Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. Quale infine la palma della tolleranza, se il dolore delle ferite e delle flagellazioni, interrotta la via dei sensi, non riusciva a raggiungere l'animo?
A che giovò dunque l'adulazione di Apollinare?
A questo risultato evidentemente: tutta la bellezza delle virtú che il Cristo aveva espressa in sé, svuotata per le indebite lodi della sua natura, si afflosciasse e, denudata di tutto lo splendore della sua verità, offrisse a scherno il sacro magistero del Mediatore.
A questo si aggiungeva che non solo perdeva la caratteristica significativa delle sue opere, con l'essere più felice per la sua natività che per la sua virtú, ma era anche incalzato da crimini di frode, se intimava ai mortali: Spingetevi fino alla pazienza di un uomo che non sentiva nulla, e attraverso le vostre croci vere venite alle virtú di un corpo falso che non soffriva affatto.
Oppure: Vincendo le vostre reali e rabbiose eccitazioni, imitate la castità di colui che la debolezza ha fatto apparire pudico.
Certo non si può immaginare nulla di più sacrilego, nulla di più infame di tali trovate.
E Apollinare non aveva fatto tutte queste affermazioni.
A causa di quell'unica affermazione che all'uomo Cristo mancarono quei sensi che, donati dalla natura, cadono nei vizi non per il loro uso, ma per l'eccesso del loro uso, tutti questi errori che sono stati riferiti dai cattolici Apollinare, muto, se li trovò addosso per il pregiudizio della sua opinione.
Con l'affermazione appunto di tutte queste verità si costruisce la fede cattolica, e per la loro negazione o per la loro logica è stata composta e condannata l'eresia di Apollinare.
Tu quindi congettura che cosa si debba giudicare di te che condanni, come fece Manicheo, la mescolanza dei sessi; che apparti la natura della carne del Cristo dalla comunione degli uomini, secondo i manichei; che accusi la concupiscenza della carne, secondo i detti del tuo precettore Manicheo; che dici assente la concupiscenza dei sensi dal corpo del Cristo o secondo i manichei o secondo gli apollinaristi: e tuttavia vuoi non essere chiamato da noi né apollinarista né manicheo.
Comunque ti do una mano e ti faccio grazia, né ci pentiamo di questa liberalità: per quanto dipende da me, sarà lecito che tu non apparisca seguace di Apollinare, il quale è appunto inventore di una empietà minore; ma per quanto dipende da te, non è lecito che ti si chiami se non manicheo.
Agostino. Né apollinarista, né manicheo, ma vincitore degli eretici fu Ambrogio, il quale disse che non può essere senza delitto ogni uomo che nasca per mezzo della tua cliente, sia intendendo, sia spiegando, com'era opportuno, l'apostolo Paolo.
Tu al contrario, come l'ho indicato spessissimo, tanto più aiuti i manichei quanto più ti credi lontano da essi; ma sei un nuovo eretico pelagiano, loquacissimo nella discussione, calunniosissimo nella tenzone, fallacissimo nella professione di fede.
Non trovando infatti che dire, dici molte vacuità, rovesci sui cattolici un crimine falso, mentisci di essere cattolico.
Giuliano. Ho ben dimostrato nel terzo libro della mia prima opera come sarebbe irrefutabilmente necessario dire che anche il Cristo abbia tratto il reato dalla carne di Maria, se si credesse al peccato naturale, e che il Cristo è sottomesso al potere del diavolo da te che affermavi l'appartenenza al diritto del diavolo dell'universale sostanza degli uomini.
Agostino. Ciò che ricordi di avere dimostrato nel tuo terzo libro, io nel mio quinto libro ho provato che tu non lo hai dimostrato.
Giuliano. E perciò, lasciando per il momento questo tema, domando dove tu abbia letto che il Cristo fu eunuco per natura.
Agostino. Tu, se mai, dove hai letto che io l'abbia detto; o non è, come al solito, una tua calunnia?
Altro è la possibilità di seminare figli, che noi non diciamo assente dalla carne del Cristo, come la sappiamo assente invece dalla carne degli eunuchi; altro è la cupidità dei vizi, che tu tenti di persuadere posseduta dal Cristo - e ti vanti di essere cristiano -, perché evidentemente, come dicevi poco avanti: Il Cristo era anche incalzato da crimini di frode, se diceva ai mortali: Spingetevi fino alla pazienza di un uomo che non sentiva nulla, come se fosse conseguente che non senta i dolori inflittigli chi vuole e può non avere le cupidità cattive; o se diceva con le parole composte da te stesso: Vincendo le vostre reali e rabbiose eccitazioni, imitate la castità di colui che la debolezza ha fatto apparire pudico.
Sei infatti un cosí egregio amatore della castità da sembrarti più casto chi desidera le unioni illecite, ma per non perpetrarle resiste alla propria cupidità, di chi questi mali nemmeno li desidera, non per l'impossibilità della carne, ma per la sommità e la perfezione della virtú.
Anzi il primo sarebbe casto e il secondo invece non lo sarebbe affatto, ma lo sembrerebbe solamente, poiché secondo te, se fosse casto, concupirebbe per natura questi mali, ma coercirebbe con la virtú dell'animo la medesima cupidità naturale.
Cosí avviene che ti venga dietro, come ho già detto più sopra, quella orribile assurdità che ciascuno sia tanto più casto per volontà quanto più grande libidine abbia vinto nella sua natura, né le abbia permesso, per quanto forte essa fosse, di uscirsene in alcuni eccessi di lussuria; chi invece argina una minore libidine di turpitudini è meno casto, poiché secondo la tua sapienza o piuttosto secondo la tua demenza non è per nulla casto uno a cui " non piace ciò che non è lecito ".
