Esposizione dei Salmi |
Non credo occorra dedicare molto tempo alla spiegazione del titolo di questo salmo, tanto breve e semplice.
È, intatti, sotto i nostri occhi l'adempimento della profezia che qui leggiamo, mentre ai tempi di David, quando queste vicende venivano cantate, ancora niente di tal genere era accaduto alla città di Gerusalemme per colpa dei gentili, e nemmeno al tempio di Dio, che ancora non era stato costruito.
Chi non sa che dopo la morte di David, fu il suo figlio Salomone a costruire il tempio a Dio?
Qui dunque il profeta racconta come già accaduto ciò che in spirito vedeva doversi realizzare in futuro.
O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità.
Con espressione analoga fu detto in quella profezia che si riferisce alla passione del Signore: Mi hanno dato il fiele per cibo, e nella mia sete mi hanno dissetato con l'aceto; ( Sal 69,22 ) e tanti altri sono gli esempi offertici dallo stesso salmo, nei quali cose future vengono descritte come se già fossero accadute.
Né c'è da stupirsi che il racconto venga fatto a Dio.
Non si tratta, ovviamente, di elencare delle cose a uno che non le conosce, mentre è per sua rivelazione che le si conoscono in anticipo.
È un colloquio che l'anima stabilisce con Dio, spinta da un sentimento di pietà anch'esso noto a Dio.
Così anche gli angeli. Quando annunziano qualcosa agli uomini, l'annunziano a persone che ne sono all'oscuro; ma quando annunziano qualcosa a Dio, l'annunziano a chi ne è a conoscenza, come quando offrono a lui le nostre preghiere, o quando, per consigliarsi sulle proprie azioni, ricorrono in modo ineffabile all'eterna verità come a norma immutabile.
E così anche l'uomo di Dio autore del salmo.
Egli ricorda a Dio ciò che da Dio ha imparato, come quando un discepolo si rivolge al maestro non per istruirlo ma per averne un giudizio, affinché cioè questi approvi quanto ha insegnato, disapprovi ciò che non ha insegnato.
E questo vale tanto più per il profeta, il quale, come orante, trasfigura in sé coloro che vivranno al tempo in cui i fatti accadranno.
Nella preghiera si è soliti elencare a Dio le cose che egli ha permesse nel suo sdegno, aggiungendo poi la supplica affinché abbia misericordia e perdoni.
In questo modo parla nel nostro salmo il profeta: sembrerebbero suppliche elevate a Dio da persone che già le abbiano vissute.
Certamente, però, tanto la deplorazione quanto la supplica costituiscono una profezia.
O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità; hanno profanato il tuo santo tempio; hanno reso Gerusalemme come capanna ove si raccolgono frutti.
Hanno gettato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo e le carni dei tuoi santi alle belve della terra.
Hanno versato il loro sangue come fosse acqua intorno a Gerusalemme, e non c'era chi desse sepoltura.
In questa profezia potremmo, penso, scorgere la devastazione di Gerusalemme ad opera di Tito imperatore romano, avvenuta quando il Signore Gesù Cristo, dopo la resurrezione e l'ascensione, era ormai annunziato tra le genti.
Non vedo però come in tal caso il popolo ebreo possa essere chiamato eredità di Dio, dato che non possiede Cristo, anzi, avendolo rigettato e ucciso, è divenuto reprobo esso stesso, non avendo voluto credere in Cristo nemmeno dopo la sua resurrezione.
Per di più ne ha tramandato a morte i testimoni.
Tuttavia, di fra mezzo al popolo d'Israele, diverse persone hanno creduto in Cristo e accettato la sua presenza salvifica, realizzandosi in tal modo e in maniera salutare e feconda la promessa divina.
È poi di loro che diceva il Signore: Sono stato mandato soltanto per le pecore che si sono perdute della casa d'Israele. ( Mt 15,24 )
Ebbene, costoro sono, fra tutti gli israeliti, i figli della promessa; costoro sono considerati come discendenza ( Rm 9,8 ) e appartengono all'eredità di Dio.
Fra questi annoveriamo Giuseppe, uomo giusto, e la Vergine Maria, che partorì Cristo; ( Mt 1,16 ) Giovanni Battista, l'amico dello sposo, e i suoi genitori Zaccaria ed Elisabetta; ( Lc 1,5 ) il vecchio Simeone e la vedova Anna, i quali, per quanto non abbiano potuto udire con i sensi del corpo le parole di Cristo, tuttavia, guidati dallo Spirito, lo seppero riconoscere in quel bambino che ancora non parlava. ( Lc 2,25.36 )
Vi annoveriamo ancora i beati Apostoli; Natanaele, in cui non c'era inganno; ( Gv 1,47 ) l'altro Giuseppe che attendeva anche lui il regno di Dio. ( Gv 19,38; Lc 23,51 )
E poi quella grande moltitudine che precedeva e seguiva la cavalcatura di Gesù acclamando: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! ( Mt 21,9 ) tra cui si distinguevano tanti fanciulli nei quali, a detta del Signore, si realizzavano le parole: Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai espresso una lode perfetta. ( Sal 8,3 )
Di tal numero fan parte anche coloro che, dopo la sua resurrezione, furono battezzati in un giorno tremila e in un altro cinquemila, ( At 2,41; At 4,4 ) e che il fuoco della carità fondeva in una sola anima ed in un sol cuore.
Fra loro nessuno considerava come proprietà privata i beni che possedeva, ma li poneva tutti in comune. ( At 4,32 )
E vi fan parte ancora i santi diaconi, uno dei quali, Stefano, fu coronato dal martirio prima degli Apostoli; ( At 7,58 ) e così pure tutte le comunità della Giudea che credevano in Cristo, alle quali Paolo era sconosciuto per non averlo mai visto, ( Gal 1,22 ) ma lo conoscevano per la sua ben nota crudeltà e ancor più per la grazia che Cristo nella sua infinita misericordia gli aveva accordata.
