La Genesi difesa contro i Manichei |
Dopo l'enumerazione e l'esposizione dei fatti dei sette giorni la Scrittura inserisce una specie di conclusione e chiama "libro della creazione del cielo e della terra" tutto ciò che aveva detto prima, pur essendo una piccola parte del libro, che però ha potuto giustamente esser chiamato così poiché in questi sette giorni è rappresentata, per così dire, una piccola immagine di tutto quanto il mondo, dal principio alla fine della sua creazione.
In seguito comincia un racconto più puntuale relativo all'uomo; tutto questo racconto però non viene esposto apertamente ma in senso figurato al fine di esercitare coloro che ricercano la verità e distoglierli dalle realtà carnali, per rivolgerli a quelle spirituali.
Ecco dunque come si esprime: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra, quando fu fatto il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di arbusti dei campi prima che fossero sopra la terra e ogni sorta di graminacee dei campi prima che germinassero.
Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra e non v'era uomo che la lavorasse.
Ora, una sorgente sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra.
Dio allora plasmò l'uomo col fango della terra e soffiò nel suo volto un alito vitale: così l'uomo divenne un essere vivente.
Dio allora piantò il paradiso nell'Eden a Oriente e vi mise l'uomo ch'egli aveva plasmato.
Dio poi fece spuntare ancora dalla terra ogni specie d'alberi belli a vedersi e buoni a mangiarsi, e in mezzo al paradiso piantò l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male.
Un fiume usciva dall'Eden e irrigava il paradiso, d'onde si divideva formando quattro bracci.
l nome del primo è Fison: esso scorre attorno a tutto il paese di Evilath, dove c'è l'oro, e l'oro di questa terra è assai pregiato; qui c'è anche il carbonchio e la pietra onice.
Il secondo fiume si chiama Geon: esso scorre intorno a tutto il paese dell'Etiopia.
Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre verso l'Assiria.
Il quarto fiume si chiama Eufrate.
Il Signore Dio prese poi l'uomo ch'egli aveva fatto e lo mise nel paradiso, perché lo lavorasse e lo custodisse.
Il Signore Dio diede questo comando ad Adamo dicendogli: "Di tutti gli alberi del paradiso tu potrai mangiare, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non dovrete mangiarne, poiché nel giorno che ne mangerete, morirete certamente.
Il Signore poi disse: "Non è bene che l'uomo sia solo; facciamogli un aiuto simile a lui".
Condusse allora ad Adamo ogni sorta di bestiame minuto, di bestie selvatiche e di uccelli che volano nel cielo, che Dio aveva plasmati per vedere come li avrebbe chiamati, in qualunque modo Adamo chiamò ognuno degli animali viventi, questo è il suo nome.
Adamo allora impose il nome a tutte le bestie minute, a tutti gli uccelli del cielo, a tutte le bestie selvatiche, e come Adamo li chiamò, così si chiamano ancora fino ad oggi.
Adamo però non aveva ancora un aiuto simile a lui.
Allora Dio fece scendere in Adamo un sonno profondo, gli tolse una delle costole e riempì la cavità con la carne, e con la costola tolta ad Adamo formò una donna e la condusse ad Adamo, per vedere come l'avrebbe chiamata.
Adamo allora disse: "Adesso costei è l'osso delle mie ossa e carne della mia carne.
Essa sarà chiamata "donna", poiché è stata tratta dal suo uomo; essa sarà il mio aiuto.
Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne".
Ora, entrambi Adamo e sua moglie, erano nudi, ma non ne sentivano vergogna. ( Gen 2,4-25 )
Il serpente però era la più astuta di tutte le bestie fatte dal Signore Dio ch'erano sulla terra.
Il serpente chiese alla donna: "Per qual motivo vi disse Dio di non mangiare di nessun albero del paradiso?".
Rispose la donna: "D'ogni sorta di alberi che sono nel paradiso potremo mangiarne, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al paradiso Dio ci ha detto di non mangiarne, né toccarlo per farci evitare la morte".
Ma il serpente disse alla donna: " Voi non morirete affatto: anzi Dio sapeva che il giorno in cui lo mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come gli dèi che conoscono il bene e il male".
La donna vide allora che l'albero era buono da mangiare, piacevole agli occhi per vederlo e per acquistare conoscenza, prese del frutto dell'albero e ne mangiò e ne diede a suo marito.
