Contro l'avversario della Legge e dei Profeti |
In verità costui ha tratto le sue testimonianze dagli apocrifi attribuiti agli apostoli Andrea e Giovanni.
Ma se fossero stati davvero dei loro scritti, li avrebbe recepiti [ nel canone ] la Chiesa, che è discesa da quegli stessi Apostoli, mediante la successione ben accertata dei vescovi, da allora ai giorni nostri, e offre a Dio nel corpo di Cristo un sacrificio di lode ( Sal 50,14 ) da quando parla il Signore Dio degli Dei e convoca la terra da oriente a occidente. ( Sal 50,1 )
Ebbene questa Chiesa è l'Israele secondo lo spirito, dal quale si distingue quell'Israele carnale, che serviva Dio nelle figure dei sacrifici nei quali è significato il sacrificio singolare che ora offre l'Israele secondo lo spirito, e del quale è detto e profetizzato: Ascolta, popolo mio, voglio parlarti: testimonierò contro di te, Israele ( Sal 50,7 ) e le altre cose che ho sopra ricordato.
Dall'Israele carnale Dio non accettai vitelli, né i capri dai suoi greggi. ( Sal 50,9 )
L'Israele spirituale immola a Dio un sacrificio di lode non secondo l'ordine di Aronne, ma secondo l'ordine di Melchisedech. ( Sal 110,4-6; Eb 5,6 )
E ciò sta nel salmo che il Signore Gesù nel Vangelo dice che si riferisce a lui quando interrogò i Giudei, che risposero che Cristo era figlio di Davide perché lo conoscevano solo carnalmente, mentre Davide in spirito lo aveva chiamato Signore.
Quindi egli ricordò loro l'inizio di quel salmo: Ha detto il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi. ( Mt 22,44; Sal 110,1.4 )
Sempre lì si dice anche quanto segue:Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech. ( Sal 110,4; Eb 5,6 )
Coloro che leggono sanno cosa offrì Melchisedech in sacrificio quando benedisse Abramo. ( Gen 14,18 )
E se già ne sono a parte, vedono anche come ora tale sacrificio è offerto a Dio da tutta la terra.
Orbene, il giuramento di Dio è rimprovero per gli increduli.
E il fatto che Dio non si pentirà significa che Dio non cambierà questo sacerdozio, mentre mutò il sacerdozio secondo l'ordine di Aronne.
Un altro profeta dice all'Israele secondo la carne: Non mi compiaccio di voi, dice il Signore onnipotente, e non accetto l'offerta dalle vostre mani. ( Ml 1,10 )
Ecco ciò che avviene secondo l'ordine di Aronne.
Poiché non l'accetta, aggiunge e dice: Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le Genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome tra le Genti, dice il Signore onnipotente. ( Ml 1,10-11 )
Ecco ciò che avviene secondo l'ordine di Melchisedech.
L'incenso, che in greco si dice θυμίαμα, come afferma Giovanni nell'Apocalisse, sono le orazioni dei santi. ( Ap 5,8 )
Certamente, come viene cantato nel salmo, è il Signore che ha convocato la terra dall'oriente all'occidente: quella terra, ovvero quel popolo esteso da oriente a occidente, a cui dice: Non accetterò i giovenchi dalla tua casa; offri a Dio un sacrificio di lode. ( Sal 50,1.9.14 )
Egli stesso dice per mezzo di questo profeta ciò che sicuramente si sarebbe verificato in futuro come se fosse già accaduto: Da oriente a occidente grande è il mio nome fra le Genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome tra le Genti. ( Ml 1,11 )
Dio non si pente come l'uomo, ma come Dio; allo stesso modo non si adira come l'uomo, né come l'uomo prova compassione, né come l'uomo prova invidia, ma tutto ciò fa come Dio.
Il pentimento di Dio non avviene in seguito ad un errore; l'ira di Dio non ha l'ardore di un animo sconvolto; la misericordia di Dio non comporta la miseria di un cuore che prova compassione - proprio da miseria del cuore infatti la misericordia in latino prende il suo nome -, né la gelosia di Dio contiene il livore dell'animo.
Viene detto pentimento di Dio il cambiamento, imprevisto dagli uomini, delle cose che sono regolate dal suo potere; l'ira di Dio è la punizione del peccato, la misericordia di Dio è la sua bontà nell'aiutare e nel perdonare; la gelosia di Dio è la provvidenza in virtù della quale Dio non permette che quanti sono suoi sudditi amino impunemente ciò che egli proibisce.
Pertanto, questo tale che ha attaccato così loquacemente il pentimento di Dio, apprenda innanzi tutto che a mala pena si trova qualche cosa che sia degno d'esser detto di Dio; ma noi abbiamo la necessità di dire di lui moltissime cose, anzi quasi tutte, commensurandole con quanto fanno gli uomini fra loro, cosicché ciò che di lui deve venir compreso, viene afferrato solo da pochi uomini spirituali.