Era infatti, l'Apostolo, quel tale a cui si riferiva l'antica profezia: Lupo rapace, che di mattino ruba e di sera divide il cibo. ( Gen 49,27 )
Cioè: dapprima persecutore che trascina a morte e poi predicatore che pasce per la vita.
Tutti costoro erano l'eredità che Dio s'era costituita in quel popolo.
Ecco perché anche il più piccolo degli Apostoli, ( 1 Cor 15,9 ) il dottore delle genti, scrive: Ebbene io dico: Forse che Dio ha rigettato il suo popolo? No certamente!
Infatti, anch'io sono un israelita, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino.
Dio non ha rigettato il suo popolo che in anticipo ha conosciuto. ( Rm 11,1.2 )
Questo popolo che, originario dalla gente giudea, si è incorporato al Cristo, è l'eredità di Dio.
Infatti, quanto dice l'Apostolo: Dio non ha rigettato il suo popolo che in anticipo ha conosciuto corrisponde alle parole di quel salmo ove sta scritto: Il Signore non scaccerà il suo popolo.
Ma siccome poi aggiunge: E non abbandonerà la sua eredità, ( Sal 94,14 ) risulta con evidenza che quel popolo è l'eredità di Dio.
Per asserire questo, l'Apostolo prima ricorda, è vero, la testimonianza profetica ove si preannunzia la futura incredulità del popolo di Israele e cioè: Per tutto il giorno ho teso le mie mani a un popolo che non crede e contraddice. ( Rm 10,21; Is 65,2 )
Però affinché nessuno, comprendendo male, avesse a pensare che tutto intero quel popolo sia stato condannato per la sua incredulità e il suo spirito di contraddizione, subito aggiunge: Ebbene io dico: Forse che Dio ha rigettato il suo popolo? Non sia mai!
Infatti, anch'io sono un israelita, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino.
Mostra insomma di qual popolo abbia inteso parlare, e cioè del popolo ebraico del Vecchio Testamento; e dice che se Dio lo avesse riprovato e condannato tutto intero egli non sarebbe potuto essere certamente un apostolo di Cristo, essendo un israelita della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino.
Cita ancora un'altra testimonianza, e decisiva, quando dice: Ma non sapete che cosa dice la Scrittura per bocca di Elia, e in qual modo si rivolge a Dio contro Israele?
Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, e io sono stato lasciato solo, ed essi cercano la mia anima.
Ma che cosa dice a lui la risposta divina? Ho lasciato per me settemila uomini che non hanno piegato le ginocchia davanti a Baal.
Così dunque anche in questa epoca un resto è stato salvato per mezzo dell'elezione della grazia.
Questo resto preso in seno a quella gente costituisce l'eredità di Dio; non quelli di cui poco dopo dice: Quanto agli altri, essi sono stati accecati. ( Rm 11,2-7 )
Aggiunge infatti: E che, dunque? Ciò che Israele cercava non l'ha ottenuto; gli eletti però lo hanno ottenuto.
Quanto agli altri, essi sono stati accecati.
Orbene questi eletti, questo resto, questo popolo di Dio che Dio non ha rigettato, è chiamato sua eredità.
Quanto a quella parte d'Israele che non ha ottenuto l'elezione, cioè quegli altri che rimasero accecati, non è in questi che bisogna cercare l'eredità di Dio, per cui si possano dire di loro riferendosi al tempo dell'imperatore Tito, dopo la glorificazione di Cristo in cielo, le parole del salmo: O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità, e tutte le altre cose che in questo salmo sembrano preannunziare la distruzione di quel popolo, del tempio e della città
Il salmo, quindi, potrebbe essere riferito alle persecuzioni che furono causate agli ebrei da parte di altri nemici, prima che Cristo venisse nella carne.
Allora, cioè al tempo dei santi profeti, non c'era altra eredità di Dio: quando, ad esempio, ebbe luogo l'esilio in Babilonia e quel popolo venne gravemente decimato; ( 2 Re 24,14 ) oppure sotto Antioco, quando i Maccabei, sottoposti a orribili tormenti, furono gloriosamente coronati. ( 2 Mac 7 )
Sono narrate, infatti, in questo salmo cose che di solito accadono in guerre sanguinose.
Oppure se per l'eredità di Dio che il salmo celebra è da intendersi la comunità dei tempi dopo la resurrezione e l'ascensione dei Signore, allora le parole del sacro testo si riferiscono alle persecuzioni che la Chiesa ha subite a non finire nella persona dei suoi martiri, ad opera degli adoratori degli idoli e dei nemici del nome di Cristo.
Sebbene infatti Asaf significhi " sinagoga " ( cioè assemblea ) e questo nome sia di solito riferito al popolo dei giudei, tuttavia in un altro salmo abbiamo già chiaramente dimostrato che anche la Chiesa cristiana può essere detta " assemblea ", allo stesso modo come l'antico popolo venne denominato " chiesa ".
Orbene questa Chiesa, questa eredità di Dio è stata adunata attraverso la fusione di quelli della circoncisione con quei del prepuzio, cioè con la riunione del popolo di Israele con le altre genti: unione effettuatasi ad opera della pietra che i costruttori hanno respinta e che è divenuta testata d'angolo. ( Sal 118,22 )
In questo angolo i due popoli si sono riuniti come due pareti provenienti da diverse direzioni, perché egli è la nostra pace, colui che ha fatto di due uno, per riunire in sé i due in un solo uomo nuovo, ristabilendo la pace, e per raccoglierli in un sol corpo riconciliandoli con Dio. ( Ef 2,14-16 )
In questo corpo noi siamo figli di Dio e gridiamo: Abba, Padre. ( Rm 8,15; Gal 4,6 )
"Abba" parlando nella loro lingua; "Padre" nella nostra.
