Esposizione dei Salmi |
Per la fine, a guisa di inni sull'ottavo, salmo di David.
Le parole sull'ottavo appaiono oscure, mentre le altre parti di questo titolo sono più chiare.
Alcuni hanno ritenuto che indichi il giorno del giudizio, cioè il tempo dell'avvento di nostro Signore, in cui verrà a giudicare i vivi e i morti.
Si crede che questo avvento, computando gli anni da Adamo, avverrà dopo settemila anni; di modo che, trascorsi i settemila anni come sette giorni, venga poi quel momento come fosse l'ottavo giorno.
Ma, poiché il Signore ha detto: non vi è dato conoscere i tempi che il Padre ha posto in suo potere, ( At 1,7 ) e: quanto poi a quel giorno e a quell'ora nessuno lo conosce né l'angelo, né la virtù, né il Figlio, ma solo il Padre, ( Mt 24,36 ) e siccome sta scritto che il giorno del Signore verrà come un ladro, ( 1 Ts 5,2 ) è a sufficienza dimostrato che nessuno può pretendere di conoscere quel tempo attraverso un computo di anni.
Se infatti quel giorno venisse dopo settemila anni, ogni uomo potrebbe venire a conoscenza della data del suo avvento contando gli anni.
Quando verrà dunque quella data, dato che non la conosce neppure il Figlio?
Certamente così è detto perché gli uomini non la apprendono dal Figlio di Dio, non perché egli in se stesso non la conosca.
Si tratta di una espressione analoga alle altre: il Signore Dio vostro vi tenta per sapere, ( Dt 13,3 ) cioè perché voi sappiate, e: lèvati, Signore, ( Sal 3,7 ) cioè facci sorgere.
Essendo dunque stato detto che il Figlio di Dio non conosce questo giorno, non perché non lo sa, ma perché non vuole renderlo noto a coloro ai quali non conviene conoscerlo, cioè non conviene che sia ad essi indicato; per questo non so proprio con quale presunzione qualcuno, contando gli anni, tiene per certo il giorno del Signore dopo settemila anni!
2 - Quanto a noi, ignoriamo volentieri quel che il Signore non ha voluto farci conoscere e cerchiamo che cosa voglia dire questo titolo, laddove è scritto: sull'ottavo.
Certamente si può, anche senza nessun temerario calcolo di anni, interpretare l'ottavo come il giorno del giudizio, in quanto le anime dei giusti, già dopo la fine di questo secolo, ricevuta la vita eterna, non saranno più soggette al tempo; e poiché tutti i tempi si svolgono nella ripetizione di questi sette giorni, può forse essere detto l'ottavo quello che non avrà questa instabilità.
E vi è anche un altro motivo per il quale si può ragionevolmente accettare che sia chiamato ottavo il giudizio, in quanto esso si compirà dopo due generazioni, delle quali l'una concerne il corpo, l'altra l'anima.
Da Adamo fino a Mosè infatti, il genere umano ha vissuto nel corpo, cioè secondo la carne, che è detta anche uomo esteriore e uomo vecchio, ( Ef 4,22 ) cui è stato dato il Vecchio Testamento affinché prefigurasse le future opere spirituali, con atti religiosi, ma tuttavia ancora carnali.
In tutto questo tempo in cui si viveva secondo il corpo, regnò la morte, come dice l'Apostolo, anche su coloro che non peccarono.
Ma regnò a somiglianza della trasgressione di Adamo, come l'Apostolo stesso dice, poiché fino a Mosè ( Rm 5,14 ) deve essere inteso fino a quando le opere della legge, cioè quei sacramenti osservati carnalmente, non tennero assoggettati, in forza del sicuro mistero, anche coloro che erano sottoposti all'unico Dio.
Ma dall'avvento del Signore, a partire dal quale fu compiuto il passaggio dalla circoncisione della carne alla circoncisione del cuore, si è operata la vocazione, affinché si vivesse secondo l'anima, cioè secondo l'uomo interiore, che è detto anche uomo nuovo ( Col 3,10 ) a cagione della rigenerazione e del rinnovamento dei costumi spirituali.
Pertanto è chiaro che il numero quattro si riferisce al corpo, in quanto consta dei quattro elementi a tutti noti e delle quattro qualità, secca, umida, calda e fredda.
Donde anche deriva che è regolato da quattro stagioni; primavera, estate, autunno e inverno.
Tutte queste sono cose notissime.
