Le diverse questioni a Simpliciano |
Ma ora è tempo, a mio parere, di passare all'altra questione che tu hai proposto sì da trattare tutto il contesto, che è senza dubbio molto oscuro, dal punto in cui è scritto: E non è tutto; c'è anche Rebecca che ebbe figli da un solo uomo, Isacco nostro padre.
Quando essi non erano ancora nati e nulla avevano fatto di bene o di male, ( Rm 9,10 ) sino a quest'altro punto: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo divenuti come Sodoma e resi simili a Gomorra. ( Rm 9,29 )
Certamente però, conoscendo i tuoi sentimenti nei miei riguardi, non mi avresti chiesto di chiarire questo testo, senza aver prima supplicato il Signore di poterlo fare.
Reso più fiducioso da questo aiuto, affronto la questione.
Mi atterrò anzitutto all'intenzione dell'Apostolo, che anima tutta l'epistola, e la terrò presente.
Ora questa è la sua intenzione: nessuno si glori dei meriti delle opere, come osano gloriarsi gli Israeliti perché avevano osservato la legge data loro e avevano ottenuto la grazia del Vangelo come ricompensa ai loro meriti, perché obbedivano alla legge.
Per questo non volevano che la grazia fosse data ai Gentili, come indegni, a meno che non si attenessero alle osservanze giudaiche.
Questa questione, allora sollevata, è risolta negli Atti degli Apostoli. ( At 15 )
Non riuscivano a capire che, per il fatto stesso che la grazia è evangelica, non dipende dalle opere: altrimenti la grazia non è più grazia. ( Rm 11,6 )
In molti passi conferma questa idea, anteponendo la grazia della fede alle opere, non per annullare le opere ma per mostrare che le opere non precedono ma conseguono la grazia, perché nessuno ritenga di aver ricevuto la grazia per aver agito bene ma di non potere agire bene senza aver ricevuto la grazia mediante la fede.
L'uomo infatti comincia a ricevere la grazia quando inizia a credere in Dio, spinto alla fede da un'esortazione interna od esterna.
Ma importa distinguere in quali momenti o celebrazioni di misteri la grazia è infusa con maggiore pienezza ed evidenza.
Anche i catecumeni infatti credono e certamente credeva in Dio Cornelio, quando con elemosine e preghiere si rendeva degno dell'invio di un angelo; ( At 10,1-4 ) egli però non si sarebbe in alcun modo comportato così, se prima non avesse creduto; e neppure avrebbe creduto, se non fosse stato chiamato sia da segrete esortazioni, per mezzo di visioni della mente o dello spirito, che da più sensibili esortazioni per mezzo dei sensi del corpo.
In alcuni però la grazia della fede è insufficiente a ottenere il regno dei cieli, come nei catecumeni, e nello stesso Cornelio prima di essere incorporato alla Chiesa mediante la partecipazione dei Sacramenti.
In altri invece è così grande da appartenere già al corpo di Cristo e al santo tempio di Dio.
Perché - dice [ l'Apostolo ] - santo è il tempio di Dio che siete voi. ( 1 Cor 3,17 )
E lo stesso Signore: Se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo non entrerà nel Regno dei cieli. ( Gv 3,5 )
C'è dunque un inizio della fede simile al concepimento: per arrivare alla vita eterna non basta essere concepito ma bisogna anche nascere.
Nessuna di queste cose si ottiene senza la grazia della misericordia di Dio: perché, come si è detto, anche le opere, se sono buone, seguono e non precedono questa grazia.
L'Apostolo, volendo confermare questa verità, come dice in un altro luogo: Non viene da noi ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno si esalti, ( Ef 2,8-9 ) ha pertanto proposto l'insegnamento riguardante i due che non erano ancora nati.
Nessuno potrebbe infatti sostenere che Giacobbe, non ancora nato, aveva meritato per le sue opere di sentirsi divinamente dire dal Signore: E il maggiore servirà il minore. ( Gen 25,23 )
Dunque l'Apostolo prosegue: Non solo fu promesso Isacco quando fu detto: " Tornerò in questo periodo e Sara avrà un figlio "; ( Rm 9,10; Gen 18,10 ) invero neppure costui aveva meritato per qualche opera che Dio promettesse la sua nascita e in Isacco fosse tratta una discendenza ad Abramo, che sarebbero cioè appartenuti alla sorte dei santi, che è in Cristo, coloro che fossero riconosciuti figli della promessa, senza gloriarsi dei propri meriti ma attribuendo alla grazia della chiamata l'essere eredi di Cristo.
Quando infatti fu promessa la loro esistenza, essi, che non erano ancora, non avevano alcun merito: Ma Rebecca li ebbe da un solo rapporto con Isacco nostro padre. ( Rm 9,10 )
Sottolinea molto accuratamente da un solo rapporto - erano stati infatti concepiti gemelli -, perché non si attribuisse ai meriti del padre, come se uno per caso dicesse: Il figlio è nato così perché il padre era in una tale disposizione quando ingravidò il grembo della madre, oppure la madre era così disposta quando lo concepì.
Il padre infatti generò simultaneamente i due che la madre concepì simultaneamente.
A richiamare questa affermazione dice: da un solo rapporto, per togliere ogni pretesto agli astrologi, o meglio a quelli chiamati esperti di oroscopi, i quali congetturano caratteri ed eventi dalle circostanze della nascita.
Dicano dunque perché da un unico concepimento, nel medesimo istante, sotto quella disposizione del cielo e delle stelle, sì da non poter assolutamente attribuire a nessuno dei due qualche differenza, vi sia stata tanta diversità tra i due gemelli.
Non trovano affatto la spiegazione: sanno invece facilmente, se vogliono, che le predizioni, che vendono ai poveracci, non provengono da alcuna scienza ma da fortuite congetture.
Ma, tornando piuttosto all'argomento che trattiamo, vengono richiamate queste cose al fine di reprimere e abbattere l'orgoglio degli uomini ingrati alla grazia di Dio, i quali osano vantarsi dei propri meriti.
Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene e di male, non in virtù delle opere ma per volontà di colui che chiama, le fu detto: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ". ( Rm 9,11-12 )
È grazia dunque di colui che chiama, le buone opere sono pertanto conseguenza di chi riceve la grazia: non suscitano la grazia ma sono prodotte dalla grazia.
Il fuoco infatti non scalda per ardere, ma perché arde; ugualmente la ruota non gira bene per essere rotonda, ma perché è rotonda; così nessuno, di conseguenza, agisce bene per ricevere la grazia, ma perché l'ha ricevuta.
Come infatti può vivere giustamente chi non è stato giustificato?
E vivere santamente chi non è stato santificato? O semplicemente vivere chi non è stato vivificato?
Ora la grazia giustifica perché il giustificato possa vivere giustamente.
Prima è quindi la grazia, poi le opere buone, come dice altrove: Ora a chi lavora il salario non viene calcolato come un dono, ma come debito. ( Rm 4,4 )
Tale è l'immortalità che segue le opere buone, che può essere reclamata come dovuta, secondo le parole dello stesso Apostolo: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede; ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno. ( 2 Tm 4,7-8 )
Avendo detto: consegnerà, sembra trattarsi di debito.
