Teologia dei Padri |
Non ci deve turbare il fatto che molti si sottomettono al diavolo e pochi seguono Dio: anche il frumento, paragonato alla paglia, è molto minore per quantità.
Ma, come l'agricoltore sa ciò che deve fare di un gran mucchio di paglia, così per Dio è un nulla la moltitudine dei peccatori, perché egli sa come agire con loro, affinché il retto governo del suo regno non sia in minima parte turbato o deturpato.
E non dobbiamo pensare che il diavolo abbia vinto perché ha attratto a sé i più: viene vinto, insieme con quelli, dai meno.
Ecco dunque che, dall'inizio del genere umano sino alla fine dei secoli, vivono l'una accanto all'altra due città: una degli iniqui, l'altra dei santi; ora sono mescolate corporeamente ma separate nella volontà; nel giorno del giudizio dovranno essere separate anche nel corpo.
Dunque, tutti gli uomini che amano la superbia, il potere terreno con la sua boria e la sua arroganza, e anche tutti gli spiriti che hanno identico amore e cercano la loro gloria nella soggezione degli uomini, sono uniti in un'unica società; anche se spesso combattono tra di loro per queste loro mire, tuttavia un identico peso di desideri li fa precipitare nell'identico abisso, uniti tra di loro per la somiglianza delle abitudini.
Viceversa, gli uomini e tutti gli spiriti che cercano umilmente la gloria di Dio, non la propria, che sono a lui veramente devoti, appartengono a un'unica società.
Tuttavia Dio, pieno di somma misericordia, usa pazienza con gli uomini empi e concede loro spazio di penitenza e ravvedimento …
Agostino, Come catechizzare i principianti, 2,19
Esistono parecchi modi per realizzare la perfezione, a seconda della varietà delle circostanze, e, con il trascorrere del tempo, ciò che appariva perfetto in una determinata epoca, diviene, più tardi, imperfetto.
Mi spiego. Un tempo, vivere in conformità alla legge rappresentava la perfezione: Chiunque metterà in pratica i miei precetti, sta scritto, troverà in essi la vita ( Lv 18,5 ).
Il Cristo, però, è venuto a dimostrare che una perfezione del genere era, in realtà, imperfetta: Se la vostra giustizia non sarà superiore a quella degli scribi e dei farisei, ammonisce, non entrerete nel regno dei cieli ( Mt 5,20 ).
A quel tempo, soltanto l'omicidio era considerato come un crimine; oggi, al contrario, sarebbero sufficienti la collera e le ingiurie a farci meritare la geenna.
Unicamente l'adulterio, allora, era passibile di punizione; adesso anche soltanto lo sguardo colpevole gettato su di una donna ( Mt 5,28 ) non può sottrarsi al castigo.
In quell'epoca, il solo spergiuro procedeva dal Maligno; oggi, invece, qualsiasi giuramento è ispirato da quello: Ciò che vi si aggiunge, proviene dal Maligno ( Mt 5,37 ), è scritto.
Agli uomini di quel tempo si richiedeva semplicemente di corrispondere con altrettanto amore a coloro che li amassero; ora un comportamento del genere, benché magnanimo e degno di ammirazione, risulta nondimeno talmente imperfetto da non procacciarci, allorché lo mettiamo in pratica, nulla di più dei pubblicani ( Mt 5,46 ).
Per quale motivo, allora, gli identici atti di virtù non meritano la medesima ricompensa a noi come agli uomini dell'antica Legge?
E perché mai, se noi vogliamo ricevere il loro stesso trattamento, dobbiamo dimostrare una virtù maggiore della loro?
La risposta sta nel fatto che la grazia dello Spirito si è diffusa oggi abbondantemente e prezioso è per noi il dono della venuta di Cristo: eravamo dei fanciulli e siamo diventati degli uomini adulti.
Non diversamente da così accade con i nostri figli: allorché divengono adolescenti, noi ci dimostriamo più esigenti riguardo alla loro buona condotta e le azioni di cui ci compiacevamo prima, al tempo della loro prima infanzia, non le apprezziamo più allo stesso modo se essi le compiono dopo esser cresciuti; noi, adesso, pretendiamo da parte loro altre dimostrazioni ben più impegnative.
Similmente per quanto concerne l'umana natura: Dio non richiedeva da parte di essa, nei primi tempi, grandi manifestazioni di virtù, giacché la sua età non era ancora matura.
Quando, però, essa ebbe ascoltato la voce dei profeti, degli apostoli ed ebbe ricevuto il tocco della grazia dello Spirito, Iddio allora accrebbe l'importanza delle buone azioni, e giustamente.
