Lo spirito e la lettera

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7.11 - Per fare il bene l'uomo non basta a se stesso

Questo santo modo di pensare salva i figli degli uomini che sperano nella protezione delle ali di Dio ( Sal 36,8-11 ) per saziarsi dell'opulenza della sua casa e dissetarsi al torrente delle sue delizie: in lui c'è infatti la sorgente della vita e nella sua luce noi vedremo la luce; egli spande la sua misericordia su coloro che lo conoscono e la sua giustizia sui retti di cuore.

Non spande la sua misericordia perché lo conoscono già, ma anche perché lo conoscano; non spande la sua giustizia con la quale giustifica l'empio ( Rm 4,5 ) perché sono retti di cuore, ma anche perché siano retti di cuore.

Questo modo di pensare non leva in superbia.

Il vizio della superbia nasce quando uno confida troppo in se stesso e crede d'essere da sé fonte della propria vita.

Con il sentimento della superbia ci si allontana da quella fonte di vita alla quale soltanto si beve la giustizia, cioè la buona vita, e ci si allontana da quella luce immutabile della quale partecipa e in qualche modo si accende l'anima perché diventi anch'essa luce creata, come era Giovanni lampada che ardeva e splendeva. ( Gv 5,35 )

Egli tuttavia, riconoscendo chi lo faceva splendere, dice: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. ( Gv 1,16 )

Dalla pienezza di chi se non di colui a confronto del quale Giovanni non era la luce?

Il Cristo infatti era la luce vera, quella che illumina ogni uomo, che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 )

Perciò il salmista, dopo aver pregato nel medesimo salmo: spandi la tua misericordia su coloro che ti conoscono e la tua giustizia sui retti di cuore, dice: Non mi raggiunga il piede dei superbi, non mi disperda la mano degli empi.

Ecco, sono caduti i malfattori, abbattuti, non possono rialzarsi. ( Sal 36,11-13 )

Per l'empietà appunto con la quale attribuisce a sé ciò che è di Dio ciascuno viene ricacciato nelle sue tenebre, che sono le opere cattive.

Queste infatti è ben capace di fare e per farle basta a se stesso.

Le opere della giustizia invece non le fa se non nella misura in cui riceve di farle da quella fonte e da quella luce dove c'è la vita che non ha bisogno di nulla e dove non c'è variazione né ombra di cambiamento. ( Gc 1,17 )

7.12 - S. Paolo è il predicatore della grazia

L'Apostolo cambiò il suo nome Saulo con cui si chiamava ( At 13,9 ) in Paolo, secondo me proprio per apparire piccolo, come l'infimo degli Apostoli. ( 1 Cor 15,9 )

Il motivo per cui battagliò lungamente e fortemente e fervorosamente a difesa ed esaltazione della grazia di Dio contro coloro che, superbi ed arroganti, presumevano delle proprie opere, fu che in lui la grazia apparve veramente più luminosa e più radiosa.

Egli, quando perseguitava accanitamente la Chiesa di Dio, compiva tali opere che gli avrebbero dovuto far meritare il supremo castigo ed invece ricevette la misericordia al posto della condanna, conseguì la grazia al posto della pena.

In difesa della grazia a ragione sopra ogni altro grida e combatte, né si cura d'incorrere nell'impopolarità presso persone che in un argomento tanto profondo e troppo misterioso non intendevano le sue parole veraci e le storcevano a sensi erronei.

Tutto egli sopporta, pur di esaltare senza remore il dono di Dio, per il quale unicamente si salvano i figli della promessa, i figli della beneficenza divina, i figli della grazia e della misericordia, i figli del Testamento Nuovo.

In primo luogo ogni suo saluto viene, espresso così: A voi grazia e pace da Dio Padre e dal Cristo Gesù Signore. ( Rm 1,7 )

Poi nella Lettera ai Romani la grazia è quasi l'unica questione e viene trattata con tanta combattività, con tanta varietà da affaticare, sì, l'attenzione di chi legge, ma tuttavia utilmente e salutarmente, di modo che piuttosto che fiaccare allena le membra dell'uomo interiore.

8.13 - Non basta la legge né la sua osservanza esteriore

Da questa lettera vengono i testi che ho già riferito.

Da qui viene il rimprovero al giudeo che si chiama giudeo e non pratica ciò che professa.

Scrive: Se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà, e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità, ebbene come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso?

Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero?

Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?

