Discorsi sul Nuovo Testamento |
1 - Da parte di chi commenta le Scritture non si ripetono senza utilità i medesimi argomenti
2 - I cinque portici erano figura della Legge mosaica. La Legge impotente a salvare. Perché venne data la Legge
3 - Che sta a significare la guarigione di un solo infermo dopo che l'acqua viene agitata
4 - Il riposo di Dio nel settimo giorno. Le sei età del mondo. Come Dio che cessò di operare opera sempre
5 - La provvidenza di Dio nella disposizione dei mali
6 - Duplice la causa dell'indignazione dei Giudei. Un infermo calandosi nella piscina viene guarito. Un solo infermo viene risanato
7 - Trent'anni d'infermità. Il numero quaranta sta a significare la perfezione della giustizia. L'amore del mondo non è conciliabile con l'amore di Dio
8 - Che distingue un possedere disinteressato
9 - Il numero quaranta nel digiuno di Mosè, di Elia e di Cristo. Quaranta giorni prima della Pasqua. Cinquanta giorni dopo la Pasqua
10 - La Legge non ha compimento senza l'amore
11 - L'animo va distaccato dalle cose temporali. La tentazione non fa il peccatore, ma lo rivela
Ai vostri orecchi e alle vostre menti non risultano una novità gli argomenti sui quali si torna; ritemprano invece la disposizione dell'animo di chi ascolta, anzi, in certo qual modo, quanto viene richiamato alla memoria ci rinnova; neppure infastidisce sentir ripetere verità già note perché risulta sempre gradito ciò che è proprio del Signore.
Così è riguardo al commento delle divine Scritture, come delle divine Scritture in se stesse; per quanto si tratti di cose note, tuttavia si leggono per ravvivarne il ricordo.
Tanto vale anche per l'esposizione di esse; benché nota, pure va ripetuta allo scopo che quanti l'hanno dimenticata tornino a ricordare ed anche coloro che forse non l'ascoltarono, possano udirla; così ancora perché la ripetizione impedisca di dimenticare a quanti hanno bene in mente ciò che abitualmente hanno seguito.
Ricordiamo infatti di avere già parlato alla Carità vostra1 su questo passo del Vangelo.
Né è tuttavia tedioso per voi che si torni a dare evidenza agli stessi argomenti come non lo è stato ripetere per voi la stessa lettura.
L'apostolo Paolo dice in una lettera: A me non pesa e a voi è necessario che vi scriva le stesse cose. ( Fil 3,1 )
Quindi, dire a voi le stesse cose neppure a noi pesa, ma per voi è sicurezza.
Cinque i portici sotto i quali giacevano gli infermi.
Stanno a significare la legge che un primo tempo venne data ai Giudei e al popolo d'Israele tramite Mosè, servo di Dio.
Difatti anche Mosè, mediatore della legge, compose cinque libri.
Perciò dal numero dei libri che scrisse, i cinque portici erano figura della legge.
In realtà, non fu data la legge in quanto efficace a risanare gli infermi, ma perché ne svelasse l'esistenza e li mettesse in vista; si esprime appunto così l'Apostolo: Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo; ( Gal 3,21-22 ) per questo, sotto quei portici, gli infermi erano a giacere, non venivano risanati.
Che affermò dunque? Se fosse stata data una legge capace di conferire la vita.
Ne segue che quei portici, figura della legge, non potevano risanare gli infermi.
C'è chi mi può obiettare: Allora, perché venne data?
Lo ha spiegato lo stesso apostolo Paolo: La Scrittura invece - egli dice - ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo.
Coloro che erano sicuramente infermi si ritenevano sani.
Ricevettero la legge che erano incapaci di adempiere, impararono a conoscere in quale infermità si trovassero e implorarono l'intervento del medico; vollero essere risanati perché compresero di essere malati; realtà di cui avrebbero avuto coscienza solo trovando inadempibile la legge loro data.
L'uomo si riteneva affatto innocente e, proprio a causa di un'innocenza fittizia, aggravava la sua infermità.
La legge fu data appunto per domare la superbia e metterla allo scoperto; non allo scopo di liberare dall'infermità, ma per indurre i superbi a prendere consapevolezza di sé.
Faccia dunque attenzione la Carità vostra; la legge fu data a questo fine: perché facesse vedere i mali, non perché li eliminasse.
Per questo, quindi, quei malati che nelle loro case potevano riservare maggior discrezione alle loro infermità - nel caso non vi fossero stati quei cinque portici - sotto di questi erano esposti alla vista di tutti, ma non è che i portici valessero a risanarli.