Egli oggi, infatti, ci propone ricompense più preziose e assai più gloriosi trofei: non più la terra né le cose della terra, bensì il cielo e i beni che trascendono l'intelletto sono destinati a coloro che si comportano con rettitudine.
Non sarebbe, dunque, assurdo insistere nella medesima puerilità, una volta divenuti uomini?
A quel tempo la natura umana era completamente lacerata, in preda a un conflitto senza tregua.
Paolo, nel descriverlo, si esprime in questi termini: Vedo una legge diversa nelle mie membra che osteggia la legge della mia mente e mi rende schiavo alla legge del peccato che sta nelle mie membra ( Rm 7,23 ).
Attualmente, tuttavia, le cose non stanno più a quel modo: Ciò che, infatti, era impossibile per la legge, ciò in cui essa era debole a causa della carne, è stato reso possibile: Dio, avendo inviato il proprio Figlio in uno stato di affinità con la carne del peccato e per il peccato, condannò il peccato nella carne ( Rm 8,3 ).
Rendendo, poi, grazie al Signore per tutto questo, Paolo esclamava: Uomo infelice che sono!
Chi mi libererà dal corpo che porta questa morte?
Siano rese grazie a Dio, per il tramite di Gesù Cristo, nostro Signore! ( Rm 7,24 ).
É per questo che veniamo giustamente castigati: noi, infatti, benché liberi da qualsiasi ostacolo, ci rifiutiamo di correre altrettanto in fretta quanto coloro che sono incatenati.
Giovanni Crisostomo, Sulla verginità, 83-84
Il beato apostolo Paolo dice ai fedeli santi, ormai forti in Cristo: Siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza macchia in mezzo a questa generazione perversa e corrotta.
Fra essa dovete risplendere come luminari nel mondo, tenendo alta la parola di vita! ( Fil 2,16 ).
Questi santi, in cui c'è il verbo della vita, dal loro itinerario nel cielo, guardano altissimi, su ogni ingiustizia che avviene sulla terra.
Come gli astri celesti giorno e notte proseguono imperturbabili la loro via - possa avvenire tanto male quanto voglia - e come le stelle fisse nel cielo superiore non abbandonano mai la loro strada, ma viaggiano nei campi celesti come il loro Creatore ha per esse deciso e stabilito, così devono fare i santi, se hanno fisso il loro cuore nel cielo, se imitano colui che ha detto: La vostra dimora è in cielo ( Fil 3,20 ).
Come gli astri, essi non si crucciano per il modo in cui passano i giorni e le notti, anche se vedono tanto male sulla terra.
Forse ciò è facile per i giusti che non devono mai sopportare le malvagità dei cattivi; ma come essi sopportano ciò che avviene contro altri, saprebbero sopportare anche ciò che avvenisse contro di loro.
Chi infatti perde la pazienza e la sopportazione, cade dal cielo; chi invece tiene fisso il suo cuore lassù, anche se il suo corpo fatica sulla terra, è, nel suo spirito, una stella lucente: brilla nel cielo e non viene soffocato dalle tenebre.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 94
Non sarebbe forse assurdo che, mentre i cieli narrano la gloria di Dio, invece tu, per il quale i cieli, che lodano Dio, sono stati creati, commettessi tali opere da bestemmiare, con esse, Iddio tuo creatore?
Non soltanto chi bestemmia apertamente, perciò, ma anche tu divieni meritevole del supplizio.
I cieli, infatti, non è che glorifichino Dio con la loro voce, ma, piuttosto, con la loro bellezza inducono gli altri a farlo; si usa dire, tuttavia, che siano i cieli a celebrare la gloria di Dio.
Similmente coloro i quali conducono una vita virtuosa, benché non dicano nulla esplicitamente, rendono tuttavia gloria a Dio, spingendo gli altri, con l'esempio della propria condotta, a lodare Dio.
Neppure dai cieli, infatti, Dio è tanto glorificato, quanto da un'esistenza condotta con rettitudine.
Quando, perciò, parliamo con i pagani, non chiamiamo in causa i cieli, ma riferiamoci a quegli uomini che, mentre prima erano in una condizione più vile di quella delle bestie, Dio ha poi chiamato lassù, perché si intrattenessero con gli angeli.
Accennando a una trasformazione del genere, chiuderemo la bocca ai nostri interlocutori.
L'uomo, infatti, vale molto di più del cielo stesso, in quanto può possedere un'anima più bella del cielo.
Quest'ultimo, d'altronde, benché esista da tanto tempo, non è servito a persuadere granché; Paolo invece, pur predicando per breve tempo, ha convinto tutto il mondo.