Difatti Abba è la stessa cosa di Padre.
Ecco perché il Signore, che pure aveva detto: Io sono stato mandato soltanto per le pecore perdute della casa d'Israele, ( Mt 15,24 ) e aveva mostrato a quel popolo con la sua venuta corporale che era stata mantenuta la promessa fatta, dice tuttavia altrove: Ho altre pecore che non appartengono a questo ovile; è necessario che io guidi anch'esse, affinché vi sia un solo gregge e un solo pastore. ( Gv 10,16 )
Parole queste che si riferiscono alle genti, alle quali sarebbe andato non con la sua presenza corporale ( confermando così le parole: Io sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa di Israele ), ma per mezzo del suo Vangelo, che avrebbero diffuso i bei piedi di coloro che annunziano la pace, che annunziano il bene. ( Rm 10,15 )
Infatti, in tutta la terra è echeggiata la loro voce e lino ai confini della terra le loro parole. ( Sal 19,5 )
A questo riguardo dice ancora l'Apostolo: Affermo che Cristo Gesù è stato ministro della circoncisione per manifestare la verità di Dio, per confermare le promesse latte ai padri.
È come se ribadisse le parole: Sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa di Israele.
Ma l'Apostolo soggiunge: Quanto alle genti, esse glorificano Dio per la sua misericordia, confermando così le parole: Ho altre pecore che non appartengono a questo ovile; è necessario che io guidi anch'esse affinché vi sia un solo gregge e un solo pastore.
L'una e l'altra sentenza sono brevemente riassunte nel testo profetico citato dall'Apostolo: Rallegratevi, genti, insieme con il suo popolo. ( Rm 15,8.10 )
Orbene quest'unico gregge sotto un unico pastore è l'eredità di Dio: non soltanto del Padre, ma anche del Figlio.
Sono, infatti, voce del Figlio le parole: Le mie corde sono cadute in posti eccellenti; sì, la mia eredità mi è squisita; ( Sal 16,6 ) come, viceversa, sono voce della sua eredità le parole riferite dal profeta: Signore, Dio nostro, possiedici. ( Is 26,13 sec LXX )
Il Padre, che certo non può morire, ha lasciato questa eredità al Figlio; e il Figlio con la sua morte l'ha conquistata in una maniera ineffabile e ne ha preso possesso con la resurrezione.
Riferiamo dunque a questa eredità le parole che profeticamente canta il nostro salmo, e cioè: O Dio, le genti sono entrate nella tua eredità.
Vediamo descritto in tali parole l'avvicinarsi delle genti alla Chiesa, non credendo ma perseguitando; l'averla cioè invasa con l'intento di distruggerla e di perderla, come hanno dimostrato tanti esempi di persecuzioni.
In tal caso però è necessario che le parole che seguono: Hanno profanato il tuo santo tempio non siano riferite al legno e alle pietre, ma agli uomini stessi, con i quali come pietre vive, a quanto afferma l'apostolo Pietro, ( 1 Pt 2,5 ) è costruita la dimora di Dio.
Apertamente anche l'apostolo Paolo dice: Il tempio di Dio è santo, e questo siete voi. ( 1 Cor 3,17 )
I persecutori hanno profanato questo tempio in coloro che essi con il terrore e le torture costrinsero a rinnegare Cristo e con ostinata violenza indussero ad adorare gli idoli: dei quali molti si sono ravveduti e hanno fatto penitenza, purificandosi così della loro contaminazione.
Sono, infatti, di uno che si pente le parole: Dalla mia colpa purificami; e le altre: Un cuore puro crea in me, o Dio, e rinnova nelle mie viscere lo spirito retto. ( Sal 51,4.12 )
Nel verso che segue: Hanno abbandonato Gerusalemme come una capanna da frutti, nel nome "Gerusalemme" si ha da intendere ancora la Chiesa, quella Gerusalemme libera che è la nostra madre, della quale sta scritto: Rallegrati, o sterile che non generi; esclama e grida, tu che non partorisci; perché molti sono i figli della solinga, più di quelli di colei che ha marito. ( Gal 4,26.27; Is 54,1 )
Nelle parole: Come una capanna per frutti, credo si debba intendere lo spopolamento che ha provocato l'enormità delle persecuzioni.
E se si menziona la capanna dei frutti è perché questa viene lasciata nell'abbandono quando non ci sono più frutti.
In effetti, quando per le persecuzioni dei gentili la Chiesa sembrò rimanere abbandonata, allora gli spiriti dei martiri passarono alla mensa celeste, come frutti dolcissimi che in gran copia erano maturati nell'orto del Signore.
5 - [v 2.] Dice: Hanno gettato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, e le carni dei tuoi santi alle belve della terra.
Quanto dice prima con la parola cadaveri, poi ripete dicendo carni.
E come prima dice dei tuoi servi poi con una ripetizione dice dei tuoi santi.
L'unico cambiamento consiste nel fatto che, mentre prima diceva agli uccelli del cielo, la seconda volta dice alle belve della terra.
Meglio hanno tradotto coloro che hanno reso il testo con cadaveri, che non coloro che hanno preferito cose mortali.
Sono detti " cadaveri ", infatti, soltanto i corpi dei morti; mentre " cosa mortale " designa anche il corpo vivente.
Orbene, quando gli spiriti dei martiri tornarono, come ho detto, al loro agricoltore quasi fossero frutti, i loro cadaveri e le loro carni furono dai persecutori gettate in pasto agli uccelli del cielo e alle belve della terra.
