Lettere |
Scritta nel 414/15.
Ag. risponde a Ilario sui quesiti propostigli: sull'impeccabilità ( n. 1-3 ); sul libero arbitrio, incapace d'osservare i comandamenti senza la grazia, che aiuta non toglie la volontà ( n. 4-10 ); sul peccato originale, che si cancella col battesimo negato da Celestio ( n. 11-22 ); sulla rinuncia ai beni predicata dai rigoristi pelagiani necessaria per la salvezza ( n. 23-39 ); sul giuramento ( n. 40 ).
Agostino infine si dice più disposto a imparare che a insegnare ( n. 41 ).
Agostino Vescovo, servo di Cristo e della Chiesa, saluta nel Signore il diletto suo figlio Ilario
Dalla tua lettera sono venuto a conoscere non solo il tuo buono stato di salute ma altresì il tuo zelo religioso per la parola di Dio e la pia preoccupazione per la tua salvezza, che proviene dai meriti di Gesù Cristo, nostro Signore.
Ne rendo quindi grazie a Dio e mi affretto a inviarti la risposta che ti devo.
Riguardo adunque al quesito se quaggiù si può progredire nella santità fino al punto di vivere senza il minimo peccato, considera che cosa dice l'apostolo Giovanni, il discepolo prediletto del Signore: Se diremo - egli afferma - di non avere peccati, inganniamo noi stessi e non possediamo la verità. ( 1 Gv 1,8 )
Se dunque coloro, di cui mi parli nella tua lettera, sostengono di essere immuni dal peccato, ingannano se stessi e non posseggono la verità; se invece confessano d'essere peccatori per meritare la misericordia di Dio, si astengano dall'ingannare anche gli altri che essi si sforzano di persuadere ad avere una tale orgogliosa convinzione.
La ragione di quanto affermo è che a tutti è necessaria la preghiera insegnata dal Signore anche ai pastori del suo gregge, ossia ai suoi Apostoli, per cui ognuno dovrebbe dire a Dio: Condona a noi i nostri debiti, come noi li condoniamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )
Chi infatti non avesse bisogno di pronunciare queste parole, si dovrebbe dire che vive quaggiù senza peccato.
Ora, se il Signore avesse previsto che sarebbero esistiti individui di tal fatta, certamente migliori degli Apostoli, avrebbe insegnato loro un'altra preghiera, nella quale non avrebbero chiesto che fossero rimessi i loro peccati, dal momento che nel battesimo sarebbe stato già rimesso ogni peccato.
Se il santo profeta Daniele, non al cospetto del popolo, quasi con finta umiltà, ma al cospetto di Dio precisamente nella preghiera con cui implorava Dio, confessò i peccati non solo del suo popolo ma anche i suoi propri, come si espresse egli stesso con le sue labbra veridiche, ( Dn 9,20 ) credo che a questi signori debba dirsi ciò che il Signore risponde a un superbo per bocca del profeta Ezechiele: Sei forse tu più sapiente di Daniele? ( Ez 28,3 )
Nel caso però che uno si asterrà, con l'aiuto della misericordia e della grazia di Dio, dai peccati che si chiamano mortali, e non trascurerà di ottenere, mediante le opere di misericordia e devote preghiere il perdono dei peccati ( veniali ), senza i quali non si vive sulla terra, meriterà di passare all'altra vita senza peccato, anche se nella vita terrena avrà commesso dei peccati, poiché allo stesso modo che i peccati non mancarono, non mancarono nemmeno i rimedi per purificarsene.
Se invece uno, sentendo dire per caso che quaggiù non si può vivere senza peccato con le sole forze della volontà, prendesse da ciò il pretesto per abbandonarsi ad ogni sorta di passioni per macchiarsi di nefandi peccati e continuare in una vita tanto peccaminosa fino all'ultimo suo giorno, anche se di tanto in tanto facesse qualche elemosina, menerebbe una vita infelice e la terminerebbe più infelicemente ancora.
Possiamo in qualche modo tollerare costoro quando affermano che, oltre all'unico Santo dei Santi, c'è stato o c'è sulla terra qualcuno immune dal peccato; ma dobbiamo assolutamente condannarli perfino con la scomunica e detestarli con ogni specie di esecrazioni quando affermano che all'uomo basta il libero arbitrio per adempiere i divini precetti senz'alcun bisogno della grazia di Dio e dei doni dello Spirito Santo per compiere le opere buone.
Coloro, che affermano ciò, sono del tutto estranei alla grazia di Dio, poiché ignorando la giustizia, di Dio - come l'Apostolo dice dei Giudei - non vollero assoggettarsi ma cercarono di far valere la propria. ( Rm 10,3 )
In realtà la piena osservanza della Legge è l'amore ( Rm 13,10 ) e l'amore è stato diffuso nei nostri cuori, non per mezzo di noi stessi né delle forze della nostra volontà, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato largito. ( Rm 5,5 )
Il libero arbitrio è quindi capace di compiere il bene, ma solo se sorretto dall'aiuto di Dio che si ottiene col pregare e col fare umilmente le opere buone; esso al contrario, senza l'aiuto di Dio quale che possa essere la sua conoscenza della Legge, non arriverà in alcun modo a costruire il solido edificio della propria santificazione, ma si gonfierà d'empia superbia e di dannosa vanagloria.
Questa verità ci viene insegnata nella stessa preghiera del Signore.
Sarebbe infatti inutile supplicare Dio chiedendogli di: Non indurci in tentazione, ( Mt 6,13 ) se ciò dipendesse dalle nostre forze e fossimo capaci di non cadere in tentazione senza l'aiuto di Dio.
Poiché: Non indurci in tentazione vuol dire: " Non permettere che vi cadiamo abbandonandoci a noi stessi.
Poiché Dio - dice l'Apostolo - è fedele e non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forte, ma, permettendo la tentazione, farà pure in modo che abbiate la forza di vincerla. ( 1 Cor 10,13 )
Perché mai l'Apostolo disse che Dio farà ciò, se dipende esclusivamente dalle nostre forze senza l'aiuto di Dio?
La stessa Legge fu data per aiutare coloro che ne fanno buon uso per far loro sapere qual grado di giustizia hanno già ricevuto affinché ne siano grati, o quanto manca ancora ad essi, perché la chiedano con insistenza.
A quelli invece i quali udendo che la Legge dice: Non desiderare, ( Es 20,17; Rm 7,7 ) pensano che basti di conoscere il comando e non credono che viene dato loro l'aiuto della grazia di Dio per adempiere ciò ch'é giusto e nemmeno lo chiedono, si può applicare quanto è detto da S. Paolo a proposito dei Giudei: La Legge fu introdotta perché abbondasse il peccato. ( Rm 5,20 )
Sarebbe infatti poco male per essi il non adempiere il precetto: Non desiderare; il peggio si è che s'insuperbiscono e ignorando la giustizia di Dio, ossia quella data da Dio, il quale giustifica l'empio, e desiderando di far valere una giustizia procurata - a sentir loro - con le proprie forze, non sono sottomessi alla giustizia di Dio.
Ora invece, il fine della Legge è Cristo che rende giusto chiunque crede. ( Rm 10,3-4 )
Egli venne sulla terra proprio per portare la sovrabbondanza della grazia dove abbondava il peccato.
Se i Giudei furono nemici della grazia di Cristo poiché non compresero la giustizia di Dio e volevano accreditare la propria, perché mai le sono nemici anche questi tali, dal momento che credono in Colui che fu crocifisso dai Giudei?
Desiderano forse che ricevano il premio coloro i quali, dopo aver ucciso Cristo, confessarono la propria empietà e si assoggettarono alla grazia di lui appena lo conobbero, e riportino la condanna costoro che, pur credendo in Cristo, si sforzano di distruggerne la grazia?
La fede ortodossa di quanti credono in Cristo ha per fine di far loro sentire fame e sete della giustizia e di farli saziare della sua grazia.
Chiunque infatti, come dice la Sacra Scrittura - invocherà il nome del Signore, sarà salvo; ( Rm 10,13 ) non riguardo alla salute fisica che molti hanno anche senza invocare il nome del Signore, ma riguardo a quella a proposito della quale egli dice: Hanno bisogno del medico non i sani ma i malati ( Mt 9,12 ), frase ch'egli spiega con quella che segue: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Mt 9,13 )
Chiamò dunque sani i giusti e malati i peccatori.
Il malato quindi non presuma delle sue forze, poiché non si salverà per quanto grandi esse siano.
Poiché, se presume delle sue forze, badi ch'esse siano non come sono generalmente quelle dei sani ma come in genere sono quelle dei frenetici i quali, pur essendo insani, si credono talmente sani da non cercare neppure il medico, anzi arrivano al punto di maltrattarlo come molesto e crudele.
Così anche questi eretici maltrattano in certo modo Gesù Cristo col loro insano orgoglio, col sostenere cioè che, una volta promulgato un comandamento della Legge, per compiere il bene non è necessario l'aiuto tanto benigno della sua grazia.
Cessino dunque d'esser pazzi e capiscano che hanno il libero arbitrio non per rifiutare l'aiuto della grazia con sentimenti orgogliosi, ma per invocare il Signore con sentimenti religiosi.
In effetti la libera volontà sarà tanto più libera quanto più sarà sana e tanto più sana quanto più sarà sottomessa alla misericordia e alla grazia divina, poiché essa prega dicendo con fede: Guida i miei passi secondo la tua parola e io non sia schiavo d'alcuna iniquìtà. ( Sal 119,133 )
Come potrebbe esser libera, se è schiava dell'iniquità?