Del numero quattro riferito al corpo si discute infatti anche altrove in modo più sottile, ma più oscuro: cosa che dobbiamo evitare in questo sermone, che vogliamo sia alla portata anche dei meno colti.
Si può intendere poi che il numero tre si riferisca all'animo, in quanto ci viene ordinato di amare in tre modi, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente; ( Dt 6,5; Mt 22,37 ) riguardo a ciascuno di questi modi è più opportuno discutere non nel Salterio, ma nel Vangelo.
Per ora ritengo che quanto si è detto sia sufficiente per dimostrare che il numero tre si riferisce all'animo.
Ebbene, esaminati i numeri del corpo concernenti il vecchio uomo e il Vecchio Testamento, esaminati del pari i numeri dell'animo che si riferiscono al nuovo uomo e al Nuovo Testamento - ed ottenuto così il numero sette, poiché ciascuna cosa si compie secondo il tempo - assegnato poi il quattro al corpo e il tre all'animo, ne viene l'ottavo giorno del giudizio, il quale, dando ai meriti quanto è dovuto, trasferirà i santi non più alle opere temporali ma alla vita eterna, mentre condannerà per sempre gli empi.
Temendo tale condanna la Chiesa prega in questo salmo, dicendo: Signore, non mi riprendere nell'ira tua.
Anche l'Apostolo la chiama ira del giudizio: ti accumuli - dice - l'ira per il giorno dell'ira del giusto giudizio di Dio. ( Rm 2,5 )
In questa ira non vuole essere ripreso chiunque desidera essere risanato in questa vita.
E nel tuo furore non mi correggere.
Correggere appare più mite: mira infatti a emendare.
Infatti chi è ripreso, cioè è accusato, c'è da temere che finisca col subire la condanna.
Ma poiché il furore sembra essere più forte dell'ira, può destare stupore il fatto che ciò che è più mite, cioè la correzione, sia posta insieme con ciò che è più severo, ossia con il furore.
Credo però che si voglia intendere una sola cosa con due parole: infatti in greco θυμός che è nel primo versetto, ha lo stesso significato di όργή che leggiamo nel secondo.
Siccome però anche i latini volevano porre due parole, ci si è chiesti che cosa fosse prossimo all'ira, e si è scritto furore: ecco perché in questo punto sono diverse le lezioni dei codici; in alcuni infatti si trova prima ira e poi furore, in altri prima furore e poi ira, in altri ancora al posto di furore c'è indignazione, oppure collera.
Ma, quale che sia la parola, si tratta sempre di un turbamento dell'animo che induce a infliggere una pena.
Tale turbamento non può essere attribuito a Dio, come si può attribuirlo all'anima.
A proposito di Dio infatti è detto: ma tu Signore delle virtù, con tranquillità giudichi, ( Sap 12,18 ) e ciò che è tranquillo non è turbato.
Il turbamento non colpisce Dio giudice: ma l'ira che si accende nei suoi servi, in quanto si manifesta a cagione delle sue leggi, è detta ira di Dio.
In questa ira, non soltanto l'anima che ora prega non vuole essere ripresa, ma neppure corretta, cioè emendata o ammaestrata: in greco infatti sta scritto παιδεύσης cioè ammaestri.
Nel giorno del giudizio, poi, saranno ripresi tutti coloro che non posseggono il fondamento, che è Cristo; saranno emendati, invece, cioè purificati, coloro che su questo fondamento avranno sovrapposto legno, erba e stoppia: infatti costoro soffriranno danno, ma saranno salvi, come attraverso il fuoco. ( 1 Cor 3,11 )
A qual fine prega dunque costui che non vuole essere né ripreso né emendato nell'ira del Signore, se non per essere risanato?
Dove c'è infatti la salute non c'è da temere la morte, né la mano del medico che brucia e taglia.
Continua perciò e dice: abbi pietà di me, Signore, perché sono infermo; risanami, Signore, perché turbate sono le mie ossa, cioè è turbata la stabilità o la fermezza della mia anima: questo infatti significano le ossa.
Menzionando le ossa, l'anima dice dunque che la sua fermezza è turbata, poiché non dobbiamo credere che essa abbia le ossa che vediamo nel corpo.
Per questo motivo le parole che seguono: e l'anima mia è grandemente turbata, ci appaiono una spiegazione, volta ad evitare che, quando ha detto ossa, si intendano quelle del corpo.
E tu, Signore, fino a quando?
Chi non comprende che è qui rappresentata l'anima in lotta con le sue malattie, [ l'anima ] a lungo privata del medico perché sia ben persuasa in quali mali, peccando, si è precipitata?
