L'unicità del Battesimo contro Petiliano |
E, a questo proposito, non manchiamo di fare una distinzione: coloro che hanno abbandonato la Chiesa cattolica dopo esserne stati fedeli, devono subire una penitenza di maggiore umiliazione rispetto a coloro che non ne hanno mai fatto parte.
Essi non dovranno essere ammessi allo stato clericale [ nei casi seguenti ]:
se sono stati ribattezzati dagli eretici,
se sono ritornati fra loro dopo essere stati ammessi una prima volta fra noi, sia che appartenessero ai loro chierici sia ai laici.
I nostri, poi, qualora ignorassero questa regola e malauguratamente li chiamassero ad assumere lo stato clericale nella Chiesa cattolica o permettessero loro di restarvi, benché censurati con fraterna autorità dai [ vescovi ] più zelanti, non per questo pensino di poter conferire loro le dignità ecclesiastiche senza aver le prove, o almeno la fondata speranza, che costoro si siano emendati da quei mali.
Ecco dunque una calunnia gratuita, lanciata contro la Chiesa cattolica da coloro che con empio crimine si separano dalla sua unità.
Mi servirò piuttosto delle parole dell'Apostolo: L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia. ( Rm 1,18 )
Questa collera, salvo emendamenti, sorprenderà anche coloro che soffocano nell'ingiustizia del loro scisma sacrilego la verità del battesimo cristiano.
Invece la Chiesa cattolica, che, in base alle profezie, si espande fra tutte le nazioni con una prodigiosa fecondità, non libera nessuno dall'ingiustizia, in modo da distruggere in lui, non la sua propria verità, ma la verità del suo Signore.
Perché dunque costui esclama con una certa arroganza e audacia: " Io ho battezzato senza alcun timore colui che tu, sacrilego, hai inquinato; l'ho battezzato, dico; ho fatto ciò che fece l'apostolo Paolo "?
Legga allora il testo che riferisce questo gesto dell'apostolo Paolo.
Se vuole riferirsi all'episodio accaduto ad Efeso, ( At 19,1-5 ) abbia il coraggio di sostenere che Giovanni, un sacrilego, li inquinò!
Se poi non ha tanto ardire, poiché sarebbe un gesto clamoroso di empietà, la smetta una buona volta di strumentalizzare un episodio, del tutto estraneo alla questione, al fine di creare illusioni su false rassomiglianze!
Egli adduce anche il caso del vescovo di Cartagine, Agrippino, del glorioso martire Cipriano e dei settanta predecessori di Cipriano, i quali seguirono questa prassi e la mandarono in vigore.
O errore veramente esecrabile di uomini, che credono sia degno di lode imitare determinate azioni erronee, compiute da uomini illustri, dalle cui virtù sono ben lontani!
Anche per questo motivo, infatti, alcuni vogliono mettersi sullo stesso piano di Pietro, se hanno rinnegato Cristo; se poi hanno obbligato persino i pagani a compiere i riti giudaici, ci tengono a farsi chiamare suoi fratelli.
Tali comportamenti furono riprovevoli in quest'uomo così illustre, ma la grazia apostolica rifulse talmente in lui da cancellarli del tutto, per cui sostengo che non si può, non dico preferire, ma neppure uguagliare o paragonare con lui qualunque cristiano del nostro tempo, sia pure un vescovo, che non ha mai rinnegato Cristo né costretto i pagani a compiere riti giudaici. ( Gal 2,14 )
Stesso caso per il gloriosissimo martire Cipriano.
Se è vero che non voleva riconoscere il battesimo di Cristo, conferito dagli eretici o scismatici, poiché sentiva profonda avversione per coloro che con tanto dolore vedeva separati dall'unità cattolica, che amava immensamente, è altrettanto vero che, in seguito, si acquistò meriti così eminenti, da giungere fino al trionfo del martirio, e lo splendore della carità in cui eccelleva, dissolse quest'ombra, affinché il suo ricco virgulto diventasse ancor più fecondo di frutti: se doveva essere ancora purificato in qualche misura, in mancanza d'altro, lo sarebbe stato certamente sotto l'ultimo colpo di spada della passione suprema.