Infatti: Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, ( Is 52,5; Ez 36,20 ) come sta scritto.

La circoncisione è utile, sì, se osservi la legge; ma se trasgredisci la legge, con la tua circoncisione sei come uno non circonciso.

Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non circoncisione non gli verrà forse contata come circoncisione?

E così chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la legge, giudicherà te, che, nonostante la lettera della legge e la circoncisione, sei un trasgressore della legge.

Infatti giudeo non è chi appare tale all'esterno e la circoncisione non è quella visibile della carne, ma giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini, ma da Dio. ( Rm 2,17-29 )

Qui fa vedere manifestamente in che senso dice: Ti glori di Dio.

Perché, se un vero giudeo si gloriasse di Dio come vuole la grazia, che non viene data per i meriti delle opere, ma gratuitamente, la sua gloria verrebbe da Dio e non dagli uomini.

Al contrario costoro si gloriavano di Dio come se avessero meritato, essi soli, di ricevere la sua legge, secondo le parole del salmo: Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi precetti. ( Sal 147,20 )

E credevano d'essere con la propria giustizia fedeli esecutori di questa legge di Dio, benché in realtà ne fossero piuttosto trasgressori.

Perciò la legge provocava su di essi l'ira di Dio ( Rm 4,15 ) abbondando il peccato, che veniva commesso scientemente da loro.

Perché anche quelli che si attenevano ai precetti della legge, ma senza l'aiuto dello Spirito della grazia, agivano per timore di pena e non per amore di giustizia.

Perciò agli occhi di Dio non c'era nella loro volontà quello che agli occhi degli uomini appariva nella loro attività, ed erano invece
ritenuti colpevoli di ciò che Dio li sapeva più disposti a fare, se l'avessero potuto fare impunemente.

Dice poi circoncisione del cuore, cioè volontà pura da ogni concupiscenza illecita, e questa si ha non dalla lettera che insegna e minaccia, ma dallo Spirito che aiuta e risana.

Perciò la gloria di costoro non viene dagli uomini, ma da Dio, che mediante la sua grazia dona di che possano gloriarsi.

Di Dio si dice: Nel Signore si glorierà la mia anima. ( Sal 34,3 )

A Dio si dice: Sei tu la mia lode. ( Sal 22,26 )

Non così coloro che a Dio vogliono dare la lode di essere uomini, ma a se stessi la lode di essere giusti.

8.14 - Dio non va lodato solo per la sua legge morale

Dicono: "Ma noi lodiamo anche Dio come autore della nostra giustificazione per aver egli dato la legge, guardando alla quale sappiamo come dobbiamo vivere".

E costoro leggono senza ascoltare: In virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a Dio. ( Rm 3,20 )

Può giustificarsi davanti agli uomini, ma non davanti a colui che fa l'ispezione del cuore stesso e della volontà intima, ( Pr 24,12 ) dove vede che chi osserva la legge per paura della legge, diversamente preferirebbe fare, se fosse lecito.

E perché non nasca in alcuno il sospetto che la legge da cui l'Apostolo dice che nessuno viene giustificato sia quella che contiene negli antichi sacramenti molti precetti simbolici e dalla quale è imposta la stessa circoncisione della carne, comandata ai bambini nell'ottavo giorno, ( Lv 12,3 ) subito soggiunge quale legge abbia inteso e dice: Per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato.

Si tratta dunque di quella legge di cui dirà dopo: Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. ( Rm 7,7 )

Che altro significano le parole: Per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato?

9.15 - La giustizia di Dio si attua senza la legge, ma si manifesta con la legge

Qui forse quell'umana presunzione che ignora la giustizia di Dio e ne vuole stabilire una propria ( Rm 10,3 ) dirà che giustamente l'Apostolo dichiara: In virtù della legge nessuno sarà giustificato, ( Rm 3,20 ) perché la legge mostra soltanto che cosa fare o evitare e spetta poi alla volontà eseguire quello che la legge ha indicato: così l'uomo non si giustifica per imperio di legge, ma per libero arbitrio.

Osserva però, o uomo, quello che segue: Ora invece, indipendentemente dalla legge si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti. ( Rm 3,21 )

È poco per i sordi? Dice: La giustizia di Dio si è manifestata.

Questa ignorano coloro che ne vogliono stabilire una propria ( Rm 10,3 ) e a questa non si vogliono sottomettere.

Dice: La giustizia di Dio si è manifestata.

