Lo spirito e la lettera |
Poiché dunque la fede è in nostro potere, tanto che ciascuno crede quando vuole, e quando crede, crede perché vuole, dobbiamo ora chiederci o meglio ricordarci quale sia la fede che l'Apostolo esalta con tanto puntiglio.
Non è infatti bene credere qualunque cosa.
Qual è infatti il motivo per cui Giovanni raccomanda: Fratelli, non prestate fede ad ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio? ( 1 Gv 4,1 )
Né tra le lodi della carità la lode che essa crede tutto ( 1 Cor 13,7 ) si deve intendere così da accusare di scarsa carità chi non crede subito a ciò che ascolta.
Che anzi la medesima carità ci avverte che non si deve credere facilmente il male di un fratello e quando ne sente parlare considera piuttosto suo dovere non crederci.
Infine la stessa carità che crede tutto, non presta fede ad ogni ispirazione.
Perciò crede, sì, tutto, ma a Dio. Non è detto infatti: "Crede a tutti".
Non c'è dubbio quindi per nessuno che l'Apostolo esalta la fede con la quale si crede a Dio.
Ma c'è ancora qualcosa da precisare.
Credono a Dio anche quelli che sono sotto la legge e per timore della pena cercano d'attuare la propria giustizia, senza attuare quindi la giustizia di Dio. ( Rm 6,14 )
Questa si attua mediante la carità, alla quale non piace se non ciò che è lecito, e non mediante il timore, che nell'agire è costretto a seguire il lecito, mentre ben altro ha nel volere con il quale preferirebbe, se possibile, che fosse lecito ciò che non è lecito.
Anch'essi dunque credono a Dio, perché infatti, se non credessero in modo assoluto, non avrebbero nemmeno paura del castigo della legge.
Ma non è questa la fede che l'Apostolo elogia quando dice: E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre. ( Rm 8,15 )
Quello dunque è timore servile e quindi, benché in esso si creda al Signore, tuttavia non si ama la giustizia, ma si teme la condanna.
Al contrario i figli gridano Abbà, Padre.
Di queste due parole, una proviene dai circoncisi e l'altra dagli incirconcisi, prima i giudei e poi i greci, poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà i circoncisi con la fede e per la fede anche i non circoncisi. ( Rm 3,30 )
Gridando chiedono qualcosa. Che chiedono se non ciò di cui hanno fame e sete?
E questo cos'è se non la giustizia, secondo le parole: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati? ( Mt 5,6 )
Qua dunque passino coloro che sono sotto la legge, perché da servi diventino figli, né tuttavia in tal modo da cessare d'essere servi, ma da servire in libertà come figli a Dio qual Padrone e Padre, poiché anche questo potere hanno ricevuto: infatti l'Unico ha dato il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo nome. ( Gv 1,12 )
E li ha avvertiti di chiedere, cercare, bussare, perché ricevano e trovino e si apra ad essi, ( Mt 7,7 ) aggiungendo in tono di rimprovero: Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! ( Mt 7,11 )
Poiché dunque la legge come forza del peccato ha infiammato il pungiglione della morte ( 1 Cor 15,56 ) cosicché il peccato, prendendo occasione dal comandamento scatena ogni sorta di concupiscenza, ( Rm 7,8 ) a chi si deve chiedere la continenza se non a colui che sa dare cose buone ai suoi figli?
O forse l'uomo, insipiente com'è, non sa che nessuno può essere continente se non glielo dà Dio? ( Sap 8,21 )
Per saperlo dunque ha bisogno della stessa sapienza.
Perché allora non ascolta lo Spirito di suo Padre che parla per mezzo dell'Apostolo del Cristo, o perché non ascolta lo stesso Cristo che nel suo Vangelo dice: Chiedete e vi sarà dato? ( Mt 7,7; Lc 11,9 )
Parla pure in un altro suo apostolo e dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data.