Ragion per cui la Scrittura divina, parlando con speciale provvidenza dell'Ineffabile, si è abbassata a utilizzare alcune di queste parole che, quando si parla di Dio, sembrano assurde e indegne anche agli uomini carnali.
Ciò affinché, per timore che esse vengano intese nel modo consueto degli uomini, e attraverso le discussioni sul modo in cui possano esser bene intese quanto a Dio, si apprenda che quelle parole che nelle stesse Scritture sembrano degne di Dio nel loro senso umano, non vanno intese o pensate secondo l'uso degli uomini.
Subito infatti ci appare che non si adatta bene a Dio il pentimento nel modo in cui lo intendono gli uomini; ma non è altrettanto evidente che la misericordia, quanto all'aver compassione gli uni degli altri che è proprio degli uomini, non convenga a Dio.
E così, attraverso ciò che riconosce di dover ancora indagare, l'uomo comincia anche a ricercare più accuratamente ciò di cui credeva di non aver bisogno.
Dunque quando diciamo di Dio che si pente, Dio non si muta, e tuttavia muta; così quando si adira, non si sconvolge, eppure punisce; e quando prova compassione non si addolora, e tuttavia libera; e quando prova gelosia non prova tormento, ma tormenta.
Mancano forse nei libri del Nuovo Testamento parole tali che se le si interpreta come gli uomini di solito le intendono non si addicono in nessun modo alla divinità e addirittura sono una grande offesa?
Ecco infatti come l'evangelista a proposito di Cristo dice, verissimamente, che non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza sull'uomo, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo. ( Gv 2,25 )
Come fa poi egli stesso a dire ad alcuni: non vi conosco? ( Mt 25,12 )
E se conosceva da sempre ed aveva eletto i suoi stessi santi prima della creazione del mondo, ( Rm 8,29 ) cos'è ciò che dice l'Apostolo: Ora dunque che avete conosciuto Dio, anzi che siete stati da lui conosciuti, ( Gal 4,9 ) come se Dio avesse conosciuto solo allora ciò che prima non conosceva?
E l'affermazione: Non spegnete lo spirito, ( 1 Ts 5,19 ) come se fosse possibile spegnere lo Spirito, chi può tollerarla se non colui che tutto intende con sapienza?
Nel Vangelo non sta forse scritto: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, chi non crede nel Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui? ( Gv 3,36 )
Che questo blasfemo calunni anche questa parola e dica: Com'è che si irrita, dato che è stato scritto: l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto dinanzi a Dio? ( Gc 1,20 )
Che calunni in questo modo anche l'Apostolo che dice: forse è ingiusto Dio quando riversa su di noi la sua ira? ( Rm 3,5 )
Ma attenzione! Se qualcuno dicesse che Cristo proverà vergogna perfino nel momento in cui dovrà giudicare i vivi e i morti, quale cristiano ascolterà ciò con rassegnazione?
Nel Vangelo però egli dice: Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi. ( Mc 8,38 )
Perché poi quando preghiamo diciamo: sia santificato il tuo nome ( Mt 6,9 ) che è sempre santo, se non perché è vero ciò che sta scritto di alcuni che hanno profanato il nome del Signore loro Dio? ( Ez 43,8 )
E perché al Signore, che non si dimentica di nulla, fu detto: Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno, ( Lc 23,42 ) se non perché a lui non in modo stolto ma intelligente è detto: Tu dimentichi la nostra miseria e oppressione? ( Sal 44,24 )
Dunque egli ignora in modo consapevole, e ciò che da sempre sa ad un certo punto lo conosce; e quando viene oscurato da coloro che lo negano egli resta inoscurabile.
Egli si adira ma con mitezza; non patisce confusione nemmeno quando lo si vilipende; e il suo nome non può venir profanato, neppure quando viene profanato, e non può venir dimenticato neppure quando viene dimenticato, e ricorda sempre anche quando viene messo sull'avviso.
Così è ineffabile. E tuttavia, queste cose vengono dette di lui, del quale però dall'uomo o all'uomo nulla può dirsi che gli sia sufficientemente degno e adeguato.
Stando così le cose, quale persona religiosa non respingerà costui come polvere che il vento disperde dalla faccia della terra? ( Sal 1,4 )
Eccolo infatti che, enfiato e superbo, e desideroso di imporsi agli occhi dei deboli, turbandoli, si dà l'aria di chi dice cose importanti quando nel Vecchio Testamento critica le parole che non capisce, e nel Nuovo non penetra a fondo ciò che comprende.
