai suoi ordini per mantenere la pace e l'ordine civile ( infatti, o è sicuro che l'ordine impartito non va contro il precetto di Dio o, al contrario, se ciò non è sicuro, così che talora l'iniquità dell'ordine rende colpevole il re, il dovere dell'obbedienza indica comunque che il soldato è innocente ), a maggior ragione è totalmente innocente nell'occuparsi della guerra chi combatte per ordine di Dio il quale, come nessuno che lo serve ignora, non può ordinare nulla di cattivo.
Se i Manichei pensano che Dio non abbia potuto ordinare di intraprendere una guerra perché in seguito il Signore Gesù Cristo disse: Io vi dico di non opporvi al male; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche la sinistra, ( Mt 5,39 ) dovrebbero capire che questa disposizione non è nel corpo, ma nel cuore; lì infatti si trova la santa dimora della virtù, che abitava anche in quegli antichi giusti, nostri padri, ma l'ordine dei tempi richiedeva un andamento e uno svolgimento delle cose tale che in primo luogo apparisse che anche gli stessi beni terreni, che includono regni umani e vittorie sui nemici, per i quali soprattutto la città degli empi sparsa per il mondo suole supplicare gli idoli e i demoni, non ricadono se non sotto il potere e l'arbitrio dell'unico vero Dio.
Per questo il Vecchio Testamento, mediante le sue promesse terrene, coprì e in qualche modo nascose con fitte ombre il segreto del regno dei cieli, che doveva essere rivelato al tempo opportuno.
Ma quando venne la pienezza dei tempi, in cui si sarebbe rivelato il Testamento Nuovo, che era velato dalle figure del Vecchio, doveva ormai essere dimostrato con testimonianza evidente che c'è un'altra vita, per la quale si deve disprezzare questa vita, e un altro regno, per il quale conviene sopportare con ogni pazienza l'opposizione di tutti i regni terreni.
Ecco perché coloro mediante le cui confessioni, passioni e morti piacque a Dio di testimoniare questo vengono chiamati Martiri, che in latino significa testimoni: fiorirono in così gran numero che, se Cristo che chiamò dal cielo Paolo e trasformatolo da lupo in pecora lo mandò in mezzo ai lupi, ( At 9 ) avesse voluto radunarli, armarli e sostenerli nel combattimento, così come aiutò i padri ebrei, quali Gentili avrebbero potuto resistere?
Quali regni non avrebbero ceduto? Ma perché fosse data una testimonianza evidentissima alla verità, in nome della quale già si doveva insegnare che Dio va servito non per la felicità temporale in questa vita, ma per la felicità eterna dopo questa vita, si doveva subire e sopportare per quella felicità ciò che comunemente si chiama infelicità.
E così nella pienezza dei tempi il Figlio di Dio, nato da donna, nato sotto la legge per redimere quelli che stavano sotto la legge, ( Gal 4,4-5 ) nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, ( Rm 1,3 ) invia i suoi discepoli come pecore in mezzo ai lupi e li esorta a non avere paura di coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima, e promette anche la rinnovata integrità del corpo, fino al recupero anche di un solo capello; ( Mt 10, 16. 28.30 ) ordina a Pietro di riporre la spada nel fodero, ricostituisce nella forma precedente l'orecchio troncato del nemico, afferma che avrebbe potuto comandare a legioni di angeli di distruggere i nemici, se non fosse che doveva bere il calice che la volontà del Padre gli aveva preparato; ( Mt 26,52-53; Lc 22,42; Gv 18,11 ) lo beve egli per primo, lo dà a bere a quelli che lo seguono, col suo insegnamento rivela la virtù della pazienza, col suo esempio la conferma.
Per questo Dio lo ha resuscitato dai morti e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre. ( Fil 2,9-11 )
Pertanto i patriarchi e i profeti hanno regnato qui, per mostrare che è Dio a dare e a togliere questi regni, mentre gli apostoli e i martiri non hanno regnato qui, per svelare che si deve desiderare di più il regno dei cieli.
Quelli, essendo re, fecero guerre, perché apparisse che anche tali vittorie erano ottenute per volere di Dio; questi, non offrendo resistenza, furono uccisi, per insegnare che essere uccisi per la fede nella verità è una vittoria ancora più grande.