Neppure noi, che pur riconosciamo la verità del battesimo, e non la neghiamo, benché conferito nell'iniquità degli eretici, siamo per questo migliori di Cipriano, come non siamo migliori di Pietro per il solo fatto che non forziamo i pagani a giudaizzarsi.
La stessa cosa risponderei a proposito di Agrippino e degli altri vescovi, che sono considerati gli organizzatori di quei concili: essi, pur essendo di idee così discrepanti, con coloro che avevano un'opinione diversa su tale questione mantennero l'unità, nella quale la carità copre una moltitudine di peccati. ( 1 Pt 4,8 )
Poiché camminavano così nella verità della Chiesa, alla quale erano pervenuti, Dio poteva rivelare ad essi, secondo la parola dell'Apostolo, ( Fil 3,15 ) anche il punto su cui non pensavano in modo ortodosso.
Sorgeva allora, in effetti, una questione nuova: come dovevano essere accolti gli eretici.
Più di un fratello, acceso da santo e legittimo zelo contro i guasti dell'eresia, fu talmente turbato da questa novità, da credere che fosse necessario riprovare in essi anche ciò che, pur nel loro male, conservavano di buono.
Ecco in due parole il mio pensiero al riguardo: battezzare una seconda volta gli eretici, fatto che viene loro attribuito, fu allora frutto di un errore umano; ma battezzare per la seconda volta i Cattolici, come tuttora fanno costoro, è sempre e comunque frutto di presunzione diabolica.
Voglio però che costui mi risolva una difficoltà.
Quando ha elencato con ordine la serie dei vescovi della Chiesa di Roma, ha citato anche Stefano fra quelli che hanno esercitato l'episcopato in modo irreprensibile: e lo riconosce.
Ora, Stefano non solo non ribattezzava gli eretici, ma giudicava anche degni di scomunica quelli che lo facevano o ordinavano di farlo, come testimoniano le lettere di altri vescovi e di Cipriano stesso.5
Nonostante ciò, Cipriano restò con lui nella pace dell'unità.
Che cosa risponderanno su questo punto?
Spremano pure le loro meningi il più possibile, e vedano se sono in grado di rispondere!
Ecco: nella stessa epoca vivevano due personaggi, per non parlare di altri, che avevano opinioni differenti; essi erano due vescovi delle Chiese in assoluto più eminenti, cioè quella di Roma e quella di Cartagine: Stefano e Cipriano, ambedue ben fondati nell'unità cattolica.
Uno dei due, Stefano, era convinto che non si dovesse mai reiterare il battesimo e si indignava contro coloro che agivano così; Cipriano, al contrario, era convinto che fosse opportuno battezzare nella Chiesa cattolica coloro che erano stati battezzati nell'eresia o nello scisma, come se essi non avessero il battesimo di Cristo.
Molti concordavano con il primo, altri con il secondo; ma gli uni e gli altri erano solidali con loro nell'unità.
Se è vero, dunque, sostenere ciò che essi dicono - ed è sulla base di questo principio che essi tentano di rivendicare il diritto o giustificare la causa del loro scisma - e cioè che " nell'unica comunione dei sacramenti i cattivi inquinano i buoni, perciò si deve evitare il contagio dei malvagi con la separazione fisica, affinché non periscano tutti insieme ", si deve ammettere allora che dall'epoca di Stefano e di Cipriano la Chiesa andò perduta e non restava più nulla per coloro che venivano dopo di loro, ivi compreso lo stesso Donato, dalla quale sarebbe nato spiritualmente.
Se essi giudicano che questa ipotesi sia infamante, e lo è realmente, come mai la Chiesa ha continuato ad esistere da allora in poi e fino all'epoca di Ceciliano, di Maggiorino o di Donato, e non hanno potuto farla perire per inquinamento tutti coloro che furono ammessi nel suo grembo senza battesimo e, sempre secondo costoro, sotto il peso di tutti i loro peccati e crimini?