Torniamo al pentimento di Dio di cui stavamo parlando nel ricordare la profezia di Cristo nella quale si dice: Il Signore ha giurato e non si pentirà: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech. ( Sal 110,4 )
Ciò viene detto al fine di annunciare il sacrificio di salvezza nel quale il sangue sacro fu versato per noi e del quale non furono che una figura ( Eb 8,5 ) i sacrifici di animali senza macchia, che era stato ordinato di immolare. ( Lv 1,3 )
In questo dunque [ egli ] aveva accanto a sé un fatto che l'avvertiva di non pensare che il pentimento di Dio dovesse prendersi in modo che da cose non comprese potesse uscire rabbioso in latrati blasfemi.
In effetti egli stesso ha ricordato ciò che aveva detto Dio: mi sono pentito di aver unto Saul re. ( 1 Sam 15,11 )
Però sta scritto che ciò fu detto al santo Samuele, per mezzo del quale Dio riprese Saul, che, simulando la misericordia e disprezzando l'obbedienza, risparmiò l'uomo che Dio gli aveva ordinato di uccidere: come se Saul sapesse cosa si doveva fare di quell'uomo meglio di chi, quello stesso uomo, aveva creato.
Da questo noi apprendiamo una cosa massimamente utile alla salvezza, cioè che il precetto divino deve prevalere in noi sempre su l'affetto umano.
E tuttavia lo stesso Samuele, a cui Dio aveva detto: mi sono pentito di aver unto Saul re, proclama con ogni evidenza che Dio non si pente.
Perché così sta scritto: allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore: Mi pento di aver costituito Saul re, perché si è allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola.
E poco oltre lo stesso Samuele disse a Saul: Il Signore oggi ha strappato da te il regno d'Israele e l'ha dato ad un altro migliore di te e Israele sarà diviso in due: ed egli non mentisce né può ricredersi, perché non è uomo per ricredersi. ( 1 Sam 15,10-11.28.29; Nm 23,19 )
Ecco uno che comprendeva bene come Dio prova compassione senza provar angoscia, si adira senza ira, è geloso senza invidia, non sa senza essere ignorante, si pente senza pentimento.
Al contrario di costui che, non parlando secondo la parola di Dio, non considerando le sue Lettere e non ascoltando la loro voce, si è reso parlatore muto, lettore cieco e ascoltatore sordo.
Dice però: " Dio è uno smemorato, ed essendogli svanita la memoria, pose nelle nubi un arco, detto arcobaleno, per ricordarsi che non avrebbe più cancellato il genere umano con il diluvio; ( Gen 9,12-17 ) non sa infatti assolutamente cosa debba fare uno che necessita di un suggeritore continuo ".
Quest'individuo che non sa quel che dice - e non perché è morta la sua memoria, ma la sua anima -, se si mette a cavillare dinanzi all'evidenza delle cose più chiare, quanto più vedrà in modo offuscato quelle poco chiare e sarà portato al delirio?
Comunque, per dargli subito una risposta, gli dico che Dio ha sì voluto che gli fosse ricordato qualcosa, non certo perché se ne fosse dimenticato ma come Cristo volle che gli si spiegasse dov'era stato posto Lazzaro, certo non perché non lo sapesse. ( Gv 11,34 )
Non voglio spiegare quali persone significhi quell'arco in cielo quando esso risplende dalle nubi con fulgore e con i raggi di luce illumina il cielo oscuro ancora umido; esso stesso risponde in qualche modo con una attraente confessione: indicando cioè in che modo Dio non vorrà perdere il mondo con un diluvio spirituale, se egli è memore di coloro ai quali le nubi illuminate conducono un messaggio.
Infatti i loro nomi sono scritti nei cieli ( Lc 10,20; Ap 20,12 ) e così il Padre che è nei cieli si ricorda di loro, giacché essi sanno che non brillano di per sé, ma per il sole della giustizia, come quelle nubi brillano grazie al sole visibile.
Ma costui dev'essere confutato in base a quanto ho ricordato e cioè come intenda il passo dove il Signore dice, a proposito di Lazzaro: dove lo avete posto? ( Gv 11,34 )
Ed essi gli mostrano il luogo in cui si trova come se egli non lo conoscesse.
Se infatti non ammettiamo che egli, presentando questa richiesta da cui appare come uno che non sa, non abbia voluto significare qualche [ altra cosa ], in che modo potremo sostenere che Cristo conosce non solo le cose presenti, ma ha anche prescienza delle cose future?
Tanto più che quest'individuo si è lanciato con la sua straordinaria cecità su quest'affermazione per sentenziare che " nessuno chiede se non colui che non sa "!
Dalla qual cosa si vede come non abbia avuto tempo per riflettere su quante volte Cristo abbia posto delle domande.
Non pone infatti una domanda quando dice: Che ne pensate di Cristo? Di chi credete che sia figlio? ( Mt 22,42 )
Vi è una testimonianza più chiara di questa?