In conseguenza, la legge era utile a rendere noti i peccati, in quanto l'uomo, reso ancor più colpevole per la violazione della legge, vinta la superbia, potesse implorare il soccorso di colui che è compassionevole.
Prestate attenzione all'Apostolo: La legge poi sopraggiunse a dare al peccato maggior gravità; ma là dove il peccato ha assunto maggior gravità è stata sovrabbondante la grazia. ( Rm 5,20 )
Che vuol dire: La legge sopraggiunse a dare al peccato maggior gravità?
Così come dice in un altro passo: Dove non c'è legge non c'è nemmeno prevaricazione. ( Rm 4,15 )
Anteriormente alla legge, l'uomo può dirsi peccatore, non trasgressore.
Ma per aver peccato quando aveva già ricevuto la legge, viene a trovarsi non solo peccatore, ma anche trasgressore.
Infatti, con l'aggiungersi della trasgressione al peccato, la colpa si fece pertanto di maggior gravità.
Essendosi aggravata la colpa, l'umana superbia impara facilmente a rendersi soggetta, ad umiliarsi davanti a Dio e a dire: Io vengo meno. ( Sal 6,3 )
E per esprimersi pure con quelle parole del Salmo, che pronunzia soltanto un'anima umiliata: Io ho detto: Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho peccato. ( Sal 41,5 )
Lo dica, dunque, l'anima inferma, resa convinta per lo meno dall'esperienza della trasgressione e che in forza della legge non è stata risanata, ma fatta conoscere inferma.
Ascolta anche lo stesso Paolo, il quale ti dimostra che anche la legge è buona, eppure non libera dal peccato se non per la grazia di Cristo.
È infatti in potere della legge proibire e comandare, facoltà che non possono apportare rimedio a risanare ciò che impedisce all'uomo di adempiere la legge, ma tale effetto è opera della grazia.
Afferma infatti l'Apostolo: Mi compiaccio infatti della legge di Dio secondo l'uomo interiore, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato. ( Rm 7,22-23 )
A causa della pena del peccato, a causa della radice della morte, a causa della maledizione di Adamo, questo muove guerra alla legge della mente e assoggetta alla legge del peccato, che è nelle membra.
Costui [ san Paolo ] è rimasto persuaso; ha ricevuto la legge per giungere a convinzione; sii attento al profitto che gli è derivato in forza di tale certezza.
Ascolta le parole che seguono: Sono uno sventurato!
Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?
La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )
Prestate dunque attenzione. Quei portici erano rispondenti a significare la legge; accogliendo infermi, senza risanarli, esponendoli alla pubblica vista, senza guarirli.
Ma quali infermi guariva? Quello solo che scendeva nella piscina.
E quando scendeva nella piscina l'infermo? Quando l'angelo dava il segno agitando l'acqua.
Era infatti così sacra quella piscina che l'angelo vi scendeva a dare movimento all'acqua.
Gli uomini guardavano l'acqua, ma dal movimento dell'acqua che veniva agitata intuivano la presenza dell'angelo.
Se in quel mentre fosse disceso qualcuno, era risanato.
Perché allora quell'infermo era trascurato?
Riflettiamo sulle parole di lui: Non ho nessuno - egli dice - che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita; mentre infatti io vado, scende un altro. ( Gv 5,7 )
Nel caso che un altro scenda precedendoti, non puoi tu dunque discendere dopo di lui?
Da qui si deduce che uno solo veniva risanato all'agitarsi dell'acqua.
Chiunque fosse disceso per primo, appunto questi soltanto era risanato; qualsiasi altro fosse poi disceso a quel moto dell'acqua, non era risanato, ma restava in attesa fino a quando l'acqua si agitasse di nuovo.
Che sta dunque a significare questo mistero? Non è certo privo di motivazione.
Faccia attenzione la Carità vostra. Le acque, nell'Apocalisse, sono state citate in figura dei popoli. ( Ap 17,15 )
Perciò quell'acqua era in figura del popolo dei Giudei.
Come quel popolo era infatti vincolato ai cinque libri di Mosè nella legge, così anche quell'acqua era all'interno dei cinque portici.
Quando entrò in moto l'acqua? Quando entrò in fermento il popolo dei Giudei.
E non entrò in fermento il popolo dei Giudei solo quando venne il Signore Gesù Cristo?
La passione del Signore è figurata dall'acqua fatta inquieta.
Ribollivano infatti d'indignazione i Giudei quando il Signore soffrì la passione.
Ecco, riguarda proprio tale eccitazione il passo che ora si leggeva.