Invece quando, ascendendo in cielo ha portato con sé la schiavitù, non ha consegnato, ma ha distribuito doni agli uomini. ( Ef 4,8 )
Come potrebbe infatti l'Apostolo osare di richiedere il dovuto, senza aver prima ricevuto la grazia non dovuta al fine di essere giustificato e combattere la buona battaglia?
Era stato infatti un bestemmiatore e un violento, ma gli è stata usata misericordia, come confessa egli stesso, ( 1 Tm 1,13 ) credendo in colui che non giustifica il pio ma l'empio, ( Rm 4,5 ) per renderlo pio con la giustizia.
Afferma: Non in base alle opere ma alla volontà di colui che chiama, fu dichiarato a Rebecca: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ".
A questo si riferiscono le parole: Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, al fine di poter dire: Non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama.
Qui viene in mente di chiedere: perché ha detto: Perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione? ( Rm 9,11-12 )
Come infatti può essere giusta o semplicemente esserci elezione, dove non c'è alcuna differenza?
Perché se Giacobbe è stato scelto senza alcun merito, prima ancora di nascere e senza aver fatto niente, non poteva affatto essere scelto senza che ci fosse qualche diversità per sceglierlo.
Allo stesso modo se Esaù è stato rigettato senza alcun demerito, perché anche lui non era nato e non aveva fatto nulla, quando si diceva: Il maggiore sarà sottomesso al minore, come può dirsi giusta la sua riprovazione?
Con quale distinzione dunque o con quale regola d'equità intenderemo ciò che segue: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù? ( Rm 9,13 )
Queste parole invero sono scritte in un Profeta che le annunziò molto più tardi, dopo la nascita e la morte di quei due, ma esse sembrano ricordare la sentenza pronunziata prima che essi nascessero e operassero qualcosa: E il maggiore sarà sottomesso al minore.
Da dove viene dunque questa elezione o che scelta è, se non c'è alcuna occasione di meriti in coloro che non sono ancora nati e non hanno fatto nulla?
C'è forse una differenza di natura? Chi lo ammetterà a proposito di uno stesso padre, di una stessa madre, di un unico rapporto coniugale, dello stesso Creatore?
O si dirà forse che come lo stesso Creatore ha tratto dalla medesima terra una diversità di esseri animati che si riproducono, così dallo stesso matrimonio umano e dallo stesso rapporto coniugale ha fatto nascere nei gemelli figli differenti, uno da amare e l'altro da odiare?
Non c'è dunque alcuna elezione, prima che vi sia qualcosa da scegliere.
Se infatti Giacobbe è stato creato buono al fine di piacere, per quale motivo piacque prima di esistere per essere creato buono?
Allora non è stato scelto per diventare buono, ma, creato buono, ha potuto essere scelto.
Oppure secondo l'elezione significa che Dio, poiché sa tutto in anticipo, ha visto in Giacobbe, non ancora nato, anche la fede futura; di modo che, sebbene nessuno possa essere giustificato dalle sue opere, dato che nessuno se non è giustificato può agire bene, tuttavia, poiché Dio giustifica i pagani per la fede ( Gal 3,8 ) e nessuno crede senza libera adesione, Dio, prevedendo la futura volontà di credere, nella sua prescienza ha scelto anche chi non era ancora nato per giustificarlo?
Se dunque la scelta avviene per prescienza, allora Dio ha previsto la fede di Giacobbe; come provi che Dio non l'abbia scelto anche per le opere?
Se pertanto non erano ancora nati e non avevano fatto nulla di bene o di male, allo stesso modo nessuno di loro aveva ancora la fede.
Egli ha allora previsto chi avrebbe creduto? Ugualmente poteva prevedere cosa avrebbe compiuto, se qualcuno dice che è stato scelto in vista della fede futura, che Dio prevedeva, un altro potrebbe allo stesso modo affermare che è stato scelto piuttosto per le azioni future che Dio prevedeva senz'altro.
Pertanto come l'Apostolo dimostra che le parole: Il maggiore sarà sottomesso al minore, si riferiscono alle opere?
Poiché se non erano ancora nati, le parole non solo non riguardano le opere ma neppure la fede, perché né l'una né le altre esistevano nei gemelli non ancora nati.
L'Apostolo pertanto non ha voluto intendere che l'elezione del minore, di modo che il maggiore gli fosse sottomesso, avvenisse in vista della previsione.
Per questo, volendo infatti mostrare che non dipendeva dalle opere, ha aggiunto le parole: quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male. ( Rm 9,11 )
Diversamente si poteva dirgli: Ma Dio già sapeva che cosa ognuno avrebbe fatto.
Si cerca pertanto quale sia il motivo di quella scelta: poiché se non proviene dalle opere, che non esistevano nei gemelli non ancora nati, né dalla fede, che neppure c'era, allora da dove viene?
Si dirà forse che non c'è stata nessuna scelta poiché nel grembo non c'era alcuna differenza di fede, di opere, di meriti?
Però è detto: perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione. ( Rm 9,11 )
Sono proprio queste parole a stimolare la ricerca. Salvo che non si debba forse dividere diversamente l'affermazione: Non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama, fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ", perché rimanesse fermo il disegno divino, così da riferire il passo in questione piuttosto ai fanciulli non ancora nati, senza che qui si possa intendere qualche elezione.
Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione. ( Rm 9,11-12 )
Questo significa che essi non avevano fatto nulla di bene o di male per determinare, a motivo di questa azione, la scelta di chi aveva agito bene; non essendoci dunque alcuna elezione di chi aveva agito bene, perché rimanesse fermo il disegno di Dio non in base alle opere ma alla volontà di colui che chiama, cioè di colui che, chiamando alla fede, giustifica l'empio per grazia, le fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ".
Il disegno divino quindi non rimane fermo a causa dell'elezione, ma l'elezione dipende dal disegno: in altre parole il suo disegno di giustificazione rimane fermo non perché Dio trova negli uomini che sceglie opere buone, ma perché il disegno di giustificare i credenti rimane fermo, perché trova opere che egli sceglie per il Regno dei cieli.
Se non ci fosse infatti l'elezione, non vi sarebbero eletti e non si potrebbe ragionevolmente dire: Chi accuserà gli eletti di Dio? ( Rm 8,33 )
Pertanto non l'elezione precede la giustificazione, ma la giustificazione l'elezione.
Nessuno infatti viene scelto se prima non è separato da colui che è rifiutato.
Non vedo quindi come si possa dire, senza la prescienza, quanto sta scritto: Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo. ( Ef 1,4 )
Inoltre ha voluto che quello che dice qui: Non in base alle opere ma alla volontà di colui che chiama, le fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ", s'intendesse non dell'elezione in base ai meriti, che sorgono dopo la giustificazione della grazia, ma della liberalità dei doni di Dio, perché nessuno si vanti delle opere: Per grazia di Dio infatti siamo salvi, e ciò non viene da noi ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. ( Ef 2,8-9 )
Si può anche domandare se è la fede a meritare la giustificazione dell'uomo oppure se sono i meriti della fede a precedere la misericordia di Dio o anche la stessa fede è invece da annoverarsi tra i doni della grazia.