Adamo lo prese e lo mangiò. Allora si aprirono i loro occhi e si accorsero di essere nudi; presero delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture attorno ai fianchi.
Avendo poi sentito la voce di Dio che passeggiava nel paradiso verso sera, Adamo e sua moglie si nascosero alla faccia del Signore Dio presso l'albero ch'era in mezzo al paradiso.
Ma il Signore Dio chiamò Adamo e gli chiese: "Dove sei?", e quello rispose: "Ho udito, Signore, la tua voce nel paradiso e ho avuto paura e mi sono nascosto perché sono nudo".
Dio rispose: "Chi ti ha fatto conoscere d'esser nudo, se non il fatto d'aver mangiato dell'albero dal quale solo t'avevo proibito di mangiare?".
Adamo rispose: "La donna che tu mi hai data, mi ha dato da mangiarne e io ne ho mangiato".
Dio allora disse alla donna: "Perché hai fatto ciò?".
La donna rispose: "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato".
Il Signore Dio disse allora al serpente: "Poiché hai fatto ciò, tu sei maledetto più di tutto il bestiame minuto e più di tutte le bestie selvatiche.
Tu striscerai sul tuo petto e sul tuo ventre, e polvere mangerai tutti i giorni della tua vita.
Io porrò ostilità tra te e la donna, tra la stirpe tua e la stirpe di lei.
Essa spierà la tua testa e tu il suo calcagno".
Alla donna poi disse: "Renderò assai numerose le tue sofferenze e i tuoi gemiti e partorirai figli con dolore.
Verso tuo marito ti spingerà la tua passione, ma egli avrà il dominio su di te".
Dio allora disse ad Adamo: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero del quale solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta la terra per quanto riguarda i tuoi lavori e nel dolore e nei gemiti ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi ti produrrà e mangerai il tuo pane fino a quando non tornerai nella terra dalla quale sei stato tratto, poiché sei terra e in terra tornerai".
Adamo allora diede a sua moglie il nome di "Vita", poiché è la madre di tutti i viventi.
Dio fece allora ad Adamo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì, e disse: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi grazie alla conoscenza del bene e del male".
Ora, perché Adamo non allungasse la mano all'albero della vita e ne mangiasse e così vivesse per sempre, il Signore Dio lo scacciò dal paradiso di delizie, affinché lavorasse la terra da cui era stato tratto.
Quello poi, scacciato dal paradiso, fissò la sua dimora di fronte al paradiso di delizie, Dio però pose i cherubini e la spada di fiamma roteante per custodire la via dell'albero della vita. ( Gen 3,1.24 )
Se i manichei preferissero esaminare queste espressioni piene di significati misteriosi, non già criticandole ed accusandole, ma cercando di capirle e accogliendole con rispetto, non sarebbero di certo manichei ma, se chiedessero, sarebbe loro dato e, se cercassero, troverebbero, e se bussassero, sarebbe loro aperto. ( Mt 7,7 )
In effetti, a proposito di questo racconto della Scrittura pongono più quesiti coloro che cercano di sapere con religiosa diligenza che non codesti individui miserabili ed empi, con la differenza però che quelli cercano per trovare, costoro invece si preoccupano solo di non trovare quello che cercano.
Tutto questo racconto della Scrittura dev'essere dunque esaminato anzitutto in senso conforme alla storia e in secondo luogo in senso profetico.
Secondo la storia vengono narrati dei fatti compiuti, secondo la profezia invece vengono preannunciate delle realtà future.
Certo, se uno vorrà intendere alla lettera tutto ciò che dice la Scrittura, ossia non intenderlo diversamente dal significato letterale e potrà evitare bestemmie e affermare ogni cosa conforme alla fede cattolica, non solo non glielo si potrà impedire, ma dovrà essere stimato come una persona eccellente e molto lodevole per la sua capacità di comprendere.
Può darsi, al contrario, che non ci sia alcuna possibilità d'intendere le affermazioni della Scrittura in un senso conforme alla fede e in un modo degno di Dio, se non credendole presentate sotto forma simbolica ed enigmatica; in tal caso, poiché abbiamo l'autorità degli Apostoli, dai quali vengono risolti tanti enigmi relativi ai libri dell'Antico Testamento, dovremo attenerci alla norma che teniamo davanti alla nostra mente, con l'aiuto di Colui che ci esorta a chiedere, a cercare e a bussare.
Potremo in tal modo spiegare tutte queste realtà simboliche riguardanti la storia e la profezia che il Signore si degnerà di rivelare per mezzo mio o per mezzo di altri.