La domandi però con fede, senza, esitare. ( Gc 1,5-6 )
Questa è la fede di cui vive il giusto. ( Rm 1,17 )
Questa è la fede con la quale si crede in colui che giustifica l'empio. ( Rm 4,5 )
Questa è la fede che esclude il vanto, ( Rm 3,27 ) tanto nel senso che sparisca l'orgoglio che ci gonfia, quanto nel senso che apparisca ancora di più il vanto per cui ci vantiamo nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Questa è la fede con la quale s'impetra l'abbondanza dello Spirito di cui si dice: Noi infatti per virtù dello Spirito attendiamo dalla fede la speranza della giustizia. ( Gal 5,5 )
E qui si può evidentemente cercare ancora se nella frase: La speranza della giustizia, la giustizia sia posta come soggetto che spera o come oggetto che si spera, poiché il giusto che vive mediante la fede spera senz'altro la vita eterna ( Rm 1,17 ) e ugualmente la fede che ha fame e sete della giustizia, con il rinnovamento sempre progrediente dell'uomo interiore, ( Mt 5,6; 2 Cor 4,16 ) avanza nella giustizia e spera di saziarsi di essa nella vita eterna, dove si avvererà ciò che di Dio si dice nel salmo: Egli sazia di beni i tuoi desideri. ( Sal 103,5 )
Questa è la fede per cui si salvano coloro ai quali si dice: Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.
Siamo infatti opera sua, creati nel Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha predisposte, perché noi le praticassimo. ( Ef 2,8-10 )
Questa è infine la fede che opera per mezzo dell'amore, ( Gal 5,6 ) non del timore, non spaventata dalla pena, ma innamorata della giustizia.
Da dove viene dunque cotesto amore, cioè la carità per la quale la fede si fa operosa, se non da Dio da cui la fede stessa l'ha impetrata?
Infatti non ci sarebbe in noi, per quanta poca ce ne sia, se non venisse riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Si dice proprio che è stata riversata nei nostri cuori la carità di Dio: non quella con la quale Dio stesso ama noi, ma quella con la quale Dio si fa amare da noi.
Allo stesso modo in cui la giustizia di Dio è quella per la quale diventiamo giusti noi per sua grazia, ( Rm 3,24 ) e la salvezza del Signore è quella con la quale egli salva noi, ( Sal 3,9 ) e la fede di Gesù Cristo è quella con la quale Gesù fa fedeli noi. ( Gal 2,16 )
Questa è la giustizia di Dio, che egli non solo ci insegna con i precetti della sua legge, ma ci elargisce altresì con il dono del suo Spirito.
Ma la logica ci porta ad indagare per un poco se il volere che impegnamo nel credere sia anch'esso dono di Dio o se l'esercitiamo in forza del libero arbitrio insito in noi per natura.
Se diciamo che non è dono di Dio, c'è da temere che pensiamo d'aver trovato alcunché per cui al rimprovero dell'Apostolo: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?
E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) possiamo rispondere: Ecco, abbiamo il voler credere che non abbiamo ricevuto, ecco dove ci vantiamo di non aver ricevuto.
Viceversa se diciamo che anche tale volere non è che dono di Dio, c'è ancora da temere che gli infedeli e gli empi abbiano diritto in apparenza di scusarsi: non hanno creduto, perché Dio non ha voluto dare ad essi cotesta volontà.
Quello infatti che è attestato dalle parole: È Dio che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni, ( Fil 2,13 ) è già effetto della grazia, che la fede impetra perché possano essere buone le opere dell'uomo.
Esse vengono compiute dalla fede mediante l'amore riversato nel nostro cuore dallo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Gal 5,6; Rm 5,5 )
Ma per impetrare questa grazia crediamo, ed è evidente che crediamo con la nostra volontà; di questa vogliamo sapere da dove ci venga.
Se dalla natura, perché non a tutti, essendo creatore di tutti lo stesso Dio?
Se da un dono di Dio, anche questo perché non a tutti, volendo egli che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità? ( 1 Tm 2,4 )
Prima di tutto bisogna dire questo, e vedere se basta a rispondere alla nostra questione: il libero arbitrio dato per natura dal Creatore all'anima razionale è una forza ambivalente che può tendersi a credere o inclinarsi a non credere.
Perciò nemmeno di questa volontà con la quale crede a Dio può l'uomo dire di possederla senza averla ricevuta, poiché è per vocazione di Dio che il volere sorge dal libero arbitrio ricevuto dall'uomo in dote di natura al momento della sua creazione.