Perché anche in questo passo, dopo aver detto: non dalle opere, non aggiunge: Ma dalla fede le fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore "; ma dice: per volere di colui che chiama.
Nessuno infatti crede se non è chiamato.
Ora è Dio nella sua misericordia a chiamare, e lo fa indipendentemente dai meriti della fede, perché i meriti della fede seguono e non precedono la chiamata.
Infatti come credono in colui che non hanno sentito? E come sentiranno se nessuno predica? ( Rm 10,14 )
Se la misericordia di Dio non precede chiamando, nessuno può credere per iniziare da qui ad essere giustificato e ottenere la facoltà di ben operare. Infatti: Cristo è morto per gli empi. ( Rm 5,6 )
Per volere di colui che chiama il minore, senza alcun merito delle sue opere, ottenne dunque che il maggiore gli fosse sottomesso e anche ciò che è scritto: Ho amato Giacobbe, deriva dalla chiamata di Dio, non dalle opere di Giacobbe.
Che dire allora di Esaù, che è sottomesso al minore e di cui sta scritto: Ho odiato Esaù? ( Rm 9,13 )
Per quale dei suoi misfatti lo ha meritato, quando senza ancora essere nato e senza aver fatto nulla di bene o di male, gli fu detto: E il maggiore sarà sottomesso al minore?
O forse come di Giacobbe è stato detto senza alcun merito di buone azioni, così Esaù si è reso odioso senza alcun demerito di cattive azioni?
Ora se Dio, prevedendo le sue cattive opere future, lo predestinò per questo motivo a servire il minore, allo stesso modo, con la prescienza delle sue buone azioni future, predestinò anche Giacobbe, perché il maggiore lo servisse; allora è falso ciò che dice l'Apostolo: non in base alle opere.
Se invece è vero che non è in base alle opere, e lo comprova il fatto che è detto di coloro che non erano ancora nati e nulla ancora avevano fatto, e neppure in base alla fede, poiché non c'era assolutamente in chi non era ancora nato, per quale motivo Esaù è odioso ancor prima di nascere?
Che Dio abbia infatti creato cose da amare, è fuori discussione.
Se invece diciamo che Dio ha creato cose da odiare, è un'assurdità come dice un altro passo della Scrittura: Poiché non hai in odio le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato. ( Sap 11,25 )
Per quale pregio il sole è stato creato sole?
Per quale colpa la luna è stata creata tanto inferiore a lui o per quale merito è stata creata più luminosa delle altre stelle?
Ma tutte queste sono state create buone, ciascuna nel suo genere.
Dio non potrà infatti dire: Ho amato il sole e ho odiato la luna, o: Ho amato la luna e ho odiato le stelle, come ha detto: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù.
Ma ha amato tutte le creature, quantunque ordinate in diversi gradi di eccellenza, poiché Dio vide che erano buone, dopo averle create con la sua parola. ( Gen 1 )
Che poi abbia odiato Esaù, a motivo della sua iniquità, è ingiusto.
Se ammettiamo questo, anche Giacobbe viene ad essere amato in virtù della giustizia.
Se questo è vero, allora è falso che non dipende dalle opere.
Dipende forse dalla giustizia della fede? Come può dunque aiutarti la frase: quando essi ancora non erano nati?
Poiché in colui che non è ancora nato non poteva esserci la giustizia della fede.
Ora l'Apostolo ha previsto cosa potevano suscitare queste parole nell'animo dell'ascoltatore o del lettore, e subito ha aggiunto: Che diremo dunque?
C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente!
E quasi ad insegnare come non vi sia, prosegue: Egli infatti dice a Mosé: " Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla ". ( Rm 9,14-15 )
Con queste parole egli ha sciolto la questione o non l'ha piuttosto complicata ulteriormente?
È proprio questo infatti ad agitarci enormemente: se userà misericordia con chi vorrà e avrà pietà di chi vorrà averla, perché Esaù fu privato di questa misericordia, grazie alla quale anch'egli sarebbe stato buono come per la stessa fu reso buono Giacobbe?
O forse per questo le parole: Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla, significano che Dio userà la stessa misericordia per chiamarlo e per portarlo alla fede: e a chi avrà usato misericordia, per portarlo alla fede, garantirà la misericordia, ossia lo renderà misericordioso anche per operare il bene?
Per questo siamo ammoniti che non conviene ad alcuno gloriarsi e vantarsi delle stesse opere di misericordia, quasi che da esse, come da cose proprie, abbia meritato il favore di Dio, dal momento che egli, che userà misericordia con chi vorrà, gli ha concesso di ottenere questa misericordia.
Che se qualcuno si vanta di averla meritata per la fede, sappia che gli è stata donata per credere e che Dio ha usato misericordia ispirando la fede e ha avuto pietà di uno ancora infedele chiamandolo.
Allora infatti si distingue il fedele dall'empio. Che cosa mai possiedi - egli dice - che tu non abbia ricevuto?
E se l'hai ricevuto perché te ne vanti come non lo avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
È certamente giusto. Ma perché questa misericordia è stata rifiutata ad Esaù per non essere chiamato e, dopo la chiamata, venirgli concessa la fede e con la fede divenire misericordioso per ben operare?
Forse perché non ha voluto? Se dunque Giacobbe ha creduto perché ha voluto, Dio non gli ha donato la fede ma se l'è procurata da se stesso volendo e ha ottenuto qualcosa senza averla ricevuta.
Forse perché nessuno può credere se non vuole, né volere se non è chiamato, né meritare di essere chiamato, chiamando Dio dona anche la fede?
Forse perché senza chiamata nessuno può credere, sebbene nessuno creda suo malgrado?
Infatti come potranno credere senza averne sentito parlare?
O come potranno sentirne parlare senza che uno lo annunzi? ( Rm 10,14 )
Nessuno quindi crede se non è chiamato, però non tutti i chiamati credono.
Molti infatti sono chiamati, ma pochi eletti. ( Mt 22,14 )
Sono certamente coloro che non hanno disprezzato colui che li chiamava ma lo hanno seguito con fede e senza dubbio hanno creduto acconsentendo.
Che vuol dunque dire ciò che segue: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia? ( Rm 9,16 )
Forse che non possiamo neppure volere se non siamo chiamati e che il nostro volere è inefficace se Dio non ci aiuta a perfezionarlo?
Bisogna dunque volere e correre.
Altrimenti sarebbe vano dire: Pace in terra agli uomini di buona volontà; ( Lc 2,14 ) e: Correte in modo da conquistare il premio. ( 1 Cor 9,24 )
Pertanto non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, ottenere ciò che si desidera e arrivare dove si vuole.
Esaù quindi non ha voluto e non ha corso: se invece avesse voluto e avesse corso, sarebbe arrivato con l'aiuto di Dio che, chiamandolo, gli avrebbe dato sia il volere che il correre, a meno che, rifiutata la chiamata, si fosse reso degno di riprovazione.