Fu fatto dunque il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di arbusti della steppa prima che fossero sulla terra e ogni. sorta di graminacee della campagna. ( Gen 2,5 )
In precedenza sono contati sette giorni, ora invece si parla d'un solo giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di cespugli della steppa e ogni specie di graminacee; sotto il nome di quest'ultimo giorno s'intende a ragione ch'è indicato tutto quanto il tempo.
Dio infatti creò tutto il tempo insieme con tutte le creature temporali, le creature cioè visibili che sono indicate col nome di "cielo e terra".
A ricercare, poi, ci deve spingere il fatto che, dopo aver nominato il giorno, che fu fatto, e il cielo e la terra, la Scrittura soggiunge anche gli arbusti della steppa e ogni sorta di erbe.
Ecco qui: allorché la Scrittura dice: Nel principio Dio fece il cielo e la terra, non dice anche che fu fatta ogni specie di cespugli e ogni specie d'erbe dei campi; si legge infatti a chiare note che ogni specie di arbusti e d'erbe dei campi fu creata il terzo giorno.
L'espressione della Scrittura: Nel principio Dio fece il cielo e la terra non si riferisce a nessuno dei sette giorni.
La Scrittura infatti denotava, ancora con l'espressione "cielo e terra" la materia stessa, a partire dalla quale furono fatte tutte le cose, o per lo meno, con quell'espressione "cielo e terra" stabiliva solo un enunciato preliminare dell'insieme delle creature, dicendo: Nel principio Dio fece il cielo e la terra, e poi, passandole in rassegna singolarmente, lungo la successione ordinata dei giorni, com'era conveniente, espose le opere di Dio in vista della profezia da noi ricordata nel primo libro.1
Che cosa dunque significa il fatto che adesso, dopo aver menzionato "il cielo e la terra", aggiunse i cespugli della steppa e le erbe e passa sotto silenzio tante cose che sono nel cielo e sulla terra oppure nel mare, se non che mediante i cespugli dei campi vuol farci intendere la creatura invisibile, com'è l'anima?
Nelle Scritture infatti il mondo suole essere chiamato "campo".
Così, anche il Signore in persona, esponendo la parabola del seme buono mescolato con la zizzania, dice: Il campo è questo mondo. ( Mt 13,38 )
Chiama dunque cespugli dei campi la creatura spirituale e invisibile per esprimere il vigore della vita e col termine pabulum ( "nutrimento" ) intendiamo giustamente la stessa cosa certamente a causa della vita.
3.5 Quanto poi alla frase che la Scrittura aggiunge: prima che fossero sulla terra, viene intesa nel senso di "prima che l'anima peccasse", poiché, essendo stata insozzata dalle passioni terrene, a ragione può dirsi nata sulla terra ed essere sulla terra; ecco perché la Scrittura soggiunge: Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra.
Anche adesso infatti Dio crea i cespugli dei campi ma facendo piovere sulla terra; fa cioè rinverdire le anime mediante la sua parola, ma li irriga con l'acqua delle "nubi", cioè con le Scritture dei Profeti e degli Apostoli.
A buon diritto poi sono chiamate nubi, poiché queste parole che passano dopo essere state pronunciate e dopo aver percosso l'aria, sono una specie di nuvole, avvolte come sono da una certa, per così dire, caligine, per il fatto che vi si aggiunge anche l'oscurità delle allegorie.
Quando però con la spiegazione se ne spreme il significato, sulle persone che le intendono come si deve, viene versata, diciamo così, la pioggia della verità.
Questo però ancora non succedeva prima che l'anima peccasse, prima cioè che sulla terra esistesse l'erba dei campi.
Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra né c'era uomo che la lavorasse. ( Gen 2,5 )
In realtà all'agricoltura è necessaria la pioggia delle nubi, delle quali è stato già detto.
L'uomo poi cominciò a coltivare la terra e ad aver bisogno delle nubi dopo il peccato.
Prima del peccato, al contrario, avendo Dio già creato gli arbusti dei campi e le erbe - termini questi che simboleggiano, come abbiamo già detto, la creatura invisibile - la irrigava con la sorgente interiore, parlando cioè alla sua intelligenza; in tal modo essa non riceveva le parole solo esteriormente come una pioggia discendente dalle suddette nubi, ma veniva saziata con l'acqua sgorgante dalla sua propria sorgente, ossia dall'intimità del proprio spirito.