Ecco ciò che tenti insanamente d'imporre al Cristo: di essere stato per natura il più libidinoso di tutti, per poter essere cosí il più casto di tutti con la forza della sua volontà.
Tanto maggiore appunto, come sostieni tu, sarebbe in lui lo spirito della continenza, quanto maggiore la concupiscenza della carne a cui facesse coercizione.
A questa frana ti ha condotto la tua cliente troppo diletta.
Giuliano. Il quale Cristo, sebbene sia nato da una vergine per essere un segno, tuttavia è vero anche che non avversò il sesso virile, cosí da perdere la sua verità, integro sotto tutti gli aspetti all'interno del suo corpo, integro all'esterno del suo corpo, un essere umano vero, un maschio perfetto, se si crede all'apostolo Pietro che ne discorre negli Atti; ( At 2,22.33 ) distinto per la sua intatta castità, custode dell'animo e degli occhi senza mai perdere nulla del vigore del suo cuore.
Ma che tutto questo lo abbia fatto in modo perfetto per la virtú della mente, non per la debolezza della carne; che in lui ci sia stata la concupiscenza della carne mescolata ai sensi di tutto il suo corpo, e ci sia stata la verità e la sanità e la struttura delle membra lo attestano in lui e il sonno e il cibo e la barba e il sudore e la fatica e la croce e la lancia.
Dunque non è che non ebbe i sensi del corpo, ma li resse.
È con questo che la fede dei cattolici sorpassa le genti, è con questo che sorpassa i manichei, perché la parola tanto della sua croce quanto della sua carne è stoltezza per coloro che vanno in perdizione, ma per quelli che si salveranno è potenza di Dio.
È con questo che Dio ha dimostrato la sua carità verso di noi, poiché gli elementi che l'empietà di Manicheo gli straccia da dosso, li assunse tutti la pietà del Mediatore.
Di nulla dunque mi vergogno nel mio Signore: delle membra, nelle quali venne per la mia salvezza, io ritengo la verità, per ricevere la solidità e la sommità del suo esempio.
Agostino. Altro è la verità delle membra che ogni cristiano riconosce nel Cristo, altro è la cupidità dei peccati che tu vuoi imporre al Cristo.
Dici infatti che è un bene la concupiscenza della carne, ossia la libidine, da te chiamata più volentieri concupiscenza naturale, e cosí arguisci che contrae colpa il suo eccesso, come quando qualcuno le abbia lasciato oltrepassare i limiti concessi, usando male di un bene.
Chiunque invece le abbia permesso d'inoltrarsi fino alle azioni lecite e concesse, né di procedere oltre, è degno di lode, come chi usa bene di un bene.
Perciò poiché vediamo che alcuni sono nati cosí da essere pressati da una libidine maggiore e altri da una libidine minore, se resistendo ad essa sono casti gli uni e gli altri, sei costretto a dire che i primi usano bene di un bene maggiore e gli altri usano bene di un bene minore.
Sarà quindi, te dottore, di cotesto tuo bene ciascuno tanto più copioso quanto più libidinoso, e tanto più laborioso nel combattere contro la sua libidine per la castità quanto più copioso di cotesto bene naturale, e perciò anche tanto più lodevole in questa virtú quanto più fortemente si oppone ad un bene maggiore che non se si opponesse ad un bene minore.
Poiché dunque il Cristo visse senza dubbio nella carne mortale più casto di tutti, tanto maggiore libidine naturale tu gli darai quanto meno potrai trovare chi sia stato più forte di lui nel reprimere la libidine.
Cosí infatti senza crimine di frode dirà ai suoi: Imitate la mia castità vincendo le reali e rabbiose vostre eccitazioni.
Queste eccitazioni appunto sono buone, ma si devono tuttavia frenare e vincere.
Come io ne ebbi di più forti, ma le repressi e le vinsi, perché non mi diceste: Per questo le vincesti, per questo vivesti castissimo nella tua carne mortale: per la ragione che in forza della felicità della tua natura avesti libidini minime e per te facilissime da vincere.
Siate casti dunque, perché io per togliervi i pretesti che vi impedissero d'imitarmi, volli nascere più libidinoso di voi e tuttavia non permisi mai alla mia fortissima libidine d'oltrepassare i confini concessi.
Questi orribili mostri ha partorito l'eresia vostra.
Giuliano. Io dico convintamente che nel Cristo tutta la santità si resse sull'interezza dell'animo e non sulla manchevolezza della carne.
Cosí infatti e si difende la natura, tanto nella sua creazione, quanto nella sua assunzione, e si dirige la vita degli uomini con l'imitazione delle virtú di lui.
Di queste due realtà non se ne può lodare una senza la verità dell'altra: tanta dignità sarà presente nell'operare santamente quanta verità sarà presente nel corpo umano, e tanto sarà disponibile per la difesa della carne quanto esigerà la santità della condotta.
E viceversa il biasimo di una si partecipa ad ambedue, poiché tanto si toglierà alle virtú di Gesú quanto si toglierà alle membra di lui, e se qualcosa si raschia dalla solidità della sua sostanza, crollano tutti gli ornamenti dei suoi costumi, e a danno della sua fortezza nel tollerare si ritorcono i guasti operati sul suo nascere; infine se la sostanza della sua carne si attenua con qualche sottrazione di elementi naturali, sfuma tutta la pompa delle sue virtú.
Nulla dunque negherò di quanto risulta naturale nelle membra del Mediatore, nato da donna.
E vedi quanto siano diversi i termini della ragione dai termini del pudore: non fa arrossire la fede dei cristiani dire che il Cristo ebbe i genitali, sebbene tuttavia li occultiamo in noi quanto più onestamente possiamo.
