La Trinità |
Ma vediamo bene come l'affermazione dell'Apostolo secondo cui non la donna, ma l'uomo è immagine di Dio, non sia contraria a ciò che è detto nel Genesi: Dio fece l'uomo, lo ha fatto ad immagine di Dio; lo ha fatto maschio e femmina e li ha benedetti. ( Gen 1,27.28; Gen 5, 1.2 )
Secondo il Genesi è la natura umana in quanto tale che è stata fatta ad immagine di Dio, natura che si compone dei due sessi e quindi non esclude la donna, quando si tratta di intendere l'immagine di Dio.
Infatti, dopo aver detto che Dio ha fatto l'uomo ad immagine di Dio, aggiunge: Lo fece maschio e femmina, o distinguendo diversamente: li fece maschio e femmina.
Come può dunque l'Apostolo dire che l'uomo ( vir ) è immagine di Dio e per questo non deve velarsi il capo, ma che la donna non lo è per cui deve velarsi il capo? ( 1 Cor 11,5-7 )
Il motivo è, ritengo, quello che ho già indicato, quando ho trattato della natura dello spirito umano: la donna è con suo marito immagine di Dio, ( Gen 1,27; Gen 5,1; Gen 9,6 ) cosicché l'unità di quella sostanza umana forma una sola immagine; ma quando è considerata come aiuto, proprietà che è esclusivamente sua, non è immagine di Dio; al contrario l'uomo, in ciò che non appartiene che a lui, è immagine di Dio, ( 1 Cor 11,7 ) immagine così piena ed intera, come quando la donna gli è congiunta a formare una sola cosa con lui.
È ciò che abbiamo detto della natura dello spirito umano: quando si dedica tutto alla contemplazione della verità è immagine di Dio, ma quando qualcosa di esso si distacca e una parte dell'attenzione si applica all'azione delle cose temporali, nondimeno lo spirito, nella parte di esso che vede e consulta la verità, resta immagine di Dio, ma nella parte invece che si applica all'azione sulle realtà inferiori, non è immagine di Dio.
E, poiché esso quanto più si estende verso ciò che è eterno, tanto più ne è "formato"7 ad immagine di Dio, e perciò non si deve in questo costringerlo a moderarsi e a contenersi; per tal motivo l'uomo non deve velarsi il capo. ( 1 Cor 11,7 )
Ma poiché per l'azione razionale sulle cose temporali c'è il rischio di lasciarsi trascinare eccessivamente verso le realtà inferiori, per questo essa deve avere un potere sopra il suo capo, indicato dal velo, che significa che dev'essere contenuta. ( 1 Cor 11,5 )
È un simbolo, questo, mistico e pio, gradito agli Angeli santi.
Dio da parte sua non vede nel tempo e nessun elemento nuovo viene a modificare la sua visione e la sua scienza, quando avviene qualche avvenimento temporale e transitorio, come ne sono affetti i sensi carnali degli animali e degli uomini, o anche quelli spirituali degli Angeli.
7.11 Che con questa chiara distinzione del sesso maschile e femminile l'Apostolo abbia simboleggiato un più profondo mistero, si può anche comprendere da questo fatto che, dicendo egli in un altro passo che la vedova vera è desolata senza figli e senza nipoti e tuttavia deve sperare nel Signore e perseverare nella preghiera notte e giorno, ( 1 Tm 5,5 ) in questa stessa Epistola egli dice che la donna sedotta, caduta nella prevaricazione, si salva mediante la generazione dei figli, e aggiunge: se essi persevereranno nella fede, nella carità e nella santità con modestia. ( 1 Tm 2,15 )
Come se potesse nuocere alla buona vedova il non aver dei figli o, avendone, il fatto che questi si rifiutino di perseverare nei buoni costumi.
Ma, poiché quelle che sono chiamate le buone opere sono come i figli della nostra vita, in riferimento alla quale si domanda quale vita conduca ciascuno, cioè come compia queste azioni temporali - vita che i greci chiamano non ζωή, ma βίος, e queste buone azioni si praticano ordinariamente nelle opere di misericordia, ma le opere di misericordia non sono di alcuna utilità ai Pagani né ai Giudei che non credono a Cristo, né agli eretici e scismatici di qualsiasi specie, che non hanno né fede né amore, né santità accompagnata alla temperanza8 - risulta chiaro il pensiero dell'Apostolo.