Affinché non sia schiava, considera Chi è invocato da essa.
Difatti non dice: " Guida i miei passi secondo il mio libero arbitrio, poiché non sarò schiavo d'alcuna iniquità ", ma: Guida i miei passi secondo la tua parola, affinché io non sia schiavo d'alcuna iniquità.
Essa prega, non garantisce; confessa, non assicura; desidera pienissima libertà, non vanta la propria capacità.
In verità non si salva chi confida nelle proprie forze ma chi invoca il nome di Dio.
In qual modo però - si chiede S. Paolo - invocheranno Colui nel quale non hanno creduto? ( Rm 10,14 )
I veri fedeli hanno dunque retta fede, se questa serve loro per invocare il nome di Colui nel quale credono e cosi riescono a compiere le prescrizioni della Legge da essi conosciuta, poiché la fede domanda ciò che la Legge comanda.
Lasciando per ora da parte molti altri precetti della Legge, mi limito a citare quello che ricorda in modo speciale S. Paolo.
Quando la Legge comanda: Non desiderare, ( Es 20,17; Rm 7,7 ) che cos'altro pare voglia esigere se non la, continenza dai cattivi desideri?
L'animo in realtà è trasportato dall'amore come da un peso dovunque esso è trasportato.
Ecco perché la Legge ci ordina di toglier qualcosa al peso della cupidità per aggiungerlo a quello della carità, fino a tanto che l'annientamento dell'uno serva al completamento dell'altro, dato che la pienezza della Legge è l'amore. ( Rm 13,10 )
Considera tuttavia che cosa dice la Sacra Scrittura a proposito della stessa continenza: E poiché sapevo che nessuno può essere continente senza uno speciale dono di Dio e che la stessa sapienza consiste nel sapere di Chi è dono, mi presentai davanti a Dio e lo supplicai. ( Sap 8,21 )
Forse che disse: " E poiché sapevo che nessuno può essere continente se non per mezzo del libero arbitrio e che la sapienza consiste nel sapere che un tal bene proviene da me stesso… "?
No; non disse affatto così, come vanno affermando alcuni individui nella loro stolta vanità, ma affermò ciò che deve dirsi alla stregua della verità della Sacra Scrittura e cioè: Sapevo che nessuno può essere continente senza uno speciale dono di Dio…
Iddio dunque comanda e nello stesso tempo concede la continenza: la comanda per mezzo della Legge e la concede per mezzo della grazia; comanda per mezzo della lettera e concede per mezzo dello Spirito, poiché la Legge senza la grazia fa moltiplicare i peccati, e il senso letterale senza lo Spirito è occasione di morte spirituale. ( 2 Cor 3,6 )
Comanda quindi che, dopo esserci sforzati di adempiere i precetti e dopo esserci stancati, a causa della nostra debolezza, sento il peso della Legge, impariamo a chiedere l'aiuto della grazia e a non essere ingrati a Chi ci aiuta se riusciremo a compiere qualche opera buona.
Così fece il Savio, che dalla Sapienza aveva imparato di Chi è il dono della continenza.
Il libero arbitrio, inoltre, non viene soppresso per il fatto che viene aiutato, ma viene aiutato proprio perché non viene soppresso.
In realtà colui che dice a Dio: Sii tu il mio aiuto, ( Sal 27,9 ) confessa di volere adempiere i comandamenti di Dio, ma anche di chiedere l'aiuto, di Chi li ha prescritti, per poterli adempiere.
Allo stesso modo il Savio, sapendo che nessuno può essere continente, si presentò al cospetto del Signore e lo supplicò; lo fece naturalmente di spontanea volontà e non avrebbe chiesto l'aiuto di Dio, se non avesse voluto; ma se non l'avesse domandato, quale potere avrebbe avuto la sua volontà?
In effetti, anche se uno avesse qualche potere prima di chiedere, a che cosa gli gioverebbe se, per ciò che può, non rendesse grazie a Colui al quale deve chiedere ciò che ancora non può?
Per tal motivo anche chi è già casto, non avrebbe la castità, se non ne avesse la volontà; ma se non avesse ricevuto un tal dono, quale potere avrebbe la volontà?
In realtà che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?
Se poi quel che possiedi l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non lo avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Ciò equivale a dire: " Perché te ne vanti come se lo avessi da te stesso, mentre, se non lo avessi ricevuto, non potresti averlo da te stesso? ".
Questo inoltre è stato detto affinché, chi vuole vantarsi, si vanti attribuendolo a Dio e non a sé stesso; ( 2 Cor 10,17 ) chi invece ancora non ha meriti da vantare, non speri di procurarseli con la propria natura, ma l'implori dal Signore.
Invero è meglio avere qualcosa di meno da chiedere a Dio che avere qualcosa in più da attribuire a se stessi, poiché è meglio sollevarsi dal basso verso l'alto che cadere dall'alto in basso.
Orbene Dio - dice la S. Scrittura - resiste ai superbi, mentre agli umili dà la sua grazia. ( Gc 4,6 )
Ecco perché la Legge c'insegna che cosa dobbiamo volere, moltiplicando in tal modo i nostri peccati, qualora non ci aiuti la grazia perché possiamo avere la forza di praticare ciò che vogliamo e adempiere ciò per cui abbiamo le forze.
Dio inoltre ci aiuterà allorché noi, senza presumere delle nostre forze e senza nutrire pensieri di superbia, ma avendo gli stessi sentimenti degli umili, ( Rm 12,16 ) lo ringrazieremo per le virtù che già riusciamo a praticare e lo supplicheremo umilmente e fervorosamente per ottenere quelle che ancora non siamo capaci di praticare: bisogna inoltre accompagnare le nostre preghiere con fruttuose opere di misericordia, cioè dando affinché sia dato anche a noi e perdonando perché siamo perdonati anche noi. ( Lc 6,37-38 )
Veniamo al secondo quesito.
Costoro affermano che un bambino sorpreso dalla morte prima del battesimo non può perdersi, poiché nasce senza peccato.
Non così afferma l'Apostolo; penso perciò ch'è meglio credere a lui anziché a costoro.
In effetti ecco quanto afferma il Dottore dei Gentili, per mezzo del quale parlava lo stesso Cristo: Per colpa d'un sol uomo è entrato in questo mondo il peccato e per causa d'esso la morte che colpisce tutti gli uomini poiché tutti hanno peccato; ( Rm 5,12 ) e poco dopo soggiunge: Poiché quell'unico peccato ha avuto un'unica condanna, mentre la grazia [ di Cristo ] porta al riscatto di molti peccati. ( Rm 5,16 )
Se perciò costoro riusciranno a trovare per caso un bambino non generato mediante la concupiscenza del primo uomo, potranno dire che non è soggetto alla condanna e non dev'esserne liberato mediante la grazia di Cristo.
Cosa vuol dire, infatti la condanna per causa d'un sol peccato, se non per causa del peccato commesso da Adamo?
E che vuol dire: il riscatto di molti peccati se non che la grazia di Cristo cancella non solo quell'unico peccato di cui sono macchiati i bambini discendenti dall'unico progenitore, ma anche i molti altri peccati che gli uomini, divenuti adulti, aggiungono con la loro cattiva condotta?
L'Apostolo tuttavia dice che per la condanna basta anche l'unico peccato di cui sono macchiati i discendenti della specie umana originata dal primo uomo.
Ecco perché non è superfluo il battesimo dei bambini; se per via della generazione sono soggetti alla condanna, ne vengono liberati per mezzo della rigenerazione.
In realtà, come non può esservi persona che non sia generata carnalmente, tranne Adamo, così non può esservi persona che non sia rigenerata, tranne Cristo.
La generazione carnale è vincolata a quell'unico peccato ed alla condanna di esso, mentre la rigenerazione spirituale cancella non solo il peccato originale, per causa del quale i bambini vengono battezzati, ma anche tutti gli altri peccati che gli uomini aggiungono, con la loro vita sregolata, a quello con cui sono generati.
Ecco perché l'Apostolo continua dicendo: Se quindi per il peccato d'un sol uomo ha dominato la morte, a maggior ragione per i meriti del solo Gesù Cristo regneranno nella vita tutti coloro che hanno ricevuto l'abbondanza della grazia e della giustizia.
Come quindi la morte si è propagata come pena fra tutti gli uomini a causa del peccato d'uno solo, così la vita si propaga per giustificazione a tutti gli uomini per i meriti d'uno solo.
Come in realtà molti sono diventati peccatori per la disubbidienza d'uno solo, così molti diverranno giusti per l'ubbidienza d'uno solo. ( Rm 5,17-19 )
Che cosa potranno rispondere costoro a questa affermazione oppure che cosa resta loro se non accusare d'errore l'Apostolo?
Il maestro dei Gentili, lo strumento eletto da Dio, l'araldo di Cristo proclama a gran voce: Da uno solo [ deriva ] la sentenza di condanna; ( Rm 5,16 ) costoro invece gridano contro di lui, affermando che i bambini, i quali - come ammettono essi stessi - discendono dal primo uomo, non cadono sotto la condanna, sebbene non abbiano ricevuto il battesimo di Cristo.
Quando l'Apostolo dice: Da uno solo [ deriva ] la sentenza di condanna, che cosa vuol dire " da uno solo " se non " peccato "?
Difatti egli soggiunge: La grazia invece porta al riscatto di molti peccati.