Egli sì che possedeva, infatti, un'anima più preziosa del cielo, in grado di attrarre chiunque a sé.
Mentre l'anima nostra non è degna neppure della terra, la sua invece non teme il confronto col cielo.
Il cielo, poi, rimane sempre limitato e circoscritto; la sublimità dell'anima di Paolo, invece, trascende tutti i cieli ed entra in diretto contatto con Cristo stesso: la sua bellezza era talmente straordinaria che Dio stesso ne celebrava le lodi.
Mentre gli astri, in quanto creati, li ammiravano gli angeli, Paolo, invece, fu ammirato dallo stesso Cristo, allorché disse: Costui è uno strumento da me scelto ( At 9,15 ).
Il cielo, inoltre, è spesso nascosto dalle nuvole; nessuna tentazione, invece, ha mai offuscato l'anima di Paolo: essa, al contrario, durante la tempesta risplendeva più del sole a mezzogiorno e la sua luce non era diminuita dal sopraggiungere delle nubi.
Il sole che splendeva in Paolo, infatti, non emanava dei raggi che potessero essere oscurati dalle tentazioni: soprattutto in quelle circostanze, anzi, essi brillavano maggiormente.
Per questo il Signore gli diceva: Ti basta la mia grazia, poiché la mia potenza trionfa nella debolezza ( 2 Cor 12,9 ).
Imitiamolo, allora, e, se vorremo, neppure il cielo potrà reggere il nostro confronto; né lo potrà il sole né il mondo intero: tutte queste cose, infatti, sono state create per noi, non noi per esse.
Mostriamocene degni! Se, infatti, ci mostreremo indegni di tutto ciò che è stato creato per noi, come potremo apparire degni del regno dei cieli?
E se, al cospetto del sole, risultano indegni tutti coloro che vivono bestemmiando Dio, essi saranno indegni anche di godere delle creature che rendono gloria a Dio.
Anche un figlio che manchi di rispetto al padre, infatti, non è degno neppure di essere diligentemente servito dai domestici.
Mentre, dunque, le altre creature di Dio godranno di una grande gloria, noi invece ci renderemo meritevoli di pene e di supplizi.
Come sarebbe triste se tutta la creazione, fatta per te, entrasse nella libertà della gloria dei figli di Dio, mentre noi, che siamo divenuti figli di Dio, a causa della nostra indolenza fossimo gettati nella geenna; noi, dico, a causa dei quali tutte le altre creature godrebbero di quella grande felicità!
Ebbene, perché ciò non avvenga, se possediamo un'anima pura, facciamo di tutto per mantenerla in quello stato.
Giovanni Crisostomo, Commento Alla lettera ai Romani, 18,6
Il divenire fratello e figlio di Cristo comporta l'adempimento di qualcosa di straordinario, rispetto a quanto viene comunemente compiuto dagli altri uomini ( Mt 5,47 ): occorre, cioè, sacrificare persino il cuore e la mente, insieme con i pensieri, per dirigerli verso Dio.
Il Signore, così, accorda misteriosamente la vita e il soccorso al cuore, affidandogli se stesso.
Se uno, infatti, consacra a Dio la propria intimità, cioè la mente e i pensieri, senza più occuparsi né esser distratto da altri interessi e preoccupazioni, ma anzi facendo violenza a se stesso, il Signore allora lo rende partecipe dei misteri, somministrandogli se stesso, in assoluta purezza e santità, come cibo celeste e bevanda spirituale.
Colui che possiede molti beni, insieme a servitori e figli, fornisce un vitto diverso ai primi, rispetto a quello destinato ai secondi, generati dal suo stesso seme; i figli, infatti, sono gli eredi del padre e, essendo suoi pari, mangiano assieme a lui.
Ora, allo stesso modo, Cristo, il vero Signore ( Ap 4,11; Ef 3,9 ), dopo aver creato ogni cosa si preoccupa di nutrire anche i malvagi e gli ingrati; nondimeno, i figli generati dal suo stesso seme e resi partecipi della sua grazia, fra i quali il Signore stesso è apparso in mezzo a noi, Iddio li alimenta e li ristora con un cibo e una bevanda particolari, a paragone degli altri uomini, donando se stesso, come afferma il Signore, a quanti si intrattengono col Padre loro: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui, e non vedrà la morte ( Gv 6,56; Gv 8,51 ).
Coloro i quali siano entrati in possesso della vera eredità, infatti, sono come i figli generati dal Padre celeste e abitano nella casa del Padre loro, come avverte il Signore: Il servo non rimane nella casa; il figlio, invece, vi resta in eterno ( Gv 8,35 ).