Egli parla in un senso figurato e mistico dell'obbligo che ha la donna di velare il capo; ( 1 Cor 11,5 ) se queste parole non si riferissero a qualche mistero nascosto, sarebbero prive di senso.
7.12 Come ce lo mostra non solo la retta ragione, ma anche l'autorità dello stesso Apostolo, l'uomo fu creato ad immagine di Dio, ( Gen 1,26.27; Gen 5,1; Gen 9,6 ) non secondo la forma del corpo, ma secondo la sua anima razionale.9
È una opinione grossolana e vana quella secondo cui si ritiene che Dio è circoscritto e limitato da una configurazione di membra corporee.
Per di più il beato Apostolo non dice: Rinnovatevi nella vostra anima spirituale e rivestitevi dell'uomo nuovo, quello che è stato creato a immagine di Dio, ( Ef 4,23-24 ) e altrove, ancor più chiaramente non dice: Spogliatevi dell'uomo vecchio e delle sue azioni, rivestitevi dell'uomo nuovo che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che lo ha creato? ( Col 3,9-10 )
Se dunque ci rinnoviamo nella nostra anima spirituale e l'uomo nuovo è colui che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che l'ha creato, non c'è alcun dubbio che non è secondo il corpo, né secondo una qualsiasi parte dell'anima, ma secondo l'anima razionale la quale può conoscere Dio, che l'uomo è stato fatto ad immagine di Colui che l'ha creato.
Inoltre per questo rinnovamento noi diventiamo altresì figli di Dio, con il battesimo di Cristo e rivestendoci dell'uomo nuovo, ci rivestiamo di Cristo per mezzo della fede. ( Gal 3,26-27; Col 3,10 )
Chi dunque potrebbe pretendere di escludere le donne da questa partecipazione, dato che esse sono nostre coeredi della grazia e visto che l'Apostolo dice in un altro passo: Voi siete infatti tutti figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù, perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.
Non c'è più né Giudeo, né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, perché siete tutti uno solo in Gesù Cristo? ( Gal 3,26-28 )
Si dovrà dunque pensare che le donne che credono hanno perduto il loro sesso?
No, ma poiché si rinnovano ad immagine di Dio, ( Col 3,10 ) là dove non entra il sesso, perciò, ivi stesso ove il sesso non entra, l'uomo è stato fatto ad immagine di Dio, ( Gen 9,6 ) cioè nella sua anima spirituale. ( Ef 4,23 )
Perché allora l'uomo non deve velare il suo capo perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna deve velarlo, perché è gloria dell'uomo, ( 1 Cor 11,7 ) come se la donna non si rinnovasse nella sua anima spirituale, che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che l'ha creata? ( Col 3,10; Ef 4,23 )
Perché, essendo la donna differente dall'uomo per il suo sesso, poté giustamente raffigurarsi nel velo del suo capo quella parte della ragione che si abbassa a dirigere le attività temporali.
L'immagine di Dio non risiede se non nella parte dello spirito dell'uomo che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene, parte che, come è manifesto, possiedono non solo gli uomini, ma anche le donne. ( 1 Cor 11,5-7 )
Dunque nei loro spiriti si riconosce una natura comune, nei loro corpi è invece raffigurata una diversità di funzioni di questo solo e medesimo spirito.
Salendo perciò interiormente alcuni gradini attraverso le varie parti dell'anima con la riflessione, dove cominciamo a trovare in essa qualcosa che non ci è comune con gli animali, lì incomincia la ragione, in cui si può già riconoscere l'uomo interiore.
Anche questi, se sotto l'influsso di quella ragione che è stata delegata all'amministrazione delle cose temporali scivola eccessivamente, con rapido cammino, verso le cose esteriori, con il consenso del suo "capo", cioè senza che lo trattenga e lo raffreni quella parte della ragione che comanda nella specola del consiglio e compie in qualche modo la funzione dell'uomo, invecchia in mezzo ai suoi nemici, ( Sal 6,8 ) i demoni invidiosi della sua virtù, con il loro principe, il diavolo, e la visione delle cose eterne è sottratta allo stesso "capo", che con la sua sposa mangia il frutto proibito, cosicché la luce dei suoi occhi non è più con lui. ( Sal 38,11 )
Così, spogliati ambedue di quella illuminazione della verità, ed essendo aperti gli occhi della loro coscienza per vedere quanto siano rimasti disonesti e laidi, uniscono insieme delle belle parole senza il frutto delle buone opere, cosicché, pur vivendo male, nascondono la loro turpitudine sotto l'apparenza di buone parole, come unendo insieme delle foglie che annunciano dolci frutti, ma senza questi stessi frutti. ( Gen 3 )
9.14 Innamorata del suo potere l'anima scivola dall'universale, che è comune a tutti, al particolare, che le è proprio per quella superbia che è forza di separazione, chiamata inizio del peccato, ( Sir 10,15 ) mentre, se avesse seguito Dio come guida nell'universalità della creazione, avrebbe potuto essere governata in maniera perfetta dalla legge divina.