Non dice: "la giustizia dell'uomo o la giustizia della propria volontà", ma la giustizia di Dio, non quella di cui è giusto Dio, ma quella di cui Dio riveste l'uomo quando lo giustifica dal peccato.

Questa viene testimoniata dalla legge e dai profeti: a questa cioè rendono testimonianza la Legge e i Profeti.

La prima infatti, poiché si limita solo al comando e alla minaccia senza giustificare nessuno, chiaramente indica che l'uomo viene giustificato dalla gratuità di Dio mediante lo Spirito.

I Profeti poi rendono testimonianza, perché ciò che essi predissero l'ha compiuto la venuta del Cristo.

Seguita infatti dicendo: Giustizia di Dio per mezzo della fede di Gesù Cristo, ( Rm 3,22 ) cioè mediante la fede con la quale si crede nel Cristo.

Come questa fede detta del Cristo non è quella con la quale crede il Cristo, così pure la giustizia detta di Dio non è quella di cui è giusto Dio.

L'una e l'altra è nostra, ma si dice di Dio e del Cristo, perché ci viene donata dalla liberalità divina.

La giustizia dunque di Dio, indipendente dalla legge, non si è manifestata indipendentemente dalla legge.

Come infatti sarebbe stata testimoniata dalla legge, se si fosse manifestata indipendentemente dalla legge?

Ma la giustizia di Dio indipendente dalla legge è quella che Dio conferisce al credente mediante lo Spirito della grazia senza l'aiuto della legge, cioè senza che il credente sia aiutato dalla legge.

Mediante la legge Dio ha mostrato all'uomo la sua infermità, perché con la fede ricorresse alla sua misericordia e guarisse.

Della sapienza di Dio è scritto che legge e misericordia ha sulla lingua: ( Pr 3,16 ) cioè la legge della quale fa rei i superbi, la misericordia con la quale giustifica coloro che si sono umiliati.

Dunque giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono.

E non c'è distinzione: tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio, ( Rm 3,22-23 ) non della gloria propria.

Che cosa hanno infatti senza averlo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

E se lo hanno ricevuto, perché si gloriano come se non l'avessero ricevuto?

Hanno dunque bisogno della gloria di Dio.

E osserva quello che segue: Giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,24 )

Dunque non giustificati per la legge, non giustificati per la propria volontà, ma giustificati gratuitamente per la sua grazia.

Non che ciò avvenga senza la nostra volontà, ma la nostra volontà si dimostra inferma davanti alla legge, perché la grazia guarisca la volontà, e la volontà guarita osservi la legge, non più soggetta alla legge, né bisognosa della legge.

10.16 - Diversa funzione della legge: pedagogo alla giustizia per chi non è ancora giusto, esercizio di giustizia per chi è già giusto

La legge non è fatta per il giusto e tuttavia è buona, se uno ne usa legalmente. ( 1 Tm 1,8-9 )

Mettendo insieme queste due affermazioni quasi opposte tra loro l'Apostolo avverte il lettore e lo avvia ad esaminare e risolvere la questione.

Come può essere vero che la legge è buona se uno ne usa legalmente, ammessa come vera anche l'affermazione successiva: Sono convinto che la legge non è fatta per il giusto?

Chi usa legalmente della legge è il giusto.

Eppure la legge non è fatta per lui, ma per l'ingiusto.

L'ingiusto però per giustificarsi, cioè per diventare giusto, deve anche lui usare legalmente della legge per essere condotto da essa come da un pedagogo alla grazia, che sola gli dà di poter osservare i precetti della legge. ( Gal 3,24 )

La grazia lo giustifica gratuitamente, cioè senza meriti precedenti da parte delle sue opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 )

La grazia non ci viene data, perché abbiamo già fatto opere buone, ma perché le possiamo fare: cioè non perché abbiamo già osservato la legge, ma perché la possiamo osservare.

Dice infatti: Non sono venuto per abolire la legge, ma per darle compimento; ( Mt 5,17 ) di lui è stato detto: Vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. ( Gv 1,14 )

È la gloria della quale è detto: Tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio. ( Rm 3,23 )

È la grazia della quale dice di seguito: Giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,24 )

Chi non è giusto usa dunque legalmente della legge per diventare giusto.

Quando lo è diventato, non usi più della legge come d'un veicolo, ( Gal 3,24 ) essendo già arrivato, o meglio, per adottare la similitudine dell'Apostolo, non usi più della legge come d'un pedagogo, essendo già stato educato.