Da una parte, dunque, la sentenza emessa anche per un solo peccato conduce alla condanna, dall'altra la grazia conduce alla giustificazione di molti peccati.
Se perciò costoro non osano opporsi all'Apostolo, ci spieghino perché mai la sentenza emessa per un sol peccato conduce alla condanna, dal momento che gli uomini degni di condanna vanno al giudizio per molti delitti.
Oppure, se credono che l'Apostolo ha parlato così perché il peccato ha avuto origine da Adamo e che fu imitato da tutti gli altri, di modo che per causa di quell'unico peccato sono stati trascinati al giudizio e alla condanna a causa di molti peccati giungono alla giustificazione.
Oppure, se credono che l'Apostolo ha parlato così perché il peccato ha avuto origine da Adamo e che fu imitato da tutti gli altri, di modo che per causa di quell'unico peccato sono stati trascinati al giudizio e alla condanna tutti coloro che imitandolo hanno commesso molti altri peccati, perché mai non è detto altrettanto della grazia e della giustificazione?
Perché mai l'Apostolo non ha detto ugualmente: " E la grazia porta al riscatto d'un solo peccato "?
In realtà come si costata che gli uomini hanno commesso molti altri peccati nello spazio tra quel primo unico peccato, da essi imitato, e il giudizio con cui sono puniti, dato che da quel primo peccato sono passati a commettere molti altri peccati dai quali sono trascinati al giudizio e alla condanna, allo stesso modo questi molti altri peccati sono stati commessi nello spazio intercorrente tra questo stesso unico peccato, a imitazione del quale sono stati commessi gli altri, e la grazia con cui quelli sono rimessi, in quanto da quell'unico arrivarono a commetterne molti altri, affinché poi da essi passassero allo stato di grazia e ad essere giustificati.
Poiché dunque in entrambi i casi, cioè in quello del giudizio e in quello della grazia, uno e identico è il rapporto al primo e agli altri peccati, ci dicano, costoro perché mai l'Apostolo ha detto che il giudizio per un solo peccato conduce alla condanna, mentre la grazia conduce alla giustificazione di molti peccati.
Oppure riconoscano che S. Paolo ha parlato così perché nel caso che c'interessa sono contrapposte due persone: Adamo, capo carnale dell'umanità, e Cristo, capo spirituale della nuova umanità.
Ma il primo era soltanto uomo, il secondo invece era non solo uomo ma anche Dio; perciò non si deve dire che allo stesso modo che la generazione umana ci vincola al solo peccato originato da Adamo, così - quella spirituale ci libera dal solo peccato d'Adamo; ma nella generazione carnale basta il legame del solo peccato ( originale ) per la condanna, poiché tutti i peccati che gli uomini aggiungono in seguito con le loro cattive opere non hanno relazione con la generazione ma col genere di vita che si conduce; alla rigenerazione spirituale invece non basta liberarci soltanto dal peccato che contraiamo da Adamo, ma ci libera da tutti gli altri aggiunti in seguito con le cattive opere della vita umana.
Perciò la sentenza emessa per un solo peccato conduce alla condanna, la grazia invece giustifica molti peccati.
Se la morte ha regnato per il peccato d'uno solo che nei bambini viene cancellato dal battesimo: a molto maggior ragione coloro che ricevono l'abbondanza della grazia e della giustificazione regneranno nella vita per merito del solo Gesti Cristo.
In realtà a maggior ragione regneranno nella vita in quanto sarà il regno della vita eterna, mentre la morte durerà in essi solo in questa vita ma non regnerà per sempre.
Per tal motivo come il peccato d'uno solo ha contaminato tutti gli uomini per la loro condanna, dalla quale i bambini devono esser liberati mediante il sacramento del battesimo: così l'azione giustificatrice d'uno solo è bastata per la giustificazione di tutti gli uomini per la vita [ eterna ]. ( Rm 5,18 )
In ambedue i membri della frase S. Paolo dice tutti, non perché tutti gli uomini giungano alla grazia della giustificazione cristiana, dal momento che molti estranei ad essa o allontanatisi da essa piombano nella morte eterna, ma perché tutti quelli che rinascono alla giustificazione, rinascono solo per merito di Cristo, allo stesso modo che tutti quelli che nascono nella condanna, nascono solo per colpa di Adamo.
Nessuno è causa della generazione carnale se non Adamo, nessuno lo è della rigenerazione spirituale se non Cristo.
Ecco il perché di quel tutti nei due membri, che poi esprime col termine molti, allorché soggiunge: Come per la disubbidienza d'un solo uomo molti furono costituiti peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo molti saranno costituiti giusti. ( Rm 5,19 )
Chi sono questi molti, se non coloro che poco prima aveva chiamati tutti?
Osserva come l'Apostolo mette in risalto nei due membri uno solo ossia Adamo e Cristo, l'uno causa della condanna, l'altro della giustificazione, sebbene Cristo sia venuto sulla terra tanto tempo, dopo Adamo.
Ciò per farci comprendere che anche tutti i giusti, che poterono esservi nell'Antico Testamento, non furono redenti se non mediante la fede nell'incarnazione di Cristo ad essi profetizzata e a noi narrata come realizzata.
Ecco perché chiama uomo Cristo che pur è Dio, perché nessuno pensi che i giusti dell'Antica Alleanza potessero essere redenti in grazia di Cristo in quanto solamente Dio, cioè mediante il Verbo esistente fin da principio e non mediante la fede nella sua incarnazione, per cui Cristo si chiama anche uomo.
In effetti non può negarsi la verità asserita da S. Paolo in un altro passo ove dice: Per colpa d'un sol uomo c'è la morte e per merito d'un sol uomo la risurrezione dei morti.
Poiché allo stesso modo che per l'unione con Adamo tutti subiscono la morte, così pure per l'unione con Cristo tutti saranno richiamati alla vita. ( 1 Cor 15,21 )
S. Paolo parla naturalmente della risurrezione dei giusti, per i quali la vita sarà eterna, non della risurrezione di malvagi, la cui morte sarà eterna; per questo dice: saranno richiamati alla vita, poiché gli altri saranno dannati; per questo anche nei riti sacri dell'Antica Alleanza era prescritto che la circoncisione si compisse otto giorni dopo la nascita, ( Lv 12,3 ) poiché Cristo, per mezzo del quale avviene l'asportazione del peccato congenito nella generazione carnale, figurata nella circoncisione, risorse il giorno di Domenica, ch'è l'ottavo per il fatto che viene dopo il settimo, il quale è il giorno del sabato.
Tale dunque era anche la fede dei giusti dell'Antica Alleanza, per cui anche l'Apostolo dice: Avendo quindi il medesimo spirito di fede, per cui sta scritto: Ho creduto e quindi ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo". ( 2 Cor 4,13; Sal 116,10 )
L'Apostolo non direbbe: Avendo il medesimo spirito di fede, se non volesse farci comprendere che anche i giusti dell'Antica Alleanza avevano il medesimo nostro spirito di fede, ossia la fede nell'incarnazione di Cristo.
Ma siccome questo mistero ad essi era annunciato come futuro, mentre a noi viene annunciato come già avvenuto, e poiché nel tempo dell'Antica Alleanza era per così dire nascosto da un velo, mentre ai tempi della Nuova, Alleanza è svelato, i relativi riti sacri dell'Antica e della Nuova Alleanza sono stati diversi, ma identica è la fede relativa al mistero, poiché come tutti muoiono perché uniti ad Adamo, così tutti faranno richiamati alla vita in quanto uniti a Cristo. ( 1 Cor 15,21 )
Ciò che l'Apostolo aggiunge alle parole che abbiamo spiegate, dicendo: È poi subentrata la Legge, perché si moltiplicasse il peccato, ( Rm 5,20 ) non si riferisce al peccato di cui ci macchiamo discendendo da Adamo e del quale prima aveva detto: La morte ha regnato per causa d'uno solo. ( Rm 5,17 )
Per " legge " possiamo intendere sia quella naturale che si comincia a conoscere quando si arriva all'uso di ragione, sia quella scritta, data per mezzo di Mosè.
Ma né l'una né l'altra ha potuto ridare la vita e liberare dalla legge dei peccato e della morte che noi ereditiamo da Adamo; al contrario essa ha aumentato la trasgressione.
Poiché - dice lo stesso Apostolo - dove non esiste legge, non esiste neppure trasgressione. ( Rm 4,15 )
Vi è anche - dicevamo - una legge impressa nel cuore dell'uomo, il quale ha già l'uso del libero arbitrio, scritta naturalmente nel suo cuore, che ci suggerisce di non fare agli altri quel che non vogliamo sia fatto a noi, perciò in base a questa legge tutti sono trasgressori, anche quelli che hanno ricevuto la Legge di Mosè; di essi il Salmo dice: Ho reputato trasgressori tutti i peccatori della terra. ( Sal 119,119 )
Ora non tutti i peccatori della terra hanno trasgredito la Legge data per mezzo di Mosè, ma, se non avessero trasgredito una legge, non sarebbero chiamati trasgressori.
Ove infatti non esiste legge, non esiste neanche trasgressione.
Per la trasgressione dunque della legge data nel Paradiso nasce da Adamo l'uomo soggetto alla legge del peccato e della morte; a proposito di questa legge l'Apostolo dice: Vedo ìnsita nelle mie membra un'altra legge, che si oppone all'imperativo della mia coscienza e mi tiene come imprigionato nella legge del peccato e della morte, che risiede nelle mie membra. ( Rm 7,23 )
Se in seguito questa inclinazione non si rafforza a causa delle cattive abitudini, si vince abbastanza facilmente, non senza però la grazia di Dio.