I Giudei erano decisi ad ucciderlo non solo perché operava di queste cose in giorno di sabato, ma perché si diceva Figlio di Dio, facendosi uguale a Dio.
Il Cristo si diceva Figlio di Dio in senso non equivalente a quello riferibile agli uomini in genere.
Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo. ( Sal 82,6 )
Evidentemente se in tal senso si fosse fatto Figlio di Dio, a quel modo che qualsiasi uomo può dirsi figlio di Dio ( è per grazia di Dio infatti che gli uomini si dicono figli di Dio ), i Giudei non avrebbero reagito rabbiosamente.
Ma poiché capivano che egli affermava di essere il Figlio di Dio in ben altro modo, cioè secondo il contenuto significante del: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; ( Gv 1,1 ) e secondo ciò che sostiene l'Apostolo: Il quale pur essendo di natura divina, non considerò un'appropriazione indebita la sua uguaglianza con Dio; ( Fil 2,6 ) avevano davanti un uomo e diventavano furenti, perché si faceva uguale a Dio.
Egli invece sapeva di essere uguale, ma quelli non vedevano secondo che.
I Giudei infatti volevano crocifiggere l'umanità che vedevano; non vedevano colui dal quale erano giudicati.
Che vedevano i Giudei? Ciò che vedevano anche gli Apostoli allorché Filippo disse: Mostraci il Padre e ci basta.
Ma che non vedevano i Giudei? Ciò che non vedevano neppure gli stessi Apostoli, quando il Signore rispose: Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto?
Chi vede me, vede anche il Padre. ( Gv 14,8-9 )
In conseguenza, poiché i Giudei erano incapaci di vedere questo in lui, lo ritenevano quale uomo superbo ed empio, che si faceva uguale a Dio.
C'era turbamento, l'acqua era agitata, l'Angelo era venuto.
Anche il Signore è chiamato infatti: Angelo del grande consiglio, ( Is 9,6 sec. LXX ) perché annunziatore della volontà del Padre.
È detto infatti " Angelo " in greco, " Annunziatore " in latino.
E già sai del Signore il quale diceva di annunciarci il regno dei cieli.
Perciò era venuto quell'Angelo del grande consiglio, ma Signore di tutti gli angeli.
E per questo Angelo, perché prese su di sé la carne; Signore degli angeli, invece, appunto perché tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto. ( Gv 1,3 )
Ne segue che, se tutto, anche gli angeli.
E ne segue che, quanto a lui stesso, non è stato fatto, poiché tutto è stato fatto per mezzo di lui.
Ma tutto ciò che è stato fatto, non lo è stato senza l'opera del Verbo.
D'altra parte, quella carne che divenne madre di Cristo non poté nascere se non per essere stata creata per mezzo del Verbo, che nacque dopo da essa.
Ecco perché i Giudei erano in agitazione.
Che cos'è mai questo? Perché compie queste cose di sabato?
E soprattutto a queste parole del Signore: Il Padre mio opera sempre e anch'io opero. ( Gv 5,17 )
Quelli si scandalizzarono intendendo in senso fisiologico il fatto che Dio cessò da ogni suo lavoro nel settimo giorno. ( Gen 2,2 )
Si trova infatti scritto nella Genesi, e scritto felicemente a proposito, e scritto perciò in armonia con la ragione.
I Giudei, ritenendo invece che Dio, quasi vinto dalla stanchezza dopo tutte le opere compiute, si fosse riposato nel settimo giorno e lo avesse benedetto, appunto perché in esso si era ristorato dalla fatica, da stolti, non si rendevano conto che non poté essere affaticato il Creatore di ogni cosa mediante la parola.
Leggano e mi dicano in qual modo Dio avesse potuto sentire il peso della fatica col dire: Sia, e fu fatto.
Se oggi un uomo facesse così come fece Dio, ci sarebbe chi si stanca?
Disse: Sia la luce; e la luce fu.
Ugualmente: Sia il firmamento; e così avvenne; ( Gen 1,3.6-7 )
oppure fu stanco se disse e non avvenne.
In un altro passo brevemente: Egli parlò e tutto si fece; egli comandò e tutto fu creato. ( Sal 33,9 )
Di conseguenza, chi opera in tal modo, può sentire la fatica?
Ma se non compie alcun lavoro, com'è che riposa?
È stato detto però che in quel sabato, quando Dio cessò da ogni sua opera, in quel riposo di Dio, si configura il nostro riposo; ci sarà infatti il sabato di questo mondo quando saranno trascorse le sei età.