Desiderando invece qualcosa di più dell'universo, e avendo preteso di governarlo con la propria legge, precipita nella cura del particolare, perché non c'è nulla al di là dell'universo e così, desiderando qualcosa di più, diminuisce; per questo l'avarizia è chiamata radice di tutti i mali; ( 1 Tm 6,10 ) e questo tutto in cui essa si sforza di agire in maniera sua propria contro le leggi dalle quali è governato l'universale, lo regge con il suo corpo, che può avere solo un possesso parziale; e così affascinata dalle forme e dai movimenti corporei, dato che non li possiede nella sua interiorità, si involge nelle loro immagini, che ha fissato nella memoria, e si inquina vergognosamente per la fornicazione dell'immaginazione, riferendo tutte le sue attività a quei fini per cui cerca con inquietudine le cose corporee e temporali per mezzo dei sensi corporei, o, con fasto orgoglioso, affetta di essere superiore alle altre anime dedite ai sensi corporei o si immerge nel gorgo fangoso della voluttà carnale.
Quando dunque l'anima con retta intenzione cerca, sia per sé, sia per gli altri, di attingere i beni interiori e superiori che sono posseduti con casto amplesso, non come un qualcosa di privato, ma come un qualcosa di comune, senza esclusione od invidia, da tutti coloro che li amano, anche se essa sbaglia in qualche punto per ignoranza delle cose temporali, dato che compie questo nel tempo, e non agisce come si deve, si tratta di una tentazione umana. ( 1 Cor 10,13 )
Ed è gran cosa passare questa vita, che è come una via che prendiamo per ritornare, senza lasciarci sorprendere da nessuna tentazione, se non umana.
Questo peccato infatti è esteriore al corpo; ( 1 Cor 6,18 ) non è considerato come fornicazione e per questo ottiene molto facilmente perdono.
Quando invece compie qualcosa per conseguire quegli oggetti che sono percepiti per mezzo del corpo, per desiderio di farne esperienza, di eccellervi, di entrare con essi in contatto, in vista di riporre in essi il fine del suo bene, qualunque cosa faccia, agisce in maniera turpe e fornica, peccando contro il proprio corpo, ( 1 Cor 6,18 ) e trasportando all'interno di sé le immagini menzognere delle cose corporee e combinandole in vane fantasticherie, così da giungere al punto che niente le apparisca divino se non quello che è sensibile, egoisticamente avara, si riempie di errori e, egoisticamente prodiga, si svuota di forze.10
Né si precipita sin dall'inizio tutto d'un colpo in una fornicazione così turpe e miserevole, ma come è scritto: Colui che disprezza le piccole cose, a poco a poco cadrà. ( Sir 19,1 )
Allo stesso modo infatti che il serpente non avanza a passi franchi, ma striscia con l'invisibile movimento delle sue squame, così il movimento scivoloso della caduta trascina a poco a poco quelli che si abbandonano e, cominciando dal desiderio perverso di rassomigliare a Dio, giunge fino a far rassomigliare agli animali. ( Gen 3,5-6; Qo 3,18; Sal 49,13 )
Ecco perché, spogliati della stola prima, i progenitori hanno meritato, ( Gen 3,7.21 ) divenuti mortali, di rivestire tuniche di pelle.11
Infatti il vero onore dell'uomo consiste nell'essere l'immagine e la somiglianza di Dio, ( Gen 1,26.27; Gen 3,21; Gen 5,1; Gen 9,6 ) immagine che non si conserva se non andando verso Colui dal quale è impressa.
Ne consegue che tanto più ci si unisce a Dio, quanto meno si ama ciò che si possiede in proprio.