Si voleva far scomparire tutto quanto sarebbe potuto risorgere, senza considerare che colui il quale tiene contati tutti i nostri capelli ( Mt 10,30 ) avrebbe restaurato ogni cosa intervenendo fin negli occulti recessi della natura.
Hanno versato il loro sangue come fosse acqua, cioè in gran copia e senza farne alcun conto, intorno a Gerusalemme.
Se riteniamo si tratti della città terrena di Gerusalemme, riferiremo il testo al sangue versato dagli ebrei che i nemici scovarono fuori le mura.
Ma se ci si deve riferire a quella Gerusalemme della quale è detto: Molti sono i figli della solinga più di quelli di colei che ha marito, intorno a lei significa in tutta la terra.
Infatti, in quella profezia dove sta scritto: Molti sono i figli della solinga, più di quelli di colei che ha marito, poco dopo le si dice: E colui che ti ha liberato sarà chiamato Dio di Israele e di tutta la terra. ( Is 54,1.5 )
Di conseguenza quando nel nostro salmo si menzionano i confini di questa Gerusalemme, si devono intendere tutti i paesi in cui si estendeva la Chiesa, fruttificando e crescendo in tutto il mondo, allorquando in ogni sua parte infieriva la persecuzione e veniva compiuta la strage dei martiri, il cui sangue era, sì, versato come acqua ma procurava ad essi grandi tesori nel cielo.
Le parole che seguono: E non c'era chi desse sepoltura mostrano come non sia affatto inverosimile quanto dovette accadere in certe regioni, che cioè così grande era il terrore che non si trovava più nessuno disposto a seppellire i corpi dei santi; e che in molti luoghi i cadaveri giacquero a lungo insepolti prima di essere, per così dire, rubati da pietosi fedeli e così sepolti.
7 - [v 4.] Dice: Siamo divenuti vituperio per i nostri vicini.
Era certamente preziosa la morte dei santi, ma al cospetto del Signore, non al cospetto degli uomini, per i quali costituiva una vergogna. ( Sal 116,15 )
Scherno e derisione, oppure, come hanno tradotto alcuni, zimbello per coloro che ci stanno intorno.
Si tratta di una ripetizione di quanto detto prima.
Ripete, infatti, la parola vituperio sostituendovi scherno e derisione; e con la perifrasi per coloro che ci stanno intorno ripete quanto detto prima: Per i nostri vicini.
Orbene se ci riferiamo alla Gerusalemme che è libera ed è nostra madre, i suoi vicini e coloro che le stanno intorno sono i nemici in mezzo ai quali abita la Chiesa che ne è circondata in tutto il mondo.
Ormai comincia a recitare manifestamente la sua preghiera, indicando così che il ricordo delle sciagure passate non era una semplice reminiscenza ma un lamento. Dice: Fino a quando, Signore?
Sarai adirato per sempre? Avvamperà come fuoco la tua indignazione?
Prega Dio perché non si adiri per sempre, cioè perché quella grave angustia, quella tribolazione, quella strage non continui sino alla fine.
Prega Dio perché temperi il suo castigo, come si dice in un altro salmo: Tu ci nutrirai con il pane delle lacrime e ci disseterai nelle lacrime a misura. ( Sal 77,6 )
Infatti Fino a quando, Signore? sarai sempre adirato? è come dire: Signore, non ti adirare per sempre!
E alle parole che seguono: Avvamperà come fuoco la tua indignazione? dobbiamo sottintendere: Fino a quando? e per sempre?
Come se dicesse: Fino a quando avvamperà per sempre come fuoco la tua indignazione?
Queste parole debbono essere sottintese come sopra debbono essere sottintese le altre: Hanno gettato in pasto.
Infatti, mentre prima diceva: Hanno gettato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, poi non ripete questo verbo ma semplicemente: E le carni dei tuoi santi alle belve della terra. ( Sal 79,2 )
Ovviamente però il verbo che leggiamo prima vi deve essere sottinteso e cioè: Hanno gettato in pasto.
Quanto all'ira e alla gelosia di Dio, non sono turbamenti di Dio come credono alcuni che non comprendono queste Scritture; ma col termine di " ira " si intende la vendetta che egli si prende delle colpe, e col nome di " gelosia " una esigenza di purezza, per la quale l'anima non disprezzi la legge del suo Signore e non se ne allontani tradendo il suo Dio.
Quando riguardano l'uomo, questi sentimenti producono come effetto il turbamento e l'uomo se ne affligge; se invece toccano Dio, sono perfettamente tranquilli, tanto è vero che a lui è detto: Ma tu, Signore degli eserciti, con tranquillità giudichi. ( Sap 12,18 )
Con queste parole, poi, è dimostrato a sufficienza che le tribolazioni colpiscono gli uomini a causa dei loro peccati, e queste ci sono per tutti, anche per i fedeli.
Da tali tribolazioni fiorisce la gloria del martirio mediante il dono della pazienza, quando cioè con il dominio ordinato della virtù si sa sopportare amorevolmente il flagello del Signore.
Lo attestano i Maccabei in mezzo ai crudeli tormenti, ( 2 Mac 7 ) lo attestano i tre giovani risparmiati dalle fiamme, ( Dn 3,21 ) lo attestano i santi profeti in prigionia.
Essi sopportavano con fortezza e con amore la punizione che Dio qual padre infliggeva; tuttavia non hanno mancato di dire che tutto questo capitava loro per i peccati.
E anche nei salmi si ode la loro voce che dice: Correggendomi mi ha punito il Signore, e non mi ha abbandonato alla morte. ( Sal 118,18 )
Egli infatti flagella ogni figlio che accoglie; e qual è il figlio al quale suo padre non impone una disciplina? ( Eb 12,6.7 )
Prosegue: Sfoga la tua ira contro le genti che non ti conoscono e contro i regni che non hanno invocato il tuo nome.