Agostino. Certo non fa arrossire la fede dei cristiani dire che il Cristo ebbe i genitali, ma tu avresti dovuto arrossire o piuttosto rabbrividire per non dire che i genitali del Cristo talvolta e anche contro la sua volontà - poiché non l'avrebbe mai dovuto volere lui che condusse vita celibe - si siano mossi tuttavia per libidine e che quella parte del suo santo corpo si sia eretta ad alcuni usi illeciti contro il suo santo proposito.
Tale libidine appunto quale tu tenti d'imporre al Santo dei santi, fa soffrire anche ogni categoria di santi.
Se però non osi dire che i genitali del Cristo fossero soliti muoversi ed erigersi a causa della concupiscenza contro la sua volontà, per quale ragione osi credere, o infelice, per quale ragione osi attribuire alla natura del Cristo tale libidine da far pensare agli uomini ciò che tu non osi affermare?
Giuliano. In tal modo la natura ha predisposto l'esistenza di certe realtà che, come la ragione, cosí la fede proclama con religioso rispetto e che tuttavia il pudore e la decenza morale non consente di esporre agli sguardi.
In questo modo anche il Maestro delle genti assegna la verità alla carne del Cristo e la santità al suo spirito: Dobbiamo confessare - scrive - che grande è il mistero della pietà: egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria. ( 1 Tm 3,16 )
Il che come raccomandò di crederlo con verità, cosí denunziò che alla fine del mondo sarebbero nati i contestatori di tale dottrina.
Infatti continua subito a dire: Negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza.
Costoro vieteranno il matrimonio, imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creati perché siano mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità.
Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio, è buono. ( 1 Tm 4,4 )
Dunque questa contaminazione delle Chiese, che tu hai vomitata con il tuo correre dietro a Manicheo, e questa prevaricazione di coloro che si allontanano dalla fede, prevaricazione che consiste nella predicazione del male naturale e nella condanna della mescolanza coniugale, l'Apostolo e le previde e le puní, indicando non solo che cosa si dicesse, ma anche che cosa ne seguisse.
Agostino. Tuttavia tu che non sai ruttare se non calunnie e non sai vomitare se non insulti, non hai osato contraddire le parole del cattolico uomo di Dio, che non puoi chiamare manicheo, che ti soffoca e dice che dalla unione dell'uomo con la donna è impossibile per chiunque nascere esente da delitto.23
Infatti coteste parole io e le ho già ricordate nel primo libro indirizzato a Valerio, dal quale, benché tu abbia tentato di confutarlo con quattro libri, hai avuto paura di attingere alcunché, e le stesse parole non le ho taciute in questo libro a cui ora rispondi;24 e tu, muto ancora contro di esse, non temi d'incriminare in me, benché senza farne il nome, costui al quale non osi opporti a viso aperto.
Giuliano. Infatti ciò che l'Apostolo afferma sulla futura dottrina di astenersi dai cibi non accusa certamente presso i dotti la parsimonia dei cristiani, né denunzia che possano esistere uomini che impongano la prova del digiuno, ma ha mostrato, poiché sorgevano alcuni a dire che tutti gli animali, creati da Dio per l'alimentazione dei mortali, erano macchiati di un male diabolico, in quanto nascevano dalla concupiscenza e dall'unione sessuale; ma ha espresso, dico, che cosa ne seguirebbe: si dovrebbe cioè rinunziare agli alimenti, se si credesse diabolica la loro propagazione.
Per cui anche tu rimuovi dagli animali questa diffamazione dell'unione dei corpi, perché sussista la ragione di simulare.
Tuttavia gli uomini che sono stati fatti ad immagine di Dio, per questa stessa concupiscenza di coloro che generano, li dici appartenere al diritto del diavolo.
Ambedue quindi, tu e Manicheo, avete un'unica causa per vituperare le sostanze e per attribuirle al diavolo: Manicheo però per questa attrattiva che si sente nella operazione naturale condanna tutti gli animali, tu invece non tutti ma i migliori: e questo è peggio.
Assolvi infatti i porci, i cani e gli asini, perché sembri che eviti i manichei; ma per questa medesima ragione di Manicheo condanni tutti gli uomini fatti ad immagine di Dio, e non trovando spazio per il male naturale in nessun'altra parte che nell'immagine di Dio, concioni contro di noi, accusatore dei santi e patrono degli asini.
Agostino. Cos'è che dici, o calunniatore dei cattolici e collaboratore dei manichei?
Cos'è che dici? Ti dovresti vergognare di tanta stoltezza, anche se tu avessi una fronte asinina.
Non sarebbe forse da appellare accusatore dei santi e patrono degli asini da chi fosse di tal cuore quale sei anche tu stesso colui che dicesse che per l'ignoranza della verità gli uomini possono diventare miseri, ma gli asini non possono essere miseri, pur non conoscendo la verità?
E tuttavia direbbe verissimamente.
Perché dunque non capisci, o asino, che similmente è vero altresí che dalla mescolanza di un maschio e di una femmina non possono nascere uomini esenti da delitto e possono nascere esenti da delitto gli asini?
O forse per questo pensi di sfuggire ai colpi che ti inseguono dell'autorità e della ragione, perché al carro del tuo errore unisci insieme uomini e asini in società di libidine?
Non delle pecore, ma degli uomini parlava Ambrogio dove affermò: Resta dunque che dall'uomo e dalla donna, cioè dalla mescolanza dei loro corpi, nessuno risulti esente da delitto.25
Cosí, costui, cosí cotesto dottore della Chiesa, era forse accusatore dei santi e patrono degli asini?