Dio poi vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità, ( 1 Tm 2,4 ) ma senza togliere tuttavia ad essi il libero arbitrio, del cui uso buono o cattivo saranno giudicati con assoluta giustizia.
Usando male del libero arbitrio, gli infedeli che non credono al Vangelo agiscono certo contro la volontà di Dio, ma non per questo vincono contro di essa: piuttosto privano se stessi di un grande e sommo bene e si condannano a mali punitivi, destinati come sono a sperimentare nei castighi la potenza di colui del quale hanno disprezzato la misericordia nei doni.
Così la volontà di Dio rimane sempre invitta.
Sarebbe vinta invece, se Dio non trovasse che fare dei suoi disprezzatori o se questi potessero sfuggire in qualche modo a ciò che Dio ha stabilito per essi.
Immagina che uno per esempio dica: "Voglio che tutti questi miei servi lavorino nella vigna e che dopo il lavoro si riposino e banchettino, chi si ribella giri per sempre la mola nel molino".
Chi non obbedisce mostra evidentemente di agire contro la volontà del suo padrone, ma la vincerebbe se nel disprezzarla sfuggisse anche al molino.
Ciò non può in nessun modo avverarsi sotto il potere di Dio.
Perciò è scritto: Una volta sola ha parlato Dio, cioè immutabilmente, sebbene si possa intendere anche dell'unico Verbo.
Poi soggiunge che cosa abbia detto immutabilmente: Queste due cose ho udite: il potere appartiene a Dio e tua, Signore, è la misericordia; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo. ( Sal 62,12-13 )
Sarà dunque reo e destinato alla condanna sotto il potere di Dio chi avrà disprezzato la sua misericordia che lo chiamava a credere.
Chi invece avrà creduto e si sarà rimesso a Dio per essere assolto da tutti i peccati e guarito da tutti i mali e acceso del suo calore e illuminato dalla sua luce, costui avrà dalla sua grazia le opere buone per poter essere redento anche nel corpo dalla corruzione della morte, sarà incoronato e saziato di beni non temporali, ma eterni, al di sopra di quello che possiamo domandare e immaginare. ( Ef 3,20 )
Questo è l'ordine che segue il salmo dove si legge: Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tante sue retribuzioni.
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia, egli sazia di beni i tuoi desideri. ( Sal 103,2-5 )
E perché, la deformità della presente condizione di questo vecchio regime, cioè della mortalità, non disperasse di beni così grandi, dice: Tu rinnovi come aquila la tua giovinezza. ( Sal 103,5 )
Quasi dicesse: "I benefici che hai uditi appartengono all'uomo nuovo e al testamento nuovo".
Ripassali con me un poco, ti prego, e vedi con piacere l'elogio della misericordia, cioè della grazia di Dio.
Dice: Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tante sue retribuzioni. ( Sal 103,2 )
Non dice: "attribuzioni", ma retribuzioni, perché Dio retribuisce beni per mali.
Perdona tutte le tue colpe: ciò avviene nel sacramento del battesimo.
Guarisce tutte le tue malattie: ( Sal 103,3 ) sono i malanni dell'uomo fedele durante la vita presente, perché la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne, sicché non facciamo quello che vorremmo; ( Gal 5,17 ) perché nelle membra un'altra legge muove guerra alla legge della mente; perché c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo: ( Rm 7,23 ) e questi malanni del vecchio regime, se progrediamo con perseverante proposito, guariscono, crescendo di giorno in giorno il nuovo regime, in virtù della fede che opera per mezzo dell'amore. ( Gal 5,6 )
Libera dalla fossa la tua vita: ( Sal 103,4 ) ciò avviene nell'ultima risurrezione dei morti.
Ti corona di grazia e di misericordia: ( Sal 104,4 ) ciò avviene nel giudizio dove, quando il giusto Re si sarà assiso sul trono per rendere a ciascuno secondo le sue opere, chi si glorierà d'avere il cuore puro o chi si glorierà d'essere mondo dal peccato? ( Pr 20,8-9; Mt 16,27 )
Per questo fu necessario ricordare la grazia e la misericordia del Signore qui dove poteva ormai sembrare che l'esazione dei debiti e la retribuzione dei meriti non lasciasse nessun posto alla misericordia.