Si tratta anche qui di una profezia, non di un augurio.
Non sono dette, queste cose, con desiderio di male; le si predicano come sono rivelate dallo spirito profetico.
Così a proposito del traditore Giuda, le sciagure che dovevano colpirlo per le sue colpe sono profetate in modo che potrebbero sembrare quasi dei desideri.
E così quando il profeta rivolge a Cristo le parole: Cingiti la spada al fianco, o potentissimo: nella tua bellezza e nella tua leggiadria avanza, maestoso procedi e regna. ( Sal 45,4.5 )
Anche se dette all'imperativo non sono certo un comando.
Allo stesso modo quando si dice: Sfoga la tua ira contro le genti che non ti conoscono, la frase non contiene un desiderio ma una predizione.
Come è suo costume poi il salmista ripete il concetto dicendo: E contro i regni che non hanno invocato il nome tuo.
Dicendo " regni " ripete l'idea di " genti "; e l'idea che non conoscono Dio è ripetuta con le parole: Non hanno invocato il suo nome.
In questo contesto, se cioè l'ira di Dio è più grande contro le genti che non hanno conosciuto il Signore, come spiegheremo le parole che il Signore dice nel Vangelo: Il servo che senza conoscere la volontà del suo padrone fa cose degne di castigo, sarà punito poco; invece il servo che fa cose degne di castigo conoscendo la volontà del suo padrone, sarà punito molto? ( Lc 12,48 )
Dicendo: Sfoga la tua ira, con questa parola mostra a sufficienza che deve trattarsi di una grande ira; tanto che andando avanti dice: Rendi ai nostri vicini sette volte tanto. ( Sal 79,12 )
Vuol dire forse che c'è molta differenza tra i servi, i quali anche se non conoscono la volontà del loro Signore tuttavia ne invocano il nome, e coloro che sono estranei alla famiglia di un così grande padrone di casa e si trovano in una tale ignoranza di Dio da non invocarlo neppure?
Al suo posto, infatti, essi adorano gli idoli oppure i demoni oppure una qualsiasi creatura, non il Creatore che è benedetto nei secoli il profeta nella sua predizione non si riferisce a coloro che non conoscendo la volontà del loro Signore tuttavia lo temono.
Al contrario parla di quei tali che sono talmente ignari del Signore da non invocarlo neppure, anzi da ergersi a nemici del suo nome.
C'è insomma molta differenza tra i servi che, pur ignorando la volontà del loro padrone, tuttavia vivono nella sua famiglia e nella sua casa, e i nemici che non solo non vogliono conoscere il loro padrone ma neppure invocano il suo nome, e per di più combattono contro i suoi servi.
Aggiunge poi: Hanno divorato Giacobbe, e hanno devastato la sua dimora.
Giacobbe è l'immagine della Chiesa, come Esaù lo è dell'antica sinagoga.
Per questo è detto: Il maggiore servirà il minore, ( Gen 25,23 ) in questo nome si può intendere anche quell'eredità di Dio della quale parlavamo, nella quale dopo la resurrezione e l'ascensione del Signore sono entrate le genti perseguitando e minacciando di invaderla e di devastarla.
Ma cerchiamo di penetrar bene il senso di dimora di Giacobbe.
Sembrerebbe più opportuno identificare questa dimora di Giacobbe con l'antica città in cui c'era anche il tempio nel quale il Signore aveva ordinato a tutto il popolo di riunirsi per compiere sacrifici, per adorare e per celebrare la pasqua.
Difatti se il profeta avesse voluto intendere le assemblee dei cristiani, proibite e disciolte dai persecutori, avrebbe dovuto parlare di " dimore devastate " e non di una sola dimora.
Ma possiamo anche ritenere che abbia posto il singolare invece del plurale: così come si è soliti dire veste invece di vesti, soldato invece di soldati, animale invece di animali.
Questo modo di dire è molto comune e lo si riscontra non soltanto nel linguaggio popolare ma anche nell'eloquenza dei più colti autori.
Esso poi è tutt'altro che assente nella Scrittura divina.
Vi leggiamo rana al posto di rane; cavalletta al posto di cavallette, e innumerevoli altri esempi del genere. ( Sal 78,45 )
Quanto alle parole: Hanno divorato Giacobbe, è bene riferirle al fatto che i persecutori con il terrore hanno costretto molti a passare nel loro malvagio corpo, cioè nelle loro file.
È certo che i persecutori a causa della loro cattiva volontà meritano da parte dell'ira divina dei giusti castighi.
Tuttavia qui il salmista ricorda che essi non avrebbero potuto far niente contro l'eredità del Signore se egli non avesse voluto farla ravvedere flagellandola per i suoi peccati.
Per questo aggiunge: Non ti ricorderai delle nostre colpe antiche.
Non dice " passate ", che potrebbero anche essere recenti, ma antiche, cioè commesse dagli antenati: alle quali colpe è dovuta la condanna né c'è posto per la correzione.
Presto ci precedano le tue misericordie.
Ci precedano in ordine al tuo giudizio: perché la misericordia ha da prevalere sul giudizio.
Il giudizio di per sé potrà essere anche senza misericordia, ma per colui che non ha operato misericordia. ( Gc 2,13 )
Aggiungendo poi: Perché siamo divenuti troppo miseri, vuol farci intendere che Dio ci precede con numerosi tratti della sua misericordia, affinché in questa misericordia la nostra povertà, cioè la nostra debolezza, trovi aiuto per adempiere i precetti del Signore e non giungiamo al giudizio meritevoli di condanna.
Continua: Aiutaci, o Dio, nostro salvatore!
Con le parole nostro salvatore a sufficienza spiega a quale miseria abbia voluto riferirsi con le parole perché siamo divenuti troppo miseri.