Trascorrono come fossero i sei giorni del mondo. Il primo giorno va da Adamo fino a Noè, il secondo dal diluvio fino ad Abramo, il terzo va da Abramo fino a David, il quarto va da David fino alla deportazione in Babilonia, il quinto va dalla deportazione in Babilonia fino alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo.
Ora va trascorrendo il giorno sesto.
Siamo nella sesta età, nel sesto giorno.
Restituiamo a noi stessi la forma originaria secondo l'immagine di Dio, perché l'uomo fu creato a immagine di Dio nel sesto giorno. ( Gen 1,27 )
Ciò che allora operò la forma, questo renda in noi la riforma; e ciò che allora realizzò la creazione, lo restituisca in noi la nuova creazione. Al termine di questo giorno in cui esistiamo, dopo questa età, verrà il riposo che è promesso ai santi, ed era prefigurato in quei giorni. In verità, infatti, dopo tutte le cose che pose in essere nel mondo, nient'altro plasmò di nuovo in seguito nella creazione.
Sono le creature stesse a subire un'evoluzione e a trasformarsi, poiché dal fatto della costituzione delle creature niente di più venne aggiunto.
Nondimeno se egli, il Creatore, non conservasse il mondo, verrebbe meno l'esistenza della creazione; questa non può durare se non la governa colui che è il suo fattore.
Perciò, dal momento che nulla è stato creato ulteriormente, si è detto che cessò da ogni suo lavoro; in quanto realmente non cessa di governare le sue opere, giustamente disse il Signore: Il Padre mio opera sempre.
Veda di intendere la Carità vostra.
Portò a termine, si disse che aveva cessato; completò infatti l'opera e non aggiunse altro.
Governa ciò che ha creato, quindi non cessa.
Ma con quanta facilità ha creato, con altrettanta facilità egli governa.
Non deducete da questo, fratelli, che, per avere creato senza fatica, si affanni ora perché governa, come sulla nave si affaticano gli addetti a costruirla e si affaticano quelli che sono al timone; si tratta naturalmente di uomini.
Infatti con quanta facilità Dio disse e tutto fu creato, con altrettanta facilità e discrezione tutto governa per mezzo del Verbo.
Non è che manchi il governo delle vicende umane dal fatto che le cose terrene risultano corrotte.
Tutti gli uomini sono situati nei posti a loro appropriati; eppure a ciascuno sembra che non abbiano una disposizione regolare.
Da parte tua bada soltanto a ciò che vuoi essere, poiché, secondo come avrai voluto, il Creatore sa dove darti posto.
Osserva un pittore. Davanti a lui sono disposti vari colori, ed egli sa dove debba applicare ciascun colore.
Certamente il peccatore volle essere di colore nero; il criterio dell'artefice non sa perciò dove destinarlo?
A quante cose non dà precisione servendosi del nero?
Quanti particolari non rende con esso il pittore?
In nero i capelli, la barba, le sopracciglia; usa il colore chiaro soltanto per dare risalto alla fronte.
Quanto a te, bada a ciò che vuoi essere, non preoccuparti del posto che ti assegna colui che è infallibile; egli sa dove collocarti.
Notiamo che ciò si verifica come infatti avviene nell'applicazione delle leggi umane.
Non so chi decise di essere specialista del furto con scasso; la disposizione del giudice riconosce che agì illegalmente; la disposizione del giudice contempla dove debba essergli dato posto: lo sistema nel modo più appropriato.
Quello senza dubbio visse male, ma la legge non ha disposto erroneamente.
Da scassinatore diventerà un minatore; quante costruzioni non si realizzano dall'opera di chi è adibito alle miniere?
Il castigo di quel condannato va a costituire abbellimenti alla città.
Così dunque Dio sa dove situarti.
Non credere di guastare il progetto di Dio se avrai voluto essere perverso.
Chi sapeva crearti non sa il posto che ti spetta?
È bene allora che il tuo sforzo tenda là, che ti porti ad essere situato in un buon posto.
Che fu detto di Giuda da parte dell'apostolo Pietro? Andò al posto da lui scelto. ( At 1,25 )
Certo per la disposizione della divina provvidenza, perché con decisione della volontà perversa volle essere cattivo, non fu invece Dio a farlo cattivo attraverso il suo ordinamento.
Ma essendo di per sé perverso, volle essere peccatore, fece ciò che volle, ma subì ciò che non volle.
Nel fatto che fece ciò che volle si riconosce il suo peccato; in quello che subì e che non volle si loda l'azione ordinatrice di Dio.