Corruttibile evidentemente è il corpo e dell'asino e dell'uomo, e tuttavia esso non appesantisce l'anima dell'asino, ma l'anima dell'uomo, perché appunto dell'uomo dice la Scrittura: Un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 )
Cosí dunque anche nella libidine riconosci e la natura della bestia e la pena dell'uomo, se non hai un'anima asinina.
Giuliano. Il Cristo pertanto, non meno uomo vero che Dio vero, non ebbe nulla di meno delle componenti naturali.
Ma era giusto che lui che dava l'esempio della perfezione emergesse su tutti per le iniziative delle virtú e che la sua castità, eccelsa per costante integrità, non smossa mai da nessun appetito di libidine, castità che si era distinta come la verginità di una mente santa, come la magnanimità domatrice di tutti i sensi dell'animo, come la superatrice dei dolori, diventasse per tutti i fedeli e imitabile per umanità e mirabile per sublimità.
Agostino. Tu dici la castità del Cristo " eccelsa per costante integrità ": ma sei un uomo per il quale l'integrità della castità non sembra esigere che i comportamenti illeciti non solo non si commettano per la grandezza e per la perfezione della volontà buona, ma non si concupiscano nemmeno.
Infatti chi concupisce i cattivi comportamenti, anche se non li perpetra resistendo alla sua concupiscenza, adempie certamente il precetto: Non andare dietro alle tue concupiscenze, ( Sir 18,30 ) ma non adempie il divieto della legge: Non concupire. ( Es 20,17 )
Il Cristo dunque che adempí perfettissimamente la legge, non concupí nessuno dei comportamenti illeciti, perché la discordia tra la carne e lo spirito, che si convertí nella natura degli uomini per la prevaricazione del primo uomo, non l'ebbe affatto lui che dallo Spirito e dalla Vergine non nacque attraverso la concupiscenza della carne.
In noi al contrario la carne concupisce contro lo spirito i comportamenti illeciti cosí da portarli assolutamente ad esecuzione, se anche lo spirito non concupisce tanto contro la carne da vincere su di essa.
Tu dici la mente del Cristo " domatrice di tutti i sensi ": ma da domare è ciò che resiste, mentre nella carne del Cristo non c'era nulla da domare, né la sua carne resisteva in qualcosa allo spirito cosí da dover essere domata dallo spirito.
Per il quale esempio di perfezione che è stato proposto ogni imitatore si deve spingere fino a questo limite: tentare e desiderare di non avere per nulla le concupiscenze della carne che l'Apostolo vieta di portare ad esecuzione. ( Gal 5,16 )
Cosí, infatti, con un quotidiano avanzamento le può indebolire per non averle più in nessun modo, quando avrà raggiunto la perfezione della salvezza.
Giuliano. Tu dunque nel modo più sacrilego, come in tutto il resto, hai detto che nella carne del Cristo non c'è stato ciò che è proprio della natura umana: il che non l'hai bevuto certamente da nessuna vena della ragionevole Scrittura, ma dal solo pantano dei manichei che ti hanno imbrogliato.
Ma perché apparisca più copiosa la difesa della verità, concediamo che tu abbia sognato che nel Cristo non ci sia stata quella che tu dici concupiscenza della carne: un errore sicuramente condannato prima nella pazzia furiosa di Manicheo e poi in quella di Apollinare.
Tuttavia in che potrebbe questo suffragare il tuo dogma, dal momento che non è conseguenza immediata che sia un male ciò che il Cristo non avesse voluto assumere?
Si direbbe che percorse le strade migliori accrescendo gradatamente i meriti delle sue buone azioni, ma che tuttavia non ha condannato i beni lasciati al di sotto di sé con la scelta dei beni superiori.
Come infatti non infamò le nozze seguendo l'integrità, cosí non avrebbe nemmeno condannato il senso della carne genitale, se non avesse voluto averne neppure la possibilità nella sua sostanza.
Agostino. Ho già detto più sopra che il Cristo non solo non perpetrò, ma nemmeno concupí comportamenti illeciti, per osservare la legge che dice: Non concupire. ( Es 20,17 )
Emana certamente nel cuore dei fedeli dalla vena della santa Scrittura e non dal pantano dei manichei questa verità che estingue il vostro dogma eretico.
Tu dici che io ho sognato che non ci sia stata la concupiscenza della carne resistente allo spirito nel Cristo, del quale tu non hai risparmiato nemmeno i sogni.
Sappiamo appunto che dormí il Cristo nel quale, se c'era cotesta tua pupilla, certamente qualche volta essa illudeva i suoi sensi sopiti con tali sogni da fargli sembrare anche di unirsi sessualmente, e cosí la sua carne, eccitata dagli stimoli di cotesto tuo bene, erigeva nel nulla i genitali ed effondeva semi che non servivano a nulla.
Se poi tremi a credere questo della carne del Cristo - non sei infatti talmente di pietra da non tremare per quello che io, sebbene lo abbia detto per redarguirti, non l'ho detto tuttavia senza tremore del cuore -, devi certamente confessare che nella natura del Cristo non solo senza danno, ma anzi con la lode di perfette virtú, non ci fu tale concupiscenza della carne quale sappiamo essere nella carne di tutti gli altri uomini e degli stessi santi.
Il tuo ragionamento poi che non segue sia un male la concupiscenza, anche concesso da te che il Cristo non l'abbia voluta prendere, come non condannò le nozze per il fatto che non volle sposarsi, è un ragionamento che si può fare della libidine delle bestie, per le quali essa non è un male perché non hanno il bene della ragione, per cui la loro carne non concupisce contro lo spirito.