E se resta straordinariamente duro di cervice, potrà negare anche che Cristo fece una domanda quando egli stesso rispondeva a ciò che gli era stato chiesto, dicendo: Vi farò anch'io una domanda, e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo.
Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini? ( Mt 21,24-25 )
In che cosa cercherà rifugio ancora costui, loquacissimo contro Dio e disputatore disperatissimo?
Dove sta mai scritto ciò che lui stesso ha detto: " Nessuno chiede se non colui che non sa "?
Eccolo qua! Cristo non ignora e tuttavia fa delle domande.
Con gli stessi occhi con cui non vede Cristo riprende senza dubbio anche il Dio dei Profeti.
Ma attraverso tutte queste domande Cristo vuole chiarissimamente insegnare qualche cosa.
E anche in quelle in cui dice: Dove lo avete posto? ( Gv 11,34 ) e Chi mi ha toccato? ( Lc 8,45 )
Anche quando si leggono espressioni di questo genere, egli sembra volere che gli sia spiegato ciò che non conosce, tuttavia sa.
Così dunque anche negli altri Libri Dio viene avvisato come se potesse dimenticare, ma sia lungi da noi l'idea che possa mai dimenticare qualcosa.
Cosa disse egli stesso ai suoi discepoli? Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. ( Lc 10,20; Ap 20,12 )
Non sembra che quell'arco rifulga dalle nubi proprio a modo di lettere scritte in cielo a promemoria di Dio?
Se tutto ciò non lo si accetta in modo pio fin tanto che la fede non abbia ottenuto che tutto venga compreso, non si finirà per metterlo in ridicolo come delle fantasticherie?
Ma chi sono coloro che ridono, se non quegli ignoranti che per il fatto stesso di credersi sapienti sono più dementi?
Chi può pensare infatti che per promemoria di Dio stanno in qualche modo scritti in cielo i nomi di coloro che seguono il Signore, mentre sono scritti in terra quelli di coloro che non lo seguono, riguardo ai quali il profeta Geremia dice: quanti ti abbandonano restino confusi; quanti si allontanano da te siano scritti sulla terra? ( Ger 17,13 )
Si comprende bene che Gesù intendeva riferirsi a costoro quando i Giudei uno dopo l'altro se ne andarono sconfitti e confusi all'udire: Chi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei: e intanto il Signore, mostrando di che risma fossero, scriveva con il dito in terra. ( Gv 8,7-9 )
" Se crediamo, dice, che gli uomini del diluvio ricevettero giustamente il castigo per i loro costumi corrotti e che il giusto Noè fu salvato per dar vita ad una stirpe migliore, ( Gen 6-9 ) perché dopo il diluvio ne sono nati di peggiori e nel corso della stessa vita anche ora torna a ripetersi la nascita di un genere umano corrotto? ".
Così parla costui, come se fosse vissuto con coloro che sono morti nel diluvio e avesse poi notato che ora gli uomini nascono peggiori di prima.
Ma se il genere umano dopo il diluvio viva in una maniera peggiore, nella stessa o in una migliore, credo che debba essere rimesso al giudizio di Dio che sa retribuire a ciascuno secondo i suoi meriti: mai comunque al giudizio di questo cane rabbioso che latra contro il suo Signore, di questo asino stolto che recalcitra allo sprone.
L'Apostolo grida: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio!
Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
Infatti chi ha mai potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi è mai stato suo consigliere? ( Rm 11,33-34 )
Eppure costui osa mettersi contro colui che non necessita di consiglieri!
E cosa interessa a tutti coloro che muoiono se, quanto alla morte del corpo, muoiono insieme o uno ad uno, quando, se muoiono ad uno ad uno, muoiono comunque tutti e [ quelli che restano ] soffrono tutti per quelli che muoiono, mentre se sono rapiti tutti in una sola volta da una sola morte, perlomeno non c'è nessuno che rimanga in lutto?
Poi il disegno divino nel diluvio va al di là di quanto il cuore degli increduli possa capire o intendere.
Ma non chiedo che questo tale ascolti me, quanto piuttosto l'apostolo Pietro, che dice: Nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, furono salvate per mezzo dell'acqua otto persone: anche voi, in forma simile, vi salva il battesimo; esso non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. ( 1 Pt 3,20-21 )
Ecco come ha interpretato il sacramento del diluvio.
E per questo vi è stato aggiunto: In virtù della risurrezione di Gesù Cristo, affinché capissimo bene cosa sia l'ottavo giorno: la qual cosa viene raffigurata dal numero delle persone racchiuse nell'arca: infatti nell'ottavo giorno, ovvero dopo il settimo della settimana, il Signore resuscitò.
Così le vicende che vengono tramandate, se si è in grado di capirle, furono anche delle profezie.
Ma costui, essendo al di fuori dell'arca, cioè fuori della Chiesa, è sommerso e non lavato dal diluvio.