In un modo Dio concede infatti il volere, in un altro ciò che abbiamo chiesto.
Ha voluto infatti che il volere fosse opera sua e nostra: sua, chiamando; nostra, seguendo la chiamata.
Lui solo concede invece ciò che abbiamo chiesto, ossia di poter bene operare e di vivere eternamente felici.
Esaù tuttavia prima di nascere non poteva volere o rifiutare alcuna di queste cose.
Perché dunque è stato riprovato mentre era nel seno materno?
Si ritorna alle stesse difficoltà che ci angustiano maggiormente non solo per la loro oscurità ma anche per le nostre così frequenti ripetizioni.
Perché mai Esaù, ancor prima di nascere, è stato riprovato, quando non poteva credere a chi lo chiamava, né disprezzare la chiamata, né compiere nulla di bene e di male?
Se questo dipende dalla prescienza di Dio riguardo alla sua futura cattiva volontà, perché allora Giacobbe non è stato favorito da Dio in previsione della sua futura buona volontà?
Una volta ammesso che uno possa venire approvato o riprovato non a causa di ciò che non c'è ancora in lui ma perché Dio sa in anticipo ciò che sarà, ne deriva che Giacobbe ha potuto essere approvato anche a motivo delle azioni future che Dio prevedeva in lui, sebbene non avesse fatto ancora nulla.
E non ti aiuterà affatto minimamente che i due non fossero ancora nati, quando è stato dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore, perché tu possa dimostrare che qui non si tratta delle opere, dato che non aveva ancora fatto nulla.
Se poi esamini attentamente le parole: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, ( Rm 9,16 ) non sembra che l'Apostolo le abbia dette semplicemente perché con l'aiuto di Dio noi otteniamo ciò che vogliamo ma anche con l'intenzione espressa in un altro passo: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore; è Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare, secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,12-13 )
Qui mostra chiaramente che anche la stessa buona volontà è suscitata in noi da Dio.
Infatti se le parole: Non dipende da chi vuole, ma da Dio che usa misericordia, sono state dette solamente perché la volontà umana da sola è insufficiente a vivere con giustizia e rettitudine, senza l'aiuto della misericordia di Dio, si potrebbe dire anche così: Non dipende quindi da Dio che usa misericordia ma dall'uomo che vuole, perché la misericordia di Dio da sola è insufficiente, senza il consenso della nostra volontà.
Se Dio infatti usa misericordia anche noi vogliamo: il nostro volere è senz'altro opera della stessa misericordia.
È Dio infatti che suscita in noi il volere e l'operare, secondo il suo beneplacito.
Se noi infatti domandiamo se la buona volontà è dono di Dio, sarebbe una stranezza se qualcuno osi negarlo.
Orbene, poiché la buona volontà non precede la chiamata ma la chiamata la buona volontà, si attribuisce pertanto giustamente a Dio il nostro buon volere, ma non si può attribuire a noi l'essere chiamati.
Per questo le parole: Non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, non si devono intendere nel senso che noi, senza il suo aiuto, non possiamo conseguire ciò che vogliamo, ma piuttosto che noi, senza la sua chiamata, non possiamo neppure volere.
Ma se questa chiamata è la causa della buona volontà, di modo che ogni chiamato la segua, come sarà vero il detto: Molti i chiamati, pochi gli eletti? ( Mt 20,16; Mt 22,14 )
Se questo è vero, e il chiamato di conseguenza non obbedisce, poiché è in potere della sua volontà non obbedire, si può anche ragionevolmente affermare: Quindi non dipende da Dio che usa misericordia, ma dall'uomo che vuole e corre, perché la misericordia di Dio è insufficiente se non segue l'obbedienza del chiamato.
O forse i chiamati in questa maniera che non acconsentono, potrebbero, chiamati in maniera diversa, conformare la volontà alla fede, di modo che sia vero il detto: Molti i chiamati, pochi gli eletti?
E così, sebbene molti siano stati chiamati in un solo modo, tuttavia perché non tutti sono stati toccati allo stesso modo, seguono la chiamata solo coloro che sono ritenuti idonei a riceverla, di modo che non sia meno vero il detto: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, il quale ha chiamato nel modo che era appropriato a coloro che hanno corrisposto alla chiamata?
Anche ad altri poi è giunta la chiamata; ma poiché era tale che essi non potevano corrispondere ed erano incapaci di intenderla, anche di essi si può dire che erano chiamati ma non eletti.
Similmente non è neppure vero che non dipende da Dio che usa misericordia ma dall'uomo che vuole e corre, perché l'effetto della misericordia di Dio non può essere in potere dell'uomo di modo che la sua misericordia sia vana se l'uomo non acconsente; perché, se egli volesse usare misericordia anche a costoro, li potrebbe chiamare ugualmente in un modo adatto a loro perché si muovano, comprendano e obbediscano.
È dunque vero: Molti i chiamati, pochi gli eletti.
Sono infatti eletti quanti sono stati chiamati in modo appropriato, quelli invece che non hanno corrisposto né obbedito alla chiamata, benché chiamati, non sono stati eletti, perché non l'hanno seguita.
È ugualmente vero: Non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, perché, anche se chiama molti, usa tuttavia misericordia a coloro che chiama nel modo adatto a loro perché lo seguano.
È falso allora dire: Quindi non dipende da Dio che usa misericordia, ma dall'uomo che vuole e corre, perché a nessuno Dio usa misericordia invanamente.
A chi poi usa misericordia, egli lo chiama nel modo che ritiene conveniente a lui, perché non respinga colui che chiama.
A questo punto qualcuno dirà: Perché Esaù non è stato chiamato in modo da voler corrispondere?
Noi vediamo infatti che davanti ad identiche realtà, manifeste o spiegate, gli uomini sono diversamente spinti a credere.
Così, ad esempio, Simeone credette nel nostro Signore Gesù Cristo e lo riconobbe, mentre era ancora piccolo bambino, per rivelazione dello Spirito. ( Lc 2,25 )
Natanaele, da una sola frase che udí da lui: Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico, rispose: Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d'Israele. ( Gv 1,48-49 )
Molto più tardi, alla stessa confessione, Pietro meritò di sentire che era beato e che gli sarebbero state date le chiavi del Regno dei cieli. ( Mt 16,16-19 )
Per il miracolo compiuto a Cana di Galilea, che l'evangelista Giovanni ricorda come l'inizio dei segni, cioè l'acqua tramutata in vino, i suoi discepoli credettero in lui. ( Gv 2,11 )
Egli invitò alla fede molti con la parola; molti non credettero neppure davanti ai morti risuscitati.