Se, dunque, vogliamo anche noi diventare figli del Padre celeste, dobbiamo compiere qualcosa di più degli altri uomini, con sollecitudine e determinazione, con un amore ardente e con la santità della nostra condotta, vivendo nella fede e nel timore, animati dall'intento di conquistare dei beni così preziosi e di diventare gli eredi di Dio: Il Signore, infatti, è parte della mia eredità e del mio calice ( Sal 16,5 ) [ per « calice », espressione tipicamente ebraica e scritturistica, si intende la condizione felice o infausta, ovvero l'espletamento di un compito, toccati in eredità e ai quali, per ciò stesso, è impossibile sottrarsi ].
Così il Signore, constatando il nostro retto proposito, ci dimostrerà la sua tolleranza e la sua misericordia e, purificandoci con la divina parola, ridesterà a nuova vita le nostre menti morte e smarrite, attraverso il buon esempio e la dottrina dei suoi apostoli.
Una creatura, infatti, alimenta e vivifica un'altra creatura: le nubi, ad esempio, che sono anch'esse create, alimentano e vivificano, assieme alla pioggia e al sole, i semi di frumento e d'orzo.
Come accade, poi, che la luce penetra attraverso la finestra, mentre il sole irradia il suo chiarore su tutta quanta la terra; allo stesso modo, i profeti rappresentarono fiaccole luminose destinate alla sola casa d'Israele, gli apostoli, invece, sono paragonabili ad altrettanti soli, i cui raggi hanno raggiunto ogni angolo del mondo.
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 14,3-5
Che cosa significa affermare che noi, guardando la gloria del Signore, veniamo trasformati a sua immagine ( Fil 3,21 )?
Lo si comprendeva con maggior chiarezza, allorché le attestazioni miracolose manifestavano alla luce del sole la sua potenza.
Anche adesso, nondimeno, chi sarà fornito degli occhi della fede, potrà facilmente rendersene conto.
Quando veniamo battezzati, infatti, la nostra anima risplende più del sole, nel momento in cui è purificata dallo Spirito: non soltanto siamo resi capaci di contemplare la gloria di Dio, ma riceviamo persino noi stessi una parte del suo splendore.
Allo stesso modo come l'argento puro, infatti, esposto ai raggi del sole, emette anch'esso dei riflessi, dovuti, evidentemente, non al metallo in sé e per sé, ma alla luce solare; non diversamente l'anima, una volta emendata e divenuta più splendente dell'argento, viene illuminata dai raggi della gloria dello Spirito, riflettendoli poi a sua volta …
É lo Spirito, dunque, che ci trasforma, impedendo che noi ci conformiamo a questo mondo e diventando l'artefice di questa nuova creazione.
Come, infatti, sta scritto: Creati in Cristo Gesù ( Ef 2,10 ); così pure leggiamo: Crea in me, o Dio, un cuore puro e rinnova in me uno spirito saldo ( Sal 51,12 ).
Vuoi che ti dia dimostrazione di questo fatto, in maniera ancor più tangibile, anche prendendo l'esempio degli apostoli?
Ebbene, pensa allora a Paolo, le vesti del quale bastavano da sole a compiere le sue opere; a Pietro e alla potenza della sua semplice ombra.
Se, certo, non avessero recato con sé l'immagine del Re e uno splendore incomparabile non si fosse irradiato da loro stessi, le loro vesti e la loro ombra non avrebbero potuto compiere tanti miracoli …
E non è, forse, possibile vederlo persino attraverso lo splendore del corpo?
Guardando il volto di Stefano, si legge infatti, si accorsero che il suo aspetto era simile a quello d'un angelo ( At 6,15 ).
Ancorché, poi, tutto questo non fosse nulla, di fronte alla gloria che risplendeva nell'intimo di costoro.
Ciò che Mosè aveva sul volto ( Es 34,29-35 ), infatti, essi lo recavano nell'anima; molto di più, anzi.
Quanto accadeva a Mosè, d'altronde, era limitato alla sfera del sensibile; ciò di cui parliamo adesso, invece, trascende la dimensione puramente fisica.
E allo stesso modo come talune particelle incandescenti, staccandosi dai corpi luminosi e andando a finire su ciò che si trova da presso, conferiscono anche ad esso il loro splendore; così pure suole accadere anche tra i fedeli.
É per questo motivo che coloro che si trovano nello stato descritto, è come se si staccassero dalla terra e si concentrassero unicamente sulle cose del cielo.