Perché ho detto questo? Per farvi comprendere, fratelli, come da parte del Signore Gesù Cristo è stato detto rettamente che il Padre mio opera sempre.
Non abbandona infatti la creatura che ha formato.
E disse: Come egli opera, anch'io opero. ( Gv 5,17 )
Già allora si dette a conoscere uguale a Dio.
Il Padre mio - afferma - opera sempre, e anch'io opero.
Quella concezione di ordine fisiologico circa il sabato ne fu rimossa.
Ritenevano infatti che il Signore, essendo stanco, avesse cessato del tutto di operare.
Ascoltano: Il Padre mio opera sempre e diventano inquieti.
E anch'io opero: si è fatto uguale a Dio, eccoli in agitazione.
Ma non temete più. Si agita l'acqua, un infermo va ad essere risanato.
Che significa questo? Perciò il turbamento di quelli, per il fatto che mirano alla passione del Signore.
Il Signore subisce il patire, il sangue prezioso si sparge, il peccatore viene redento, è donata la grazia a chi cade e a chi dice: Sono uno sventurato!
Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. ( Rm 7,24-25 )
Ma come viene guarito? A condizione che scenda.
In realtà quella piscina era così fatta che vi si accedeva discendendo, non salendo.
Anche piscine del genere potrebbero infatti essere costruite in modo che si raggiungano salendo.
Ma quella, per quale ragione fu costruita così che vi si scendeva?
Perché la passione del Signore esige l'umile.
Scenda in umiltà, non sia superbo se vuole essere risanato.
Ma per quale ragione uno solo? Poiché una sola è la Chiesa nel mondo intero, l'unità è salva.
Perciò dove si salva uno solo, viene configurata l'unità.
Sotto il termine " uno ", intendi l'unità. Non ti separare, quindi, dall'unità se non vuoi che non ti tocchi tale salvezza.
Che cosa sta a significare il fatto che era infermo da trentotto anni?
So di averne già parlato, fratelli; ma se anche quelli che leggono dimenticano, quanto più coloro che di rado ascoltano?
Faccia perciò un poco di attenzione la Carità vostra.
Il numero quaranta è figura della giustizia perfetta.
Appunto giustizia perfetta perché viviamo quaggiù nella fatica, negli stenti, nella continenza, nei digiuni, nelle veglie, nelle tribolazioni; la pratica della giustizia consiste proprio nel tollerare il peso della vita e tenersi in qualche modo lontano da questo mondo; non dal cibo della carne, cosa che facciamo rare volte, ma dall'amore del mondo, cosa che sempre dobbiamo fare.
Adempie perciò la legge chi si conserva puro da questo mondo.
Non può in realtà amare ciò che è eterno se non avrà rinunziato ad amare ciò che è temporaneo.
Rendetevi avveduti quanto all'amore dell'uomo; consideratelo così, quasi la mano dell'anima.
Se tiene un qualcosa non può avere altro.
Ora, perché possa prendere ciò che si porge, lasci cadere ciò che ha già preso.
Questo intendo dire, notate che parlo esplicitamente: chi ama il mondo non può amare Dio; ha la mano ingombra.
Dio gli dice: Prendi quello che dò.
Non vuol lasciare ciò che aveva; non può ricevere ciò che gli viene offerto.
Forse che ho detto: Non so chi non deve possedere qualcosa?
Se può, se la perfezione esige questo da lui, niente abbia di sua proprietà.
Se non può, se una qualche necessità è d'impedimento, possegga pure, ma non si faccia possedere; abbia in proprietà, non diventi proprietà; sia padrone, non schiavo dei propri averi; come dice l'Apostolo: Del resto, fratelli, il tempo si è fatto breve; d'ora innanzi rimane che anche quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che godono, come se non godessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che usano il mondo, come se non ne usassero: perché passa la scena di questo mondo.
Voglio che siate senza preoccupazioni. ( 1 Cor 7,29-32 )
Che vuol dire: Non amare ciò che possiedi in questo mondo?
Sia disponibile la tua mano che deve possedere Dio.
Sia libero da ogni attaccamento il tuo amore con il quale puoi tendere a Dio e aderire a lui che ti ha creato.
Tu mi dici in risposta: Anche Dio sa che, quanto al possesso dei miei beni, sono irreprensibile.
È la tentazione a darne prova.
Viene danneggiata la tua proprietà e vai in escandescenze.
In qualche modo anche noi subiamo tali cose.
Va a male quanto possiedi e tu non sembri più quello che eri e dal suono delle tue parole manifesti che ora sei diverso da quello che sembravi prima.