Perfino i discepoli, spaventati dalla croce e dalla sua morte, vacillarono; il ladro invece allora credette, vedendolo non potente nelle opere ma accomunato nel supplizio della croce. ( Lc 23,40-42 )
Uno dei discepoli, dopo la sua risurrezione, credette non tanto ai membri viventi quanto alle recenti cicatrici. ( Gv 20,27 )
Molti tra coloro che lo crocifissero e lo disprezzavano, quando operava miracoli, credettero alla predicazione dei discepoli e ai miracoli da loro compiuti nel suo nome. ( At 2-4 )
Quando dunque uno in un modo e l'altro in un altro è spinto a credere e spesso una stessa cosa detta in un modo impressiona e detta in un altro non impressiona, scuote l'uno e non scuote l'altro, chi oserà affermare che sia mancato a Dio il mezzo di chiamare per portare anche l'animo di Esaù, con il concorso della volontà, a quella fede da cui è stato giustificato Giacobbe?
Che se l'ostinazione della volontà può essere tanto forte da eccitare l'avversione dell'animo contro ogni forma di chiamata, c'è da domandarsi se questa ostinazione non sia un castigo divino, nel senso che Dio lo abbandona quando non chiama in modo tale da spingere alla fede.
Chi infatti dirà che anche all'Onnipotente è mancato il mezzo per convincerlo a credere?
Ma perché ricercare questo, quando l'Apostolo stesso aggiunge: Dice infatti la Scrittura al Faraone: " Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra "? ( Rm 9,17 )
Ora l'Apostolo ha addotto questo testo per provare ciò che ha detto precedentemente: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )
Egli risponde come se gli venisse domandato: Da dove questo insegnamento?
Dice infatti la Scrittura al Faraone: " Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra ".
Qui egli prova chiaramente che non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia.
E conclude così: Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole; ( Rm 9,18 ) due cose che non ci sono prima.
Infatti, come non è stato annunziato: non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, così è stato anche detto: Non dipende da chi non vuole né da chi disprezza, ma da Dio che indurisce.
Dal che si dà ad intendere che l'alternativa proposta in seguito quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, può così corrispondere all'affermazione precedente di modo che l'indurimento da parte di Dio consiste nel non volere usare misericordia, senza infliggere nulla che renda l'uomo peggiore ma semplicemente non concedere nulla che lo renda migliore.
Se questo avviene senza alcuna distinzione di meriti, chi non uscirà fuori nell'obiezione che lo stesso Apostolo si rivolge?
Ma tu mi dirai: " Perché allora rimprovera? ".
Chi può infatti resistere al suo volere? ( Rm 9,19 )
Infatti, come appare da numerosi testi delle Scritture, Dio rimprovera frequentemente gli uomini che rifiutano di credere e di vivere rettamente.
Per questo si dice che i fedeli e quanti compiono la volontà di Dio vivono irreprensibili; ( Lc 1,6 ) di essi la Scrittura non si lamenta.
Ma l'Apostolo dice: Perché rimprovera?
Chi può infatti resistere al suo volere? quando egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole?
Non perdiamo però di vista ciò che precede al fine di ricavarne, per quanto il Signore ci assiste, il nostro parere.
L'Apostolo ha detto infatti precedentemente: Che diremo dunque?
C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! ( Rm 9,14 )
Questo principio rimanga dunque fermo e inalterabile nell'anima di retta pietà e stabile nella fede: in Dio non c'è affatto ingiustizia; si creda inoltre con assoluta energia e fermezza che Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, cioè avere pietà di chi vuole e non averla di chi non vuole è parte di una misteriosa giustizia inaccessibile al metro umano, da riconoscere anche negli affari umani e nei contratti terreni; se in essi noi non serbiamo impressa qualche vestigio della suprema giustizia, giammai l'aspirazione della nostra debolezza oserebbe levare lo sguardo e l'ardente desiderio verso la dimora e il santuario santissimo e purissimo dei precetti spirituali.
Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. ( Mt 5,6 )
Noi in questo arido deserto della vita e della condizione mortale inaridiremmo quindi molto prima di sentire la sete, se non ci irrorasse dall'alto una qualche soavissima brezza di giustizia.
Per questo, come la società umana si relaziona dando e ricevendo scambievolmente le cose, dovute o no, che si danno e ricevono, chi non vede che non si può accusare di ingiustizia uno che esige ciò che gli è dovuto?
E tantomeno colui che vuole condonare ciò che gli è dovuto?
E questo è forse in potere di coloro che sono debitori o non piuttosto nella volontà del creditore?
Questa immagine o, come ho detto sopra, questo vestigio, proveniente dalla maestà suprema della giustizia, è stato impresso nei rapporti umani.
Tutti gli uomini dunque - poiché come afferma l'Apostolo: Tutti muoiono in Adamo, ( 1 Cor 15,22 ) a partire dal quale il peccato originale è passato in tutto il genere umano - sono una massa di peccato soggetta al castigo della divina e suprema giustizia; non c'è nessuna iniquità se il castigo viene inferto o viene condonato.
Ma i debitori giudicano orgogliosamente a chi si deve dare il castigo e a chi il condono, come gli operai condotti alla vigna si sono ingiustamente indignati perché veniva dato agli altri lo stesso salario che essi avevano ricevuto. ( Mt 20,11 )
Anche l'Apostolo reprime in questi termini l'impudenza della domanda: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? ( Rm 9,20 )
Infatti l'uomo così disputa con Dio, quando gli dispiace che Dio rimprovera i peccatori, come se Dio costringesse qualcuno a peccare, quando nega ad alcuni peccatori la misericordia della sua giustificazione: questo è il motivo per cui si dice che indurisce alcuni peccatori, perché non usa loro misericordia non perché li costringe a peccare.
Egli poi non usa misericordia a coloro che non giudica degni di misericordia, secondo una giustizia assai misteriosa e molto lontana dai sentimenti umani.
Infatti i suoi giudizi sono imperscrutabili e inaccessibili le sue vie. ( Rm 11,33 )
A ragione dunque rimprovera i peccatori, perché egli non li costringe a peccare.
Rimprovera ugualmente coloro ai quali usa misericordia, perché anch'essi avvertano questa chiamata e, mentre Dio deplora i peccatori, siano contriti di cuore e ricorrano alla sua grazia.
Egli rimprovera dunque con giustizia e con misericordia.
Ma se questo ci turba, che nessuno resiste alla sua volontà, poiché aiuta chi vuole e abbandona chi vuole, quando l'uno e l'altro, l'aiutato e l'abbandonato, appartengono alla stessa massa di peccatori, e sebbene entrambi meritino il castigo, a uno tuttavia è inferto e all'altro condonato; se dunque questo ci turba: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? ( Rm 9,20 )
Ritengo infatti che il termine uomo sia qui impiegato secondo lo stesso significato che ha in questo altro testo: Non siete forse uomini e non camminate alla maniera umana? ( 1 Cor 3,3 )
Con questo termine infatti sono qui designati gli uomini carnali e naturali, ai quali è detto: Io non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali; e ancora: Perché non eravate ancora capaci.
E neanche ora lo siete perché siete ancora carnali; ( 1 Cor 3,1-3 ) e ancora: L'uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio. ( 1 Cor 2,14 )
A costoro dunque viene detto: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio?
Forse il vaso dice a colui che l'ha plasmato: " Perché mi hai fatto così? ".
Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? ( Rm 9,20-21 )
Dal che si deduce chiaramente che l'Apostolo si rivolge all'uomo carnale, perché questo significa il fango stesso da cui è stato formato il primo uomo; e perché tutti, come ho già ricordato a detta del medesimo Apostolo, muoiono in Adamo, egli dice che è una sola la pasta di tutti.
E sebbene un vaso sia adibito ad uso nobile e l'altro ad uso volgare, tuttavia anche quello di uso nobile ha necessariamente un inizio carnale prima di giungere in seguito all'età spirituale.
Certamente [ i Corinzi ] erano già diventati vasi di onore e già erano nati in Cristo, ma, poiché si dirige loro come a fanciulli, li chiama ancora carnali, dicendo: Non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali.
Come a neonati in Cristo vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci.
E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali. ( 1 Cor 3,1-2 )
Quindi anche se li chiama carnali erano però già rinati in Cristo e in lui erano fanciulli da nutrire con latte.
E quello che aggiunge: E neanche ora siete capaci, indica che stanno crescendo per poterlo essere in futuro, perché, ormai rinati spiritualmente, la grazia cominciava ad operare in essi.
Erano dunque già vasi di uso nobile coloro ai quali tuttavia si diceva con ragione: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio?
E se è giusto dirlo a costoro, a maggior ragione si dice di coloro che o non sono ancora rigenerati o sono plasmati per uso volgare.
Solo si deve ritenere con solida fede che non c'è iniquità in Dio, sia che condoni sia che esiga il debito; né colui, dal quale lo esige, può ragionevolmente lamentarsi della sua ingiustizia, né colui, al quale lo condona, deve gloriarsi dei propri meriti.
Quegli paga infatti ciò che deve, questi ha solamente ciò che ha ricevuto.
Ma a questo punto noi dobbiamo sforzarci, coll'aiuto di Dio, di conciliare la verità di questo testo: Nulla disprezzi di quanto hai creato, ( Sap 11,25 ) con quell'altro: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù. ( Ml 1,2-3 )
In effetti se Dio ha pertanto odiato Esaù, perché era stato plasmato quale vaso per uso volgare, e lo stesso vasaio ha plasmato un vaso per uso nobile e un altro per uso volgare, come può essere che nulla disprezzi di quanto hai creato?
Ecco infatti che odia Esaù, che egli stesso ha plasmato per uso volgare.
Questa difficoltà si risolve, tenendo presente che Dio è l'artefice di tutte le creature.
Ora ogni creatura di Dio è buona; ( 1 Tm 4,4 ) e ogni uomo è creatura, in quanto è uomo, non in quanto è peccatore.
Dio è dunque creatore del corpo e dell'anima dell'uomo.
Nessuna di queste due realtà è male e Dio non le disprezza, poiché nulla disprezza di quanto ha creato.
Ora l'anima è superiore al corpo; ma Dio, artefice e creatore di entrambi, nell'uomo odia solo il peccato.
Ora il peccato dell'uomo è disordine e perversione, vale a dire lontananza dal Creatore supremo e attaccamento alle creature inferiori.
Quindi Dio non odia l'uomo Esaù ma il peccatore Esaù.
Così si dice anche del Signore: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto; ( Gv 1,11 ) similmente egli dice loro: Per questo voi non ascoltate, perché non siete da Dio. ( Gv 8,47 )
Come sono suoi e come non sono da Dio, se non perché la prima frase è riferita agli uomini che Dio stesso ha creato e la seconda ai peccatori che il Signore stesso accusava?
Gli uomini e i peccatori sono tuttavia i medesimi: uomini per creazione di Dio, peccatori per volontà propria.
Che poi abbia amato Giacobbe, significa forse che non era peccatore?
Ma in lui amava non la colpa che cancellava, ma la grazia che donava.
Cristo infatti è morto per gli empi, ( Rm 5,6 ) non perché rimanessero empi, ma perché, giustificati, si convertissero dall'empietà, credendo in colui che giustifica l'empio, ( Rm 4,5 ) perché Dio odia l'empietà.
Per questo in alcuni la punisce condannando, in altri la distrugge giustificando, come egli giudica che si deve fare nei suoi imperscrutabili giudizi.
E che poi dal numero degli empi che non giustifica plasmi vasi per uso volgare, non per questo odia in essi ciò che fa.
In quanto sono empi sono detestabili; in quanto poi sono vasi, sono plasmati per qualche utilità, di modo che, mediante le loro giuste punizioni, i vasi plasmati per uso nobile progrediscono.
Quindi Dio non li odia, né in quanto sono uomini, né in quanto sono vasi, ossia non odia ciò che ha fatto in essi creandoli, né ciò che ha fatto in essi ordinandoli, perché nulla odia di quanto ha fatto.
Che poi li faccia vasi di perdizione, lo fa a correzione degli altri.
In essi odia infatti l'empietà che egli non ha fatto.
Come il giudice nell'uomo odia il furto, ma non odia che sia condannato alle miniere: quello lo compie il ladro, questa la pronunzia il giudice.
Così Dio, plasmando dalla massa degli empi vasi di perdizione, non disprezza ciò che fa, cioè l'opera ordinatrice da lui stabilita a condanna dei reprobi, nella quale coloro ai quali egli usa misericordia trovano un'occasione di salvezza.
Così è stato detto al Faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. ( Rm 9,17 )
Questa manifestazione della potenza divina e la proclamazione del suo nome in tutta la terra è utile a coloro che corrispondono a tale chiamata, al fine di temere e correggere le loro vie.
Di conseguenza così prosegue l'Apostolo: Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, ( Rm 9,22 ) è qui sottinteso: Tu chi sei per disputare con Dio? ( Rm 9,20 )
Unendo questa affermazione alle parole precedenti, il senso è il seguente: Se Dio, volendo mostrare la sua ira, ha sopportato vasi di collera, tu chi sei per disputare con Dio?
Ma non dice soltanto: Volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, ma anche ciò che segue: per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia. ( Rm 9, 22-23 )
Che cosa invero giova ai vasi pronti per la perdizione, che Dio li sopporti con pazienza per perderli secondo l'ordine stabilito e si serva di essi a strumento di salvezza per coloro ai quali usa misericordia?
Ma giova sicuramente a coloro per la cui salvezza così utilizza questi strumenti, come sta scritto: Il giusto laverà le mani nel sangue del peccatore, ( Sal 58,11 ) cioè sarà purificato dalle opere cattive per mezzo del timore di Dio, vedendo i castighi dei peccatori.
Dunque il testo: volendo manifestare la sua ira, ha sopportato vasi di collera, serve ad ispirare agli altri un salutare timore e far conoscere le ricchezze della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria. ( Rm 9,22-23 )
L'ostinazione degli empi mostra infatti due cose: ciò che si deve temere perché ognuno si converta piamente a Dio e i ringraziamenti dovuti alla misericordia di Dio, che nel castigo degli uni mostra quanto dona agli altri.
Se poi è ingiusto il castigo che esige da alcuni, allora non rimette agli altri la pena che non esige.
Ma, poiché è giusto il castigo e non c'è alcuna ingiustizia in Dio che punisce, chi potrà mai ringraziare a sufficienza colui che rimette la colpa, che nessuno potrebbe ragionevolmente dire di non meritare, se Dio la volesse esigere?