Una sorgente infatti - dice la Scrittura - sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra. ( Gen 2,6 )
Sgorgava naturalmente dalla terra di cui il Salmista dice: La mia speranza sei tu, la mia sorte sei tu nella terra dei viventi. ( Sal 141,6 )
Quando però l'anima veniva irrigata da questa sorgente, non aveva ancora gettato via l'intimo del proprio cuore a causa della superbia.
Poiché l'inizio della superbia dell'uomo è allontanarsi da Dio. ( Sir 10,14 )
E poiché, gonfiandosi per superbia verso l'esterno, non fu più irrigato dalla sorgente intima, giustamente l'uomo viene schernito con le parole d'un profeta e gli viene detto: Perché mai s'insuperbisce chi è terra e cenere?
Nella sua vita infatti gettò via il proprio intimo. ( Sir 10,9-10 )
Orbene, che cos'altro è la superbia se non abbandonare l'intimo segreto della coscienza e desiderare d'apparire ciò che non si è?
Ecco perché, affannandosi ormai nella coltivazione della terra, l'uomo ha bisogno delle piogge cadute dalle nubi, cioè dell'insegnamento impartito con parole umane, al fine di potere anche, in tal modo, rinverdire sottraendosi all'aridità e diventare di nuovo verzura dei campi.
Ma volesse il cielo che accogliesse volentieri dalle stesse nubi anche la pioggia della verità!
Poiché per farla piovere nostro Signore si degnò di assumere la nube della nostra carne, sparse la pioggia del santo Vangelo in larghissima abbondanza e promise altresì che, se uno berrà dell'acqua di lui, tornerà a quell'intima sorgente, per non cercare la pioggia al di fuori.
Poiché egli afferma: Diventerà in lui sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna. ( Gv 4,14 )
È questa - penso io - la sorgente che sgorgava dalla terra prima del peccato e irrigava tutta la superficie della terra, poiché era interiore e non aveva bisogno dell'aiuto delle nubi.
Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra né v'era l'uomo che la coltivasse. ( Gen 2,5 )
Infatti, avendo detto: Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, soggiunge anche la causa per cui non aveva ancora fatto piovere sulla terra: Poiché non v'era l'uomo che la coltivasse.
Ora, l'uomo cominciò a coltivare la terra quando, dopo il peccato, fu scacciato dalla felicità che godeva nel paradiso.
Così, infatti, sta scritto: Il Signore Dio allora lo scacciò dal paradiso di delizie, affinché coltivasse la terra dalla quale era anche stato tratto; ( Gen 2,2 ) cosa questa ch'esamineremo a suo luogo.2
Ma io l'ho ricordata adesso perché comprendessimo che all'uomo che lavora nella terra, che cioè si trova nell'aridità dei peccati, è necessario - come la pioggia che cade dalle nubi - l'insegnamento divino impartito con parole umane.
Questa scienza però sarà annullata.
Adesso infatti noi vediamo in modo confuso, come se andassimo cercando il vitale nutrimento nell'oscurità, allora invece vedremo a faccia a faccia, ( 1 Cor 13,8-12 ) quando tutta la superficie della nostra terra sarà irrigata dalla sorgente interiore dell'acqua zampillante. Se infatti la sorgente, di cui sta scritto: Una sorgente inoltre sgorgava dalla terra ed irrigava tutta la superficie della terra ( Gen 2,6 ) volessimo intenderla come una sorgente d'acqua visibile, non sarebbe verosimile che si fosse seccata solo quella che irrigava tutta la superficie della terra, dal momento che si trovavano tante sorgenti perenni sia di ruscelli che di fiumi per tutta la terra.
Con queste poche frasi ci viene dunque indicata tutta la creazione prima del peccato commesso dall'anima.
Infatti con l'espressione "cielo e terra" viene indicato tutto l'insieme delle creature visibili e, col termine "giorno", è indicata tutta l'estensione del tempo, mentre con l'espressione "arbusti ed erbe dei campi" vengono indicate le creature invisibili, con quella di "sorgente che sgorgava ed irrigava tutta la superficie della terra" viene indicata la sovrabbondanza della verità che saziava l'anima prima del peccato.
Questo "giorno", col quale termine abbiamo detto che viene indicato tutto quanto il tempo, ci mostra che non solo le creature visibili ma anche quelle invisibili possono avere la percezione del tempo.