E voglia il cielo che tu ti limiti a difendere strepitando il tuo e non tenti arrogantemente d'impossessarti dell'altrui; e, quel che è peggio, che tu non giunga ad attirarti biasimo perché dici tuo ciò che altri possiede.
Che bisogna fare? Ve lo ricordo, ve lo ripeto, fratelli, ed è fraterno il mio avvertimento; il Signore lo impone ed io richiamo con forza perché sono ammonito.
Egli, che non permette di tacere, m'incute terrore.
Esige da me ciò che ha dato.
Ha dato da distribuire, non da conservare.
Se invece avrò conservato e avrò tenuto nascosto, mi dirà: Servo malvagio e pigro, perché non hai consegnato il denaro ai banchieri e al ritorno l'avrei riscosso con gli interessi? ( Lc 19,23 )
E che mi gioverà di non aver perduto nulla di ciò che ho ricevuto?
Non basta per il mio Signore, è avaro; ma l'avarizia di Dio è la nostra salvezza.
È avaro, richiede i suoi denari, raccoglie la sua immagine.
Avresti dovuto dare - dice - il denaro ai banchieri e al ritorno l'avrei riscosso con gli interessi.
E se per caso la dimenticanza facesse sì che non mi curassi di correggervi, vi sarebbero di ammonizione persino le tentazioni e le tribolazioni che sopportiamo.
Certamente avete ascoltato la parola di Dio.
Sia benedetto il Signore e la sua gloria.
Siete convenuti insieme infatti e pendete dalla parola del ministro di Dio.
Non fate caso alla nostra persona, tramite la quale vi si offre; perché gli affamati non badano se il recipiente ha poco valore, ma all'abbondanza del cibo.
È Dio che vi mette alla prova.
Siete adunati insieme, approvate la parola di Dio; la tentazione metterà alla prova la validità del vostro ascolto; avrete degli affari nei quali si può rendere evidente quali siete.
Infatti anche chi grida oggi insolenze ad alta voce, ieri ascoltava volentieri.
Perciò, vi preavviso, perciò parlo, perciò non taccio, fratelli miei, perché verrà il momento del rendiconto.
Il Signore - infatti - scruta il giusto e l'empio.
Certamente ciò lo hai cantato, certamente abbiamo cantato insieme: Il Signore scruta il giusto e l'empio.
E che segue? Ma chi ama l'ingiustizia odia la propria anima. ( Sal 11,6 )
E in altro passo: S'indagherà sui propositi dell'empio. ( Sap 1,9 )
La domanda che io ti rivolgo non cade dove cade la chiamata al rendiconto da parte di Dio.
Riguarda me esaminare le tue parole, spetta a Dio giudicare il tuo pensiero.
Sa pure in che modo tu ascolti, e sa come esigere, egli che ordina a me di dare.
Ha voluto che io sia distributore e si è riservata l'esazione.
È compito nostro avvertire, istruire, correggere; evidentemente salvare e premiare, oppure condannare e mandare all'inferno non è compito nostro.
Ma è il giudice a consegnare il colpevole all'esecutore e l'esecutore a condurre in carcere.
In verità ti dico: Non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo. ( Mt 5,25-26 )
Torniamo dunque in argomento.
La perfezione della giustizia è indicata dal numero quaranta.
In che consiste raggiungere il numero quaranta? Tenersi lontano dall'amore del mondo.
L'astenersi dalle cose temporali, ad evitare che si amino in modo funesto, è quasi un restare digiuni da questo mondo.
Per questo il Signore digiunò quaranta giorni, ( Mt 4,2 ) come Mosè ( Es 34,28 ) ed Elia. ( 1 Re 19,8 )
Di conseguenza, chi concesse ai servi di poter digiunare quaranta giorni, non fu in grado di digiunare ottanta o anche cento giorni?
A che scopo non volle più di quanto aveva dato ai servi se non perché proprio nel numero quaranta è riposto il segreto del digiuno: conservarsi puri da questo mondo?
Che si vuol dire con questo? Quanto afferma l'Apostolo: Il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo. ( Gal 6,14 )
È questo perciò che raggiunge il numero quaranta.
E il Signore che cosa fa intendere? Poiché questo ha compiuto Mosè, questo Elia, questo Cristo, è ancora questo l'insegnamento e della Legge e dei Profeti, come pure del Vangelo: non credere cha altro sia nella legge, altro nei Profeti, altro nel Vangelo.
Tutte le Scritture sono concordi nell'insegnarti nient'altro che non sia l'astenersi dall'amare il mondo, perché il tuo amore voli a Dio.