Costui calunnia anche Isaia e critica il passo in cui questi dice: " Ho generato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me; poco dopo li chiama seme pessimo, ( Is 1,2-4 ) presentandosi come il padre dei cattivi, dei figli che sono un pessimo seme ".
Ma non si cura di sapere che quelli sono chiamati così perché, peccando, si sono allontanati dalla grazia di Dio in virtù della quale erano stati fatti figli e si sono resi figli di coloro che essi stessi volevano imitare.
Per questo si legge in un altro passo: tuo padre era Amorreo e tua madre Cetea, ( Ez 16,3 ) in quanto da queste nazioni pagane essi hanno ereditato l'empietà e la malizia, pur non discendendo da loro quanto alla carne.
Ma che costui risponda alla domanda del Vangelo quando il Signore dice: Se dunque voi che siete così cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a coloro che glielo chiedono? ( Lc 11,13 )
Che costui dica come Dio potrà esser buono se è padre dei cattivi, perché la Verità ha detto entrambe le cose.
O forse non erano cattivi coloro a cui dice: se voi che siete così cattivi? ( Lc 11,13 )
O forse non avevano un Dio buono per padre coloro ai quali dice: quanto più il Padre vostro celeste darà cose buone a coloro che glielo chiedono? ( Lc 11,13 )
Se inoltre essi sono chiamati cattivi a causa dei peccati, dai quali non resta immune neppure la vita dei giusti, con qual nome più adatto di: " pessimo seme " si sarebbe potuto chiamare ciò che nasce da una volontà empia e si diffonde con costumi esecrabili?
Dice: " Ma Cristo Signore ha detto che quel Dio è un albero guasto che produce frutti guasti ".
Tutt'altro! Anzi, frutto cattivo di questa razza d'albero cattivo è proprio il parlare blasfemo di costui, che la pensa in questa maniera.
Perché lo stesso Signore ha affermato che per albero cattivo intende l'uomo malvagio i cui frutti cattivi sono le opere cattive e per albero buono l'uomo buono le cui opere buone sono i frutti buoni: ( Mt 7,15-20 ) sono cioè le volontà stesse degli uomini, quella cattiva dell'uomo cattivo e quella buona dell'uomo buono, ad essere come degli alberi differenti che producono frutti differenti, come attesta egli stesso con bastante chiarezza quando dice: L'uomo buono trae dal buon tesoro del suo cuore cose buone, mentre l'uomo cattivo dal cattivo tesoro del suo cuore trae cose cattive. ( Mt 12,35 )
Come, altrimenti, avrebbe potuto dire: se rendete un albero buono anche il suo frutto sarà buono; se rendete un albero cattivo anche il suo frutto sarà cattivo, ( Mt 12,33 ) se l'uomo, cambiando la sua volontà, non avesse potuto rivolgersi ora a questo ora a quello?
Dice ancora: " Lo stesso Dio, parlando per bocca dello stesso profeta afferma: Io sono il Dio che fa i beni e crea i mali ". ( Is 45,7 )
È proprio così. Egli è infatti quel Dio del quale l'Apostolo dice: considera dunque la bontà e la severità di Dio. ( Rm 11,22 )
Ora, questa sua severità è una cosa cattiva per coloro che meritano condanna, perché implica per loro il male della condanna.
Invece, poiché è giusta, in un altro senso è anche buona: perché tutte le cose giuste sono buone.
Ma come fa costui a pensare di potersi permettere discussioni e giudizi a proposito di questi testi, quando non sa neppure ciò che dice?
Poiché infatti il testo stesso che ha addotto come testimonianza affinché non si dicesse che Dio fa i beni e i mali, o crea i beni e i mali, o crea i beni e fa i mali, ma fa i beni e crea i mali, ( Is 45,7 ) costui vuole trasformarlo in un'accusa: vuol dimostrare che ciò che è fatto sta al di fuori di colui che lo fa, mentre ciò che è creato sta nello stesso creatore da cui procede, cosicché sembrerebbe che il Dio dei Profeti sia stato in un certo momento autore del bene come di un qualcosa estraneo a sé, creatore del male invece facendo procedere da sé ciò che ha creato, essendo egli cattivo per natura.
Questi termini, se li consideriamo in base alle consuetudini del linguaggio umano, li si usa - tanto l' " esser fatto " come l' " esser creato " - non solo in riferimento ai figli che ciascuno genera da se stesso, ma anche in riferimento ai magistrati e alle città e, in generale, ad altre cose che non procedono da un generante, ma vengono realizzate al di fuori di lui.
Se poi indaghiamo il modo in cui usano esprimersi le sante Scritture, che costui mette in discussione, " fare " e " creare " sono la stessa cosa: da tali verbi invece si distingue il generare.
E in base al variare delle parole non si può dedurre nessuna differenza quanto alle cose: colui che fa i beni e crea i mali, lo si potrebbe esprimere anche così: colui che crea i beni e fa i mali.