L'Apostolo continua: Noi, che egli ha chiamati non solo tra i Giudei, ma anche tra i pagani, ( Rm 9,24 ) vale a dire quelli che ha resi vasi di misericordia predisposti alla gloria.
Non ha chiamato tutti i Giudei, ma tra i Giudei, e neppure tutti gli uomini delle nazioni pagane, ma tra i pagani.
Da Adamo infatti una sola è la massa dei peccatori e degli empi, nella quale, esclusa la grazia di Dio, sia i Giudei che i pagani appartengono alla stessa pasta.
Ora se il vasaio fa con la medesima pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso volgare, è chiaro allora che tra i Giudei, come tra i pagani, ci sono vasi preziosi e vasi ignobili.
È logico intendere che appartengono tutti alla medesima pasta.
L'Apostolo inizia quindi a portare le testimonianze profetiche, invertendo l'ordine delle singole razze.
Infatti prima aveva detto: tra i Giudei, poi: tra i pagani.
Ora riporta dapprima la testimonianza a favore dei pagani, poi dei Giudei.
Esattamente come dice Osea: " Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e mia diletta quella che non era la diletta ".
E avverrà nel luogo dove è stato detto: " Voi non siete mio popolo ", là saranno chiamati figli del Dio vivente. ( Rm 9,25-26 )
Qui si allude ai pagani, che non avevano un luogo specifico per i sacrifici come i Giudei a Gerusalemme.
Ora gli Apostoli sono stati inviati ai pagani perché credessero ciascuno nel suo paese e, dove avevano abbracciato la fede, lì offrissero un sacrificio di lode coloro ai quali ha dato potere di diventare figli di Dio. ( Gv 1,12 )
Prosegue: E quanto a Israele Isaia esclama.
Perché non si creda di nuovo che tutti gli Israeliti siano andati in perdizione, insegna ancora che tra loro furono plasmati vasi preziosi e vasi ignobili.
Egli dice: Se anche il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, sarà salvato solo un resto.
Quindi la moltitudine è costituita di vasi pronti per la perdizione.
Continua Isaia: Perché con pienezza e rapidità il Signore compirà la sua parola sopra la terra; ( Rm 9,27-28 ) cioè Dio, per la scorciatoia della fede, salverà i credenti mediante la grazia e non mediante le innumerevoli osservanze alle quali era pesantemente sottomessa quella moltitudine.
Infatti mediante la grazia ha compiuto per noi con pienezza e rapidità la sua parola sopra la terra, dicendo: Il mio giogo è leggero e il mio carico soave. ( Mt 11,30 )
Il che è detto anche qui poco dopo: Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo.
Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. ( Rm 10,8-10 )
Questa è la parola che il Signore ha compiuto sulla terra con pienezza e rapidità.
Con tale pienezza e rapidità è stato giustificato il ladro il quale, avendo confitte alla croce tutte le membra, eccetto questi due organi, col cuore credette per essere giustificato e con la bocca professò la fede per avere la salvezza.
E subito meritò di udire: Oggi sarai con me in paradiso. ( Lc 23,43 )
Se, dopo aver ricevuto la grazia, fosse vissuto a lungo tra gli uomini, sarebbero certamente seguite le sue opere buone.
Non c'erano però state in precedenza così da meritare la grazia: dal furto era stato affisso alla croce, dalla croce trasferito in paradiso.
Continua: E ancora secondo ciò che predisse Isaia: " Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo divenuti come Sodoma e resi simili a Gomorra ". ( Rm 9,29 )
Quanto dice qui: Se non ci avesse lasciato una discendenza, corrisponde a quanto detto precedentemente: un resto sarà salvato.
Gli altri invece, come vasi di perdizione, sono periti secondo il meritato castigo.
E che tutti non siano periti, come a Sodoma e Gomorra, non è dipeso dai loro meriti ma dalla grazia di Dio che ha lasciato un seme da cui germogliasse un'altra messe in tutta la terra.
Lo esprime inoltre più avanti: Così anche al presente c'è un resto, salvato per un'elezione di grazia.
E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia.
Che dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava: lo hanno ottenuto invece gli eletti; gli altri sono stati accecati. ( Rm 11,5-7 )
I vasi di misericordia l'hanno ottenuta, i vasi di collera sono stati accecati: erano tuttavia della medesima pasta, come nella totalità dei pagani.
C'è un passo della Scrittura strettamente congiunto alla questione di cui ora trattiamo, che conferma con ammirevole armonia le idee che abbiamo esposto.
In quel libro, che alcuni chiamano Siracide e altri Ecclesiastico, è scritto così: Anche gli uomini provengono tutti dalla polvere e dalla terra fu creato Adamo.
Il Signore li ha distinti nella sua grande sapienza e ha assegnato loro diversi destini.
Alcuni li ha benedetti ed esaltati, altri li ha santificati e avvicinati a sé, altri li ha maledetti e umiliati e li ha messi in opposizione tra loro.
Come l'argilla nelle mani del vasaio che la forma e dispone a suo piacimento tutte le sue vie, così l'uomo nelle mani di colui che lo ha creato, per retribuirlo secondo la sua giustizia.
Di fronte al male c'è il bene e di fronte alla morte la vita; così di fronte al giusto il peccatore.
Considera perciò tutte le opere dell'Altissimo: due a due, una di fronte all'altra. ( Sir 33,10-15 )
Qui all'inizio è messa in risalto la Sapienza divina: Con grande sapienza - dice - li ha distinti, escludendoli dalla felicità del paradiso.
E ha assegnato loro diversi destini, perché ormai vivessero da mortali.
Allora di tutti è stata costituita un'unica massa, che deriva dal tralcio del peccato e dalla pena della mortalità, anche se Dio forma e crea cose buone. In tutti infatti c'è bellezza e l'unità tra le membra del corpo è così armoniosa che da essa l'Apostolo trae il paragone per raccomandare la carità. ( 1 Cor 12,12ss )
Tutti possiedono anche lo spirito di vita che anima le membra del corpo e tutta la natura dell'uomo è ordinata con meravigliosa disposizione tra la supremazia dell'anima e la sottomissione del corpo.
Ma la concupiscenza carnale, che ormai domina per castigo del peccato, aveva rimescolato tutta l'umanità come in un'unica e medesima pasta a causa del peccato originale che si insinua dappertutto.
La Scrittura pertanto prosegue: Alcuni di loro li ha benedetti ed esaltati, altri li ha santificati e avvicinati a sé, altri li ha maledetti e umiliati e li ha messi in opposizione tra loro. ( Sir 33,12 )
Il che concorda con l'Apostolo che afferma: Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e un vaso per uso volgare? ( Rm 9,21 )
Anche il seguito offre la stessa similitudine: Come l'argilla nelle mani del vasaio che la forma e dispone tutte le sue vie a suo piacimento, così l'uomo nelle mani di colui che l'ha creato. ( Sir 33,13 )
Ma in conformità alle parole dell'Apostolo: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? ( Rm 9,14 ) vedi cosa qui aggiunge [ il Siracide ]: Egli darà secondo la sua giustizia. ( Sir 33,14 )
Ma quando ai condannati è inflitto un giusto castigo, poiché questo stesso castigo torna a vantaggio e progresso di coloro ai quali è usata misericordia, considera il seguito: Di fronte al bene c'è il male, e di fronte alla morte la vita; così di fronte al giusto il peccatore.