Ma ciò che resiste allo spirito dell'uomo quando vuol fare il bene, per quanto grande sia la tua loquacità nel difenderlo, non può essere un bene.
Tanto quindi il Cristo si astenne dal peccato da astenersi pure da ogni cupidità di peccato: non che egli resistesse alla cupidità esistente in lui, ma essa non esisté mai assolutamente in lui.
E non che non potesse averla se voleva, ma non avrebbe voluto rettamente la cupidità del peccato, perché ad averla anche contro la sua volontà non lo costringeva la carne del peccato che egli non portava.
Perciò tutto quello che concupí fu lecito e tutto ciò che non era lecito non lo concupí quell'uomo perfetto, nato senza la mediazione della concupiscenza, che indifferentemente appetisce l'illecito e il lecito, ma nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria.
Nato infatti da una carne che lo concepí per opera dello Spirito Santo, non sia mai che avesse in sé la discordia tra la carne e lo spirito.
Giuliano. E perché la questione già piana sia confermata da qualche esempio, è meglio avere la ragione che non averla: gli uomini sono stati fatti ragionevoli, le bestie invece irragionevoli; ma non per il fatto che la natura umana è superiore ai quadrupedi si deve dire che i quadrupedi sono o un qualche male o un'opera del diavolo.
Supponi dunque che nel formare le proprie membra il Cristo non abbia voluto mescolare ad esse il senso dei genitali, del quale era intenzionato a non usare: che forse per questo, quando formava le membra di Isacco, di Giacobbe e di tutti e dava a loro il sesso e il senso, faceva qualcosa di male?
Oppure quando arrivava a questo punto, chiamava in aiuto il diavolo a mescolare le necessarie soddisfazioni alle membra che egli stesso aveva compaginate?
Nulla, quindi, nemmeno di esiguo - come abbiamo dimostrato con l'aiuto di Dio e in quest'opera e nella precedente -, hai potuto ottenere contro le opere divine dalla persona del Cristo.
Si è reso chiaro infatti che il corpo del Salvatore dalla natura degli uomini non ebbe nulla di meno.
Agostino. Anzi si è reso chiaro che la natura degli uomini rispetto a quella integrità, a quella rettitudine, a quella sanità nelle quali fu creata originariamente, ora tutti questi beni li ha meno bene.
A reintegrare la natura umana, a correggerla, a sanarla è venuto il Cristo, integro senza nessuna corruzione, retto senza nessuna deviazione, sano senza nessuna cupidità di peccato.
Giuliano. E perciò non ci può essere il peccato in quella natura, dal momento che non è stato trovato nulla di iniquo nel Cristo, dove la natura umana è tutta al completo.
Agostino. Enormemente bestemmi, o Giuliano, equiparando la carne del Cristo alla carne di tutti gli altri uomini, né avvertendo che egli è venuto non nella carne del peccato, ma in una carne simile a quella del peccato; ( Rm 8,3 ) il che non sarebbe vero in nessun modo, se la carne di tutti gli altri non fosse la carne del peccato.
Giuliano. Pertanto la concupiscenza dei sessi, ci sia stata o non ci sia stata nella carne del Cristo, non si dimostra cattiva e diabolica.
Agostino. La concupiscenza della carne è cattiva, anche quando non si acconsente ad essa per il male.
Essa è infatti che fa concupire la carne contro lo spirito, anche se la concupiscenza della carne, concupendo lo spirito contro di essa, non porta ad esecuzione ciò che tenta di compiere, ossia l'opera cattiva.
Giuliano. Ho fretta di andare ad altro, ma mi sento molto inchiodato qui dallo stupore della situazione.
Che cos'è questo tuo cosí grande furore contro di me da non ponderare almeno le tue dichiarazioni, se non intendi le Scritture?
Ma continuamente ragioni cosí che qualsiasi argomento tu abbia scagliato ritorna contro di te con maggiore impeto.
Hai detto appunto che non c'è nessun'altra causa del pudore all'infuori della concupiscenza della carne, che si manifesta nei movimenti genitali.
Agostino. Non è questo che ho detto.
Esistono infatti anche altre cause del pudore, o perché non sia fatto ciò che non è decente, o perché è stato fatto.
Ma quando si cerca la causa di questo pudore del quale trattiamo ora, la causa più vera che si trova è quella che fece chiamare in modo proprio pudende queste membra che prima non erano pudende, quando quegli uomini, retti e perfetti, erano nudi e non se ne vergognavano.
Il che se tu lo avessi voluto pensare prudentemente, non avresti resistito impudentemente ad una verità manifestissima.
Giuliano. Hai detto poi che è un sacrilegio giudicare pudendo qualcosa che si creda fatto da Dio, all'infuori di questa concupiscenza della carne.
Hai detto però che il Cristo non ebbe questa concupiscenza della carne, che reca ai mortali motivo di vergogna.
Non hai visto quindi che cosa si faceva incontro a queste tue considerazioni: cioè che lui, ossia il Cristo, si sarebbe dovuto mescolare nudo alle folle e non avrebbe dovuto avere nessun riguardo della verecondia per non incorrere nel sacrilegio che tu inventi: nel sacrilegio cioè di arrossire nella sua carne, che non aveva la concupiscenza, delle opere sue e del Padre.
Se poi egli non ebbe la concupiscenza e tuttavia rispettò il dovere del pudore, irrefutabilmente anche secondo te si approva che la verecondia è dovuta al corpo umano e non al " calore " umano.
Agostino. Per questa tua ragione, cosí acuta e sottile, si deve negare che il battesimo di Giovanni sia stato dato in penitenza dei peccati per il fatto che con esso fu battezzato il Cristo, il quale non aveva assolutamente nessun peccato.