Né Cipriano, né i fautori della sua teoria sul battesimo hanno mai interrotto ogni rapporto di comunione con costoro, poiché ritenevano che nell'unità e nella comunione dei sacramenti di Cristo i peccati degli altri non potessero contaminarli.
Ecco come la Chiesa poté continuare a vivere in seguito: essa cresceva e si espandeva per tutta la terra, secondo quanto era stato predetto di lei, e i crimini altrui dei traditori o malfattori di ogni risma non potevano assolutamente inquinarla, come nell'unica aia il frumento non può essere contaminato dalla paglia fino al tempo della vagliatura, ( Mt 3,12 ) come nell'unica rete ( Mt 13,48 ) i pesci cattivi non possono rovinare i pesci buoni, nuotando insieme fino al momento di giungere a riva.
Non ci fu dunque altra ragione, se non una rabbia forsennata che, con il pretesto di evitare la comunione dei malvagi, li spinse a separarsi dall'unità di Cristo, che si estende nell'universo intero.
Costoro non avranno per caso inventato l'arte mirabolante di distinguere crimine da crimine?
Ispirandosi alle regole del discernimento, derivate non tanto dalle Scritture ma dal loro cuore, vanno dicendo che nell'unità della comunione dei sacramenti si sopporta ogni sorta di crimini altrui senza esserne contaminati; invece, nel caso del crimine di tradizione, tutti coloro che saranno in comunione di sacramenti con i traditori saranno inquinati.
Ma, su questo punto, è ormai inutile trascinare la polemica, tanto più che essi osano parlarne ben di rado.
Evidentemente anch'essi se ne vergognano, perché si rendono conto di parlare a vanvera e, quando ne parlano, non tentano di fondare le argomentazioni su qualche testimonianza divina.
Preferiscono, invece, quando imputano agli uni i peccati degli altri per giustificare l'empietà del loro scisma, avere spesso in bocca i seguenti testi:
Se vedi un ladro, corri con lui, ( Sal 50,18 )
e: Non farti complice dei peccati altrui, ( 1 Tm 5,22 )
e: Fuori, uscite di là e non toccate niente d'impuro, ( Is 52,11 )
e: Chi abbia toccato un immondo sarà immondo, ( Lv 22,4-6 )
e: Un po' di lievito fa fermentare tutta la massa, ( 1 Cor 5,6 ) ed altri testi simili.
In essi non si fa alcuna distinzione specifica fra il crimine di tradizione e gli altri crimini, viene invece escluso ogni tipo di complicità con il peccato.
Ora, se Cipriano avesse interpretato questi testi o precetti divini alla stregua di costoro, si sarebbe automaticamente separato da Stefano e non avrebbe perseverato con lui nella comunione dell'unità cattolica.
In effetti, se volessimo dar credito all'opinione che sostengono costoro riguardo al battesimo, [ Stefano ] ammettendo nella Chiesa gli eretici e gli scismatici, i quali non hanno il battesimo, sempre secondo la loro opinione, avrebbe comunicato con i peccati altrui, in quanto i peccati di quelli che non erano stati ancora lavati con il vero battesimo, restavano senza dubbio in loro.
Dunque, Cipriano avrebbe dovuto separarsi dalla comunione con lui per non camminare in compagnia di un ladro, per non comunicare con i peccati altrui, per non essere contaminato da un impuro, per non inquinarsi contattando un individuo contaminato, per non essere corrotto dal fermento altrui.
Ora, poiché lui non si è comportato così, ma ha perseverato con essi nell'unità, ne consegue logicamente che l'intera massa della stessa unità fu corrotta e la Chiesa non ha più potuto continuare ad esistere per dare alla luce in seguito i loro santi: Maggiorino e Donato!6
Naturalmente, non osando in alcun modo affermare una cosa simile, devono per forza concludere che i buoni hanno convissuto con i cattivi nella comunione dei sacramenti cristiani senza subire alcuna contaminazione e che la Chiesa di Cristo ha durato fino ai tempi di Ceciliano, non senza annoverare alcuni malfattori, come se fosse già [ mèsse ] riposta nel granaio, ( Mt 3,12 ) pur mescolata ancora con la paglia come se si trovasse sull'aia.