È in figura, perché lo insegna la legge, che Mosè digiunò quaranta giorni.
È in figura, perché lo insegnano i Profeti, che Elia digiunò quaranta giorni.
È in figura, perché lo insegna il Vangelo, che il Signore digiunò quaranta giorni.
Anche sul monte perciò apparvero proprio questi tre: il Signore nel mezzo, ai lati Mosè ed Elia.
Come si spiega? Perché anche il Vangelo riceve testimonianza da parte della Legge e dei Profeti. ( Rm 3,21 )
Ma per quale ragione il numero quaranta sta per la perfetta giustizia?
È detto nel Salterio: O Dio, ti canterò un cantico nuovo; suonerò per te sull'arpa a dieci corde. ( Sal 144,9 )
L'espressione sta a significare i dieci precetti della legge che il Signore non è venuto ad abolire ma a dare ad essa compimento.
Tale legge poi è diffusa per tutta la terra compresa, come è noto, fra quattro luoghi estremi: Oriente, Occidente, Mezzogiorno e Settentrione, secondo la Scrittura.
Ciò si deduce anche dalla visione di un recipiente, in cui figuravano ogni specie di animali, e che fu mostrato a Pietro, mentre gli fu detto: Uccidi e mangia. ( At 10,13 )
Ciò ad indicare i Gentili che avrebbero creduto e sarebbero entrati a far parte del corpo della Chiesa, così come ciò che mangiamo entra nel nostro corpo; venne fatto calare dal cielo per i quattro capi ( che sono poi le quattro parti del mondo ) e lascia intendere che tutta la terra avrebbe abbracciato la fede.
Ebbene, nel numero quaranta è in figura la libertà dal mondo.
Questa è la pienezza della legge: ma la pienezza della legge è la carità.
Di conseguenza, prima della Pasqua noi digiuniamo quaranta giorni.
Precedendo la Pasqua, il digiuno è appunto segno della nostra vita tormentata, per cui nelle fatiche, nei travagli e nella continenza adempiamo la legge.
Dopo la Pasqua, invece, celebriamo i giorni della risurrezione del Signore, che rimandano appunto alla risurrezione nostra.
Si celebrano per la durata di cinquanta giorni proprio perché al numero quaranta si aggiunge la ricompensa di un denaro: ed ecco il numero cinquanta.
In che senso un denaro è ricompensa? Non avete letto di coloro che furono inviati alla vigna, sia dei chiamati dell'ora prima che dell'ora sesta e dell'ultima ora del giorno e poterono ricevere soltanto un denaro? ( Mt 20,1-10 )
Quando la nostra giustizia sarà stata accresciuta della sua ricompensa, avremo raggiunto il numero cinquanta.
Fin d'allora non faremo altro che lodare Dio.
Perciò durante quei giorni cantiamo l'Alleluia. L'Alleluia infatti è lode a Dio.
Nella presente caducità della natura mortale, in questo spazio di quaranta giorni di quaggiù, come prima della risurrezione, sospiriamo pregando per disporci alla lode propria di allora.
Questo è il tempo di lasciarsi portare dal desiderio, allora sarà il tempo d'acquietarsi nel possedere con amore e nel godere.
Trascorriamo senza cedimenti l'intervallo dei quaranta giorni, in vista della felicità propria dei cinquanta giorni.
Chi è mai a dar compimento alla legge se non chi avrà amato?
Interroga l'Apostolo: Il compimento della legge è l'amore. ( Rm 13,10 )
Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto, in ciò che è scritto: Amerai il Signore Dio tuo come te stesso. ( Gal 5,14 )
Ma il precetto della carità è duplice: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Questo precetto è grande. Il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Sono parole del Signore nel Vangelo: Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti. ( Mt 23,37-40 )
Senza questo duplice amore non si può adempiere la legge.
Fino a quando la legge non trova compimento, persiste uno stato d'infermità.
L'uomo infermo da trentotto anni ne contava perciò due in meno.
Che sta a significare l'averne avuti due in meno? L'inosservanza da parte sua, di quei due precetti.
Che giova l'osservanza degli altri se non si adempiono quelli? Hai trentotto?
Se non hai quei due, gli altri per nulla ti gioveranno.
Ne conti due di meno - senza i quali gli altri non possono avere valore - se non fai tuoi i due precetti che conducono alla salvezza.
Se anche parlassi le lingue degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avrò conosciuto tutti i misteri e tutta la scienza e se avrò avuto la pienezza della fede, così da trasportare le montagne, senza che abbia la carità, sono un nulla.