Ma se egli poté essere battezzato per una causa diversa e non per quella di tutti gli altri, ossia non per la carne del peccato che non aveva, ma per la carne simile a quella del peccato che aveva presa per liberare la carne del peccato, poté anche coprirsi le membra non per la causa di tutti gli altri, ma per conformarsi in tal modo a coloro che si coprivano le parti pudende, pur non avendo egli nulla di pudendo; come da battezzato si conformò ai penitenti, pur senza lavare nulla di " penitendo ".
Erano appunto convenienti alla carne somigliante a quella del peccato i comportamenti di cui era indigente la carne del peccato.
Quantunque anche la stessa figura nuda del corpo umano, dovunque sia insolita, offende la vista umana.
Per questo anche gli angeli che sono apparsi agli uomini con sembianze umane, sono voluti apparire vestiti, come richiedeva la consuetudine umana.
Ma se vogliamo ricordare da dove abbia preso origine questa consuetudine, se ne incontra la causa nel primo peccato di quegli uomini che prima di peccare erano decentemente e onestamente nudi nel luogo di tanta beatitudine, non ancora cioè confusi dalla loro carne, che a loro disobbedienti fu restituita disobbediente e concupiscente contro lo spirito.
Per nulla dunque la veste del Cristo ti aiuta a non essere impudente difensore della concupiscenza della carne.
Giuliano. Tu vedi quindi che invano hai evocato il peccato, se nelle opere che Dio ha fatto noi confessiamo il dovere di usare il velame che il Signore nostro e istituí quando fece l'uomo e adibí quando si fece uomo.
Ci doni certo venia la riverenza del Redentore, se per sostenere la verità del mistero e per distruggere le infamie dei manichei parliamo arditamente della sua carne: un tasto che, se non lo esigesse la fede, non lo toccherebbe la modestia della riverenza.
Agostino. Arditamente non parli della carne del Cristo in modo vero, ma infelicemente in modo falso, non per distruggere le infamie dei manichei, come ti lusinghi, ma piuttosto per aiutarle.
Se pensi a vincere Manicheo, non voler dire bene ciò che è male, ma di' donde sia " malo " ciò che non puoi far passare per buono.
Mentre infatti non vuoi dire con Ambrogio che questo viene dalla prevaricazione del primo uomo,26 certamente fai sí che Manicheo si vanti di dire la verità dicendo che viene da un'altra natura estranea.
Giuliano. Ma costui - tu scrivi - non ha voluto nominare la concupiscenza della carne; tace perché ne ha pudore, e per una meravigliosa, se si può dire, impudenza di pudore ha pudore di nominare ciò che non ha pudore di lodare.27
Dispiace quindi a te che noi sappiamo di dover velare, secondo l'Apostolo, con la necessaria onestà le nostre membra più vereconde, ( 1 Cor 12,23 ) seguendo egli in ciò il consiglio del Creatore: che quanto egli ha collocato nella parte segreta del corpo noi ugualmente lo copriamo con un mezzo verecondo.
Agostino. Dici cose mirabolanti: allora Adamo ed Eva seguirono il consiglio del Creatore quando trascurarono il precetto del Signore per seguire il consiglio dell'Ingannatore!
Prima infatti di perpetrare questo male, quando erano ancora retti e perfetti, non seguivano il consiglio del Creatore, lasciando nudo quanto egli ha collocato nella parte segreta del corpo e non curandosi di coprirlo con un mezzo verecondo?
O uomo impudentissimo, lodare ciò che sentirono quando arrossirono è peggio che portarlo nudo.
Giuliano. Tuttavia queste diversità di elocuzioni, che tu non solo non imiti ma anche incrimini e che ci aiutano con i loro significati, non le ha trovate la cultura di tutte le lingue, ma la cultura della lingua greca e della lingua latina.
Del resto le altre lingue, che si chiamano naturali per il fatto che gli studi successivi non hanno conferito ad esse nulla di ricco o di nitido, usavano semplicemente i semplici nomi delle membra; tant'è vero che presso gli Ebrei, nella lingua dei quali è contenuta la purezza delle Scritture, tutte le membra sono indicate con i loro vocaboli propri.
Agostino. Ti sbagli di grosso. Come se nella lingua ebraica non esista il linguaggio figurato, dove le parole non sono certamente proprie, bensí traslate.
Ma questo, comunque stia, come ti aiuta? Senza dubbio nelle sacre Lettere ebraiche si legge sia di quando quei primi uomini erano nudi senza che se ne siano vergognati, sia di quando si sentirono confusi della loro nudità, sia quali membra abbiano coperte, ( Gen 2,25-3,7 ) perché noi potessimo conoscere che cosa abbiano sentito e di che cosa si siano confusi.
Tu, se in questa causa vuoi coprirti là donde ti confondi, taci finalmente.
Giuliano. Con la medesima sicurezza con la quale si nominano i piedi e le gambe, si nominano anche i genitali di ambedue i sessi.
Noi neppure quando ci suffragava cotesta autorità abbiamo certamente trascurato gli amminicoli di un linguaggio più pudico, perché, se nelle questioni non c'è nessuna costrizione, si espone ad una giustissima riprensione la negligenza del decoro, che si deve rispettare non meno nelle parole che nelle azioni, per quanto la natura della causa lo consente.
Quindi, poiché la concupiscenza naturale né ha potuto essere accusata per l'obbrobrio del pudore ed è stata difesa per la dignità del suo Creatore, con questo solo fine che, sottratta al diritto dei demoni, fosse collocata tra le opere di colui che ha fatto il mondo e i corpi, non come un bene grande, essendo comune appunto agli uomini e agli animali, ma come uno strumento necessario ai sessi, e poiché d'altra parte non è accusata da nessuno tranne che da Manicheo e dal suo erede traduciano, appare che è svanita tutta la favola del peccato naturale, il cui presidio aderiva tutto alle incriminazioni della natura.