Non incute infatti molto timore ciò da cui facilmente si guarisce; dalle difficoltà della guarigione nascerà invece una più diligente custodia della salute ritrovata.
Quindi non dobbiamo considerare come crudele Dio, al quale sono rivolte le parole: e tu Signore fino a quando, ma dobbiamo piuttosto considerarlo come un buon maestro che fa capire all'anima il male che si è procurata da se stessa.
Infatti quest'anima non prega ancora in modo tanto perfetto che [ Iddio ] le possa dire: mentre ancora parli ti dirò: ecco sono qui. ( Is 65,24 )
Comprenda anche nel contempo quanto deve essere grande la pena preparata per gli empi che non vogliono convertirsi a Dio, se tanta è la difficoltà che incontrano coloro che si convertono; come appunto è scritto in altro luogo: se il giusto a stento si salverà, dove finiranno l'empio e il peccatore? ( 1 Pt 4,18 )
5 - [v 5.] Volgiti, o Signore e libera l'anima mia.
Nel convertirsi prega che anche Dio si volga verso di lei, come sta scritto: volgetevi a me ed io mi volgerò a voi, dice il Signore. ( Zc 1,3 )
Oppure con quell'espressione: volgiti o Signore, dobbiamo intendere: fa' si che io mi converta, in quanto sente la difficoltà e la fatica connesse alla sua stessa conversione?
La nostra perfetta conversione trova infatti Dio pronto, come dice il profeta: come l'aurora lo troveremo pronto, ( Os 6, 3 sec. LXX ) perché quel che ce Lo ha fatto perdere non fu la sua assenza - Egli è ovunque presente - ma il nostro distoglierci da Lui.
Sta scritto: era in questo mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui e il mondo non lo conobbe. ( Gv 1,10 )
Ebbene, se era in questo mondo e il mondo non lo conobbe, è la nostra impurità che non sopporta la sua vista.
Ma quando ci convertiamo, ossia quando, nella trasformazione della vecchia vita, veniamo come a dare una nuova effigie al nostro spirito, sperimentiamo bene quanto è duro e faticoso rivolgersi dalla caligine delle passioni terrene alla serenità e alla tranquillità della luce divina.
E in tale difficoltà diciamo: volgiti, o Signore, cioè aiutaci, affinché si compia in noi quella conversione che ti trova pronto e nell'atto di offrirti in godimento a coloro che ti amano.
Per questo, dopo aver detto: volgiti, o Signore, ha aggiunto: e libera l'anima mia, in quanto essa è avvinta alle perplessità di questo secolo, ed è trafitta dalle spine dei laceranti desideri nell'atto stesso in cui si converte.
Dice: salvami per la tua misericordia.
Si rende conto che non è risanata per i suoi meriti, giacché una giusta condanna era dovuta al peccatore che aveva violato il comandamento dato [ da Dio ].
Sanami dunque - dice - non per i miei meriti, ma per la tua misericordia.
Perché non vi è nella morte chi si ricorda di te.
Comprende anche che è ora il tempo della conversione; perché quando sarà trascorsa questa vita, non resterà altro che la ricompensa dei meriti.
E nell'inferno chi ti confesserà?
Confessò [ Dio ] nell'inferno quel ricco di cui parla il Signore, quel ricco che vide Lazzaro in pace mentre egli soffriva nei supplizi; ha confessato fino al punto da voler avvisare i suoi a guardarsi dai peccati, a cagione delle pene che non si crede siano nell'inferno. ( Lc 16,23-31 )
Sebbene invano, confessava tuttavia che quei supplizi lo avevano colpito giustamente, quando desiderava avvisare i suoi perché non precipitassero in tali tormenti.
Perché allora è scritto: e nell'inferno chi ti confesserà?
O forse si intende per inferno il luogo in cui, dopo il giudizio, saranno precipitati gli empi, e dove ormai, a cagione delle profonde tenebre, non vedranno nessuna luce di Dio cui rivolgere la loro confessione?
Sta di fatto che costui, alzando gli occhi, sebbene vi fosse tra loro un immane abisso, ha potuto tuttavia vedere Lazzaro stabilito nella pace e, paragonandosi a lui, è stato costretto a confessare i meriti di questo.