O, se lo Spirito profetico avesse voluto che qui vi fosse una qualche differenza, queste parole sarebbero state intese con molto maggiore esattezza se avessimo interpretato "ciò che viene fatto " come ciò che, se non fosse fatto, non sarebbe per nulla esistito; invece " ciò che viene creato " come ciò che viene fondato e costruito a partire da qualche cosa di preesistente, così come diciamo che vengono creati la città e i magistrati.
Infatti " creare dei magistrati " significa elevare a questi onori alcuni tra gli uomini che già esistono; ed anche la legna e le pietre con cui vengono costruite le case già esistevano però non erano disposte in quella forma, in quell'ordine e in quella composizione che vediamo nella città.
Quando si fa ciò diciamo che vengono create le città.
In effetti ciò che i greci chiamano κτίζειν, i latini lo chiamano a volte creare, a volte costituire, a volte fondare, e spessissime volte tutto ciò significa nelle sacre Scritture la stessa cosa, ovvero " fare ".
Infatti leggiamo sia che Dio fece l'uomo ad immagine di Dio, ( Sap 2,23; Gen 1,27 ) sia che Dio ha creato l'uomo per l'immortalità. ( Sap 2,23 )
Se invece talvolta le parole vengono usate con qualche differenza, la maniera più giusta di intenderla è quella che dicevo: si " fa " ciò che non esisteva affatto; invece, "creare " significa costruire - strutturando - qualcosa a partire da qualcosa che già preesiste.
E perciò in quel passo sta scritto che Dio " crea i mali " perché per disposizione della sua severità trasforma in mali per i peccatori quei beni che dalla liberalità divina erano stati fatti buoni.
Per cui l'apostolo Paolo dice: noi siamo il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono: per gli uni odore di vita per la vita e per gli altri odore di morte per la morte, e proseguendo dice: e chi è mai all'altezza di questi compiti? ( 2 Cor 2,15-16 )
O che per caso siamo in qualche modo molesti se con insistenza offriamo cose come queste a coloro che sono carnali e sono non solo ignoranti, ma anche litigiosi e incapaci del tutto a cogliere ciò che magari almeno cessassero di denigrare?
Forse costui ignora quanto fu intensa la polemica contro gli Ariani, secondo i quali il Figlio unigenito era una creatura poiché ritenevano che fosse la stessa cosa l'esser creato e l'esser generato.
Ma perché fosse infranta la sua regola fallace e distorta mediante la stessa testimonianza evangelica e profetica cui egli si rifà, Dio ha parlato come segue per mezzo del profeta: Io creo la luce e faccio le tenebre, faccio la pace e creo i mali. ( Is 45,7 )
Ma costui non ha citato l'intero passo e non l'ha citato in modo fedele al testo.
Certo si può facilmente sorvolare sul fatto che abbia scritto " i beni " al posto di " pace ", perché la pace è buona.
Ma non si deve passare sotto silenzio il fatto che ha osato togliere la prima parte del testo con inganno così da non dover dire: " Colui che crea la luce " poiché, dato che la luce è cosa buona, come egli stesso ammette, non avrebbe più potuto sostenere che è stata creata da colui che non vuole creare se non cose cattive.
Dobbiamo quindi piuttosto comprendere senza differenza di significato creare e fare: per cui il criterio della distinzione che costui si è posto viene demolito, perché il Dio dei Profeti, che egli accusa in base a un'espressione che non intende, viene descritto nel Vecchio Testamento come creatore dei beni, cosa che egli invece nega.
E ciò è confermato anche dal Vangelo.
In effetti costui per sostenere per quanto possibile le sue opinioni ci contrappone ciò che il Signore dice: ogni albero buono fa frutti buoni e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. ( Mt 7,17 )
Perché dunque costui di Dio non ha detto che " crea " invece che " fa ", se è vera questa differenza in base alla quale distingue colui che fa e colui che crea, e per cui ciò che viene fatto è distinto da colui che lo fa perché viene dal di fuori e, invece, ciò che nasce è proprio di colui che lo genera?
Egli infatti ritiene che Dio genera i cattivi, perché sta scritto: Colui che crea i mali, ragionando così come ragionavano gli Ariani, secondo i quali non fa differenza se nella Scrittura di un qualche cosa si dice che è generato o creato.
Tuttavia nel fatto che il Signore non abbia detto creare, ma fare, quanto all'albero buono che fa i frutti buoni e all'albero cattivo che fa i frutti cattivi, deve certo riconoscere che la sua regola viene infranta e quindi deve tacere.
Che cosa vi è allora di più stolto che affermare che il Dio dei Profeti è l'albero del male e poi voler intendere così l'affermazione del Signore: L'albero cattivo fa frutti cattivi insistendo peraltro nell'affermare che egli " non fa i mali, ma li crea; perché se li facesse sarebbero esteriori a lui e verrebbero dal di fuori e, invece, quando crea li genera egli stesso come da sue radici "?