In tal modo essa ha potuto sopravvivere anche in seguito, come del resto al presente, finché nell'ultimo giorno del giudizio sarà mondata col ventilabro.
Che cosa si propone, dunque, questa loro incontenibile frenesia di separarsi dall'unità del corpo di Cristo, che, come si legge nei Profeti e si vede già in atto, si estende nell'universo intero e a tutte le nazioni?
Qui è proprio il caso di dire con la parola della Scrittura: Il figlio cattivo si vanta di essere giusto, ma non si lava per la sua partenza; ( Pr 24 sec. LXX ) cioè, egli non presenta né scuse, né motivazioni, né giustificazioni per aver avuto l'ardire, nel suo furore scismatico, di abbandonare la casa di Dio ( 2 Tm 2,20 ) per volgersi alla peste dell'eresia.
Se costui fosse stato veramente giusto, come lo era l'apostolo Paolo con i falsi fratelli, sui quali egli geme nelle sue Epistole, ( 2 Tm 2,17-20 ) e come lo era Cipriano con coloro che considerava ancora carichi dei loro peccati passati perché privi del battesimo, pur sapendo che erano stati ammessi nella Chiesa da Stefano, sarebbe restato nella Chiesa di Cristo senz'essere minimamente contaminato nella sua persona, vivendo a fianco di coloro che sapeva o riteneva ingiusti, e non avrebbe abbandonato i buoni a causa dei cattivi, ma avrebbe piuttosto tollerato i cattivi a motivo dei buoni, [ comportandosi ] come il grano che tollera, per il peso della carità, di essere triturato con la pula, non come la polvere lievissima che, ancor prima della vagliatura, s'invola al primo refolo di brezza.
In tal modo, costui avrebbe perseverato nell'unità cattolica insieme agli iniqui, che le reti devono necessariamente contenere fino a riva, ( Mt 13,48 ) senza per questo esporsi a camminare in compagnia di un ladro o essere coinvolto nei peccati altrui o contrarre le impurità di un essere immondo o imbrattarsi al contatto dell'impuro o essere corrotto dal fermento cattivo di chiunque.7
Tutto questo non può accadere senza dare il proprio consenso al peccato, di cui il serpente si servì, complice la donna, per sedurre il primo uomo perfino nello stato di felicità del paradiso, ( Gen 3,1-7 ) non quindi a causa della comunione dei sacramenti, nella quale l'impuro Giuda non poté contaminare i discepoli puri. ( Lc 22,19-21 )
Dai malvagi, poi, con i quali condividono i sacramenti di Dio, i buoni, pur essendo ancora sull'aia e non nel granaio, sono ben lontani e distinti, non tanto per la separazione dei corpi quanto per la difformità dei costumi: vivendo in maniera diversa, non entrando a far parte di conventicole estranee.
In tal modo, né diventano una cosa sola con i malvagi, né si separano dall'unità della Chiesa.
Perché, dunque, devono presentarci a tinte fosche il crimine commesso da fantomatici traditori, dei quali nonostante tutto mai sono riusciti a provare la colpevolezza?
Se però li difendessimo dalle loro calunnie, faremmo la figura di voler sostenere soltanto la causa del tale o del tal'altro, non la causa della Chiesa.
In breve, chiunque fosse il traditore, senza distinzione di persone o di paese d'origine, e non solo il peccato dei traditori, ma anche di coloro che costringevano a consegnare le Scritture, e di tutti i malfattori, criminali e sacrileghi, nessuno escluso, Stefano secondo loro li ammetteva nella Chiesa perché, se non avevano il battesimo, tutti i peccati e i misfatti che avevano commessi, per quanto orribili, restavano in loro per condannarli senza alcuna remissione di colpa.
Ecco chi ammetteva Stefano, ecco con chi viveva Cipriano nell'unità cattolica!
E tuttavia la Chiesa non crollò, ma riuscì a sopravvivere.
Pertanto i peccati altrui non inquinano chiunque vive nella sua unità.