Questa cosa ci viene manifestata a proposito dell'anima che, a causa d'una così gran varietà delle sue passioni e della stessa caduta per cui è diventata infelice, e a causa della redenzione per cui torna di nuovo a essere felice, si dimostra irrefutabilmente esser mutabile nel tempo.
Ecco perché la Scrittura non dice soltanto: Dopo che fu fatto il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra, ( Gen 2,4 ) frase con cui ci si vuol fare intendere la creatura visibile, ma soggiunge altresì: gli arbusti e le erbe dei campi, ( Gen 2,5 ) frase con cui - l'abbiamo già detto - viene simboleggiata la creatura invisibile a motivo del vigore e della vita, com'è l'anima.
La Scrittura inoltre dice: Dopo che fu fatto il giorno in cui Dio creò il cielo e la terra e ogni specie dì arbusti e di erbe dei campi, per farci intendere, così, che non solo la creatura visibile, ma anche quella invisibile, ha rapporto col tempo a causa della mutabilità, poiché immutabile è solo Dio che esiste prima del tempo.
Dopo questo insegnamento relativo alla creazione di tutte le cose, tanto visibili che invisibili, e il beneficio universale della sorgente divina verso la creatura invisibile, vediamo che cosa la Scrittura voglia farci capire in modo speciale a proposito dell'uomo, insegnamento che interessa soprattutto noi.
Innanzitutto il fatto che Dio plasmò l'uomo col fango della terra ( Gen 2,7 ) suole far sorgere il seguente quesito: "Di che specie era quel fango o qual materia è indicata col termine "fango"?".
Gli avversari dell'Antico Testamento, poiché considerano tutto con occhio carnale e perciò sbagliano sempre, sono soliti criticare aspramente il fatto che Dio plasmò l'uomo col fango.
Dicono infatti: "Perché mai Dio fece l'uomo col fango? Gli mancava forse una materia più nobile e celeste, per formarlo tanto fragile e mortale con la sozzura della terra?".
Costoro non capiscono innanzitutto in quanti sensi il termine "terra" o "acqua" è usato nelle Scritture; il fango infatti è una mescolanza di acqua e di terra.
Orbene, noi diciamo che il corpo umano divenne fiacco, fragile e destinato alla morte solo dopo il peccato.
Costoro infatti, riguardo al nostro corpo, hanno in orrore soltanto la condizione per cui esso è soggetto alla morte, da noi meritata per castigo.
Ora, anche se Dio fece l'uomo col fango di questa terra, quale cosa straordinaria tuttavia o difficile sarebbe stata per lui rendere il corpo dell'uomo tale da non esser soggetto alla corruzione, qualora l'uomo, osservando il precetto di Dio, non avesse voluto peccare?
Noi infatti diciamo che la bellezza dello stesso cielo fu creata dal nulla o a partire dalla materia informe, poiché crediamo che il Creatore è onnipotente; che c'è allora di strano se il corpo, fatto dall'Artefice onnipotente in modo che nessuna molestia, nessuna indigenza tormentasse l'uomo prima del peccato e non si decomponesse per causa di alcuna corruzione?
È quindi inutile discutere con quale materia Dio fece il corpo umano, ammesso tuttavia che in questo passo la Scrittura parli della formazione del corpo.
Io so infatti che alcuni nostri esegeti la pensano così; essi dicono che, dopo aver detto: Dio plasmò l'uomo col fango della terra, ( Gen 2,7 ) la Scrittura non soggiunge: "a propria immagine e somiglianza", perché ora si parla solo della formazione del corpo umano.
Veniva invece indicato l'uomo interiore quando la Scrittura disse: Dio fece l'uomo a propria immagine e somiglianza. ( Gen 1,27 )
Ma forse possiamo anche intendere che pure in questo caso l'uomo fu fatto di corpo e di anima, in modo che con questa espressione si spieghi non l'inizio di una nuova opera, ma la ripresa più accurata di quella indicata in precedenza.
Se dunque - come ho detto - in questo passo intendiamo che l'uomo fu fatto di corpo e di anima, non è illogico che la stessa mistione ricevesse il nome di fango.
Poiché, allo stesso modo che l'acqua unisce insieme, cementa e tiene unita la terra quando, dalla mescolanza con questa, viene formato il suo fango, così l'anima, vivificando la materia del corpo, la conforma in un'unità armonica e non permette che si corrompa e si dissolva.
Indice |
1 | Lib. 1, 23-42 |
2 | Cap. 22 |