Possiamo anche intendere le parole del salmo nel senso che chiami morte il peccato che si commette disprezzando la legge divina; di modo che chiamiamo morte il pungiglione della morte che procura la morte, e il pungiglione della morte è il peccato. ( 1 Cor 15,56 )
In questa morte, non ricordarsi di Dio significa disprezzare la sua legge e i suoi comandamenti, di modo che avrebbe chiamato inferno la cecità dell'animo, che accoglie e avviluppa il peccatore, ossia il morente; così come sta scritto: poiché non si diedero cura di conoscere Dio, li abbandonò Iddio ai reprobi sentimenti. ( Rm 1,28 )
Ebbene, l'anima scongiura di essere preservata da questa morte e da questo inferno, mentre si sforza di convertirsi a Dio, e ne esperimenta le difficoltà.
7 - [v 7.] Ecco perché continua dicendo: mi sono sfinito nel mio gemere, e aggiunge, come se a poco gli avesse giovato: laverò [ col pianto ] ogni notte il mio letto.
In questo passo è chiamato letto il luogo ove l'anima ammalata e inferma cerca riposo, cioè nei piaceri del corpo e in ogni voluttà del mondo.
Lava questa seduzione con le lacrime chi tenta di strappare se stesso alla sua stretta.
Infatti si avvede già che le concupiscenze carnali lo portano alla dannazione; e tuttavia la sua debolezza è prigioniera del diletto e in esso giace volentieri l'anima che non può risollevarsi, se non è risanata.
Dicendo: ogni notte, vuol fare intendere forse che colui il quale nella risoluzione dello spirito avverte una certa luce di verità e ricade tuttavia di tanto in tanto nelle seduzioni di questo secolo a causa della debolezza della carne, si trova allora costretto a subire l'alternarsi dei sentimenti come i giorni e le notti; così che quando dice: con lo spirito obbedisco alla legge di Dio, è come se avanzasse nel giorno, e quando dice ancora: ma con la carne alla legge del peccato ( Rm 7,25 ) allora precipita nella notte, finché non trascorra ogni notte e venga quell'unico giorno a proposito del quale è detto: al mattino mi presenterò a te e vedrò. ( Sal 5,5 )
Allora starà in piedi: ma per ora giace, poiché è nel letto che ogni notte laverà per ottenere, versando tante lacrime, la medicina efficacissima da parte della misericordia di Dio.
Nelle lacrime irrigherò il mio giaciglio, è una ripetizione: dicendo infatti nelle lacrime ripete ciò che prima ha detto dicendo laverò.
E con giaciglio intendiamo quanto ha detto prima con letto.
Tuttavia, irrigherò è qualcosa di più che laverò, perché si può lavare qualcosa anche solo in superficie, mentre l'irrigazione giunge a permeare l'interno, il che significa che il pianto giunge fino al profondo del cuore.
Quanto poi al cambiamento dei tempi verbali - ha usato il passato dicendo: mi sono sfinito nel mio gemere, e il futuro col dire: laverò ogni notte il mio letto, e di nuovo il futuro: nelle lacrime irrigherò il mio giaciglio - esso mostra che cosa ciascuno deve dire a se stesso, quando si è affaticato gemendo invano; è come se dicesse: non mi ha giovato far questo, farò quindi quest'altro.
Turbato dall'ira è il mio occhio.
Dall'ira sua o da quella di Dio, nella quale chiede di non essere ripreso o corretto?
Ma se essa significa il giorno del giudizio, come si può ora [ così ] intendere?
Ovvero si tratta del suo inizio, dato che qui gli uomini soffrono dolori e tormenti, e soffrono soprattutto la riduzione della conoscenza della verità, secondo quanto ho già ricordato: Dio li ha abbandonati ai perversi sentimenti? ( Rm 1,28 )
È questa infatti la cecità dello spirito e chiunque è abbandonato ad essa, è escluso dall'interiore luce di Dio: ma non ancora del tutto, finché è in questa vita.
Vi sono infatti le tenebre esteriori, ( Mt 25,30 ) che paiono essere più pertinenti al giorno del giudizio, di modo che rimanga completamente fuori da Dio chiunque ha ricusato di correggersi fino a che era in tempo.
Cosa è essere completamente estranei a Dio, se non essere nella totale cecità?
Dio infatti abita la luce inaccessibile, ( 1 Tm 6,16 ) ove hanno accesso soltanto coloro ai quali è detto: entra nel gaudio del tuo Signore. ( Mt 25,21-23 )
Quel che soffre ogni peccatore in questa vita è dunque l'inizio di questa ira: temendo perciò il giorno del giudizio, si affatica e piange, per non arrivare a [ quella ira ] il cui inizio tanto micidiale esperimenta già fin da ora.