Inoltre per la trasgressione dell'altra legge, consistente nell'uso della ragione dell'anima razionale e presente negli adulti che già ne fanno uso, diventano trasgressori tutti i peccatori della terra.
Per la trasgressione invece anche della Legge, data per mezzo di Mosè, molto maggiormente abbonda il peccato.
Se infatti fosse stata data una legge capace di dare la vita, la giustificazione verrebbe unicamente dalla Legge stessa.
La Scrittura, al contrario, ha collocato tutti gli uomini sotto il peccato, perché la promessa della vita fosse concessa a coloro che credono in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 )
Se le riconosci, queste parole sono di S. Paolo, il quale a proposito della Legge ( poco prima ) dice: La Legge fu stabilita per far apparire la trasgressione in attesa che venisse il Discendente per il quale era stata fatta la promessa, Legge promulgata coll'assistenza degli Angeli per mezzo di un mediatore. ( Gal 3,19 )
In tal modo S. Paolo mette in risalto Gesù Cristo, per la grazia del quale tutti si salvano, tanto i bambini dalla legge del peccato, e della morte con la quale siamo nati, quanto gli adulti che, usando male il libero arbitrio, hanno trasgredito la legge naturale della stessa ragione, quanto ancora quelli che ricevettero la Legge data per mezzo di Mosè e trasgredendola furono i mandati in rovina dal senso letterale di essa.
Quando poi uno trasgredisce i precetti del Vangelo, è come uno morto da, quattro giorni che manda fetore, ma non si deve disperare della sua sorte grazie al Cristo, il quale non disse esitando, ma gridò a gran voce: Lazzaro vieni fuori. ( Gv 11,43 )
La Legge dunque subentrò perché i peccati si moltiplicassero sia quando gli uomini trascurano d'adempiere i comandamenti di Dio, sia quando, presumendo delle proprie forze, non implorano l'aiuto della grazia e aggiungono la superbia alla debolezza.
Quando invece per ispirazione di Dio capiscono che hanno motivo di piangere e invocano Colui nel quale rettamente credono, esclamando:
Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia; ( Sal 51,1 )
oppure: Io ho detto: Abbi pietà di me, Signore; guarisci l'anima mia, poiché ho peccato contro di te; ( Sal 41,5 )
oppure: Ridammi la vita in virtù della tua giustizia; ( Sal 31,2 )
oppure: Allontanami dalla via del male e abbi pietà di me secondo la tua legge, ( Sal 119,29 )
oppure: Non mi raggiunga il piede del superbo né mi smuova la mano del peccatore; ( Sal 36,12 )
oppure: Guida i miei passi secondo la tua parola e non domini su di me alcuna malvagità ( Sal 119,133 ) ( poiché i passi dell'uomo sono guidati dal Signore e [ il giusto ] preferirà la via di Dio ( Sal 37,23 ) )
e molte altre espressioni le quali sono nella S. Scrittura allo scopo di insegnarci che per osservare i comandamenti di Dio dobbiamo chiedere l'aiuto a lui che li prescrive - quando, ripeto, l'uomo si rivolge a Dio ed esce in siffatti gemiti, si verifica quanto aggiunge l'Apostolo dicendo: Ove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia; ( Rm 5,20 ) e la parola di Cristo: Le sono rimessi molti peccati, poiché ha amato molto. ( Lc 7,47 )
Il cuore allora si riempie d'amor di Dio, capace di far osservar la Legge nella sua pienezza, non in virtù delle forze della nostra volontà, ma per la grazia dello Spirito Santo che ci è stato largito.
In realtà conosceva bene la Legge colui che diceva: Mi compiaccio della Legge di Dio secondo l'uomo interiore, e tuttavia soggiungeva: Sento però un'altra legge nelle mie membra che contrasta con la legge della mia coscienza e che mi rende come prigioniero della legge che mi trascina al peccato insita nelle mie membra.
Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?
La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,22-25 )
Perché mai l'Apostolo non disse piuttosto: " Mi libererà il mio libero arbitrio "?
Perché la libertà senza la grazia è ribellione.
L'Apostolo, dopo aver detto: La Legge subentrò, perché aumentassero i peccati, ma dove aumentarono i peccati aumentò molto di più anche la grazia; soggiunse: affinché allo stesso modo che regnò il peccato, causa di morte, regnasse ora la grazia mediante la giustizia, causa della vita eterna per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 5,20-21 )
Subito dopo aver detto: affinché allo stesso modo che regnò il peccato, causa di morte, non disse: " Per causa d'un sol uomo o per causa del primo uomo oppure per causa d'Adamo ", poiché aveva già detto: La Legge subentrò, perché aumentassero i peccati.
Questo aumento di peccati non è in rapporto con la discendenza carnale dal primo uomo, ma con la prevaricazione propria dei costumi umani che gli adulti aggiungono, con l'abbondanza della loro cattiveria, al peccato originale, l'unico di cui sono macchiati i bambini.
Ma siccome la grazia del Salvatore è capace di cancellare tutti i peccati, compresi quelli che non sono connessi col peccato originale, l'Apostolo, dopo avere detto: cosi ora possa regnare la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, soggiunse: per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.
Nessun ragionamento contrario a queste affermazioni dell'Apostolo deve perciò tener lontani i bambini dal ( ricevere il ) sacramento della salvezza conferita per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore; tanto più dobbiamo parlar noi in loro favore quanto meno possono farlo essi stessi per loro.
Per colpa d'un sol uomo è entrato il peccato nel mondo e col peccato la morte, e così si è trasmesso in tutti gli uomini, poiché tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 )
Allo stesso modo che i bambini non sono estranei al primo uomo, così non possono essere immuni dal primo peccato, se non vengono liberati dalla colpa mediante il battesimo di Cristo.
Il peccato infatti è regnato nel mondo fino alla proclamazione della Legge; ( Rm 5,13 ) non perché in seguito nessuno abbia peccato, ma perché il peccato non poteva esser cancellato dalla lettera della Legge, ma solo dallo spirito della grazia.
Perché dunque nessuno fidando sulle forze - non dico della propria volontà, ma piuttosto della propria vanità - credesse che al libero arbitrio potesse bastare la Legge e si facesse beffe della grazia di Cristo, l'Apostolo disse: Quindi fino alla proclamazione della Legge c'era il peccato nel mondo, ma il peccato non veniva imputato a colpa, non essendoci la Legge. ( Rm 5,13 )
L'Apostolo non dice che non esisteva il peccato, ma che non veniva imputato a colpa; poiché non esisteva una legge, la quale con le sanzioni lo dimostrasse degno di punizione, come lo fa la legge della ragione nei bambini o la legge scritta negli altri fedeli.
Ma la morte - dice l'Apostolo - regnò sovrana da Adamo fino a Mosè; ( Rm 5,14 ) poiché neppure la Legge data per mezzo di Mosè poté abbattere il regno della morte, che fu distrutto solo dalla grazia di Cristo.
Osserva inoltre su quali individui essa regnò e cioè: anche sopra coloro che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo.
Regnò dunque anche sopra coloro che non avevano commesso quel peccato, ma l'Apostolo ce ne mostra il perché dicendo: a somiglianza del peccato d'Adamo.
Questo è il modo migliore di spiegare la frase dell'Apostolo, che dopo aver detto: La morte regnò anche su coloro che non avevano peccato, come per farci capire perché regnò, soggiunse: A somiglianza del peccato di Adamo, cioè per il fatto che esisteva nelle loro membra l'inclinazione ad imitare il peccato di Adamo.
Lo stesso passo: La morte regnò da Adamo a Mosè anche su coloro che non peccarono a somiglianza della trasgressione di Adamo; può interpretarsi anche in quest'altro modo, che cioè i bambini appena nati e privi dell'uso di ragione di cui godeva Adamo allorché peccò, non avevano ricevuto il precetto trasgredito da Adamo ed erano macchiati del solo peccato originale, a causa del quale la morte, che dominava sovrana, li conduceva alla condanna.
La morte non regna solo: in coloro che, rigenerati dalla grazia di Cristo, appartengono al suo regno; poiché la morte temporale, sebbene trasmessa essa, pure mediante il peccato originale, dissolve bensì il loro corpo ma senza trascinare la loro anima alla pena con cui s'indica il regno della morte; per conseguenza l'anima rigenerata dalla grazia non morrà più per andare all'inferno, ossia non sarà rigettata né separata dalla vita divina.
La morte temporale per ora resta, anche in coloro che sono redenti dalla morte di Cristo, come condizione per esercitare la fede e sostenere la lotta spirituale della presente vita attraverso le sofferenze, lotta sostenuta anche dai martiri: anch'essa però scomparirà nella rinnovazione dei corpi promessa nella risurrezione.
Allora " la morte sarà fatta sparire completamente dalla vittoria ", ( 1 Cor 15,54; Os 13,14 ) mentre adesso la grazia di Cristo le toglie solo il dominio sovrano, perché non trascini le anime degli eletti alle pene dell'inferno.
Alcuni manoscritti, invece della lezione: non peccarono ecc. hanno quest'altra: su quelli che peccarono a somiglianza della trasgressione di Adamo, senza però che ciò cambi il senso della frase.
S'intende infatti che peccarono allo stesso modo che peccò Adamo, secondo quanto detto più sopra, cioè: tutti peccarono in lui, ( Rm 5,14 ) Comunque, la maggior parte dei manoscritti greci, sui quali è stata condotta la versione latina della S. Scrittura, hanno la lezione da noi riprodotta.