Si tratta della nostra debolezza alla quale il Salvatore è necessario.
Venendo poi in nostro aiuto, Dio, come non deprezza la sua grazia, così non priva noi del libero arbitrio.
Infatti chi è aiutato pone qualcosa anche di suo.
Aggiunge: Per la gloria del tuo nome, o Signore, liberaci!
In questo modo chi si gloria si glori nel Signore, non in se stesso. ( 1 Cor 1,31 )
E sarai benevolo, dice, con i nostri peccati in grazia del tuo nome, non in vista dei nostri meriti.
Cos'altro meritano i nostri peccati? Cos'è loro dovuto se non adeguati castighi?
Ma tu sarai benevolo con i nostri peccati per amore del tuo nome.
Così dunque tu ci liberi cioè ci strappi dal male: aiutandoci a compiere la giustizia e usandoci misericordia nei nostri peccati, dei quali in questa vita noi non siamo esenti, perché al tuo cospetto nessuno sarà giustificato. ( Sal 143,2 )
Difatti il peccato è una ingiustizia; ( 1 Gv 3,4 ) e se tu osserverai le ingiustizie chi potrà reggere? ( Sal 130,3 ) [ al tuo giudizio ].
Poi aggiunge: Affinché mai si dica tra le genti: dov'è il loro Dio?
È una frase da riferirsi piuttosto alle genti stesse.
Camminano infatti verso la perdizione coloro che mancano di fede nel vero Dio credendo o che egli non ci sia, oppure che non aiuti i suoi né sia benevolo verso di loro.
Quanto dice: E si faccia conoscere tra le nazioni, dinanzi ai nostri occhi, la vendetta del sangue dei tuoi servi che è stato versato sonoparole da intendersi o nel senso che quei tali che perseguitavano la sua eredità poi sono diventati dei credenti in Dio ( è difatti una vendetta anche quella in cui viene uccisa la fatale malizia dei perversi mediante la spada della parola di Dio di cui sta scritto: Cingi la tua spada ( Sal 45,4 ) ), oppure nel senso che i nemici, se avranno perseverato nel male, alla fine verranno puniti.
Difatti, per quanto riguarda le sofferenze temporali, essi possono averle in comune con i buoni.
Ma c'è anche un altro genere di vendetta.
È quando il peccatore, l'incredulo e il nemico constatano che la Chiesa, dopo tante persecuzioni, nelle quali essi credevano che sarebbe certamente perita, si dilata in questo mondo e conserva la sua fecondità, per cui essi si adirano digrignando i denti e si rodono l'anima. ( Sal 112,10 )
Chi, infatti, oserà negare che anche questa sia una gravissima punizione?
Ma non vedo quale possa essere il senso delle parole: Dinanzi ai nostri occhi, se riteniamo trattarsi di questo genere di castigo che si compie nell'intimo del cuore e tortura anche coloro che ci blandiscono adulandoci, poiché di questi tali noi non possiamo vedere cosa soffrano nel loro intimo.
Per cui, senza troppe discussioni, intenderemo le parole: E si faccia conoscere dinanzi ai nostri occhi la vendetta contro le nazioni, come riferite al fatto che la malizia dei nemici viene uccisa quando essi credono, oppure all'ultimo supplizio che verrà inflitto a coloro che perseverano nel male.
Abbiamo detto che le precedenti parole sono una profezia non un augurio.
Tuttavia, pensando a ciò che sta scritto nell'Apocalisse, cioè che sotto l'altare di Dio i martiri gridano: Fino a quando, Signore, tardi a vendicare il nostro sangue? ( Ap 6,10 ) non possiamo sorvolare sul loro preciso significato.
Non si ha da pensare infatti che i santi desiderino la vendetta per saziare il loro odio, il che sarebbe ben lontano dalla loro perfezione.
Eppure sta scritto: Il giusto si rallegrerà vedendo la vendetta degli empi; laverà le sue mani nel sangue del peccatore. ( Sal 58,11 )
E l'Apostolo aggiunge: Non vendicatevi da voi stessi, carissimi, ma date luogo all'ira.
Sta scritto infatti: Mia è la vendetta, e io ripagherò, dice il Signore. ( Rm 12,19.20 )
Non proibisce quindi la vendetta; ma proibisce di vendicarsi da se stessi per dare luogo all'ira di Dio, che ha detto: Mia è la vendetta, e io ripagherò.
E il Signore nel Vangelo propone la parabola della vedova, che desiderando vendicarsi chiedeva udienza a un giudice ingiusto, il quale finalmente l'ascoltò non perché mosso da giustizia ma perché stanco del fastidio. ( Lc 18,3-5 )
Con la quale parabola il Signore voleva dimostrare che molto più rapidamente Dio che è giusto, giudicherà i suoi eletti che a lui gridano di giorno e di notte.
Così infatti gridano sotto l'altare di Dio i martiri per essere vendicati dal giudizio di Dio.
Ma che senso hanno, allora, le parole: Amate i vostri nemici; beneficate coloro che vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano? ( Mt 5,44 )
E ancora le altre: Non rendendo male per male, né maledizione per maledizione?
E ancora: A nessuno rendete male per male? ( Rm 12,17 )
Se non si deve rendere a nessuno il male per il male, non soltanto non si deve ripagare una cattiva azione con una cattiva azione, ma neppure si deve augurare il male in risposta ad una cattiva azione o a un cattivo augurio.
E con un cattivo augurio ripaga anche colui che, sebbene non si vendichi da se stesso, tuttavia aspetta e desidera che Dio punisca il suo nemico.
Ebbene, se tanto l'uomo giusto quanto l'ingiusto possono desiderare che il Signore li vendichi dei loro nemici, in che modo si distingueranno i loro desideri di vendetta?