Tuttavia anche là i profeti sapevano morire per la verità, come dice il Signore stesso: Dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ( Mt 23,35 ) e dopo che cominciò a compiersi ciò che nella figura di Salomone ( che in latino significa " Pacifico " ) è profetizzato di Cristo Signore ( è infatti lui la nostra pace ( Ef 2,14 ) ) nel Salmo, cioè: A lui tutti i re della terra si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni, ( Sal 72,11 ) anche gli imperatori cristiani, riponendo in Cristo la piena fiducia che viene dalla pietà, ottennero una vittoria gloriosissima sui nemici sacrileghi che avevano riposto la loro speranza nel culto degli idoli e dei demoni.
Questi furono ingannati dai vaticini dei demoni, quelli furono rafforzati dalle predizioni dei santi: secondo quanto affermano prove chiarissime e conosciutissime, che alcuni hanno già hanno affidato per iscritto alla memoria.
Se poi a codesti sciocchi sembra strano che Dio comandò una cosa ai dispensatori dell'Antico Testamento, in cui veniva velata la grazia del Nuovo, e un'altra ai predicatori del Nuovo Testamento, in cui veniva svelata l'oscurità dell'Antico, osservino lo stesso Cristo Signore che cambia ciò che aveva detto e dice altro: Quando vi ho inviato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?
Risposero: Nulla. Ed egli soggiunse: Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una.
Senza dubbio costoro, se leggessero queste due affermazioni diverse in ciascuno dei due Testamenti, l'Antico e il Nuovo, griderebbero che i due Testamenti si contraddicono.
Che risponderanno dunque ora, quando il Signore stesso dice: Prima vi ho inviato senza borsa, né bisaccia, né sandali, e non vi è mancato nulla; ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una?
Forse comprendono già come i precetti, i consigli o le promesse mutino non per l'incostanza di chi li impartisce, ma per la sapienza di chi li dispensa a seconda della diversità dei tempi?
Se dicono che parlò di prendere borsa e bisaccia e di comprare una spada in ragione di un certo mistero, perché non ammettono che in ragione di un certo mistero il medesimo unico Dio ha ordinato allora ai profeti di fare guerre e lo ha proibito adesso agli apostoli?
Infatti, nel passo del Vangelo che abbiamo ricordato non c'erano soltanto le parole del Signore, ma anche gli atti dei discepoli ad esse obbedienti che ne seguirono.
Allora andarono senza borsa né bisaccia e nulla mancò loro, come ci hanno fatto intendere la sua domanda e la loro risposta.
E ora, quando comandò di comprare una spada, gli dissero: Ecco qui due spade ed egli rispose: Basta.
Per questo Pietro si trovava armato, quando tagliò l'orecchio del persecutore: in quel momento viene frenata la sua audacia spontanea, ( Lc 22, 35-36. 38.50-51 ) poiché non gli era stato ordinato di ferire con la spada, come invece gli era stato ordinato di prenderla.
Rimaneva certamente nascosta la volontà del Signore, perché mai avesse loro ordinato di portare un'arma che non voleva che usassero.
In ogni caso, a lui spettava di comandare con criterio, ad essi di eseguire i comandi senza reticenza.
Dunque con calunniosa ignoranza si rimprovera a Mosè di aver fatto la guerra: egli che sarebbe meno colpevole se l'avesse fatta di sua iniziativa che se non l'avesse fatta essendo Dio ad ordinargliela.
Inoltre, osare rimproverare Dio stesso che comandò tali cose o non credere che il Dio giusto e buono abbia potuto ordinarle si addice a un uomo che - per dirlo con gentilezza - non è capace di pensare che per la divina provvidenza, la quale si estende per tutte le cose, dalle più alte alle più basse, non è né nuovo ciò che nasce né perisce ciò che muore, ma ogni singola cosa nel suo proprio ordine, natura o merito che sia, cambia o succede o permane; e che la retta volontà degli uomini si uniforma alla legge divina, mentre il desiderio disordinato viene represso con l'ordine della legge, in modo che né il buono vuole altro rispetto a ciò che gli è comandato né il malvagio può più di quanto gli è permesso, così che non può compiere impunemente quel che vuole di contrario alla giustizia.
Pertanto, fra tutte le cose che l'umana debolezza detesta o teme, solo l'iniquità è condannata con diritto: le altre sono o tributi da pagare alla natura o pene meritate per la colpa.