Dunque corona di grazia e di misericordia, ma pur sempre secondo le opere. ( Sal 62,13 )
Sarà infatti collocato alla destra colui al quale sarà detto: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ( Mt 25,35 ) perché il giudizio sarà senza misericordia, ma contro chi non avrà usato misericordia; ( Gc 2,13 ) invece beati i misericordiosi, perché Dio avrà misericordia di loro. ( Mt 5,7 )
Quando poi quelli di sinistra saranno andati nella combustione eterna, ( Mt 25,46 ) e i giusti alla vita eterna, poiché, dice, questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo, ( Gv 17,3 ) in quella conoscenza, in quella visione, in quella contemplazione si sazierà di beni il desiderio dell'anima. ( Sal 103,5 )
Ciò infatti le basta da solo e non ha che desiderare, che ambire, che cercare oltre a ciò.
Ardeva infatti del desiderio di questa sazietà colui che disse al Cristo Signore: Mostraci il Padre e ci basta.
Gli fu risposto: Chi ha visto me ha visto il Padre.
Perché, questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. ( Gv 14,8-9 )
Ma se chi vede il Figlio vede anche il Padre, certamente chi vede il Padre e il Figlio vede anche lo Spirito Santo del Padre e del Figlio.
Così da una parte non togliamo il libero arbitrio e dall'altra l'anima nostra benedice il Signore ( Sal 103,2 ) senza dimenticare nessuno dei suoi benefici, né ignorando la giustizia di Dio pretende di stabilire la propria, ( Rm 10,3 ) ma crede in colui che giustifica l'empio e, finché non sia ammessa alla visione, vive mediante la fede ( Rm 1,17; Rm 4,5 ), cioè vive mediante quella fede che opera per mezzo dell'amore. ( Gal 5,6 )
E questo amore non viene riversato nei nostri cuori né dalla sufficienza della nostra volontà, né dalla lettera della legge, ma, dallo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Basti fino a questo punto questa discussione, se basta a risolvere tale questione.
Ma qualcuno potrebbe rispondere che occorre guardarsi dal lasciare il sospetto che si deve attribuire a Dio il peccato commesso con il libero arbitrio quando, in forza delle parole: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) si riduce a un dono di Dio anche la volontà con la quale crediamo, per la ragione appunto che il volere sorge dal libero arbitrio ricevuto da noi al momento della creazione.
Noti con attenzione l'obiettante che questa nostra volontà non va attribuita a dono di Dio soltanto perché sorge dal libero arbitrio creato insieme a noi per natura, ma anche perché Dio con le suggestioni da noi avvertite fa sì che noi vogliamo e crediamo.
Dio infatti ci spinge sia dall'esterno con le esortazioni evangeliche, dove anche i precetti della legge influiscono in qualche modo ricordando all'uomo la sua infermità allo scopo preciso che pieno di fede ricorra alla grazia giustificante; sia dall'interno dove non è in potere di nessuno scegliere che cosa gli deve sorgere in mente, ma è in potere della propria volontà di ciascuno consentire o dissentire.
Quando Dio dunque agisce in questi modi con l'anima razionale perché essa gli creda ( e non può infatti l'anima credere a nulla con il libero arbitrio senza un'azione suasiva o una vocazione che le presenti qualcosa a cui credere ), certamente Dio produce nell'uomo anche la stessa volontà di credere, ( Fil 2,13 ) e la sua misericordia ci previene in tutto. ( Sal 59,11 )
Consentire invece alla vocazione di Dio o dissentire da essa, come ho detto, è in potere della volontà propria di ciascuno.
E ciò non solo non infirma le parole: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) ma anzi le conferma.
L'anima appunto non può ricevere e possedere i doni rispetto ai quali ascolta quelle parole dell'Apostolo se non consentendo, e quindi che cosa l'anima possieda e che cosa essa riceva dipende da Dio, ma ricevere di fatto e possedere dipende senza dubbio dall'anima che riceve e possiede.