Agostino. Ecco ancora dici concupiscenza naturale, ecco ancora per quanto puoi copri con ambigua veste di parole la tua protetta, perché non si capisca quale concupiscenza essa sia.
Perché infatti non dici: " Concupiscenza della carne ", ma dici: Concupiscenza naturale?
Non è forse vero che la concupiscenza della beatitudine è " concupiscenza naturale "?
Perché parli ambiguamente? La concupiscenza che hai preso a proteggere chiamala con il suo nome.
Che temi? O turbato forse dalla sua causa disperata, hai dimenticato come si chiami?
Ma anzi è per vigile memoria che non la vuoi chiamare concupiscenza della carne: sai infatti che dalla sua lode sono offesi coloro che nelle Scritture sante non hanno letto questo nome se non nel significato di una realtà cattiva.
Ma usando cotesto nome e chiamandola concupiscenza naturale tenti di collocarla tra le opere di colui che, come dici tu ed è vero, fece il mondo e i corpi, mentre Giovanni dice che la concupiscenza non viene dal Padre. ( 1 Gv 2,16 )
Dio fece, sí, il mondo e i corpi tutti assolutamente, ma che un corpo corruttibile appesantisca l'anima e che la carne concupisca contro lo spirito non è la prima natura dell'uomo quando fu creato, bensí è la pena conseguente dell'uomo che fu condannato.
Non è accusata da nessuno - tu dici - tranne che da Manicheo e dal suo erede Traduciano.
Godo di ricevere i tuoi insulti in compagnia di coloro che osi incolpare in me e non osi nominare in se stessi.
Non accusa forse cosí la tua protetta colui che dice che la concupiscenza della carne contro lo spirito si è convertita nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo?28
E chi è costui? È appunto Ambrogio la cui fede e purissima interpretazione delle Scritture, come la dichiara il tuo ispiratore Pelagio,29 non osò riprendere nemmeno un suo nemico.
Contro questo accusatore difendi la tua cliente.
A questo mio dottore e al suo elogiatore, che è il tuo dottore, impreca quanto puoi a favore della concupiscenza per dimostrare sufficentemente libero e fedele il tuo patrocinio, quantunque non trovi un altro che arrossisca per lei meno di te.
Giuliano. E per questo necessariamente ho interrogato che cosa nei sessi riconoscesse di suo, che gli desse il diritto di cogliere il loro frutto, il diavolo, il quale né aveva compaginato la carne, né aveva formato le membra, né aveva dato i genitali, né aveva distinto i sessi, né aveva ordinato il coniugio, né aveva onorato con la fecondità o asperso di voluttà l'unione, senza la quale non ci può essere il coniugio.
Agostino. È vero che il diavolo non aveva fatto nessuna di queste realtà.
Ma aveva persuaso l'animo umano alla disobbedienza, alla quale doveva seguire da parte della carne una disobbedienza penale e pudenda, donde contrarre il peccato originale, che rendesse suddito del diavolo chi nascesse e lo rendesse perituro con il medesimo diavolo se non rinascesse.
Giuliano. Pertanto nel tentativo di ovviare a questi progressivi smantellamenti, con la paura di un cervo e con la frode di una volpe, hai imposto al tuo patrono, a cui indirizzi i tuoi scritti, ciò che vai ripetendo: per il senso naturale del corpo, ossia per la concupiscenza della carne, domina sulle opere di Dio e sulla immagine di Dio il principe delle tenebre, mentre sarebbe stato necessario che il senso della carne guardasse al medesimo autore al quale si rivolgeva anche la natura della carne.
Agostino. Ignori come parli. Altro è il senso della carne, altro è la concupiscenza della carne, la quale concupiscenza è sentita dal senso e della mente e della carne; come il dolore della carne non è lo stesso senso della carne, ma non si può sentire il dolore se manca il senso.
Pertanto con il senso della carne chiamato tatto si sentono in modo diverso, come tutti gli altri, gli oggetti aspri e gli oggetti lisci; invece con la concupiscenza della carne si desiderano in modo non diverso le azioni illecite e le azioni lecite che si giudicano diverse tra loro non con la concupiscenza, ma con l'intelligenza; né ci si astiene dalle azioni illecite se non si resiste alla concupiscenza.
Non si evitano quindi le azioni cattive se non si frena la concupiscenza cattiva, che da te con orrenda impudenza o piuttosto con demenza è detta buona.
Né arrossisci, né aborrisci di essere arrivato a tanta sconcezza che nessuno si liberi dal suo male se non consentendo al tuo bene.
Quindi la concupiscenza della carne, con la quale si desiderano le azioni proibite, non viene dal Padre.
Invano pensi o meglio vuoi far pensare che, nel passo dove l'apostolo Giovanni lo ha detto, la concupiscenza della carne stia per la lussuria.
Certamente, se non viene dal Padre la lussuria, non viene dal Padre nemmeno la concupiscenza che, acconsentita, concepisce e partorisce la lussuria.
A che mira infatti con i suoi movimenti, ai quali abbiamo l'obbligo di opporre resistenza, se non ad arrivare alla lussuria?
Com'è dunque un bene la concupiscenza che tenta di giungere al male?
Com'è un nostro bene la concupiscenza che tenta di giungere al male?
Questo male quindi, o Giuliano, dev'essere sanato dalla bontà divina, non dev'essere lodato dalla vanità, dalla iniquità, dalla empietà umana.