Considera perciò tutte le opere dell'Altissimo due a due, una di fronte all'altra. ( Sir 33,15 )
Sicuramente dice così perché dal contrasto con le cose peggiori risaltino e si accrescano le migliori.
Tuttavia, poiché esse sono migliori per grazia, è come se dicesse: Un resto sarà salvato; ( Rm 9,27 ) prosegue e dice in nome di questo resto: Io mi sono destato per ultimo, come un racimolatore dietro i vendemmiatori. ( Sir 33,16 )
E come prova che non dipende dai suoi meriti ma dalla misericordia di Dio?
Nella benedizione del Signore - dice - ho posto la mia speranza e come un vendemmiatore ho riempito il tino. ( Sir 33,17 )
Infatti anche se egli si è destato per ultimo, poiché tuttavia, com'è scritto, gli ultimi saranno i primi, ( Mt 20,16 ) sperando nella benedizione del Signore, il popolo racimolato dal resto d'Israele ha riempito il tino con abbondante vendemmia, che fruttifica da tutta la terra.
Dunque solo questa è l'intenzione dell'Apostolo e di tutti i giustificati, attraverso i quali ci è stato spiegato il significato della grazia: chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 )
Chi discuterà infatti le opere del Signore, perché da una medesima pasta condanna uno e giustifica l'altro?
Conta moltissimo il libero arbitrio della volontà; esiste senz'altro, ma che valore ha per coloro che sono venduti come schiavi del peccato? ( Rm 7,14 )
La carne - egli dice - ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne.
Sicché voi non fate quello che volete. ( Gal 5,17 )
Ci viene ordinato di vivere rettamente, con la promessa della ricompensa, di vivere eternamente felici, ma chi può vivere rettamente e fare il bene senza essere giustificato dalla fede?
Ci è ordinato di credere affinché, ricevuto il dono dello Spirito Santo, possiamo fare il bene mediante l'amore, ma chi può credere senza ricevere una chiamata, cioè senza qualche segno tangibile delle cose?
Chi può disporre che il suo animo venga colpito da una così forte impressione da muovere la sua volontà alla fede?
Chi poi si attacca col cuore a una cosa che non lo attira?
E chi ha il potere d'imbattersi in qualcosa che possa attirarlo o di essere attirato se l'incontra?
Quando dunque ci attrae qualcosa che ci porta a Dio, questo è ispirato e donato dalla grazia di Dio e non dipende dalla nostra volontà e attività né dai meriti delle nostre azioni.
Perché vi sia atto di volontà, intensità di interesse o azioni ferventi di carità, è Dio ad accordarlo e a donarlo.
Ci viene comandato di chiedere per ottenere, di cercare per trovare, di bussare perché ci sia aperto. ( Mt 7,7 )
Talvolta la nostra stessa preghiera non è forse così tiepida o addirittura fredda e quasi nulla, anzi a volte totalmente nulla, che neppure ce ne dispiace?
Se invece ne siamo amareggiati, già preghiamo!
Che altro dunque ci viene rivelato se non che colui che ci comanda di chiedere, cercare e bussare è lo stesso che ci dona di farlo?
Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, ( Rm 9,16 ) giacché noi non possiamo né volere né correre se egli non ci muove e non ci stimola.
Se qui si fa una scelta, come comprendiamo dal testo: Un resto è stato salvato per un'elezione di grazia, ( Rm 11,5 ) non si tratta della scelta dei giustificati per la vita eterna ma della scelta di quelli che saranno giustificati.
Certamente questa scelta è così misteriosa che ci è assolutamente impossibile scorgerla nella medesima pasta o, se è percepita da qualcuno, io confesso la mia incapacità su questo punto.
Se mi è permessa una qualche opinione sull'indagine di questa scelta, non trovo infatti altri motivi nella scelta degli uomini in vista della grazia salvifica all'infuori o del maggiore ingegno o della minore colpevolezza o di entrambe le cose.
Aggiungiamo pure, se piace, una formazione dottrinale fruttuosa e onesta.
Sembra quindi che la scelta per la grazia debba cadere su chi è irretito e macchiato solo da colpe veniali ( chi mai ne è esente? ), è di notevole ingegno ed è versato nelle arti liberali.
Ma dopo aver stabilito queste condizioni, colui che ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti e gli stolti per confondere i sapienti ( 1 Cor 1,27 ) mi irriderà a tal punto che, fissandolo e corretto dalla vergogna, anch'io mi prenderò gioco di molti, e i più casti rispetto a certi peccatori e gli oratori rispetto a certi pescatori.
Non vediamo molti nostri fedeli che camminano nella via di Dio e non possono affatto paragonarsi per ingegno, non dico a certi eretici ma neppure ai commedianti?
Non vediamo inoltre persone di ambo i sessi che vivono nella castità coniugale senza lamentarsi, e tuttavia sono eretici o pagani o, pur vivendo nella vera fede e nella vera Chiesa, sono così tiepidi da essere superati, con nostra meraviglia, non solo nella pazienza e temperanza ma anche nella fede, speranza e carità, dalle prostitute e dai commedianti appena convertiti?
La scelta dunque è ristretta alla volontà.
Ma anche la volontà non può assolutamente muoversi, se non sopraggiunge qualcosa che attrae e invita l'animo; che questo poi avvenga non è in potere dell'uomo.
Saulo che cosa voleva, se non aggredire, trascinare via, imprigionare, uccidere?
Quanta rabbia, quanta furia, quanta cecità nella sua volontà!
Eppure, sbattuto a terra da una sola parola dall'alto e colpito da tale apparizione, la sua mente e la sua volontà, infranta ogni violenza, si è cambiata e rivolta alla fede.
In un attimo da furioso persecutore diventò un più insigne predicatore del Vangelo. ( At 8,3; At 9,1 )
E tuttavia: Che diremo? C'è forse ingiustizia da parte di Dio, il quale esige il debito da chi vuole e lo condona a chi vuole?
Egli non esige mai l'indebito e neppure dona l'alieno.
C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! ( Rm 9,14 )
E perché mai con uno agisce così e non con un altro? O uomo, tu chi sei? ( Rm 9,20 )
Se tu non paghi il debito, hai di che ringraziare; se paghi, non hai da lamentarti.
Crediamo soltanto, anche se siamo incapaci di comprendere, che chi ha creato e fatto tutte le cose, sia le spirituali che le materiali, tutto dispone con misura, calcolo e peso. ( Sap 11,21 )
Ma imperscrutabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie. ( Rm 11,33 )
Diciamo: Alleluia e intoniamo il canto di lode senza dire: Che è questo?
Perché quello? Perché tutte le cose sono state create a suo tempo. ( Sir 39,14-33 )
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