Neppure la specificazione aggiunta dall'Apostolo ad Adamo: il quale è prefigurazione di chi doveva venire, è interpretata in un sol senso.
Adamo può essere prefigurazione di Cristo per antitesi, cioè: allo stesso modo che tutti, muoiono per colpa d'Adamo, così tutti sono vivificati per i meriti di Cristo, e allo stesso modo che per la disubbidienza di Adamo molti sono diventati peccatori, così per l'obbedienza di Cristo molti diventano amici di Dio.
Può darsi pure che l'Apostolo abbia chiamato Adamo prefigurazione del futuro, perché ha impresso il marchio della morte ai propri discendenti.
L'interpretazione migliore tuttavia è quella basata sull'antitesi sulla quale insiste molto l'Apostolo.
Affinché infine i termini di tale opposizione non fossero giudicati della stessa portata, l'Apostolo aggiunse la seguente rettifica: Ma non c'è proporzione tra il peccato [ d'Adamo ] e la grazia [ di Cristo ]; poiché se molti sono morti per il peccato d'uno solo, molto più abbondante sarà la benevolenza e il dono di Dio in grazia d'un sol uomo, cioè di Gesù Cristo. ( Rm 5,15 )
Ciò non vuol dire che saranno in numero maggiore coloro sui quali si effonde la grazia, poiché i malvagi che saranno condannati sono molto più numerosi, ma che abbonderà maggiormente la grazia, poiché su coloro che sono redenti da Cristo il marchio della morte causata da Adamo.
Influisce solo durante il tempo, mentre per l'eternità influirà lo stampo della vita meritataci da, Cristo.
L'Apostolo insomma dice che, sebbene Adamo sia per opposizione la prefigurazione del futuro, il beneficio arrecato da Cristo ai rigenerati è molto superiore al danno causato da Adamo ai generati.
Inoltre non c'è proporzione tra l'unico peccato [ di Adamo ] e la grazia [ di Cristo ]; poiché noi siamo stati condannati dal giudizio di Dio per un solo peccato, mentre siamo giustificati dalla grazia dopo molti peccati. ( Rm 5,16 )
Il parallelismo - vuol dire l'Apostolo - non solo zoppica perché Adamo nuoce solo nel tempo a coloro che Cristo riscatta per l'eternità, ma anche perché i suoi discendenti per causa del peccato originale vanno all'inferno se non saranno redenti da Cristo, mentre la redenzione di Cristo cancella anche molti peccati che, vengono aggiunti a quello originale dall'abbondanza delle infrazioni dovute all'iniquità, di cui abbiamo già parlato.
Non dar retta a chi combatte queste affermazioni dell'Apostolo e la loro interpretazione ortodossa, se vuoi vivere per Cristo e in unione con Cristo.
Se infatti, come pretendono costoro, l'Apostolo avesse esposto questa dottrina per farci comprendere che i peccatori hanno relazione col primo uomo non a causa del peccato, che noi contraiamo da lui nella nascita, ma solo perché pecchiamo imitandolo, ci avrebbe presentato piuttosto l'esempio del diavolo, il quale non solo peccò per primo, ma dal quale il genere umano non trasse alcuna discendenza carnale ma lo seguì solo con l'imitarlo, per cui è chiamato padre degli empi, come Abramo è chiamato padre dei credenti perché ne imitiamo la fede e non già perché siamo suoi discendenti per via carnale. ( Gv 8,38-39.44 )
Ecco perché del diavolo è stato detto: Lo imitano coloro che sono del suo partito. ( Sap 2,24 )
In secondo luogo, se l'Apostolo avesse ricordato il primo uomo solo come l'esempio imitato dai discendenti in quanto fu il primo peccatore tra gli uomini, per far capire che tutti i peccatori hanno rapporto di somiglianza con lui, perché mai non citò Abele il santo, che fu il primo giusto tra gli uomini, col quale hanno rapporto di somiglianza tutti i giusti che ne imitano la giustizia?
L'Apostolo, al contrario, ci presentò Adamo in opposizione al quale presentò solo Cristo, poiché come il primo col proprio peccato, ha viziato la propria posterità, così il Dio-Uomo ha salvato con la sua giustizia i componenti la propria eredità; il primo trasmettendo la corruzione carnale, ciò che non avrebbe potuto fare il diavolo con tutta la sua empietà, il secondo dando la grazia dello Spirito, ciò che non avrebbe potuto dare Abele con tutta la sua giustizia.
Ho molto parlato di siffatte questioni in altre mie opere e in discorsi rivolti in chiesa ai fedeli, poiché anche da noi ci sono stati degli individui che cercavano di spargere, ovunque i semi di questo loro nuovo errore.
Molti di essi sono stati guariti di tale flagello dalla misericordia di Dio che si è, servito di me e di altri fratelli.
Io tuttavia credo che ce ne siano ancora, specie a Cartagine, ma ormai parlottano tra loro a bassa voce e di nascosto per paura della ferma fede della Chiesa.
Infatti uno di essi, di nome Celestio, aveva cominciato ad introdursi di soppiatto nella Chiesa di quella città fino all'onore del presbiterato ma i Cristiani ebbero la franchezza e il coraggio di citarlo al tribunale del vescovo proprio per siffatti discorsi contro la grazia di Cristo.
Egli allora fu costretto ad ammettere che anche i bambini hanno bisogno d'essere battezzati perché anch'essi hanno bisogno della redenzione.
Sebbene in quell'occasione non volesse pronunciarsi più esplicitamente sul peccato originale, tuttavia anche solo per aver usato il termine " redenzione " apportò un grave pregiudizio alla sua posizione.
Da che cosa infatti i bambini dovrebbero essere riscattati se non dalla schiavitù del diavolo, sotto la quale essi non si troverebbero, se non vi fossero vincolati col peccato originale?
Qual è poi il prezzo di questo riscatto se non il sangue di Cristo che, secondo la lampante dichiarazione della S. Scrittura, è stato sparso per la remissione dei peccati? ( Mt 26,28 )
Ma siccome Celestio si ritirò dopo essere stato certamente dimostrato colpevole d'errore e detestato dalla Chiesa anziché emendato e pacificato, io temo che sia proprio, lui quello che cerca di turbare la vostra fede; ecco perché ho creduto opportuno menzionare il suo nome.
Comunque, si tratti di lui o di altri seguaci del suo errore ( questi in realtà sono più di quanti possiamo sperare e, se non sono confutati, attraggono alla loro eresia altri proseliti ancor più numerosi e non si può sapere ove possano andare a finire ), noi preferiamo che guariscano nell'unità del corpo mistico della Chiesa anziché vengano amputati da esso come membra inguaribili ( per quanto tuttavia ci permetterà d'agire così verso di loro la necessità ).
In realtà è sempre da temere che, usando dei riguardi a delle membra marce, queste marciscano ancora di più.
Ma la misericordia di nostro Signore è potente per liberarli dal flagello della loro eresia e farà loro senza dubbio questa grazia, se crederanno con ferma fede, nell'affermazione della S. Scrittura: Chi invocherà il Signore, si salverà.
Ascolta ormai qualche considerazione in risposta all'altro tuo quesito sui ricchi.
Secondo quanto scrivi, cotesti eretici affermano che: "Il ricco, il quale resta in possesso delle sue ricchezze, non può entrare in paradiso, salvo che non venda ogni suo bene, e non gli gioverà nulla se adempirà i comandamenti con [ l'erogare ] le proprie ricchezze".
Sono sfuggiti alle critiche di costoro i nostri padri nella fede Abramo, Isacco e Giacobbe, i quali sono passati da questa vita molto tempo prima; essi infatti possedevano non poche ricchezze, come attesta la veracissima S. Scrittura, eppure colui che per amor nostro si fece povero, pur essendo l'unico vero ricco, predisse con assoluta veridicità che sarebbero giunte molte persone dall'Oriente e dall'Occidente per prender posto nei troni del regno dei cieli non al di sopra dei suddetti Patriarchi o senza di essi ma con essi. ( Mt 8,11 )
È bensì vero che il ricco superbo, il quale indossava vestiti di porpora e di finissimo lino e faceva ogni giorno pranzi sontuosi, dopo la sua morte fu condannato alle pene dell'inferno, ma avrebbe meritato anch'egli la misericordia di Dio, se avesse avuto compassione del povero ricoperto di ulcere che giaceva disprezzato davanti alla sua porta. ( Lc 16,22 )
Se inoltre il merito di quel povero fosse stato solo quello derivante dalla povertà e non dalla santità, non sarebbe stato trasportato dagli angeli nel seno di Abramo, il quale era stato ricco anch'egli su questa terra.
Ma perché ci fosse manifesto che non fu la povertà del primo ad esser premiata da Dio per se stessa né la ricchezza del secondo ad esser condannata per se stessa, ma la pietà dell'uno e l'empietà dell'altro, il ricco malvagio andò a finire nei tormenti del fuoco, mentre il povero buono fu accolto nel seno del ricco di quel ricco - ripeto - che nella sua vita terrena possedeva molte ricchezze ma le teneva in così poco conto, a paragone dei precetti di Dio, da non volerne offendere il comando d'immolare il proprio figlio, che pure sperava e desiderava lasciare erede delle proprie ricchezze. ( Gen 22,1-10 )
A questo punto costoro potrebbero rispondere che i Patriarchi dell'Antica Alleanza non vendettero i loro beni perché non avevano avuto un ordine esplicito dal Signore.