Quanto poi al giusto, come può essere vero che la legge non è fatta per lui, se anche a lui la legge è necessaria non per essere condotto alla grazia giustificante, ( 1 Tm 1,8 ) quasi fosse ingiusto, ma per usarne legalmente da giusto?

Non è forse vero? Anzi senza forse è certamente vero che il giusto fa uso legittimo della legge, e lo dimostro.

Infatti essa è imposta agli ingiusti per atterrirli, perché, quando anche in essi il morbo dell'arrogante concupiscenza abbia cominciato a crescere per l'incentivo della proibizione e per l'accumularsi delle trasgressione, ricorrano per mezzo della fede alla grazia che giustifica e mediante il dono dello Spirito trovando dilettevole la soavità della giustizia, evitino la pena della lettera che minaccia.

Così non saranno contrarie e contrastanti tra loro le due affermazioni: anche il giusto può usare legalmente della legge, e tuttavia la legge non è fatta per il giusto.

Egli infatti non è stato giustificato dalla legge delle opere, ma dalla legge della fede, per la quale ha creduto che solamente dalla grazia divina poteva essere soccorsa la sua infermità per osservare i precetti della legge delle opere.

10.17 - Non c'è posto per la superbia

Perciò dice: Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge?

Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. ( Rm 3,27 )

Una delle due. O ha inteso il lodevole gloriarsi in Dio e non l'ha detto escluso nel senso di sbalzato via, ma nel senso di sbalzato ad arte, come si dicono sbalzatori certi cesellatori dell'argento.

Per questo si legge anche nei Salmi: Siano esclusi coloro che sono stati provati dall'argento, ( Sal 68,31 ) cioè risaltino coloro che sono stati approvati dalla parola di Dio.

Infatti in un altro salmo si legge: I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiolo. ( Sal 12,7 )

Oppure ha voluto alludere al gloriarsi vituperevole che proviene dalla superbia, cioè di coloro che, credendo di vivere secondo giustizia, se ne gloriano come se ciò non l'avessero ricevuto. ( 1 Cor 4,7 )

Un simile gloriarsi lo dice escluso non dalla legge delle opere, ma dalla legge della fede, come cosa reietta e abietta.

Perché, dalla legge della fede ognuno sa che, se vive anche solo un tantino bene, lo ha dalla grazia di Dio e d'arrivare alla perfezione nell'amore della giustizia non gli verrà se non dalla grazia.

11.18 - La superbia dei buoni sarebbe la peggiore ingratitudine verso Dio

Questo modo di pensare fa pio l'uomo, perché la pietà è la vera sapienza.

Dico la pietà che i greci chiamano qeosevbeia.

Essa appunto è stata raccomandata, quando all'uomo fu detto ciò che si legge nel libro di Giobbe: Ecco, la pietà è sapienza. ( Gb 28,28 )

In latino, rendendo la parola qeosevbeia secondo l'etimologia, poteva dirsi culto di Dio, ed esso consiste prima di tutto in questo: che l'anima non sia ingrata verso Dio.

Tanto che anche nel verissimo ed unico sacrificio noi siamo esortati a rendere grazie al Signore nostro Dio.

Ma l'anima si dimostrerà ingrata verso Dio se attribuirà a sé quello che le viene da Dio e massimamente la giustizia.

Quando l'anima si gloria delle opere di giustizia come di cose procurate a sé da se stessa, non si gonfia banalmente come quando ci si vanta della ricchezza, della bellezza fisica, dell'eloquenza e di tutti gli altri beni, sia esterni, sia del corpo che dell'animo, in possesso di solito anche degli scellerati, ma si gonfia quasi raffinatamente come di beni che sono propri dei buoni.

Per questo vizio, perdendo la stabilità dell'appoggio di Dio, anche alcuni grandi personaggi sono discesi fino alla vergogna dell'idolatria.

Perciò il medesimo Apostolo nella medesima lettera, in cui si fa veramente difensore della grazia, dopo aver detto di sentirsi debitore verso i greci e verso i barbari, verso i dotti e verso gli ignoranti, e d'essere quindi pronto, per quanto lo riguardava, ad evangelizzare anche i romani, ( Rm 1,14 ) dice: Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco.

È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. ( Rm 1,16-17 )

Questa è la giustizia di Dio che, velata nel Vecchio Testamento, viene svelata nel Nuovo Testamento. ( Rm 2,4 )

Ed essa si dice giustizia di Dio, perché è Dio che impartendola ci fa giusti, come si dice salvezza del Signore ( Sal 3,9 ) quella con cui ci fa salvi.