Giuliano. Apparisce dunque che tu non hai studiato di rispondere alle obiezioni, ma di illudere in modo miserabile il tuo patrono al quale scrivevi: reputasse che tu avevi mandato giú qualcosa di duro da masticare bene, dopo averlo già lodato con le concessioni precedenti e con l'istituzione dei corpi.
Agostino. Io ho lodato l'istituzione dei corpi, che è buona anche in un uomo cattivo; non ho lodato il male, senza il quale non nasce nessuno, e che tu, rifiutandoti di dire con Ambrogio donde venga, aiuti Manicheo a dire che viene da un'altra natura estranea.
Giuliano. Confesso tuttavia che tu hai riflettuto fin troppo su cosa dire.
Apparisce e il tuo ingegno e il tuo studio.
Hai ponderato davvero con estrema diligenza che cosa fosse da asserire a favore della traduce del peccato.
Nessun altro avrebbe potuto scrivere più scaltramente a difesa del male naturale.
Il che certamente nemmeno tu stesso lo avresti potuto fare con tanta finezza, se al tuo ingegno non fossero venuti in aiuto gli insegnamenti del tuo vecchio maestro.
Agostino. Mi glorio che mio maestro e contro di te e contro Manicheo sia semplicemente Gesú, che io confesso - e tu lo neghi - essere il Gesú anche dei bambini, perché perí Adamo e in lui perirono tutti,30 né sono salvati dalla perdizione se non per opera di colui che venne a cercare ciò che era perduto. ( Lc 19,10 )
Giuliano. Hai capito appunto che ai bambini non meritevoli di nulla per conto loro non si poteva addossare nessun crimine senza la condanna dei corpi, e quindi avevi bisogno dell'aiuto di Manicheo, che escludesse dalle opere di Dio la concupiscenza della carne e assegnasse al diavolo come autore tanto le nozze, quanto gli stessi corpi.
Agostino. Io non ho bisogno dell'aiuto di Manicheo, ma piuttosto, combattendo contro di lui, espugno con l'aiuto di Dio l'aiuto che gli presti tu. Il quale aiuto Dio me lo presta anche attraverso suoi amici chiarissimi: non solo i profeti e gli apostoli, dei quali tu, pervertito, tenti di pervertire le parole, ma pure i successivi dottori della sua Chiesa: Ireneo, Cipriano, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni e moltissimi altri, integerrimi nella fede, acutissimi nell'ingegno, ricchissimi nella dottrina, celeberrimi nella fama.
I quali tutti, salva la lode dei corpi e delle nozze, hanno confessato il peccato originale, sapendo che il Cristo è il Gesú anche dei bambini: ciò che voi negate empiamente.
Egli infatti il suo popolo, nel quale sono compresi anche i bambini, lo salva non dalle febbri e da altri simili malanni o disgrazie: ciò che elargisce anche ai non cristiani con la sua bontà sovrabbondante su ogni carne; ma dai loro peccati in quanto cristiani. ( Mt 1,21 )
Questi cosí numerosi e cosí grandi figli e padri della Chiesa cattolica, i quali, collocati al suo vertice, le hanno insegnato ciò che hanno preso dal suo latte, non ti spaventa dirli manichei e, mentre assalisci quasi me soltanto allo scoperto, incrimini anche loro tanto più insidiosamente quanto più obliquamente, tanto più scelleratamente quanto più insidiosamente.
In questa cosí enorme scelleratezza ti condannano assolutamente le tue stesse parole.
Contro di me infatti non muovi una calunnia tanto infame se non per questo motivo: del peccato originale io dico ciò che costoro dicono.
Giuliano. Ciò dunque per cui ti ha buttato via la verità, ciò per cui la verità ti ha evitato, è stata la mostruosità della causa che difendi.
Ma se tu volessi passare ai cattolici, quanta eleganza e quanta più completezza conferiresti sicuramente a ciò che noi asseriamo!
Agostino. O fronte linguacciuta, o mente accecata! Ma non sono forse cattolici quelli a cui io aderisco nella società di questa fede che difendo contro la vanità del tuo dire e del tuo maledire?
Cattolici non sono, per tacere di altri e per ripetere i medesimi: Ireneo, Cipriano, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni Costantinopolitano, e cattolici sono Pelagio, Celestio, Giuliano?
Osa fare queste affermazioni, se puoi.
Se non lo osi, per quale ragione non ritorni tu piuttosto a costoro, dai quali io non recedo?
Per quale ragione mi ammonisci di passare ai cattolici?
Ecco alcuni luminari cattolici: apri gli occhi. Passa tu a costoro che calunni in me, e subito ti tapperai la bocca e non fiaterai più contro di me.
Giuliano. Sebbene io non osi affermare che tu sia dotato di un ingegno acuto e vigile, perché vedo il tuo giudizio tanto tardo e deforme nella scelta della iniziativa da prendere.
Agostino. Di' donde nascano i tardi d'ingegno - tale infatti non fu creato Adamo - tu che non vuoi che per il suo peccato sia stata cambiata in peggio la natura umana e che ciò nuoccia a coloro che nascono in tutti i vizi che patiscono.
Indice |
23 | Ambrosius, In Is |
24 | De nupt. et concup. 1,35,40; De nupt. et concup. 2,5,14-15 |
25 | Ambrosius, In Is |
26 | Ambrosius, In Luc. 7, 12 |
27 | De nupt. et concup. 2,7,17 |
28 | Ambrosius, In Luc. 7, 12 |
29 | Pelagius, De lib. arb. 3; Aug., De grat. Chr. 46-47 |
30 | Ambrosius, In Luc. 7, 15, 24 |