Ecco: il giusto desidera in primo luogo che il nemico si ravveda e solo subordinatamente che sia punito; e quando vede che il Signore ha fatto giustizia, non trova gioia nella condanna del nemico che non odia, ma si rallegra della divina giustizia, perché ama Dio.
Inoltre, se la vendetta avviene in questa vita, il giusto se ne rallegra, poiché con essa il colpevole ha da correggersi, o quanto meno se ne rallegra per gli altri, in quanto costoro temeranno di imitare il colpevole.
Egli stesso poi ne diviene migliore, non alimentando il suo odio nella punizione del nemico, ma approfittandone per correggere i propri errori.
In tal modo quando il giusto vede la vendetta, la gioia che prova deriva dalla bontà, non dalla cattiveria; ed egli nel sangue ( cioè nella punizione ) del peccatore lava le sue mani, cioè rende più pure le sue opere.
Nel male altrui non trova motivo di godimento, ma ne ricava un esempio della divina severità.
Nel caso poi che la vendetta venga rimandata all'aldilà, cioè all'ultimo giudizio, il giusto si uniforma al beneplacito di Dio, che cioè non vi siano godimenti per i malvagi e che gli empi non ricevano il premio destinato ai fedeli.
Il contrario sarebbe certamente ingiusto e del tutto estraneo alla norma della verità che il giusto ama.
Orbene il Signore, esortandoci ad amare i nemici, ci propone l'esempio del Padre nostro che è nei cieli, il quale fa sorgere il suo sole sopra i buoni e i malvagi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. ( Mt 5,45 )
Dicendo così, ha voluto forse intendere che Iddio non sottopone i malvagi a castighi temporali, oppure che alla fine non condannerà coloro che pertinacemente si ostineranno nel male?
Sia dunque amato il nemico in modo che non ci dispiaccia la giustizia con la quale il Signore lo punisce.
E ci si compiaccia della giustizia con la quale il perverso è punito, in modo però che non ci si rallegri della sua sciagura ma della bontà del giudice.
L'animo del malevolo, invece, si rattrista se vede che il suo nemico si ravvede ed evita la pena.
Quando al contrario vede che è punito, trova gioia nel vedersi vendicato; e questo non perché gli sia gradita la giustizia di Dio che non ama, ma perché gli piace la sfortuna del nemico che odia.
Che se talvolta lascia a Dio il giudizio, si comporta così perché desidera che Dio faccia al suo nemico più male di quanto egli stesso possa fargliene.
E quando infine dà da mangiare al nemico affamato o da bere al nemico assetato, maliziosamente applica le parole: Così facendo, accumuli carboni ardenti sulla sua testa.
Si comporta, infatti, così per aggravare la sua pena, per eccitare contro di lui l'indignazione di Dio, che ritiene figurata nei carboni ardenti.
Non capisce che quel fuoco è il fuoco della penitenza che brucia e produce dolore, finché il capo del peccatore, prima eretto per la superbia, di fronte ai benefici ricevuti dal nemico non sia costretto ad abbassarsi in salutare umiltà, e così la cattiveria del malvagio non sia vinta dalla bontà del giusto.
Per questo molto sapientemente l'Apostolo aggiunge: Non farti vincere dal malvagio, ma vinci il malvagio col bene. ( Rm 12,20.21 )
Ma in qual modo potrà vincere nel bene il malvagio uno che solo apparentemente sia buono, mentre in fondo al cuore è cattivo?
Uno che a fatti lascia correre ma che ha il cuore pieno di rabbia?
Uno che con la mano è inoffensivo ma con la volontà è spietato?
Orbene, nelle parole di colui che prega in questo salmo è profetata la vendetta che in futuro Dio si prenderà degli empi, ma la profezia è fatta in modo che anche noi vi impariamo come i santi uomini di Dio abbiano amato i loro nemici né altre abbiano loro desiderato se non il bene, cioè il perdono in questo mondo e l'eternità dopo morte.
Quanto poi alle pene dei malvagi, essi non si rallegravano per il male che ne deriva ai colpevoli, ma per il giudizio di Dio che è una cosa buona.
E tutte le volte che nelle sante Scritture si parla dell'odio dei giusti contro gli uomini, si tratta sempre dell'odio contro i vizi, che ciascun uomo deve odiare in se stesso, se sé stesso ama.
Poi aggiunge: Entri dinanzi al tuo cospetto ( oppure come recano altri codici, nel tuo cospetto ) il gemito dei prigionieri.
Difficilmente si troverà il caso di santi che siano stati messi in ceppi dai persecutori.
E, se ciò è accaduto in una così grande e molteplice varietà di torture, tanto di rado è accaduto che non è da credere che il profeta abbia voluto riferirvisi espressamente con le parole di questo verso.
Al contrario sono veramente ceppi la debolezza e la corruttibilità del corpo che appesantiscono l'anima.
E di fatto, servendosi della carne con la sua fragilità, come di materia di dolore e di sofferenza, il persecutore poté spingere [ molti ] all'empietà.
Da questi ceppi desiderava essere sciolto l'Apostolo per essere con Cristo, sebbene fosse necessario che restasse nella carne per il bene di coloro ai quali annunziava il Vangelo. ( Fil 1,23.24 )
Finché dunque questo corpo corruttibile non rivestirà l'incorruttibilità e questo corpo mortale non rivestirà l'immortalità, ( 1 Cor 15,53 ) la carne debole quasi con ceppi tiene prigioniero lo spirito che di per sé sarebbe pronto.
Questi ceppi riescono a sentirli solo coloro che, così appesantiti, gemono nel loro intimo, ( 2 Cor 5,3.4 ) desiderando la dimora celeste di cui vogliono essere sopravvestiti, perché in sé la morte desta orrore come la vita mortale tristezza.
Il profeta geme per costoro e con costoro affinché il loro gemito penetri al cospetto di Dio.