Invano il figlio malvagio si affrettò ad uscire dalla famiglia di suo padre, invano egli si dice giusto: la sua partenza non lo rende puro. ( Pr 30,12 )
Forse obietteranno: coloro che Stefano ammetteva così, erano purificati in forza della loro partecipazione all'unità, poiché la carità copre una moltitudine di peccati. ( 1 Pt 4,8 )
Magari lo dicessero! È quanto infatti sosteniamo anche noi, quando li sollecitiamo o li imploriamo di far ritorno all'unità.
A questo punto, però, non ci sarebbe più fra noi disputa alcuna sul battesimo.
Se infatti coloro che sono stati battezzati nell'eresia o nello scisma, quando ritornano alla Chiesa sono purificati dalla stessa carità dell'unità, allora veramente non c'è più alcun motivo per ribattezzarli.
Vedi, dunque, quante cose costui ha detto a nostro favore in questo Discorso, al quale mi hai pregato di rispondere.
C'è ancora bisogno di confutare le sue accuse, lanciate contro i vescovi della Chiesa di Roma con incredibili calunnie?
Marcellino e i suoi presbiteri: Milziade, Marcello e Silvestro, si vedono incolpare da lui di aver consegnato i Libri sacri e offerto l'incenso!
Ma, con ciò, li ha forse confutati, o ci sono prove che documentano la loro colpevolezza?
Egli afferma che furono scellerati e sacrileghi, io ribatto che erano innocenti.
Perché affaticarmi a difendere la mia tesi, dal momento che lui non ha neppure tentato di provare debolmente la sua accusa?
Se c'è una qualche parvenza di umanità nelle questioni umane, sono convinto che noi potremmo essere ripresi a maggior ragione se, di fronte ad una denuncia contro individui sconosciuti, lanciata da avversari che non si preoccupano di dimostrare la colpevolezza di costoro con un minimo di prove, li credessimo colpevoli anziché innocenti; poiché, ammesso pure che sia vero il contrario, è certamente per un dovere di umanità che un uomo non pensa male nei confronti di un altro uomo senza alcun fondamento, e non presta fede facilmente a chiunque lancia accuse senza il sostegno di testimoni o di prove, e si presenta in veste di calunniatore ingiurioso piuttosto che di accusatore coscienzioso.
Ma c'è di più; ed è che Milziade, a quel tempo vescovo della Chiesa di Roma, il quale presiedeva il tribunale per ordine dell'imperatore Costantino, al quale gli accusatori del vescovo di Cartagine, Ceciliano, avevano deferito tutta la questione attraverso il proconsole Anulino, proclamò innocente lo stesso Ceciliano.
Ebbene, quando i loro antenati, contestarono davanti al citato imperatore questo processo con spudorata pervicacia, perché non era stato esaminato né chiarito in modo approfondito e corretto, non accennarono minimamente al reato di tradizione o di offerta dell'incenso sul conto di Milziade!
Certo, non avrebbero dovuto neppure appellarsi al suo tribunale, ma piuttosto suggerire preliminarmente all'imperatore o insistere per fargli suggerire che essi non potevano accettare che la loro causa fosse trattata davanti a uno che aveva consegnato i Libri santi e si era macchiato con i sacrifici agli idoli.
Essi né avevano dato in precedenza una simile interpretazione dei fatti, né si sono sognati di lanciare questa accusa dopo che fu pronunziato il verdetto contro di loro e a favore di Ceciliano, non fosse altro per il livore causato dalla loro sconfitta.
Perché dunque adesso, dopo tanto tempo, imbastiscono calunnie inconsistenti per offuscare la fama della stessa Chiesa di Roma, denigrando il comportamento del giudice Milziade, che si pronunziò per l'innocenza di Ceciliano, quando non sono mai riusciti, attraverso un qualsiasi loro procedimento giudiziario, a far condannare alcuno, né a far sostituire qualcuno dei loro nel ruolo di condannato?
Contro di essa, prima inviarono allo sparuto gruppetto di loro adepti africani alcuni amministratori, fatti venire da lontano e di nascosto, di cui costui non si vergogna di fare il nome,8 in attesa di dare in qualche modo a questa povera gente ingannata vescovi propri.