Se poi qualcuno a questo punto vuole costringerci a scrutare il profondo arcano per cui con uno l'azione suasiva riesce ad essere persuasiva e con un altro no, due sole verità mi si presentano adesso con le quali mi piace rispondere: O profondità della ricchezza! ( Rm 11,33 ) e: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? ( Rm 9,14 )
Se questa risposta a qualcuno dispiace, cerchi persone che ne sappiano di più, ma stia ben attento a non incappare in persone che solo presumano di saperne di più.
Concludiamo dunque una buona volta questo libro.
Con tutta la sua lunghezza non so se abbiamo combinato qualcosa, non dico nei riguardi di te di cui conosco la fede, ma nei riguardi degli animi di coloro per i quali hai voluto che lo scrivessi.
Costoro si oppongono non tanto alla nostra sentenza, né ad una sola sentenza di S. Paolo - e qui voglio parlare con benevolenza per non dire che essi vanno contro la sentenza di colui che ha parlato nei suoi Apostoli -, ma si oppongono a tutta la battaglia fervida, attenta, vigile di un così grande apostolo come Paolo.
Preferiscono difendere la propria sentenza piuttosto che ascoltare lui, il quale per la misericordia di Dio scongiura e raccomanda per la grazia che gli è stata concessa: ( Rm 12, 1.3 ) Non sopravvalutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. ( Rm 12,3 )
Per quanto poi riguarda te, considera quale questione mi avevi proposta, e quale soluzione abbiamo trovata con il lavoro così lungo di questa trattazione.
Il dubbio che ti colpì è precisamente questo: come si sia potuta affermare la possibilità che un uomo, se non viene meno la sua volontà, viva senza peccato con l'aiuto di Dio, sebbene nessuno sia mai esistito in questa vita con tanta perfezione di giustizia o esista o sia per esistere.
In questi termini infatti io proposi tale questione nei libri scritti a te precedentemente: "Se mi si interpella sulla possibilità che l'uomo in questa vita sia senza peccato, confesserò che può esserlo con la grazia di Dio e con il suo libero arbitrio.
Non esiterò ad affermare che anche il libero arbitrio appartiene alla grazia di Dio, cioè ai doni di Dio, e non solo perché sia, ma perché sia buono, cioè si converta ad osservare i comandamenti del Signore, e in tal modo la grazia di Dio non solo indichi cosa si deve fare, ma aiuti altresì a poter fare quanto ha indicato".1
A te però è sembrato assurdo che sia senza un esempio ciò che è possibile.
Di qui è nata la discussione di questo libro e quindi mi toccava dimostrare che in teoria qualcosa è possibile anche se in pratica non ci sono esempi.
Ho riferito nell'esordio di questo libro alcuni casi dal Vangelo e dalla Legge, come il passaggio d'un cammello per la cruna d'un ago, ( Mt 19,24 ) le dodicimila legioni di angeli che avrebbero potuto combattere a favore del Cristo se egli l'avesse voluto, ( Mt 26,53 ) le genti che Dio dice di poter sterminare in una sola volta davanti al suo popolo: ( Dt 31,3; Gdc 2,3 ) tutte possibilità che non si sono avverate.
A queste si può aggiungere quanto si legge nel libro della Sapienza sul numero e sulla novità delle punizioni che Dio potrebbe sperimentare sugli empi, obbedendo la creazione al cenno del suo Creatore ( Sap 16,24 ) e che tuttavia non ha mai sperimentate.
Si può aggiungere anche il monte che la fede potrebbe spostare in mare ( Mc 11,23 ) e che nondimeno non abbiamo mai letto o udito che sia accaduto da nessuna parte.
Chiunque infatti dice impossibile a Dio qualcuno di questi eventi, tu vedi bene quanto sragioni e come parli contro l'autorità della Scrittura stessa di Dio.
Molti altri eventi simili possono offrirsi a chi legge o riflette, eventi che non possiamo dire impossibili a Dio, benché di essi manchi un qualsiasi esempio.
Ma poiché si potrebbe dire che tutte queste possibilità riguardano l'operare di Dio, mentre vivere nella giustizia da parte dell'uomo riguarda l'operare nostro, mi sono sobbarcato a dimostrare che anche il nostro vivere nella giustizia è opera di Dio e l'ho fatto in questo libro più abbondantemente di quanto forse poteva bastare.