E la fede di cui si dice che la giustizia di Dio si rivela di fede in fede è questa: dalla fede degli annunziatori alla fede degli accoglitori.

Per questa fede di Gesù Cristo, che cioè il Cristo ha conferito a noi, crediamo che ci viene da Dio il dono di vivere nella giustizia e che in futuro tale dono ci sarà dato con ancora maggiore pienezza, e di ciò gli rendiamo grazie con quella pietà che nel culto è riservata a lui soltanto.

12.19 - Gli effetti della superbia

Non a torto l'Apostolo a questo punto si volge a ricordare con orrore coloro che per il vizio già detto, leggeri e gonfi, quasi innalzatisi da se stessi nel vuoto, non potendosi ivi fermare, sono precipitati in basso senza più forze e sono andati a sbattere come su pietre negli idoli falsi.

Poiché aveva lodato la pietà della fede, dalla quale dobbiamo rendere grazie a Dio d'essere stati giustificati, dice, introducendo ciò che si deve detestare come contrario: In realtà l'ira di Dio si è rivelata dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'iniquità, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto, Dio stesso lo ha manifestato.

Infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa.

Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. ( Rm 1,18-23 )

Nota che non li dice ignari della verità, ma colpevoli d'aver soffocato la verità nell'ingiustizia.

E poiché si affacciava all'animo la domanda donde potesse esser venuta la conoscenza della verità a coloro ai quali Dio non aveva dato la legge, non tace nemmeno donde poterono averla dicendo che attraverso gli aspetti visibili della creazione erano giunti all'intelligenza delle proprietà invisibili del Creatore.

In realtà i grandi ingegni, se hanno persistito nel cercare, sono riusciti pure a trovare.

Dove sta dunque l'empietà? Eccola: Pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti. ( Rm 1,21 )

Vaneggiare è propriamente la malattia di coloro che ingannano se stessi credendosi qualcosa, mentre non sono nulla. ( Gal 6,3 )

Poi, ottenebrando se stessi con il tumore della superbia, dal cui piede pregava non esser toccato il santo cantore dei Salmi che disse: Nella tua luce vedremo la luce, si sono allontanati da quella luce dell'immutabile verità e si è ottenebrata la loro mente ottusa. ( Sal 36,10 )

Non una mente saggia, benché avessero conosciuto Dio, ma invece una mente ottusa, perché non lo glorificarono né lo ringraziarono come Dio.

Infatti disse all'uomo: Ecco, temere Dio, questo è sapienza. ( Gb 28,28 )

Pertanto, mentre si dichiaravano sapienti, e ciò non si deve intendere se non nel senso che "ne attribuivano a se stessi il merito", sono diventati stolti. ( Rm 1,22 )

12.20 - Oltre che con la legge, Dio aiuta direttamente con la grazia la volontà umana nel bene

Che bisogno c'è ormai di dire il seguito?

Poiché Dio resiste ai superbi, dove siano precipitati e affondati per la loro empietà quegli uomini, dico quegli uomini che attraverso le creature avevano potuto conoscere il Creatore, lo insegna successivamente la stessa lettera ( Rm 1,26-27; Gc 4,6; 1 Pt 5,5 ) meglio di quanto lo possiamo ricordare noi.

In questo libro infatti noi non ci siamo proposti di spiegare la Lettera ai Romani ma ci sforziamo di dimostrare per quanto possiamo, massimamente con la sua testimonianza, che nell'operare la giustizia l'aiuto che Dio dona a noi non sta nella legge che ci ha dato, piena di buoni e santi precetti, bensì nel fatto che la nostra stessa volontà, senza la quale non possiamo operare il bene, viene aiutata e sorretta dallo Spirito della grazia che ci viene impartito.

Senza questo aiuto la dottrina della legge è lettera che uccide, perché invece di giustificare i peccatori li coinvolge come rei di trasgressione.

Infatti come a quei conoscitori del Creatore attraverso le creature la conoscenza stessa non giovò nulla per la salvezza, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né reso grazie come a Dio, mentre si dichiaravano sapienti, ( Rm 1,21 ) così coloro che tramite la legge di Dio conoscono in che modo deve vivere l'uomo non vengono giustificati dalla conoscenza stessa, perché cercando di stabilire la propria giustizia non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

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