Dato che la Nuova Alleanza non era stata ancora rivelata e non era opportuno che fosse rivelata se non nella pienezza dei tempi, non aveva bisogno di manifestarsi neppure la loro virtù; del resto Dio, il quale conosceva i loro sentimenti, sapeva bene ch'essi con la loro virtù potevano compiere quell'azione senza difficoltà, tant'è vero che diede loro una testimonianza così segnalata che, pur essendo il Dio di tutti i santi, si degnò di parlare di essi come degli amici prediletti, proclamando: Io sono il Dio d'Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe: questo è il mio nome per l'eternità. ( Es 3,15 )
Ma dopo che il gran mistero della pietà fu manifestato nella carne [ di Cristo ] ( 1 Tm 3,16 ) e dopo che a tutte le genti che dovevano essere chiamate [ alla fede ] apparve luminosa la venuta di Cristo, nel quale avevano creduto pure i Patriarchi conservando, per così dire, nella radice dell'albero di cui parla l'Apostolo, ( Rm 11,17 ) l'olivo della fede, che doveva manifestarsi a suo tempo, allora fu detto al ricco: Va, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi. ( Mt 19,21 )
Qualora rispondessero così, potrebbe sembrare che dicessero qualcosa di logico.
Essi però dovrebbero ascoltare e fare attenzione a tutto il contesto, non già aprire le orecchie da una parte e chiuderle all'altra.
A chi, infatti, il Signore diede questo precetto?
Proprio a quel ricco il quale chiedeva un consiglio per ottenere la vita eterna.
Ora, ecco che cosa egli aveva chiesto al Signore: Che debbo fare per ottenere la vita eterna?
Cristo però non gli rispose: " Se vuoi giungere alla vita, va e vendi tutto quel che hai ", ma: Se vuoi giungere alla vita, osserva i comandamenti. ( Mt 19,16; Lc 18,22 )
Avendo il giovane risposto di aver osservato i comandamenti della Legge ricordati dal Signore e avendo chiesto che cosa ancora gli mancava, ebbe questa risposta: Se vuoi esser perfetto, va, vendi quello che hai e dallo ai poveri.
E perché non credesse di perdere in tal modo quello che tanto amava, soggiunse: E avrai un tesoro nel cielo. ( Mt 19,21; Mc 10,21; Lc 18,22 )
Poi soggiunse: Vieni e seguimi, perché nessuno credesse che una tale rinuncia gli sarebbe giovata se non avesse seguito Cristo.
Ma quel giovane se n'andò tutto triste poiché aveva compreso in qual modo aveva osservato i comandamenti della Legge.
A mio avviso egli nel rispondere che li aveva osservati era stato più arrogante che sincero.
Ciò nondimeno il buon Maestro distinse i comandamenti del decalogo dai consigli di perfezione più alta.
Riferendosi ai primi aveva detto: Se vuoi entrar nella vita, osserva i comandamenti; riferendosi ai secondi: Se vuoi esser perfetto, va, vendi ciò che hai ecc.
Per qual motivo dunque si sostiene che i ricchi, per quanto lontani dalla perfezione, non entrano nella vita, qualora osservino i comandamenti e diano del loro perché sia dato loro e perdonino perché sia perdonato loro? ( Lc 6,37-38 )
Orbene, noi crediamo che l'apostolo Paolo era ministro della Nuova Alleanza quando, scrivendo a Timoteo, diceva: Ai ricchi di questo mondo ordina con tutta la tua autorità di non essere superbi nell'animo, di non confidare nelle ricchezze malsicure, ma nel Dio che ci procura in abbondanza ogni cosa da godere, d'essere caritatevoli, ricchi di opere buone, disposti a dare generosamente; in tal modo si accumuleranno un buon patrimonio per il futuro, per ottenere la vera vita; ( 1 Tm 6,17-19 ) la stessa vita, di cui il Signore aveva detto al giovane: Se vuoi entrare nella vita…
Penso che l'Apostolo, dando questi precetti ai ricchi, non l'ingannava ma li istruiva.
Egli infatti non dice: " Comanda ai ricchi di questo mondo di vendere ogni bene, di devolverne il ricavato ai poveri e di seguire il Signore ", ma: Non esser superbi, non sperare nelle ricchezze malsicure.
Non fu la ricchezza ma questa superbia e questa fiducia nelle ricchezze malsicure, per cui si reputava felice a causa delle vesti di porpora e di lino e dei pranzi sontuosi, a trascinare nei tormenti dell'inferno il ricco che disprezzava il povero buono seduto presso la sua porta.
Forse che, per il fatto che il Signore aveva soggiunto: In verità vi dico che difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.
E di nuovo vi dico: È più facile che. un cammello passi per la cruna d'un ago che un ricco entri nel regno dei cieli; ( Mt 19,23-24 ) forse per questo costoro credono che un ricco non possa entrare nel regno dei cieli ancorché adempia i precetti impartiti dall'Apostolo ai ricchi nella sua lettera?
Che dire dunque? Forse che l'Apostolo afferma il contrario di quel che dice il Signore?
O piuttosto sono costoro a non sapere quello che dicono?
Scelga il cristiano quale delle due disgiuntive meriti il suo assenso.
Io penso che sia meglio credere che costoro non sappiano quel che dicono anziché ammettere che Paolo affermi il contrario del Signore.
D'altronde, perché non ascoltano lo stesso Signore il quale, ai discepoli rattristati per l'infelice sorte dei ricchi, poco dopo soggiunse: Ciò ch'è impossibile agli uomini, è facile a Dio? ( Mt 19,26 )
Ma - dicono costoro - il Signore parlò così poiché sarebbe avvenuto che i ricchi, dopo aver sentito il Vangelo, avrebbero venduto il loro patrimonio e, dopo averne devoluto il ricavato ai poveri, avrebbero seguito il Signore e sarebbero entrati nel regno dei cieli e in tal modo si sarebbe realizzato ciò che pareva difficile, e non già perché essi, rimanendo in possesso delle proprie ricchezze coll'osservare i precetti dell'Apostolo - cioè di non esser superbi, di non sperare nelle ricchezze malsicure ma nel Dio vivo, di fare opere buone, d'esser disposti a dare e d'essere generosi verso i bisognosi - raggiungessero la vita eterna.
Il Signore - secondo essi - disse così perché i ricchi, dopo aver venduti tutti i loro beni, adempissero anche i suddetti precetti dell'Apostolo.
Se dicono così, e so bene che lo dicono, non considerano anzitutto come il Signore ha proclamato la sua grazia in opposizione alla loro dottrina.
Egli infatti non disse: " Ciò che sembra impossibile agli uomini, è facile a coloro che lo vogliono " ma: Ciò ch'è impossibile agli uomini, è facile a Dio, dimostrando che il mettere in pratica rettamente ( i dettami evangelici ) non è opera delle forze umane, ma della grazia di Dio.
Costoro dunque tengano bene in mente questa verità e, se rimproverano coloro che si vantano delle proprie ricchezze, badino essi stessi a non riporre la fiducia nelle proprie forze poiché nel Salmo sono biasimati nello stesso tempo gli uni e gli altri, cioè Coloro che confidano nelle proprie forze e coloro che si vantano nell'abbondanza delle proprie ricchezze. ( Sal 49,7 )
I ricchi pertanto ascoltino la massima del Vangelo: Quel ch'è impossibile agli uomini, è facile a Dio; e, sia che conservando le proprie ricchezze le usino per le opere buone, sia ch'entrino nel regno dei cieli per averle vendute e aver distribuito il ricavato ai poveri per le loro necessità, attribuiscano la propria virtù non già alle proprie forze ma alla grazia di Dio.
Poiché ciò ch'è impossibile agli uomini, è facile a Dio e non agli uomini.
Ascoltino questa verità anche costoro, e se hanno già vendute ogni loro avere e l'han distribuito ai poveri, o si dispongono ancora ad attuare una simile risoluzione e si preparano in tal modo a entrare nel regno dei cieli, non lo ascrivano alla propria virtù, ma alla stessa grazia di Dio, poiché quello ch'è impossibile agli uomini, è facile a Dio, non ad essi che sono sempre uomini.
La stessa cosa dice loro l'Apostolo: Affaticatevi con timore e tremore per la vostra salvezza.
Poiché è Dio che opera in voi il volere e l'operare secondo la ( vostra ) buona volontà. ( Fil 2,12-13 )
Essi affermano senza dubbio d'aver ricevuto dal Signore il consiglio di perfezione di vendere i propri beni per seguire il Signore, poiché in quel passo ci era anche l'invito: Vieni e seguimi.
Perché dunque nel compiere le loro buone opere presumono soltanto della propria volontà e non ascoltano il Signore - ch'essi affermano di seguire - rimproverarli mentre proclama: Senza di me voi non potete far nulla? ( Gv 15,5 )
Supponiamo inoltre che l'Apostolo dica: Ordina ai ricchi di questo mondo di non avere pensieri di superbia e di non sperare nelle ricchezze malsicure, ( 1 Tm 6,17 ) in modo che vendano tutto ciò che posseggono e, col distribuirne il ricavato ai poveri, mettano in pratica quanto è detto in seguito e cioè: Siano disposti a dare, siano generosi, in modo da accumulare un buon patrimonio per il futuro, con cui acquistare la vera vita, e non creda che possano entrare in paradiso agendo diversamente; in questo caso l'Apostolo ingannerebbe coloro le case dei quali egli ordina tanto diligentemente col suo saggio insegnamento, avvertendoli e prescrivendo come le mogli debbono comportarsi coi mariti e viceversa e così rispettivamente tra loro i figli e i genitori, i servi e i padroni.