E se avrò distribuito tutte le mie sostanze e dato il mio corpo perché sia bruciato, ma io non abbia la carità, niente mi giova. ( 1 Cor 13,1-3 )
Sono parole dell'Apostolo. Ne segue che tutte le possibilità che ha esposto riflettono quasi i trentotto anni, ma perché là mancava l'amore, era presente l'infermità.
Chi sarà dunque a sollevare da tale stato morboso se non colui che è venuto a portare l'amore?
Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda. ( Gv 13,34 )
E dal momento che è venuto a portare l'amore, e l'amore è la perfezione della legge, disse giustamente: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a darle compimento. ( Mt 5,17 )
Risanò l'infermo dicendogli di prendere il suo lettuccio e andare a casa sua.
Parlò allo stesso modo al paralitico da lui guarito. ( Mc 2,11 )
Che si cela nell'ordine di prendere il nostro letto? La sensualità della nostra carne.
È per noi quasi un letto dove si giace infermi. Ma i risanati la tengono a freno e la portano.
Non sono condizionati appunto dalla carne.
Perciò, da sano, resisti alla caducità seducente della tua carne, perché attraverso il segno del restare digiuni da questo mondo per quaranta giorni, tu possa raggiungere il numero quaranta, poiché rese la salute a quell'infermo colui che non venne ad abolire la legge, ma a portarla a compimento.
Ora che avete appreso questo, rivolgete a Dio il vostro cuore. Guardatevi dal cadere in inganno.
Quando va bene secondo il mondo, interpellate allora voi stessi; esaminatevi se amate o non amate il mondo; apprendete ad esserne distaccati prima che sia il mondo a congedarvi.
Che vuol dire: essere distaccati? È amare disinteressatamente.
Anche se è ancora in tuo possesso ciò che lascerai, o da vivo, o in punto di morte, te ne separi, non puoi averlo sempre con te; perciò, mentre lo possiedi, libera il tuo affetto, sii pronto alla volontà di Dio, ad elevarlo a Dio.
Mantieniti fedele a lui che se non vuoi non perdi; così che se ti debba toccare di perdere questi beni temporali, tu possa dire: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, come è piaciuto al Signore, così è avvenuto; sia benedetto il nome del Signore. ( Gb 1,21 )
Ma se debba avverarsi, e il Signore così vuole, che quei beni che possiedi tu li abbia sino alla fine, una volta sottratto ai vincoli di questa vita, ricevi il denaro che raggiunge il numero cinquanta, e nasce in te la felicità perfetta, mentre canti Alleluia.
Conservando nella memoria queste cose sulle quali ho richiamato la vostra attenzione, esse valgano a tenervi lontano dall'amore del mondo.
L'amicizia di esso è maligna, è falsa, rende nemici di Dio.
In un attimo, in una sola tentazione, l'uomo offende Dio e diventa nemico.
Anzi, non è allora che diventa nemico, ma allora si manifesta che già era nemico.
Infatti già lo era quando dimostrava amore e rendeva lode, ma egli stesso non ne era consapevole e neppure gli altri.
Si fa avanti la tentazione, si tocca il polso e si rivela la febbre.
Così è, fratelli, l'amore del mondo, l'amicizia del mondo rende nemici di Dio.
E il mondo non offre ciò che ha promesso, è bugiardo e inganna.
Perciò gli uomini non cessano di sperare in questo mondo, e chi ottiene tutto quello che spera?
Ma pur avendo conseguito qualsiasi vantaggio, immediatamente è insoddisfatto di ciò che ha ottenuto.
Si comincia a desiderare altre cose, se ne sperano altre di maggior pregio, che al sopraggiungere - qualsiasi cosa ti riesce di avere - perdono ogni attrattiva.
Perciò sii fedele a Dio perché immutabile, perché nulla c'è di più bello.
Infatti, tutte queste altre cose, per il fatto che non hanno l'essere di per sé, decadono, perché non sono ciò che egli è.
A te, o anima, basta soltanto colui che ti ha creata.
Qualunque altra cosa tu fai propria, è una miseria: evidentemente ti può appagare solo colui che ti ha creata a sua somiglianza.
Ancora da quella voce è stato detto: Signore, mostraci il Padre e ci basta. ( Gv 14,8 )
Soltanto là vi può essere sicurezza: e dove può esservi sicurezza, là sarà anche in certo qual modo una sazietà insaziabile.
Poiché avvertirai una sazietà che ti faccia desiderare di scostarti, né ti mancherà qualcosa di cui tu debba quasi avvertire il bisogno.
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