L'uomo diventa iniquo quando ama per se stesse cose che devono essere accettate per un altro fine, e quando ama per un altro fine cose che devono essere accettate per se stesse.
In tal modo, per quanto dipende da lui, perturba in sé l'ordine naturale che la legge eterna ordina di conservare.
L'uomo invece diventa giusto quando non desidera usare le cose per altro scopo se non quello per cui esse sono state istituite, e desidera gioire di Dio stesso per Lui stesso, e di sé e dell'amico in Dio stesso e a motivo di Dio stesso.
Infatti, chi ama nell'amico l'amore di Dio, ama l'amico a motivo di Dio.
Né l'iniquità né l'ingiustizia sarebbero in nostro potere, se non fossero nella nostra volontà.
Se non fossero in nostro potere, non ci sarebbe nessun premio né alcun giusto castigo: cosa sensata solo per chi sensato non è.
Invece l'ignoranza e la debolezza, per le quali l'uomo o ignora ciò che deve volere o non può tutto ciò che vorrebbe, provengono da una occulta disposizione delle pene e dagli imperscrutabili giudizi di Dio, nel quale non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 )
La fedele parola di Dio, infatti, ci ha rivelato il peccato di Adamo, ed è verità quanto sta scritto, che tutti muoiono in lui e che per mezzo di lui il peccato è entrato in questo mondo e attraverso il peccato la morte. ( Rm 5,12-19 )
E che in conseguenza di questo castigo il corpo si corrompa e appesantisca l'anima, e l'abitazione terrena opprima la mente occupata in molti pensieri, ( Sap 9,15 ) è per noi qualcosa di estremamente vero e conosciuto, come è certo che da questa giusta pena non ci libera se non la grazia misericordiosa.
Per questo l'Apostolo gemendo esclama: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?
La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro. ( Rm 7,24-25 )
Ma il criterio con cui Dio distribuisca giustizia e misericordia, perché a uno dia così e a un altro così, dipende da cause misteriose, però giuste.
Non ignoriamo tuttavia che tutto ciò accade per il giudizio o per la misericordia di Dio, sia pure secondo misure, numeri e pesi custoditi nel segreto: in base ad essi Dio, creatore di tutto, dispone tutte le realtà naturali e dà ordini, ( Sap 11,21 ) senza però esserne l'autore, anche ai peccati, in modo tale che le azioni che non sarebbero peccati se non fossero contro la natura sono giudicate e ordinate così da non permettere che turbino o deturpino la natura di tutto l'esistente, venendo assegnate a luoghi e condizioni corrispondenti ai loro meriti.
Stando così le cose, e dal momento che, per la segretezza dei giudizi di Dio e i moti della umana volontà, la medesima prosperità corrompe alcuni ed è usata con temperanza da altri, e che nelle medesime avversità alcuni vengono meno e altri prosperano, e che la stessa vita umana e mortale è sulla terra una tentazione: ( Gb 7,1 ) quale uomo conosce a chi, in pace, sia vantaggioso o nocivo regnare o servire, stare ozioso o morire, e in guerra comandare o combattere, vincere o essere ucciso?
Tuttavia è comunque evidente che chi è avvantaggiato non lo è se non per beneficio divino, e chi è danneggiato non lo è se non per giudizio divino.
A che pro dunque confutare accuse temerarie? Magari fossero rivolte agli uomini e non invece a Dio!
Sia che i dispensatori del Vecchio Testamento e annunziatori del Nuovo abbiano servito uccidendo i peccatori, sia che i dispensatori del Nuovo Testamento e espositori del Vecchio abbiano servito morendo per mano dei peccatori, tuttavia gli uni e gli altri hanno servito Dio, il quale in tempi diversi e opportuni insegna che i beni temporali vanno a lui domandati e a causa sua disprezzati, e che le molestie temporali possono essere da lui comandate e per lui devono essere sopportate.
Cosa dunque Mosè compì o ordinò di tanto crudele, quando, pieno di santo zelo per il popolo a lui affidato e desideroso che fosse sottomesso all'unico vero Dio, avendo saputo che si era abbandonato a fabbricare e adorare un idolo e aveva prostituito la sua mente impudica ai demoni, si vendicò con la spada su pochi di loro che Dio stesso, che avevano offeso, nel suo profondo e segreto giudizio aveva voluto che venissero assaliti e abbattuti, e così produsse un salutare terrore al presente e sanzionò la regola per il futuro?