Ma il desiderio di fare esperienza del proprio potere fa ricadere, per un suo capriccio, l'uomo su se stesso come su un grado intermedio.
Così quando pretende di essere come Dio, a nessuno sottoposto, per punizione viene precipitato, lontano persino da quel grado intermedio che è lui stesso, in ciò che vi è di più basso, cioè in ciò che fa la felicità degli animali.
E così, consistendo il suo onore nell'essere l'immagine di Dio, il suo disonore nell'essere immagine della bestia: L'uomo posto in dignità, non lo comprese; si è assimilato agli animali senza ragione ed è divenuto simile a loro. ( Sal 49,13 )
Per dove compirebbe dunque un così lungo tragitto che porta dalle vette più alte alle cose più basse, se non passando per quel grado intermedio che è lui stesso?
Infatti quando, trascurando l'amore della sapienza, che rimane sempre immutabile, si desidera la scienza che viene dall'esperienza delle cose mutevoli e temporali, scienza che gonfia, non edifica, ( 1 Cor 8,1; Sap 9,15 ) l'anima, per questo, soccombendo come al suo peso, e cacciata dalla beatitudine e facendo esperienza di quel grado intermedio che è essa stessa, apprende, per il suo castigo, quale differenza separa il bene che ha abbandonato dal male che ha commesso e per l'effusione e la perdita delle sue forze non è capace di ritornare indietro, se non per la grazia del suo Creatore che la chiama alla penitenza e le rimette i peccati.
Chi libererà infatti l'anima infelice da questo corpo di morte, se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore? ( Rm 7,24-25 )
Di questa grazia parleremo a suo luogo, quando egli ce lo concederà.
Completiamo ora, con l'aiuto del Signore, lo studio intrapreso circa quella parte della ragione alla quale appartiene la scienza, cioè la conoscenza delle cose temporali e mutevoli, necessaria per esplicare le attività di questa vita.
Come nella storia da tutti conosciuta della prima coppia umana, il serpente non mangiò del frutto proibito, ma soltanto persuase a mangiarne, e la donna non fu la sola a mangiarne, ma ne diede a suo marito, e ne mangiarono insieme, sebbene abbia parlato da sola con il serpente e sia stata la sola ad essere sedotta da esso, ( Gen 3,1-6 ) così anche in quest'altro matrimonio misterioso e segreto, che si attua e si riconosce pure in ogni uomo considerato individualmente, il movimento carnale o, per dir così, il movimento sensuale dell'anima, che pone tutta la sua attenzione ai sensi del corpo e ci è comune con gli animali, è estraneo alla ragione che si applica alla sapienza.
Il senso corporeo infatti percepisce le cose corporee, la ragione che si applica alla sapienza ha l'intelligenza delle cose immutabili e spirituali.
Ora l'appetito è vicino alla ragione che si applica alla scienza, in quanto la scienza, detta dell'azione, ragiona sulle stesse cose corporee percepite dai sensi del corpo; ma se il suo ragionamento è buono lo fa per riferire quella conoscenza al fine del Bene sommo, se è invece cattivo lo fa per fruire di quelle cose come di beni tali in cui si possa riposare in una beatitudine menzognera.
Quando dunque questa attenzione dello spirito, che esercita la sua funzione attiva sulle cose temporali e corporee con la vivacità propria al ragionamento, si lascia attirare dal senso carnale od animale a fruire di sé, cioè a fruire di un bene egoistico e particolare, non del bene generale e comune, qual è il bene immutabile, allora è come se il serpente parlasse alla donna.
Consentire a questa attrattiva è mangiare del frutto proibito.
Però se questo consenso si limita ad una semplice compiacenza del pensiero, ma l'autorità di una decisione superiore trattiene le membra dall'abbandonarsi al peccato come strumenti d'iniquità, ( Rm 6,13 ) allora, mi sembra, è come se la donna sola mangiasse del frutto proibito.
Se, al contrario, consentendo al cattivo uso delle cose percepite per mezzo dei sensi del corpo si risolve di commettere qualunque peccato, anche col corpo, se ne ha il potere, bisogna allora intendere che quella donna ha dato al marito da mangiare, insieme a lei, del cibo proibito.
Infatti non si può decidere con lo spirito non solamente di compiacersi nel peccato di pensiero, ma anche di commetterlo con un atto, se l'attenzione dello spirito, che ha il potere assoluto di far agire le membra o di impedire che agiscano, non ceda e si abbandoni alla cattiva azione.