Per " prigionieri " potrebbero, inoltre, intendersi anche coloro che vivono stretti alle severe norme della sapienza: le quali, se pazientemente sopportate, si tramutano in altrettanti ornamenti.
Per cui sta scritto: Caccia il tuo piede nei suoi ceppi. ( Sir 6,25 )
Prosegue il salmo: Secondo la grandezza del tuo braccio, accogli nell'adozione i figli dei condannati a morte, oppure, come si legge in altri codici, possiedi i figli dei condannati a morte.
A quanto mi sembra, in queste parole la Scrittura mostra chiaramente quale sia il gemito dei prigionieri, che per il nome di Cristo hanno subito le gravissime persecuzioni che il profeta enunzia a chiare note in questo salmo.
Posti in mezzo alle più svariate torture, essi pregavano per la Chiesa, affinché non restasse infecondo per i posteri il loro sangue, ma piuttosto la messe del Signore, che i nemici credevano di distruggere con le persecuzioni, proprio con le persecuzioni germogliasse più copiosamente.
Chiama infatti figli dei condannati a morte coloro che non soltanto non si sono lasciati atterrire dalle sofferenze dei martiri che li avevano preceduti, ma comprendendo la lezione che proveniva dalla loro gloria, si sono infervorati ad imitarli e a schiere innumerevoli hanno creduto in colui per il cui nome gli altri avevano sofferto.
Per questo dice: Secondo la grandezza del tuo braccio.
In seno alle comunità cristiane, infatti, è accaduto un fenomeno così straordinario, quale certo non ritenevano possibile coloro che mediante le persecuzioni si ripromettevano un ben diverso risultato.
16 - [v 12.] Dice: Rendi ai nostri vicini sette volte tanto nel loro seno.
Non augura il male, ma preannunzia il giusto e profetizza il futuro.
Quanto al numero sette, cioè con la condanna moltiplicata per sette, vuol fare intendere la gravità della pena, perché questo numero suole significare appunto la pienezza.
Come anche a proposito del bene si dice: Riceverà in questo mondo sette volte tanto: ( Mc 10,30 ) dove il sette sta per il tutto, dato che l'Apostolo dice: Come chi non ha nulla, ma possiede tutto. ( 2 Cor 6,10 )
Li chiama " vicini ", perché la Chiesa abita tra loro fino al giorno della separazione.
Non si compie infatti ora la separazione materiale.
Dice nel loro seno, cioè, per il momento avviene nel segreto; in seguito però si farà conoscere tra le nazioni dinanzi ai nostri occhi quella vendetta che in questa vita si compie in segreto.
Perché l'uomo, quando si abbandona a malvagi sentimenti, già si accumula dentro quel demerito che gli varrà la futura condanna.
Il loro oltraggio, mediante il quale ti hanno oltraggiato, o Signore.
Ricaccia nel loro seno, moltiplicato per sette, questo oltraggio.
Cioè: per questo oltraggio infliggi loro una radicale e definitiva condanna, ma questo nel loro segreto.
Ivi infatti hanno oltraggiato il tuo nome credendo di cancellarti dalla terra nella persona dei tuoi servi.
Ma noi siamo il tuo popolo.
Prendiamo queste parole in senso universale, cioè come riferite a tutti i pii e a tutti i veri cristiani.
Ebbene, noi che gli empi credettero di poter distruggere, noi siamo il tuo popolo e le pecore del tuo gregge: per cui veramente chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Ti confesseremo nel secolo.
Altri codici recano: Ti confesseremo in eterno.
Questa differenza deriva dall'ambiguità del greco, poiché le parole greche είς τόν αίώνα possono essere tradotte sia con in eterno che con nel secolo.
Vediamo dunque quale sia la migliore traduzione nel nostro passo.
Dall'insieme del contesto mi sembra che occorra leggere: Nel secolo; cioè sino alla fine del secolo.
Il verso seguente, infatti, secondo il costume delle Scritture e soprattutto dei salmi, ripete il precedente invertendo l'ordine, cioè mettendo prima ciò che là è dopo e dopo ciò che là è prima.
Così le parole: Ti confesseremo vengono ripetute con le altre: Annunzieremo la tua lode.
E al posto di Nel secolo, si dice Di generazione in generazione.
Ripetendo il termine " generazione " vuol sottolineare la durata senza limiti, oppure, come alcuni intendono, che due sono le generazioni: la vecchia e la nuova.
Le quali due generazioni si realizzano però in questo mondo, perché chi non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito non entrerà nel regno dei cieli. ( Gv 3,5 )
E inoltre è vero che solo in questo secolo si annunzia la lode di Dio, mentre nel futuro secolo non si avrà a chi annunziarla, quando tutti lo vedranno come è. ( 1 Gv 3,2 )
Orbene, noi tuo popolo e pecore del tuo gregge, che essi hanno creduto di poter annientare con le persecuzioni, ti confesseremo nel secolo: perché certamente resterà sino alla fine la Chiesa che essi hanno tentato di annientare.
Di generazione in generazione annunzieremo la tua lode: per far tacere la quale essi hanno tentato di distruggerci.
Già in molti passi delle sante Scritture noi abbiamo notato che " confessione " è usata al posto di " lode ".
Così nelle parole: Queste cose direte nella confessione: Quanto mai buone sono tutte le opere del Signore; ( Sir 39,33 ) e soprattutto là dove il nostro Salvatore ( il quale non aveva assolutamente alcun peccato da confessare nella penitenza ) dice: Ti confesso, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi, e le hai rivelate ai piccoli. ( Mt 11,25 )
Insisto su questo, affinché vi risulti più chiaro che le parole: Annunzieremo la tua lode, sono una ripetizione delle precedenti: Ti confesseremo.
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