Ma contro i nemici della grazia di Dio mi sembra d'aver detto perfino poco.
Niente mi diletta dilungarmi tanto nel dire come e quando trovo nella Scrittura di Dio il più forte sostegno e insieme quando si tratta di far gloriare in Dio chi vuol gloriarsi ( 2 Cor 10,17 ) e di rendere da parte nostra grazie in tutto al Signore Dio nostro con il cuore volto all'alto da dove il Padre della luce dona ogni buon regalo e ogni dono perfetto. ( Gc 1,17 )
Poiché, se il nostro vivere nella giustizia non è opera di Dio per la ragione che siamo noi a farlo o per la ragione che siamo noi a farlo dopo che Dio ce ne ha fatto dono, allora non sarebbe opera di Dio nemmeno il trasferimento di quel monte in mare, perché il Signore lo disse possibile alla fede degli uomini e l'attribuì al loro stesso operare dicendo: Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo monte: Lèvati e gettati in mare, e ciò avverrebbe.
Nulla sarà impossibile a voi. ( Mt 17,19; Lc 17,6; Mc 11,23 )
Ha detto precisamente: A voi, non "a me" o "al Padre", e tuttavia in nessun modo un uomo lo fa se non perché è Dio a donare di farlo e a farlo.
Ecco la ragione per cui la perfetta giustizia rimane senza esempio tra gli uomini, pur non essendo impossibile.
Esisterebbe, se si usasse tanta volontà quanta ne occorre a tanto risultato.
La volontà poi sarebbe tanta, se per un verso non rimanesse nascosta a noi nessuna delle verità che riguardano la giustizia e se per l'altro verso tali conoscenze fossero per il nostro animo così piacevoli che il loro piacere superasse quanto di dolore o di gioia vi si opponesse: e che ciò non sia non dipende da impossibilità, ma da un giudizio di Dio.
Chi non sa infatti che non è in potere dell'uomo sapere a suo piacere e che non è necessariamente oggetto d'amorosa ricerca ciò che si sa degno d'amorosa ricerca, se non suscita tanto piacere quanto è l'amore che merita?
Tutto questo poi è un problema di sanità dell'anima.
Ma forse qualcuno crederà che non manchi a noi nulla per conoscere la giustizia, perché il Signore, che sopra la terra portò a compimento con pienezza e rapidità la parola di Dio, ( Is 10,23; Rm 9,28 ) disse che tutta la Legge e i Profeti dipendono da due precetti.
E non li tacque, ma li presentò con parole esplicitissime: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Mt 22, 37.39 )
Che cosa più vera di questo, che adempiendo tali precetti si adempie tutta la giustizia?
Chi tuttavia è attento a questo, lo sia anche al fatto che noi tutti quanti manchiamo in molte cose, ( Gc 3,2 ) proprio mentre pensiamo che a Dio, da noi amato, piaccia o non dispiaccia ciò che facciamo, e poi, messi sull'avviso dalla sua Scrittura o da un qualche ragionamento certo e chiaro, quando siamo venuti a sapere che non gli piace, ce ne pentiamo e lo preghiamo di perdonarci.
La vita umana è piena di queste esperienze.
Ma da che dipende conoscere male che cosa piaccia a Dio se non dal conoscere male Dio stesso?
Infatti ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 )
Chi oserà credere che al momento in cui si avvererà quello che dice Paolo: Allora conoscerò perfettamente come anch'io sono conosciuto, i contemplatori di Dio avranno tanto amore di lui quanto ne hanno ora i fedeli?
O chi crederà che l'amore di ora sia in qualche modo da paragonarsi quasi da vicino all'amore di allora?
Ebbene, se quanto maggiore è la cognizione tanto maggiore sarà l'amore, senza dubbio quanto ora manca all'amore altrettanto si deve credere che manca alla perfezione della giustizia.
Infatti si può sapere o credere qualcosa e tuttavia non amarla, ma è impossibile amare ciò che non si sa né si crede.