12.18 Certamente non si può negare che ci sia peccato, quando lo spirito si compiace solamente con il pensiero di cose proibite, deciso, è vero, a non commetterle, ma compiacendosi a trattenere e a ripensare delle immagini che avrebbe dovuto cacciare al primo loro apparire; ma questo peccato è molto minore che se si decidesse di doverlo anche mettere in atto.
Perciò si deve domandare perdono anche di tali pensieri, percuotersi il petto e dire: Rimetti a noi i nostri debiti, fare ciò che segue e aggiungere nella preghiera: come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )
Non è infatti come nel caso dei primi due uomini, quando ciascuna persona era responsabile per sé, e perciò se solo la donna avesse mangiato del frutto proibito, essa sola sarebbe stata condannata alla pena di morte.
Quando si tratta di un uomo solo, il caso è diverso.
Se il solo pensiero, compiacendosene, si pasce dei piaceri proibiti, da cui avrebbe dovuto distogliersi immediatamente, né si decide a compiere queste azioni cattive, ma si limita a ritenerne ed assaporarne le immagini, questo caso non si può paragonare a quello della donna che può essere punita senza l'uomo; guardiamoci bene dal crederlo.
Qui c'è una sola persona, un solo uomo, e sarà condannato tutto intero, a meno che questi che sono ritenuti peccati del solo pensiero, perché commessi senza il proposito di scendere all'azione, ma tuttavia con il proposito di trovarne diletto interiormente, non siano rimessi per mezzo della grazia del Mediatore.
12.19 In tutta questa discussione in cui abbiamo cercato di mostrare che esiste, nello spirito di ciascun uomo, una specie di matrimonio tra la ragione contemplativa e la ragione attiva, con l'attribuzione a ciascuna di funzioni diverse, ma senza compromettere l'unità dello spirito - e questo senza recar pregiudizio alla verità della narrazione della divina Scrittura che ci racconta dei due primi uomini, marito e moglie, origine del genere umano -, non avevamo altro fine che far intendere che l'Apostolo, dicendo che l'uomo solo, non la donna, è immagine di Dio, ha voluto, sebbene sotto l'immagine della distinzione di sesso tra due esseri umani, significare qualcosa che si deve cercare in ogni essere umano, considerato individualmente. ( 1 Cor 11,7 )
Non ignoro che, prima di noi, illustri difensori della fede cattolica12 e commentatori delle divine Scritture, cercando questi due principi nell'uomo individuale, la cui anima, buona nel suo insieme, considerarono come una specie di paradiso, affermarono che l'uomo rappresenta lo spirito, la donna il senso del corpo.
E se si accetta poi questa distinzione che vede nell'uomo l'immagine dello spirito, nella donna quella del senso del corpo, tutto sembra accordarsi in maniera perfetta qualora si considerino attentamente le cose, ma con questa riserva però: che è scritto che fra tutte le bestie e tutti gli uccelli non è stato trovato per l'uomo un aiuto simile a lui, ( Gen 2,20 ) ed allora fu creata la donna traendola dal suo costato. ( Gen 2,20-22 )
Per questo non ho creduto di dover considerare la donna come simbolo del senso corporeo che, come sappiamo, ci è comune con le bestie, ma ho voluto vedere in lei il simbolo di qualcosa che le bestie non avessero; così ho pensato che si dovesse invece vedere nel serpente il simbolo del senso corporeo; il serpente che è, secondo la Scrittura, il più astuto degli animali della terra. ( Gen 3,1 )
Fra quei beni naturali, che vediamo esserci comuni con gli animali, eccelle per la sua vivacità il senso, non quel senso di cui parla l'Epistola agli Ebrei, quando dice: Il nutrimento solido è per gli uomini perfetti, i cui sensi sono esercitati dall'abitudine a discernere il bene dal male, ( Eb 5,14 ) perché questi sono sensi della natura razionale ed appartengono all'intelligenza; quello invece è un senso corporeo che si divide in cinque sensi e mediante il quale non solo noi, ma anche le bestie, percepiscono le forme e i movimenti corporei.