Quindi di questo Dio il Signore non dice che l'albero cattivo fa frutti cattivi, intendendo che egli crea i mali e non li fa.
Ecco come colui che osa accusare i Profeti viene confutato dalle testimonianze citate da lui stesso e tratte dal Vangelo.
Allo stesso modo, come chi inorridisce di fronte alle cose impure, questo impuro critica alcune parole tratte dal libro del Deuteronomio, come se Dio avesse dovuto vergognarsi di imporre tormenti ignominiosi o di preannunciarli agli empi, e non minacciarli in termini come questi: La donna più raffinata e delicata tra di voi, che per delicatezza e raffinatezza non si sarebbe provata a porre in terra la pianta del piede, guarderà di malocchio il proprio marito, il figlio e la figlia e si ciberà di nascosto di quanto esce dai suoi fianchi. ( Dt 28,56-57 )
E, in verità, una cosa, quanto più è orribile, tanto più è terribile.
Né infatti ciò è stato detto dal Profeta come ammonizione, ma proprio come minaccia: non affinché gli uomini facessero tali cose, ma perché non facessero quelle cose che vanno contro natura e non giungessero a ciò che ripugna alla ragione umana.
Chi può sostenere che la bruttezza dell'animo sia più esecrabile per il temere le pene meritate che per il fatto di non voler evitare di meritare i castighi?
Che lo Spirito Santo, che è incontaminato e incontaminabile, dica pure chiaramente ciò che un'anima immonda rifiuta di udire e che però, essendo immonda, non rifiuta di essere.
Perché l'anima si oppone all'impurità della carne quando sono offesi i sensi della stessa carne, ed ama la sua impurità quando i sensi del cuore sono estinti.
Che dica queste cose lo Spirito di Dio e attraverso l'orrore per la prospettiva di patire tali mali, ispiri il timore dinanzi al fare il male.
Vediamo che lo stesso Spirito, anche parlando attraverso l'Apostolo, mentre voleva istruire i pii, non si è vergognato affatto di offendere i sensi degli empi: dopo aver ricordato l'empietà di certuni che adoravano e servivano la creatura piuttosto che il Creatore, ( Rm 1,25 ) aggiunse che: Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami.
Le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura.
Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento. ( Rm 1,26-27 )
Se qualche nemico dell'Apostolo si volesse scandalizzare per queste parole come questo blasfemo fa per alcuni passaggi dei Libri antichi, non avrebbe costui materia sufficiente per smaniare loquacemente?
E quanto più eloquenti gli sembreranno tali affermazioni, tanto più detestabili saranno le maledizioni che lancia; soprattutto perché sta scritto: ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento.
Che lo meritassero, in effetti, l'Apostolo non ha paura a dirlo perché avevano adorato e servito la creatura piuttosto che il creatore ( Rm 1,27 ) e quindi non ricevevano tali cose turpi subendole ma facendole volentieri: e ciò per il giudizio non di qualche uomo sommamente immondo che di queste cose potrebbe anche dilettarsi, ma per il giudizio del Dio giustissimo, che li ha abbandonati a passioni infami, per cui i crimini sono vendicati da altri crimini e i supplizi dei peccatori non sono solo tormenti, ma un aumentare di vizi.
Il saggio invece, nell'udire ciò, in questa vita teme di più l'ira di Dio, per la quale l'uomo non subisce una pena che acutamente gli dispiace, ma fa ciò che turpemente ama; e disprezza le parole insensate di colui al quale tali giudizi non piacciono perché riconosce in lui la pena toccata al Faraone, ovvero l'ostinazione del cuore. ( Es 7,13 )
In effetti se coloro che hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in preda di un'intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, ( Rm 1,28 ) che c'è di strano se Dio ha abbandonato anche costui, che bestemmia le parole divine, ad un'intelligenza depravata così da fargli dire cose lontane dalla verità?
Perché, come dice l'Apostolo, è necessario che vi siano delle eresie tra di voi perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. ( 1 Cor 11,19 )
I vasi di ira sono sistemati nei luoghi e nei tempi opportuni in modo tale che per mezzo loro Dio possa manifestare anche la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia ( Rm 9,23 ) i quali, della stessa pasta di quelli votati alla perdizione, sono da lui predisposti alla gloria, per grazia di Dio e non per i loro meriti.
Dio ha fatto sì, infatti, che a noi giovi non solo ciò che insegna la verità, ma anche ciò che la vanità proclama sghignazzando.
Così, nel respingere la vanità più irrequieta, si ascolta la verità più pura.
La vanità denuncia il ricorso all'espressione indecente, ma la verità misericordiosa indica come, pur nominando cose indecenti, si possa evitare la turpitudine: e la vanità insensata viene così domata.