Ora, se pur credendo, i santi sono potuti giungere a quell'amore così grande di cui lo stesso Signore ha testimoniato non potercene essere un altro più grande in questa vita, cioè all'amore per cui hanno dato la loro vita per la fede o per i fratelli, ( Gv 15,13 ) quando da questo pellegrinaggio in cui adesso camminiamo nella fede ( 2 Cor 5,7 ) si arriverà alla visione che speriamo senza vederla ancora e attendiamo con perseveranza, ( Rm 8,25 ) indubbiamente anche lo stesso amore non solo sarà superiore a quello che abbiamo presentemente, ma di gran lunga superiore a quanto possiamo domandare e immaginare, ( Ef 3,20 ) né tuttavia potrà per questo essercene di più che amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. ( Mt 22, 37.39 )
Infatti non resta nulla in noi da aggiungere al tutto, perché, se restasse qualcosa, quello non sarebbe il tutto.
Perciò questo primo precetto della giustizia che ci comanda di amare Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e con tutta la mente e a cui tiene dietro il secondo precetto di amare il prossimo, lo adempiremo esattamente in quella vita dove vedremo faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 )
Ma per questo il precetto della giustizia ci è stato imposto anche nella vita attuale: perché fossimo avvertiti da esso che cosa domandare con la nostra fede, dove lanciare la nostra speranza e come dobbiamo protenderci verso il futuro dimenticando il passato. ( Fil 3,13 )
E pertanto, a mio avviso, ha progredito molto nel perfezionare la sua giustizia in questa vita chi per l'esperienza del suo progredire sa quanto resti lontano ancora dalla perfezione della giustizia.
Ma, se si può dire che sia una specie di giustizia minore quella che compete a questa vita e per la quale il giusto vive mediante la fede, ( Rm 1,17; Gal 3,11 ) sebbene pellegrino dal Signore e quindi in cammino nella fede e non ancora nella visione, non è uno sproposito dire che anche a questa giustizia minore spetta di non peccare. ( 2 Cor 5,6-7 )
Né infatti deve già ascriversi a colpa se non ci può essere ancora tanto amore di Dio quanto n'è dovuto alla cognizione piena e perfetta.
Altro è infatti non possedere ancora tutta intera la carità, altro è non correre dietro a nessuna cupidità.
Perciò l'uomo, sebbene ami Dio meno di quanto lo può amare nella visione, non deve tuttavia bramare nulla d'illecito: come anche l'occhio può dilettarsi, se non c'è il buio, in mezzo agli oggetti che sono alla portata dei sensi del corpo, benché non possa fissarsi in una luce che per il suo splendore lo abbagli.
Ecco, come noi concepiamo l'anima che si trova in questo corpo corruttibile: sebbene non abbia ancora smaltito ed eliminato tutti gli istinti della libidine terrena con la supereminentissima perfezione della carità di Dio, ( 1 Gv 4,16 ) tuttavia in questa giustizia minore deve comportarsi così da non consentire per nessuna inclinazione alla libidine di compiere nulla d'illecito.
In questa maniera spicca quanto compete a quella vita già immortale e a questa vita terrena.
A quella vita si riferiscono le parole: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza, ( Dt 6,5 ) a questa vita alludono quest'altre: Non regni più il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri ( Rm 6,12 ); a quella vita: Non desiderare, ( Es 20,17 ) a questa: Non andare dietro alle tue concupiscenze; ( Sir 18,30 ) a quella vita spetta di non cercare più nient'altro che di rimanere in tale perfezione, a questa vita spetta di considerare come giornate di lavoro quello che sta facendo e di sperare come paga la perfezione dell'altra vita: cosicché per la vita di allora il giusto viva senza termine nella visione che ha desiderata nella vita di ora e viceversa per tutta la vita di ora il giusto viva di quella fede ( Rm 1,17 ) nella quale desidera la visione di allora come suo termine certo.
Stabilite queste verità, sarà peccato per le persone che vivono mediante la fede consentire eventualmente a qualche piacere illecito: non solo nel commettere i famigerati e orrendi fatti e misfatti, ma anche in peccati più lievi, come per esempio o prestare l'orecchio ad una voce che non sarebbe da udire o prestare la lingua ad una parola che non sarebbe da dire o accarezzare nell'intimo del cuore un pensiero così da preferire che fosse lecito ciò che ci diletta malamente e dalla legge conosciamo illecito: anche tutto questo è appunto consentire al peccato e si attuerebbe, se non ci atterrisse la pena.