13.21 Ma sia che si debba intendere in questo o in quel modo, o in un altro ancora, ciò che l'Apostolo dice quando afferma che l'uomo è immagine e gloria di Dio, la donna invece gloria dell'uomo, ( 1 Cor 11,7 ) in ogni caso appare chiaro che, quando viviamo secondo Dio, il nostro spirito, teso verso le perfezioni invisibili di Dio, deve progressivamente ricevere la sua forma modellandosi sulla sua eternità, sulla sua verità, sulla sua carità, ma che una parte della nostra attenzione razionale, cioè dello stesso spirito, deve essere diretta verso l'uso delle cose mutevoli e corporee, senza di che non si può vivere questa vita; ma non per conformarci a questo mondo, ( Rm 12,2 ) ponendo il nostro fine in questi beni e deviando su di essi il nostro appetito di felicità, ma perché, quanto facciamo razionalmente nell'uso dei beni temporali, lo facciamo senza cessare di contemplare i beni eterni da conseguire, passando attraverso quelli, unendoci a questi.
Perché anche la scienza è benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole gonfiare è dominato dall'amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come sappiamo, edifica. ( 1 Cor 8,1 )
Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere quella eterna, che è veramente beata.
C'è tuttavia una differenza tra la contemplazione delle cose eterne e l'azione con la quale facciamo buon uso delle cose temporali: quella si attribuisce alla sapienza, questa alla scienza.
Sebbene infatti anche la sapienza possa venir chiamata scienza, come lo mostra l'affermazione dell'Apostolo, che dice: Ora conosco parzialmente, allora conoscerò come sono conosciuto, ( 1 Cor 13,12 ) per questa scienza egli intende certamente la contemplazione di Dio, che sarà il premio supremo dei santi; tuttavia dove l'Apostolo dice: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito, ( 1 Cor 12,8 ) distingue, senza dubbio, l'una dall'altra, benché non spieghi la natura della loro differenza, e i caratteri che permettano di distinguerle.
Ma dopo aver scrutato le molteplici ricchezze delle sante Scritture, trovo scritta nel libro di Giobbe questa sentenza del santo uomo: Ecco, la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza. ( Gb 28,28 )
Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la contemplazione, la scienza l'azione.
In questo passo Giobbe identifica la pietà con il culto di Dio, che in greco si dice θεοσέβεια.
È questa la parola che si trova presso i codici greci in questo passo.
E fra le cose eterne che vi è di più eccellente di Dio, che solo possiede una natura immutabile?
E che è il culto di Dio, se non l'amore di lui, amore che ci fa desiderare di vederlo, che ci fa credere e sperare che lo vedremo, perché nella misura in cui progrediamo lo vediamo ora per mezzo di uno specchio, in enigma, ma un giorno lo vedremo nella sua piena manifestazione?
È ciò che dice l'apostolo Paolo quando parla della "visione" faccia a faccia; ( 1 Cor 13,12 ) è anche quello che dice l'apostolo Giovanni: Carissimi, ora siamo figli di Dio, e ciò che saremo un giorno non è stato ancora manifestato; ma sappiamo che al momento di questa manifestazione saremo simili a lui, perché lo vedremo come è. ( 1 Gv 3,2 )
In questi passi e in passi simili si tratta proprio, mi pare, della sapienza. ( 1 Cor 12,8 )
Astenersi invece dal male, ( Gb 28,28 ) ciò che Giobbe chiama scienza, appartiene certamente all'ordine delle cose temporali.
Perché è in quanto siamo nel tempo che siamo soggetti al male, che dobbiamo evitare, per giungere ai beni eterni.
Perciò tutto quanto compiamo con prudenza, forza, temperanza e giustizia, appartiene a quella scienza o regola di condotta, che guida la nostra azione nell'evitare il male e nel desiderare il bene; e le appartiene pure tutto ciò che, come esempio da evitare o da imitare e come conoscenza necessaria tratta da avvenimenti adatti ad illuminare la nostra vita, raccogliamo attraverso la conoscenza della storia.
Quando si parla di queste cose mi pare che il discorso riguardi la scienza e vada distinto da quello che concerne la sapienza ( 1 Cor 12,8 ) alla quale non appartengono né le cose passate né le future, ma quelle che sono presenti, e a causa di quella eternità in cui esistono, si chiamano passate, presenti e future senza alcuna mutazione di tempo.
Infatti non sono passate in modo che abbiano cessato di esistere, o future come se non esistessero ancora, ma esse hanno avuto sempre lo stesso essere e sempre l'avranno.