Poiché, in qual modo queste norme potrebbero mettersi in pratica senza possedere una casa e un certo patrimonio?
Costoro forse si lasciano impressionare da questa affermazione del Signore: Chi abbandonerà ogni suo bene per amor mio, riceverà il centuplo in questo mondo e nel futuro possederà la vita eterna? ( Mt 19,29 )
Ma una cosa è abbandonare, un'altra vendere.
Tra le cose da abbandonarsi è ricordata anche la moglie, che nessuna legge umana permette di vendere e la legge di Cristo non permette neppure di abbandonare se non in caso d'adulterio. ( Mt 5,32 )
Dato che questi precetti non possono essere in contrasto tra loro, che cosa significano se non che talora si può dare un caso di necessità in cui uno sia costretto ad abbandonare o la moglie o Cristo?
Supponiamo, tra mille casi, che un marito cristiano non vada più a genio alla propria moglie e questa gli proponga di scegliere tra lei e Cristo.
Chi dovrà egli preferire, in questo caso, se non Cristo?
Non sarà forse degno di lode se abbandonerà la moglie per Cristo?
Il Signore infatti, nel prescrivere le norme per due coniugi ambedue cristiani, ha proibito che il marito abbandoni la moglie.
Quando invece uno dei coniugi è infedele, si tenga presente il consiglio dell'Apostolo: Se la moglie infedele acconsente col marito credente, questi non la ripudi.
Allo stesso modo la moglie credente non ripudi il marito pagano se acconsente ad abitare con lei.
Se viceversa il coniuge pagano si vuol separare dal coniuge credente, si separi pure, perché non è dignitoso che il cristiano o la cristiana debbano rimanere schiavi in siffatte condizioni. ( 1 Cor 7,12-15 )
Vale a dire: se il coniuge pagano non è contento di convivere col coniuge cristiano, questi abbia coscienza della propria libertà e non si rassegni ad essere sottoposto a schiavitù, fino a perdere la fede per non ripudiare il coniuge pagano.
Questa norma deve applicarsi ai figli e ai genitori, ai fratelli e alle sorelle: bisogna abbandonare tutti per Cristo ogniqualvolta ci viene presentata l'alternativa di ripudiare Cristo o vivere con essi.
La medesima cosa deve intendersi della casa e dei campi e delle cose possedute per diritto fondato sul prezzo con cui sono state acquistate.
Similmente neanche di queste cose il Signore dice: " Chi venderà per amor mio tutto ciò ch'è lecito vendere", ma: Chi lascerà tutto ciò per amor mio…
Può infatti accadere che un rappresentante dell'autorità dica a un cristiano: " O cessa d'esser cristiano oppure, se vorrai continuare ad esserlo, rinuncia alla tua casa e ai tuoi possedimenti ".
In tal caso anche i ricchi che avessero deciso di conservare le proprie ricchezze per impiegarle in opere buone e così meritare la ricompensa di Dio, dovrebbero abbandonarle per amore di Cristo anziché abbandonare Cristo per amore di esse, affinché ricevano in questa vita il centuplo, cioè tutte le cose, delle quali è simbolo il numero perfetto cento, ( poiché tutto il mondo della ricchezza appartiene al fedele ( Pr 17,6 sec. LXX ) e in tal modo diventano " come gente che non ha nulla e invece possiede tutto " ( 2 Cor 6,10 ) ), e nella vita futura possederanno la vita eterna; se invece ripudieranno Cristo per amore delle ricchezze, saranno precipitati nella morte eterna.
Secondo questa legge e secondo questa condizione devono agire non solo coloro che, animati dalle più nobili intenzioni, hanno abbracciato il consiglio della perfezione e hanno distribuito ai poveri il ricavato della vendita dei loro beni sottoponendo poi al dolce giogo di Cristo le loro spalle libere da ogni peso di questo mondo, ma anche tutti coloro i quali, pur essendo più deboli e meno capaci di quella splendida perfezione, si ricordano tuttavia d'essere veramente Cristiani e, se si trovano di fronte all'alternativa o di abbandonare i propri beni o, di ripudiare Cristo, si tengono arroccati alla torre della fortezza di fronte al nemico; ( Sal 61,4 ) poiché, quando la edificavano con la loro fede, hanno calcolato le spese occorrenti per portarne a termine la costruzione; ( Lc 14,28 ) vale a dire che hanno abbracciato la fede col proposito di rinunciare al mondo non solo a parole ma sul serio; sicché, se avevano acquistato qualche bene, vivevano come se non lo possedessero e, se si servivano dei beni di questo mondo, vivevano come se non se ne servissero, sperando non già nelle ricchezze malsicure ma nel Dio vivente. ( 1 Tm 6,17; 1 Cor 7,30-31 )
Chiunque rinuncia al mondo, rinuncia senza dubbio a tutto quello che appartiene al mondo, perché possa esser discepolo di Cristo.
( Lo stesso Cristo, dopo aver premesso il paragone delle spese necessarie per costruire la torre e l'altro sulla necessità di preparare la guerra contro un altro re, soggiunse: Chi non rinuncia al suo patrimonio, non può essere mio discepolo ( Lc 16,31 ) ).
Chi dunque rinuncia al mondo, rinuncia senza dubbio anche alle proprie ricchezze, qualora ne abbia, o staccandosene del tutto e distribuendole tutte ai poveri per liberarsi da pesi inutili o in modo che, preferendo ad esse Cristo, trasferisca nel Cristo medesimo la speranza che aveva riposta in esse.
In quest'ultimo caso si serve delle ricchezze per distribuirle generosamente ai bisognosi e accumularsi in tal modo un tesoro per il cielo; dev'essere inoltre pronto ad abbandonare le ricchezze come pure i genitori, i figli, i fratelli, la moglie qualora si venisse a trovare di fronte all'alternativa di ripudiare Cristo o di perderle.
Poiché se nell'accingersi a ricevere il sacramento della fede ( il battesimo ) rinuncia al mondo in maniera diversa, fa ciò che S. Cipriano deplora a proposito dei Cristiani caduti nell'apostasia durante la persecuzione, dei quali dice che: Avevano rinunciato al mondo non coi fatti ma solo a parole.1
Di un simile ricco, il quale, al sopraggiungere della prova, teme più di perdere le ricchezze che rinnegare Cristo, è detto: Costui ha cominciato a costruire ma non ha potuto portare a termine. ( Lc 14,30 )
Egli è anche simile a colui che " pur essendo ancora lontano il suo nemico, gli manda incontro ambasciatori per chiedergli la pace "; ( Lc 14,32 ) vale a dire ch'egli acconsente ad abbandonare Cristo e a rinnegarlo per non perdere quel che preferisce quando la prova ancora non lo molesta ma è solo imminente e lo minaccia.
Quanti Cristiani sono simili a un tale ricco!
Essi pensano che la religione cristiana debba aiutarli ad accrescere le ricchezze e moltiplicare i godimenti terreni.
Ma non sono così i ricchi veramente cristiani, i quali, pur possedendo le ricchezze, non ne sono posseduti al punto di preferirle a Cristo, poiché hanno rinunciato sinceramente al monde e non ripongono alcuna speranza in esse: attenendosi alla sana e vera dottrina insegnano alle spose, ai figli e all'intera famiglia a osservare la religione cristiana.
Le loro case hanno un fervido culto dell'ospitalità e accolgono il giusto nel nome del giusto per ricevere la ricompensa del giusto. ( Mt 10,41 )
Fanno parte del loro pane al povero, vestono il nudo, pagano il riscatto del prigioniero, ( Is 58,7; Mt 25,35 ) accumulano un patrimonio per il futuro onde acquistare la vera vita. ( 1 Tm 6,19 )
Se inoltre per caso devono patire rovesci pecuniari per la fede di Cristo, giungono a rinunciare alle proprie ricchezze: se il mondo minaccia di separarli o di privarli dei loro cari, non si curano né dei genitori né dei fratelli né dei figli né delle mogli; se infine devono accordarsi col nemico ( della fede ) solo a prezzo della vita per non essere abbandonati da Cristo, qualora fosse da loro abbandonato, rinunciano perfino alla propria vita.
Per tutte queste situazioni hanno un precetto cui attenersi, per non cessare, in caso contrario, d'essere discepoli di Cristo. ( Lc 14,26-27 )
Se però è prescritto ai fedeli di rinunciare, per amore di Cristo, perfino alla loro vita, non per questo devono venderla o togliersela facendo violenza a sé stessi.
Basta che siano disposti a perderla morendo per la fede di Cristo per evitare che, rinnegando Cristo, vivano morti alla grazia.
Lo stesso vale anche delle ricchezze: anche se non fossero disposti a venderle seguendo l'esortazione di Cristo, devono essere pronti a perderle per amore di Cristo, per evitare di andare in perdizione una volta perduto Cristo.
Ecco perché noi abbiamo illustri e ricchi personaggi d'ambo i sessi esaltati alla gloria del martirio.
Così pure molti che non ebbero il coraggio d'abbracciare la perfezione col vendere i loro beni, divennero all'improvviso perfetti con l'imitare la passione di Cristo, e la gente che con le proprie ricchezze aveva commesso qualche debolezza, propria della carne e del sangue, all'improvviso combatté fino all'effusione del sangue per la fede contro il peccato.