Per questo non ha detto: si è spento, ma ha detto: turbato dall'ira è il mio occhio.
Se poi dice che per la sua ira è turbato il suo occhio, non c'è da meravigliarsi e forse in ordine a questo sta l'espressione: non tramonti il sole sulla vostra ira; ( Ef 4,26 ) poiché pare che lasci tramontare in sé il sole interiore - cioè la sapienza di Dio - la mente che per il suo turbamento resta impedita di vederlo.
Sono invecchiato fra tutti i miei nemici.
Aveva parlato soltanto dell'ira ( se è solo alla sua ira che si riferiva ); ma considerando gli altri vizi, scopre di essere assediato da tutti, e siccome questi vizi appartengono alla vecchia vita e al vecchio uomo, di cui dobbiamo spogliarci per rivestirci del nuovo, ( Col 3, 9.10 ) giustamente è detto: sono invecchiato.
E dice ancora: fra tutti i miei nemici, ossia o in mezzo ai vizi stessi, oppure in mezzo agli uomini che non vogliono convertirsi a Dio.
Costoro infatti, anche se non se ne rendono conto, anche se sono clementi, anche se prendono parte agli stessi banchetti e convivono nelle medesime case e città senza che si frapponga alcuna lite, e fanno conversazioni frequenti e concordi, pur tuttavia, data la diversità della loro intenzione, sono nemici di coloro che si convertono a Dio.
Infatti, poiché gli uni amano e desiderano questo mondo, mentre gli altri desiderano liberarsene, come possono quelli non essere nemici di questi?
Se potessero, infatti, li trascinerebbero con sé nella via che porta alla pena.
Ed è davvero un grande dono vivere ogni giorno in mezzo alle loro conversazioni e non allontanarsi dalla via dei comandamenti di Dio.
Spesso, infatti, la mente che si sforza di tendere a Dio, sconvolta, trepida nel cammino stesso; e il più delle volte non adempie al suo buon proposito per non offendere coloro con cui vive, i quali amano e inseguono altri beni, passeggeri ed effimeri.
Ogni spirito sano è separato da costoro, non nello spazio, ma nell'anima: i corpi infatti sono contenuti nello spazio, mentre lo spazio dell'anima è l'affetto [ che la pervade ].
Ecco perché, dopo la fatica, il gemito, i torrenti abbondantissimi di lacrime, siccome non può essere vana la preghiera innalzata con tanto vigore a colui che è la fonte di ogni misericordia con grande verità è detto: vicino è il Signore a chi ha il cuore contrito. ( Sal 34,19 )
Osserva poi che cosa aggiunge l'anima pia, nella quale è lecito scorgere anche la Chiesa, nel dichiararsi esaudita dopo tante difficoltà: allontanatevi da me, tutti voi che operate iniquità; giacché il Signore ha udita la voce del mio pianto.
Queste parole sono dette sia in senso profetico, in quanto gli empi si allontaneranno, cioè saranno separati dai giusti quando verrà il giorno del giudizio, sia in senso attuale, perché, anche se sono raccolti insieme e negli stessi luoghi, tuttavia sulla nuda aia il grano è già separato dalla paglia sebbene sia celato tra la paglia.
Possono pertanto stare insieme, ma non possono essere portati via insieme dal vento.
11 - [v 10.] Giacché il Signore ha udito la voce del mio pianto; il Signore ha esaudito la mia supplica; il Signore ha accolto la mia preghiera.
La frequente ripetizione dello stesso concetto sta ad indicare non la necessità della narrazione, ma il sentimento dell'anima esultante.
Sono soliti infatti parlare così coloro che gioiscono; come se non bastasse loro proclamare una volta sola la propria gioia.
Questo è il frutto di quel gemito nel quale ci si affatica, di quelle lacrime con cui si lava il letto e si irriga il giaciglio; perché miete nella gioia chi semina nelle lacrime, ( Sal 126,5 ) e beati sono coloro che piangono, perché saranno consolati. ( Mt 5,5 )
Siano svergognati e turbati tutti i miei nemici.
Allontanatevi da me tutti voi, ha detto prima, ciò può accadere anche in questa vita, come abbiamo spiegato; ma quando ora dice: siano svergognati e turbati, non vedo in qual modo possa accadere se non in quel giorno in cui saranno resi noti i premi dei giusti e i supplizi dei peccatori.