Permangono infatti, non però fisse in un'estensione spaziale come i corpi; ma nella loro natura incorporea le realtà intelligibili sono presenti allo sguardo dello spirito, come i corpi sono visibili e tangibili ai sensi corporei.
Ma non soltanto le ragioni intelligibili e incorporee delle cose sensibili, situate nello spazio, sussistono indipendentemente da ogni estensione, bensì anche quelle dei movimenti che passano nel tempo permangono indipendenti da ogni divenire temporale, essendo intelligibili, non sensibili.
Giungere ad attingerle con lo sguardo dello spirito è privilegio di pochi e quando vi si giunge, nei limiti del possibile, non vi permane colui stesso che vi è giunto, ma ne è come respinto dallo stesso offuscamento dello sguardo, e si ha così un pensiero passeggero di una cosa che non passa.
Tuttavia questo pensiero, avanzando attraverso quelle discipline che istruiscono l'anima, è affidato alla memoria, cosicché abbia dove ritornare, esso che è costretto ad allontanarsi.
Tuttavia se il pensiero non ritornasse alla memoria e se non vi ritrovasse ciò che le aveva affidato, come un ignorante sarebbe ricondotto a questo, come vi era stato condotto prima, e lo troverebbe dove l'aveva trovato prima, cioè in quella verità incorporea, da cui trarrebbe di nuovo una specie di copia che fisserebbe nella memoria.
Infatti non allo stesso modo, per esempio, che permane la ragione incorporea ed immutabile di un corpo quadrato, può permanere ad essa unito il pensiero dell'uomo, supponendo tuttavia che vi sia potuto giungere senza rappresentazione spaziale.
O ancora, se si coglie il ritmo di un'armonia melodiosa che scorre nel tempo, come immobile al di fuori del tempo in una specie di segreto e di profondo silenzio,13 vi si può pensare almeno per il periodo di tempo in cui si può udire quel canto; tuttavia quanto di ciò ha trattenuto lo sguardo, sebbene fugace, dello spirito ed ha depositato nella memoria, come inghiottendolo nello stomaco, esso potrà con il ricordo in qualche modo ruminarlo e far diventare conoscenza metodica ciò che abbia in tal modo appreso.
Se la dimenticanza ha tutto cancellato, sotto la guida dell'insegnamento si può di nuovo giungere a ciò che era interamente scomparso e così lo si ritroverà com'era.
Per questo Platone, quel celebre filosofo, si sforzò di persuaderci che le anime hanno vissuto quaggiù anche prima di unirsi a questi corpi e perciò si spiega che ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva, più che conoscenza di qualcosa di nuovo.14
Infatti racconta che, un fanciullo, interrogato su argomenti di geometria, rispose come un maestro assai versato in quella disciplina.
Interrogato per gradi e ad arte vedeva ciò che doveva vedere e diceva ciò che aveva visto.15
Ma se si trattasse qui di un ricordo di cose anteriormente conosciute, non sarebbe possibile a tutti o a quasi tutti rispondere a domande di tal genere.
Infatti non tutti furono geometri nella loro vita anteriore, essendo i geometri così rari tra gli uomini che a mala pena se ne può trovare qualcuno.
Bisogna piuttosto ritenere che la natura dell'anima intellettiva è stata fatta in modo che, unita, secondo l'ordine naturale disposto dal Creatore, alle cose intellegibili, le percepisce in una luce incorporea speciale, allo stesso modo che l'occhio carnale percepisce ciò che lo circonda, nella luce corporea, essendo stato creato capace di questa luce ed ad essa ordinato.
Infatti non è a dire che egli distingua, anche senza l'aiuto di un maestro, il bianco dal nero per il motivo che conosceva già queste cose prima di esistere in questo corpo.
Infine perché soltanto a riguardo delle cose intelligibili può accadere che qualcuno risponda, se lo si interroga ad arte, su ciò che appartiene a qualsiasi disciplina, sebbene la ignori del tutto?
Perché nessuno può far questo, riguardo alle cose sensibili, se non per quelle che ha visto una volta unito al suo corpo o per quelle cui ha creduto sulla testimonianza di coloro che le sapevano e le hanno comunicate per iscritto o con le loro parole?