Cotesti giusti che vivono mediante la fede, non hanno forse bisogno di dire: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori? ( Mt 6,12 )
Smentiscono forse essi ciò che sta scritto: Nessun vivente davanti a te è giusto? ( Sal 143,2 )
E pure l'altro testo: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi? ( 1 Gv 1,8 )
E l'altro: Non c'è nessuno che non peccherà? ( 1 Re 8,46 )
E l'altro: Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e che non peccherà? ( Sir 7,21 )
Ambedue queste testimonianze parlano non al passato, cioè: "Non abbia peccato", ma al futuro: Non peccherà.
E smentiscono costoro altri testi che la santa Scrittura porta nel senso di questa sentenza?
Ma poiché questi testi non possono essere falsi, vedo logico affermare: quale e quanta sia la giustizia da noi determinabile per questa vita, nessuno si trova qui che non abbia assolutamente nessun peccato, e ognuno deve dare perché gli sia dato, deve perdonare perché gli sia perdonato ( Lc 6,37-38 ); e se ha qualche giustizia, non presuma d'averla da se stesso, ma dalla grazia di Dio che giustifica, e tuttavia abbia ancora fame e sete di giustizia ( Mt 5,6 ) davanti a colui che è il pane vivo ( Gv 6,51 ) e nel quale c'è la sorgente della vita. ( Sal 36,10 )
Egli nei suoi santi che soffrono nella tentazione di questa esistenza opera la giustificazione in tal modo che per un verso ha sempre di che donare generosamente in soprappiù a coloro che chiedono e per un altro verso ha sempre di che perdonare con clemenza a coloro che si riconoscono peccatori.
Ma trovino costoro, se lo possono, tra quelli che vivono sotto il gravame della presente corruzione, una sola persona a cui Dio non abbia da perdonare più nulla.
Ad ogni modo se costoro non riconosceranno che costui è stato aiutato per essere tale non solo dal dono esterno della legge, ma anche dall'infusione interna dello Spirito di grazia, incorreranno non nella colpa di un peccato qualsiasi, ma in una colpa d'empietà.
Tuttavia è sicuro che non potranno trovare affatto un tale individuo, se intendono fedelmente quelle testimonianze divine.
In nessun modo però dobbiamo negare a Dio la possibilità d'aiutare così tanto la volontà umana da far sì che l'uomo possa raggiungere quaggiù la perfezione completa non solo della giustizia proveniente ora dalla fede ( Rm 10,6 ), ma altresì di quella in cui si dovrà vivere in avvenire per sempre nella stessa contemplazione di Dio.
Infatti, se ora Dio volesse che in qualcuno anche questo corpo corruttibile si vestisse d'incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ) e se facesse vivere costui qui immortale tra uomini morituri e volesse che, eliminato totalmente il vecchio regime, nessuna legge muovesse guerra nelle sue membra alla legge della mente ( Rm 7,23 ) e conoscesse Dio dovunque presente così bene come lo conosceranno in avvenire i santi, quale pazzo oserebbe affermare che Dio non lo può?
Ma certe creature umane vanno cercando perché mai Dio non lo faccia e coloro che lo vanno cercando non si rendono conto d'essere uomini.
Quanto a me, io so che in Dio, come non c'è impossibilità, così non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 )
Io so che Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia. ( Gc 4,6 )
Io so che a un tale, perché non montasse in superbia, fu messa una spina nella carne, ( 2 Cor 12,7 ) un messo di satana incaricato di schiaffeggiarlo; dopo aver pregato per una e due e tre volte, gli fu detto: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. ( 2 Cor 12,9 )
C'è dunque negli arcani e profondi giudizi di Dio qualcosa che tappa la bocca anche ai giusti per la lode di se stessi e non le consente d'aprirsi se non alla lode di Dio. ( Rm 3,19 )
Ma questo qualcosa chi è capace di scrutarlo, d'investigarlo, di conoscerlo?
Tanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose.
A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. ( Rm 11,33-36 )
Indice |
1 | De pecc. mer. et rem. 2, 6, 7 |