Infatti ora non solo gli empi non si vergognano, al punto che non cessano di insultarci, ma hanno spesso tanta forza con le loro beffe, che inducono gli uomini deboli a vergognarsi del nome di Cristo.
Per questo il Signore ha detto: chiunque si vergognerà di me al cospetto degli uomini, io mi vergognerò di lui al cospetto del Padre mio. ( Mt 10, 32s; Lc 9,26 )
Chi invece avrà voluto adempiere ai sublimi precetti di distribuire le ricchezze e darle ai poveri, onde in eterno rimanga la giustizia di lui, ( Sal 112,9 ) e, dopo aver venduto tutti i suoi beni terreni e averne dato il ricavato ai bisognosi, avrà voluto seguire Cristo, dicendo: nulla abbiamo portato in questo mondo, ma neppure possiamo portar via qualcosa: avendo di che sostentarci e di che coprirci, di questo siamo contenti, ( 1 Tm 6, 7.8 ) ebbene costui cade nella mordacità sacrilega di questi, ed è chiamato pazzo da coloro che non vogliono essere risanati; e spesso, per evitare di essere chiamato così da questi uomini perduti, ha paura di compiere e rimanda quanto ha ordinato il fedelissimo e onnipotente medico di tutti.
Ora dunque non possono arrossire costoro, a cagione dei quali c'è da augurarci di non arrossire noi, e di non essere, o indotti a tornare indietro, o ostacolati, o ritardati nel cammino che ci siamo proposti.
Ma verrà per essi tempo di arrossire, quando diranno, come sta scritto: questi sono coloro che un tempo avemmo a scherno e a oggetto di vituperio; noi insensati consideravamo follia la loro vita e senza onore la loro fine; in qual modo sono annoverati tra i figli di Dio e la loro sorte è tra i santi?
Noi dunque abbiamo deviato dalla via della verità, la luce della giustizia non ha brillato per noi, e per noi il sole non è sorto; ci siamo stancati per la via dell'iniquità e della perdizione, e abbiamo camminato per impervie solitudini, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore.
Che ci ha giovato la superbia, o che cosa ci ha portato il vantarci delle ricchezze?
Tutte quelle cose passarono come ombra. ( Sap 5,3-9 )
13 - Quanto poi alle parole che seguono: si convertano e siano confusi, chi non penserà che è giustissimo castigo che abbiano in sorte una conversione a [ loro ] confusione coloro che non hanno voluto riceverla come salvezza?
Ha aggiunto poi: molto rapidamente.
Quando comincerà infatti a non essere più atteso il giorno del giudizio, quando essi diranno: pace, allora d'improvviso verrà per loro la fine. ( 1 Ts 5,3 )
Quale che sia il momento in cui verrà, viene rapidissimo ciò di cui non si attende la venuta; e solo la speranza di vivere fa sentire la lunghezza di questa vita: niente infatti sembra essere più fulmineo di quanto in essa è già passato.
Orbene, quando sarà venuto il giorno del giudizio, allora i peccatori si renderanno conto di come sia breve ogni vita che passa.
In nessun modo potrà sembrar loro essere venuto tardi ciò che sopraggiunge mentre non solo non lo desiderano, ma ancor più non vi credono.
Queste parole possono tuttavia essere anche interpretate nel senso che l'anima esaudita da Dio per i gemiti e i frequenti e lunghi pianti, è stata liberata dai suoi peccati e ha domato ogni malvagio moto dei suoi affetti carnali, dato che dice: allontanatevi da me tutti voi che operate iniquità giacché il Signore ha esaudito la voce del mio pianto.
Riflettendo al bene conseguito, non è da meravigliarsi che sia già così perfetta da pregare per i suoi nemici.
A questo possono riferirsi anche le parole: arrossiscano e si turbino tutti i miei nemici, in modo che facciano penitenza dei loro peccati, il che non può avvenire senza vergogna e turbamento.
Niente vieta quindi di intendere in questo senso anche quel che segue: si convertano e arrossiscano, cioè si convertano a Dio e arrossiscano di se stessi che un tempo si sono gloriati nelle vecchie tenebre dei peccati, secondo le parole dell'Apostolo: quale gloria aveste un tempo in ciò di cui oggi arrossite? ( Rm 6,21 )
Quanto poi aggiunge: molto rapidamente, è da riferire o al sentimento di chi desidera o alla potenza di Cristo, il quale con così grande celerità di tempo ha convertito alla fede del Vangelo le genti che perseguitavano la Chiesa per difendere i loro idoli.
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