Tant'è vero che, dopo l'assoluzione di Ceciliano, essi denunziarono all'imperatore il vescovo d'Aphthungi, Felice: era lui il traditore, arcinoto a tutti; quindi Ceciliano, in quanto ordinato da un traditore, non avrebbe potuto essere vescovo.
Per il momento Costantino non si rifiutò di dar corso alla loro accusa, benché fosse al corrente della loro malafede nell'incriminare Ceciliano di fatti mai commessi, perciò ordinò di trattare la causa di Felice.
Essa fu istruita in Africa da Aeliano proconsole: anche Felice fu dichiarato innocente.
Sono a disposizione gli atti proconsolari: chi vuole, li prenda pure e li legga!
Questa sentenza non solo costituisce la prova culminante dell'innocenza di Ceciliano e la conferma della nettissima assoluzione dello stesso Felice, nonché l'esplicita condanna delle loro calunnie, che nel loro concilio lo avevano definito: fonte di tutti i mali, ma induce anche a pensare che la vita integerrima di Milziade non era stata minimamente intaccata dalle loro accuse.
Ci sarà mai qualcuno così insensato da credere che, coloro i quali non perdonarono a Felice di aver consacrato Ceciliano, avrebbero potuto perdonare Milziade di averlo assolto, se la vita di questo vescovo, pur non essendo compromessa da alcuna offesa all'integrità della sua coscienza, non fosse stata oscurata da una qualsiasi fama ostile?
O, forse, la montatura sulla sentenza del foro di Aphthungi poteva diventare la base delle loro accuse, mentre l'accertamento dei fatti, compiuto nel Campidoglio di Roma, sarebbe passato sotto silenzio?
Quanto a Mensurio, che cosa posso rispondere?
Durante il suo periodo e fino al giorno della sua morte, il popolo dell'unità non conobbe alcuna scissione: proprio le lettere di Secondo di Tigisi, nelle quali si asserisce che fosse ripreso, confermano il carattere pacifico delle loro relazioni episcopali e la loro ininterrotta unione con il collegio episcopale.
D'altronde, volendo manifestare ciò che pensava anche della Chiesa di Cirta e ingiuriando i vescovi cattolici di questa città con ogni sorta di insulti, quale risultato ottenne oltraggiando personaggi eminenti in santità, nostri contemporanei e ottimamente conosciuti da noi, se non mostrarci chiaramente che cosa dobbiamo pensare anche delle persone sconosciute che lui insulta alla stessa maniera?
Per cui, come sono stati manichei Profuturo, deceduto pochi anni fa, e il tuttora vivente Fortunato, che gli è succeduto nell'episcopato, così sono stati traditori questi individui assolutamente sconosciuti, vissuti tanto tempo prima di noi, che costoro non cessano di accusare, e di cui oggi noi sappiamo con certezza che la loro vita fu irreprensibile, quanto alle accuse di cui sono fatti oggetto.
Certamente non è una magra consolazione né una gloria da poco per ciascuno di noi essere incriminati dai nemici della Chiesa insieme alla Chiesa stessa; tuttavia la difesa della Chiesa non poggia sulla difesa di quegli uomini, che essi nominatamente perseguono con le loro false accuse.
Insomma, che importa sapere chi furono Marcellino, Marcello, Silvestro, Milziade, Mensurio, Ceciliano e gli altri, bersagliati con ogni tipo di calunnia da parte dei Donatisti, perché in qualche modo dovevano giustificare il loro scisma?
Costoro non pregiudicano minimamente la Chiesa cattolica, diffusa nel mondo intero!
La loro innocenza non diventa affatto la nostra corona, né la loro colpevolezza la nostra condanna.
Se furono buoni, la battitura sull'aia cattolica li ha purificati come il grano; se furono cattivi, la battitura sull'aia cattolica li ha triturati come la paglia.
Su quest'aia possono essere sia i buoni che i cattivi, al di fuori di quest'aia non possono essere i buoni.