Chi infatti non riconoscerà che egli fece quel che fece non per crudeltà, ma per grande amore, sentendo le parole che pronunziò pregando per il loro peccato: Se tu perdonassi il loro peccato! E se no, cancellami dal tuo libro? ( Es 32 )
Chiunque paragoni con prudenza e pietà quella strage e questa preghiera, vede immediatamente con chiarezza che grande male sia per l'anima fornicare attraverso i simulacri dei demoni, quando tanto si adira chi tanto ama.
Ugualmente anche l'Apostolo non per crudeltà, ma per amore, consegnò un uomo a Satana per la morte della sua carne, affinché lo spirito fosse salvo nel giorno del Signore Gesù. ( 1 Cor 5,5 )
Consegnò anche altri, perché imparassero a non bestemmiare. ( 1 Tm 1,20 )
I Manichei leggono degli scritti apocrifi, composti sotto il nome degli apostoli da non so quali cucitori di favole: opere che al tempo di quelli che le scrissero avrebbero meritato di essere accolte in seno all'autorità della santa Chiesa, se gli uomini santi e dotti che erano ancora in vita e potevano esaminarle avessero riconosciuto che essi dicevano la verità.
Comunque, lì leggono che l'apostolo Tommaso, trovandosi come forestiero e senza essere riconosciuto ad un convito di nozze, fu percosso con la mano da un servo e invocò su quell'uomo una vendetta duratura e crudele.
Infatti, quando quegli uscì e si recò alla fontana per servire acqua agli invitati, un leone lo assalì e lo uccise e la mano con cui aveva colpito leggermente il capo dell'apostolo, staccata dal corpo, fu portata nella sala da pranzo da un cane, secondo il desiderio e l'imprecazione dell'apostolo stesso.
Può vedersi crudeltà più grande? Ma poiché, se non mi inganno, c'è anche scritto che l'apostolo chiese per quell'uomo il perdono nel secolo futuro, ecco che ci fu il compenso di un beneficio maggiore: cosicché attraverso quell'atto terribile si indicò agli sconosciuti quanto l'apostolo fosse caro a Dio e si provvide a quell'uomo per l'eternità, dopo questa vita che ad un certo punto deve finire.
Se questo racconto sia vero o falso, ora non mi interessa.
Certamente i Manichei, che accettano come autentiche e veritiere quelle scritture che il canone ecclesiastico ha respinto, almeno qui sono costretti a riconoscere che la virtù della pazienza, che il Signore insegna dicendo: Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche la sinistra, ( Mt 5,39 ) può trovarsi nella disposizione del cuore, sebbene non si manifesti in un gesto del corpo e in un'espressione di parole, giacché l'Apostolo, quando fu percosso con la mano, preferì pregare Dio affinché nel secolo futuro perdonasse quel Davide uomo oltraggioso ma nel presente non lasciasse invendicata l'ingiuria, piuttosto che porgere l'altra guancia a chi lo colpiva o incitarlo a colpire una seconda volta.
Egli senza dubbio possedeva all'interno un sentimento di amore, e all'esterno domandava l'esempio della correzione.
Che ciò sia vero o inventato, perché mai non vogliono credere che il servo di Dio Mosè abbia abbattuto con la spada i fabbricanti e gli adoratori dell'idolo animato da un'analoga disposizione interiore, dal momento che nelle sue parole è ben evidente che implorò il perdono di quel peccato al punto da chiedere di essere cancellato dal libro di Dio se non lo avesse ottenuto?
E che somiglianza c'è tra il colpire con la mano un uomo sconosciuto e l'abbandonare e disprezzare, preferendogli un idolo, il Dio che li aveva liberati dalla schiavitù dell'Egitto facendoli attraversare il mare diviso, e aveva sommerso con le onde i nemici inseguitori?
Se poi paragoniamo i castighi, in cosa si assomigliano il perire di spada e l'essere trucidati e dilaniati dalle fiere, dal momento che i giudici che sono al servizio delle pubbliche leggi ordinano che i rei di maggior crimine vengano esposti alle bestie piuttosto che uccisi con la spada?
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