Non si ha da credere infatti a coloro che raccontano che Pitagora di Samo si sarebbe ricordato di certe cose di cui aveva fatto esperienza quando viveva quaggiù in un altro corpo;16 altri narrano che alcuni altri avrebbero sperimentato nei loro spiriti qualcosa di simile.
Si tratta di false reminiscenze simili a quelle che proviamo per lo più nel sonno, quando ci sembra di ricordare, come se lo avessimo fatto o visto, ciò che non abbiamo né fatto né visto, e accade che simili affezioni si producano anche nell'anima di persone sveglie, per influsso degli spiriti maligni e ingannatori che si preoccupano di confermare e far nascere delle false opinioni sulla migrazione delle anime per ingannare gli uomini; lo si può provare a partire dal fatto che, se si ricordassero veramente le cose viste quaggiù prima, quando si viveva uniti ad altri corpi, si tratterebbe di un'esperienza comune a molti o a quasi tutti, perché, secondo tale opinione, si suppone un passaggio incessante dalla vita alla morte e dalla morte alla vita, come dalla veglia al sonno e dal sonno alla veglia.
Se dunque la vera differenza tra la sapienza e la scienza consiste in questo: che alla sapienza appartiene la conoscenza intellettiva delle cose eterne, alla scienza invece la conoscenza razionale delle cose temporali, non è difficile giudicare a quale si debba dare la precedenza, a quale l'ultimo posto.
Supponendo che si debba usare un altro criterio per distinguere queste due cose, che l'Apostolo senza alcun dubbio distingue, quando afferma: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito, ( 1 Cor 12,8 ) tuttavia anche in tal caso rimane assai chiara la distinzione che abbiamo fatto tra le due, per cui una cosa è la conoscenza intellettiva delle cose eterne, altra cosa la conoscenza razionale delle cose temporali; e nessuno dubita che bisogna preferire la prima alla seconda.
Lasciando dunque da parte ciò che appartiene all'uomo esteriore e desiderando elevarci interiormente al di sopra di ciò che abbiamo in comune con gli animali, prima di giungere alla conoscenza delle realtà intelligibili e supreme, che sono eterne, incontriamo la conoscenza razionale delle cose temporali.
Anche in essa sforziamoci dunque di vedere, se ci è possibile, una trinità, come ne abbiamo trovata una nei sensi corporei e un'altra nelle cose che per mezzo di essi sono entrate nell'anima e nel nostro spirito sotto forma di immagini; in luogo delle cose corporee che attingiamo dal di fuori, con i sensi corporei, avevamo in questo secondo caso le similitudini dei corpi impresse nella memoria, immagini che informavano il pensiero, intervenendo la volontà come terzo elemento che univa questo a quelle, a somiglianza di come era informato al di fuori lo sguardo degli occhi, che la volontà dirigeva verso la cosa visibile per produrre la visione, unendo l'uno all'altra, aggiungendosi, essa stessa, anche in questo caso, come terzo elemento.
Ma non facciamo entrare forzatamente tale argomento in questo libro, affinché, nel seguente, se Dio ci aiuterà, lo si possa indagare con pieno agio e si possa esporre ciò che avremo trovato.
Indice |
7 | Agostino, De Gen. ad litt. 3, 20: NBA, IX/2 |
8 | Agostino, De spir. et litt. 28: NBA, XVII/1 |
9 | Origene, In Gen. hom. 1, 3; 13, 4; Ambrogio, Hexaem. 6, 7, 40 - 8, 45 |
10 | Agostino, Retract. 2,41,4 |
11 | Porfirio, Ad Aneb.; Plotino, Enn. 1, 6, 7, 4-9; Origene, Hom. in Lev. 6, 2 |
12 | Tertulliano, De anima 18; Ambrogio, Noe 92; Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 62 |
13 | Virgilio, Aen. 10, 63; Orazio, Sat. 2, 6; 58; Ovidio, Metam. 1, 349; Quintiliano, Instit. 10, 3, 22 |
14 | Agostino,
Solil. 2,20,35; De quant. an. 20, 34: NBA, III/2; Ep. 7: NBA, XXI/1; Retract. 1,8,2 |
15 | Cicerone, Tuscul. 1, 24, 57; Platone, Men. 81d-84; Phaido 72e; Phaed. 249c-250 |
16 | Empedocle, Fragm. 129; Eracle Pontico, in Diogene Laerzio, De vir. ill. 8, 4 |