Chiunque viene separato da questa unità dal vento della superbia, in quanto è soltanto paglia, perché mai se la deve prendere con l'aia del Signore a causa della paglia che vi è mescolata?
Anche noi diciamo, e non solo diciamo, ma lo comproviamo attraverso documenti scritti, sia ecclesiastici che civili, che Secondo di Tigisi, colui che a loro dire avrebbe riunito il concilio che condannò Ceciliano, accordò la pace ad alcuni traditori, rei confessi, per non provocare uno scisma, poiché lui stesso si vide accusare da Purpurio di Limata di aver consegnato le Scritture; diciamo anche che Vittore di Rusicada, Donato di Calama, Donato di Mascula, Marino di Acque Tibilitane e Silvano di Cirta sono stati a loro volta traditori e i più implacabili giustizieri dei presunti traditori. Questo lo proviamo sulla scorta degli atti ufficiali della Chiesa, della municipalità e del tribunale.
Ma non per questo i membri del partito di Donato sono tutti traditori, in quanto aderenti a quel partito; come pure non sarebbe innocente il partito di Donato, se costoro risultassero estranei al reato di tradizione.
A noi conviene piuttosto ascoltare la santa Scrittura, anziché calunniare qualcuno per i peccati commessi da altri o temere una simile calunnia da parte di chiunque.
In effetti: Morirà l'anima che pecca, ( Ez 18,4 ) e: Ciascuno porterà il proprio fardello, ( Gal 6,5 ) e: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, ( 1 Cor 11,29 ) non quella d'altri.
Si lascino crescere ambedue fino alla mietitura, per evitare che, raccogliendo prima del tempo la zizzania, non si sradichi insieme il grano buono; ( Mt 13,29-30 ) così come brucano insieme nei pascoli migliori i capri e gli agnelli, finché il Pastore infallibile non li separerà; ( Mt 25,32-33 ) come anche le reti dell'unità si riempiono di pesci finché non si tirano a riva, dove sarà fatta la selezione. ( Mt 13,47-48 )
Invece costoro, con il loro perverso e falso modo di pensare, pregiudicano se stessi, perché hanno la presunzione di essersi separati giustamente dalla comunione della Chiesa universale a causa dei peccati altrui: opinione assurda e folle, che li obbliga ad imputare i peccati di alcuni di loro a tutti.
Se essi giudicano questo una cosa giusta, sono colpevoli in blocco di ogni misfatto commesso e constatato in flagranza da uno qualsiasi di loro; se invece essi lo riconoscono ingiusto, come di fatto lo è, allora sono tutti colpevoli della più iniqua separazione.
Ma, poiché in questo Discorso si tratta piuttosto dell'unico battesimo, concludiamo la nostra discussione dal punto in cui è iniziata: come nella medesima unità dell'aia del Signore né si devono lodare i cattivi a causa dei buoni, né si devono abbandonare i buoni a causa dei cattivi, così in un medesimo individuo né per la misura di onestà che è in lui si deve accettare la sua disonestà, né per la misura di disonestà che è in lui si deve negare la sua onestà, poiché, anche nell'iniquità dei Giudei si trova la verità della resurrezione dei morti, anche nell'iniquità dei pagani si incontra la verità di un solo Dio che ha creato il mondo, anche nella iniquità di coloro che, non raccogliendo con Cristo, disperdono, ( Mt 12,30 ) si trova la verità che fa loro scacciare nel nome di lui lo spirito immondo, e nell'iniquità dei templi degli idolatri è stata riscontrata la verità che faceva loro adorare il Dio ignoto, ( At 17,23 ) come pure nell'iniquità dei demoni è stata riscontrata la verità che ha fatto loro confessare Cristo. ( Mc 1,24; Gc 2,19 )
Allo stesso modo, anche nell'iniquità degli eretici non si deve negare l'eventuale presenza della verità, nella quale essi conservano il sacramento del battesimo.
Indice |
5 | Cipriano, Epp. 70; 71; 72; 73; 74 |
6 | Vedi sopra 14,23 |
7 | Vedi sopra 14,24 |
8 | Vedi sopra 14,23 |