Quelli invece che non arrivarono alla corona del martirio né abbracciarono il grande e sublime consiglio di perfezione evangelica di vendere i propri beni, ma che tuttavia, rimanendo immuni da peccati mortali, sfamarono il Cristo affamato, lo dissetarono quand'era assetato, lo vestirono quand'era nudo, lo ospitarono quand'era pellegrino, non saranno assisi nel cielo per giudicare con Cristo, ma staranno alla sua destra per sentirsi giudicare con misericordia. ( Mt 25,34-40 )
Beati - infatti - i misericordiosi, poiché troveranno misericordia presso Dio. ( Mt 5,7 )
Inoltre sarà giudicato senza misericordia chi non l'avrà usata agli altri: la misericordia inoltre si vanta d'esser superiore al giudizio. ( Gc 2,13 )
Cessino quindi cotesti individui di parlare contro le Sacre Scritture e, se nelle esortazioni spronano i fedeli ad abbracciare uno stato di vita più perfetto, non condannino quelli inferiori.
Non possono forse nelle loro prediche raccomandare la santa verginità senza condannare il vincolo coniugale, dal momento che, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, ognuno ha un dono particolare da Dio, chi in un modo, chi in un altro? ( 1 Cor 7,7 )
Camminino pure dunque sulla via della perfezione vendendo tutti i loro beni e distribuendoli ai poveri ma, se sono veri poveri di Cristo, perché mai condannano i membri di Cristo più deboli, prima di ricevere il seggio dei giudici?
Se invece per caso saranno tra coloro ai quali il Signore dice: Sederete su dodici seggi per giudicare le dodici tribù d'Israele; ( Mt 19,28 ) e dei quali l'Apostolo dice: Non sapete che noi giudicheremo gli Angeli? ( 2 Cor 6,3 ) si preparino piuttosto ad accogliere negli eterni padiglioni non i ricchi degni di riprovazione, ma quelli timorati di Dio, quelli cioè che si procurano degli amici con il mammona dell'iniquità. ( Lc 16,9 )
Io penso infatti che qualcuno di cotesti eretici, i quali vanno blaterando con tanta impudenza, venga sostentato nelle sue necessità da Cristiani ricchi e devoti.
In realtà la Chiesa ha, per così dire, i suoi soldati e i suoi contribuenti, per cui, l'Apostolo dice: Chi mai fa il soldato a proprie spese? ( 1 Cor 9,7 )
Essa ha la sua vigna e i suoi coltivatori, ha il suo gregge ed i suoi pastori; perciò trae questa conclusione: Chi mai pianta una vigna e non ne mangia il frutto?
Chi mai pascola un gregge e non si nutre del suo latte? ( 1 Cor 9,7 )
D'altra parte fare le discussioni che f anno costoro non è fare il soldato ma il sovversivo, non è piantare una vigna ma sradicarla, non è radunare le pecore per pascerle ma separarle dal gregge per condurle alla perdizione.
Allo stesso modo che quelli medesimi i quali sono nutriti e vestiti dalle religiose attenzioni dei ricchi - dato che non ricevono, per le loro necessità, nulla se non da coloro che vendono i loro beni - non vengono tuttavia condannati e giudicati dagli altri membri: di Cristo più nobili i quali vivono del lavoro delle proprie mani con molto maggior virtù, come caldamente raccomanda l'Apostolo; ( At 20,34 ) così costoro non devono condannare i Cristiani di merito inferiore Che li sostentano coi loro mezzi, ma al contrario, vivendo e, insegnando rettamente, dire piuttosto ad essi: Se noi abbiamo seminato per voi beni spirituali, è forse una cosa straordinaria se raccogliamo i frutti delle vostre fatiche materiali? ( 1 Cor 9,11 )
Molto meno impudenti sono i servi di Dio, i quali vivono dei guadagni del loro onesto lavoro, quando condannano costoro, dai quali non ricevono nulla, che non costoro i quali non potendo, a causa di qualche acciacco o debolezza fisica, lavorare con le proprie mani, condannano quelli medesimi delle cui sostanze essi vivono.
Io, che ti scrivo queste cose, ho amato ardentemente la perfezione, di cui parla il Signore, quando disse al giovane ricco: Va, vendi tutto quello, che: hai, dà il ricavato ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi; ( Mt 19,21 ) e l'ho fatto non con le mie forze, ma con l'aiuto della sua grazia.
E poiché non ero ricco, non per questo Dio mi renderà minor merito; infatti non erano ricchi nemmeno gli Apostoli, che, fecero altrettanto per primi; in realtà lascia il mondo intero chi lascia non solo quel che ha, ma anche quel che desidera avere.
Quali progressi inoltre abbia io fatti nella via di questa perfezione lo so io meglio di qualsiasi altro, ma meglio di me lo sa Iddio.
Con tutte le forze possibili esorto gli altri ad abbracciare lo stesso ideale religioso: grazie al Signore ho anche dei confratelli i quali l'hanno abbracciato dopo che io li ho persuasi, grazie al mio ministero, ma facendo in modo che sopra ogni altra cosa venga osservata la retta dottrina senza giudicare con stolta arroganza coloro che non fanno come noi, senza affermare cioè che non giova loro a nulla né vivere castamente anche nel vincolo del matrimonio né amministrare e dirigere cristianamente le loro case né accumulare un patrimonio di meriti per il futuro mediante le opere di misericordia, per paura che con tali dispute diventiamo non espositori ma calunniatori della S. Scrittura.
T'ho spiegato tutto ciò perché questi individui, quando dai secolari che non hanno abbracciato questo consiglio evangelico sono impediti di parlare in tal guisa, rispondono " Voi non volete discutere queste cose, perché siete attaccati ai vostri vizi e rifiutate di osservare i precetti del Signore ".
Ora, per non parlare di quei ricchi che, sebbene non abbiano rinunciato alle ricchezze, perché più deboli, se ne servono tuttavia cristianamente, ce ne sono alcuni pieni di cupidigia ed avari, i quali se ne servono per fini cattivi e pongono il loro cuore abietto nei tesori della terra e nondimeno la Chiesa deve sopportarli fino alla fine del mondo, come la rete del Vangelo che sopporta i pesci cattivi fino a quando non è tirata a riva. ( Mt 13,47-50 )
Eppure questa specie di ricchi è più sopportabile nella Chiesa che non cotesti individui i quali, col predicare e diffondere tali eresie, bramano apparire degli eroi per il fatto che, seguendo il precetto del Signore hanno venduto le loro ricchezze o quella miseria di patrimonio che potevano avere, al fine di affaticarsi a turbare e distruggere con la loro malsana dottrina l'eredità del Signore, che si diffonde e s'estende fino ai confini del mondo.
Da ciò ho preso occasione per ripetere, sia pur brevemente, il mio pensiero circa la Chiesa di Cristo in questo mondo, poiché è uno dei quesiti da te propostimi; vale a dire: è necessario che essa porti nel suo seno i buoni e i malvagi sino alla fine del mondo.
E con ciò concluderò una buona volta questa prolissa mia lettera.
Evita, per quanto puoi, di giurare.
È meglio non giurare nemmeno la verità che prendere l'abitudine di giurare, poiché in tal modo si cade spesso nello spergiuro e sempre lo si rasenta.
Ma quegl'individui, per quanto ho potuto giudicare dai loro discorsi, non sanno affatto che cosa voglia dire giurare, poiché credono di non giurare quando hanno sulla bocca: Lo sa Iddio; ( 2 Cor 12,2 ) M'è testimone Iddio; ( Rm 1,9; Fil 1,8 ) Prendo Dio a testimonio sulla mia anima; ( 2 Cor 1,23 ) per il fatto che non si dice: Per Dio e si trovano espressioni somiglianti in S. Paolo.
Ma si trova in S. Paolo una frase che li confuta; essi stessi ammettono ch'è un giuramento ed è nel passo ove l'Apostolo dice: Ogni giorno io muoio o fratelli, [ lo giuro ] per la vostra gloria che ho in Cristo Gesù nostro Signore. ( 1 Cor 15,31 )
Nei manoscritti greci si trova che è effettivamente un giuramento, ma in latino non bisogna intendere l'espressione per la vostra gloria nel senso medesimo con cui l'Apostolo dice: per la mia seconda venuta presso voi e molte altre espressioni simili, nelle quali si dice: " per qualche cosa " senza che si tratti d'un giuramento.
Ma non perché nelle sue lettere ha usato il giuramento l'Apostolo, egli ch'era così saldo nella verità, il giuramento dev'esser per noi uno scherzo.
È molto più sicuro, come ho detto, non giurare mai per quanto dipende da noi e contentarci di dire: Sì, sì; no, no; come ci ammonisce il Signore. ( Mt 5,37 )
Non perché sia peccato giurare la verità, ma perché è gravissimo peccato giurare il falso, nel quale cade più facilmente chi ha l'abitudine di giurare.
Eccoti il mio pensiero sui tuoi quesiti; te li spieghino meglio coloro che sono più bravi di me, non però cotesti individui, dei quali già conosco l'opinione riprovevole, ma altri che possono farlo attenendosi alla verità.
Per me, io sono più disposto a imparare che a insegnare e tu mi farai un gran favore se non mi terrai all'oscuro dei ragionamenti che si fanno presso di voi dai santi fratelli contro i discorsi vuoti e menzogneri di cotesti individui.
Vivi bene e fedelmente nel Signore, mio dilettissimo figlio.
Indice |
1 | Cyprian. Ep. 11,1 |