In verità anche l'apostolo Paolo da ciarlatani empi potrebbe venir accusato di ricorrere a invettive oscene, quando dice: Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano: ( Gal 5,12 ) il che, a coloro che bene l'intendono, sembra piuttosto una benedizione, poiché in tal modo possono diventare eunuchi per il regno dei cieli. ( Sap 3,14 )
Invece la cecità logorroica giunge a riprendere anche nell'Apostolo questa espressione sostenendo che non avrebbe dovuto enunciare una cosa onesta con parole turpi.
E allora possono riprendere anche il Signore che, nel raccomandare lo stesso dono della continenza, dice: vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. ( Mt 19,21 )
Infatti questi pedanti - così bisognerebbe chiamarli piuttosto che letterati poiché leggono senza aver imparato ad aver senno - leggono dunque in Cicerone qualche cosa per cui suppongono di poter disapprovare da dotti le parole di Cristo, ma in tal modo dimostrano di essere privi di orientamento piuttosto che degli esperti.
Cicerone insegna appunto che nella traduzione dei testi si debbono evitare le oscenità dicendo: Non voglio che si dica che con la morte dell'Africano la repubblica è stata castrata.2
Ma se questa parola che egli voleva che fosse evitata, per mostrare che dovesse venir evitata, non l'ha evitata e si è visto obbligato a dire ciò che non voleva che si dicesse, quanto più quella cosa che viene convenientemente significata dalla parola stessa verrà enunciata nella sua accezione propria affinché colui che ascolta possa capire?
E per tornare a quanto costui contesta nel Deuteronomio: ( Dt 28,56-57 ) se Cicerone, uomo eloquentissimo, uso a riflettere in modo attentissimo sulle parole e a soppesarle, ha detto ciò che voleva che non si dicesse, affinché appunto non lo si dicesse, quanto più Dio, che cerca la bellezza e la purezza dei costumi piuttosto che non quella delle parole, non avrà potuto dire una cosa turpe in modo non turpe ma come minaccia, affinché se ne provasse orrore e così non si commettesse la cosa attraverso cui si giungerebbe a ciò di cui si ha orrore al solo sentirla?
Eppure, quando lo si legge, l'incredulità si tura le orecchie, gira la faccia, corruccia il volto, vibra la lingua e lancia bestemmie.
Guardate se costoro non sono di quel genere di uomini che quando Cristo parlò del sacramento del suo corpo e del suo sangue, dissero: questo linguaggio è duro, chi può intenderlo? ( Gv 6,60 )
Se non che sono più scusabili coloro che pigliavano come orride quelle parole divine, che non comprendevano [ dette ] non a maledizione ma a benedizione.
Né ci si deve stupire che una maledizione, quando la si ode, provochi orrore, né si deve pretendere che venga espressa con parole non orrende perché è per questo che la si pronuncia, affinché provochi il timore di ciò che va evitato.
Il Signore diceva infatti quelle parole per insegnare cose da amarsi, non da temersi.
Ma quale incredulità può tollerare una simile affermazione: La mia carne è il vero cibo e il mio sangue la vera bevanda; e anche: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue non avrete in voi la vita? ( Gv 6.53.56 )
Se dunque la Sapienza di Dio che alimenta l'anima del credente con parole appropriate al sacramento non ha dato peso alla ripugnanza di gente stolta, quanto più quella stessa Sapienza, quando era il luogo e il tempo del timore, e non dell'amore, volendo infondere un terrore salvifico, poteva tenere incalcolato l'errore degli stolti, pur conoscendone l'orrore?
Chi infatti di costoro è in grado di provare orrore per la bruttezza spirituale dell'anima quando una certa sua fame e denutrizione le ordina di mangiare ciò che scaturisce dai suoi pensieri carnali come dai suoi fianchi? ( Dt 28,56-57 )
In effetti è raro l'avverarsi di quella maledizione, che costui stigmatizza perché turpe, come è anche raro che capiti che il flagello della fame sia tanto grande da spingere a compiere atti così nefandi; invece di questa fame a causa della quale l'anima dei miseri sprovvisti di verità mangiano, come se fosse verità, ciò che si procurano mediante i sensi carnali, la si trova ovunque e tutto ne è pieno.
E ciò in modo tanto più nefasto quanto maggiore è il danno che produce e minore l'orrore che suscita.
Credo però che, per non diventar prolisso, non debbo rispondere con un solo libro al libro che mi hai inviato: per questo motivo pongo qui fine al primo, per incominciarne un altro con le cose che ancora restano da discutere.
In questa maniera, raggiunto il termine del libro, l'attenzione del lettore in certo qual modo si rinfranca, come la fatica del viandante, raggiunto l'ospizio.
Indice |
2 | Cicerone, De orat. 3, 41, 164 |