Ahimè! A questo punto, però, non ci resta che piangere amaramente, dal momento che, pur essendo stati ritenuti degni di una così alta nobiltà, non abbiamo tuttavia sperimentato direttamente le cose di cui udiamo parlare: le facciamo, infatti, subito morire in noi e ci dedichiamo unicamente a ciò che individuiamo con i nostri sensi.
Questa gloria arcana e tremenda, perciò, riesce a rimanere dentro di noi per uno o due giorni: siamo noi, poi, a farla scomparire, facendo ritornare la confusione degli affanni di questa vita e respingendo i raggi attraverso la fitta coltre delle nubi.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinti, 7,5
La vita presente è paragonabile a un vasto oceano.
Ora, allo stesso modo come in quest'oceano esistono diversi mari, agitati da varie tempeste ( il mare Egeo, ad esempio, pericoloso per i suoi venti; il Tirreno per gli stretti; la zona in prossimità della Libia, chiamata Cariddi, a causa dei suoi banchi di sabbia; la Propontide, appena fuori del Mar Eusino, per la violenza impetuosa delle onde; il mare al largo di Cadice, poco frequentato e quasi sconosciuto e, insomma, qualsiasi altro mare per particolari motivi ), non diversamente si verifica per ciò che concerne la nostra vita.
Anzitutto incontriamo il mare dell'infanzia, agitato dalle molte tempeste scatenate dall'imprudenza, dall'eccessiva faciloneria e da quell'incostanza caratteristica dell'età.
Per questo motivo imponiamo ai fanciulli educatori e maestri perché suppliscano a ciò che ancora manca nella natura, allo stesso modo come si domina la furia del mare attraverso l'arte della navigazione.
A questa prima età tiene dietro il mare dell'adolescenza, ove i venti spirano impetuosamente, come nel mare Egeo, a causa della concupiscenza che si è fatta più forte.
In questa età divengono particolarmente rare le possibilità di correzione, non soltanto perché l'adolescente è maggiormente agitato nel suo intimo, ma anche per il fatto che i suoi peccati non vengono più sottoposti ad alcun rimprovero: il maestro e l'educatore, infatti, se ne sono ormai andati.
Quando i venti spirano più violentemente, se il timoniere non è più in grado di sostenere il loro impeto e non c'è nessuno a soccorrerlo, considera un po' quanto sia grave il pericolo della tempesta.
All'adolescenza succede un'altra età, propria degli uomini divenuti adulti, nella quale subentrano gli impegni familiari: è allora che si prende moglie, si mettono al mondo i figli, ci si dedica a governare la casa e sopraggiungono, insomma, infinite preoccupazioni.
É a questo punto, soprattutto, che si insinua l'avarizia e si manifesta l'invidia.
Se noi, allora, rischiamo di far naufragio in ogni momento della nostra vita, in che modo arriveremo al termine di quest'esistenza?
Come riusciremo ad evitare il supplizio futuro?
Se, infatti, nell'infanzia non avremo appreso alcunché di sano, nella giovinezza non avremo vissuto con temperanza e, una volta divenuti adulti, non saremo stati in grado di reprimere l'avarizia, avviandoci alla vecchiaia come verso una sentina e rendendo sempre più fragile lo scafo della nostra anima con tutti questi colpi, divelte le assi del ponte, raggiungeremo quel porto, carichi di una gran quantità di fango anziché di merci spirituali.
Offriremo, così, al diavolo occasione di ridere; a noi, invece, daremo motivo di piangere, andando incontro a intollerabili supplizi.
Onde evitare una simile prospettiva, rinsaldandoci da ogni parte e contrastando tutte le passioni della nostra anima, liberiamoci dalla smania di ricchezza, allo scopo di conseguire i beni futuri.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 81,5
Mi domandi se anche tra i comuni fedeli si possono trovare dei santi … Certamente.
Spesso ve ne sono molti, anche se nascosti.
Non sono, infatti, da tenere in minor conto per il fatto che vadano in giro per le case e nella pubblica piazza, ricoprendo, magari, anche una carica ufficiale.
Anche questo è frutto della volontà di Dio …
Molteplici sono le vie per praticare la virtù, come anche svariati sono i tipi di perle, benché tutte, però, siano chiamate allo stesso modo.
Mentre una, ad esempio, è splendente e ben levigata da ogni parte, un'altra, invece, pur non apparendo altrettanto bella, può tuttavia presentare un altro genere di bellezza.
E che significa tutto ciò? Una pietra preziosa lavorata artificialmente, ad esempio, presenta una forma bislunga e ha gli angoli tondeggianti.
Un'altra appare di un ricercato colore bianco e un'altra ancora di un insuperabile verde prato.
Ve n'è una che presenta il colore rosso-sangue d'una rosa, mentre un'altra è più azzurra del mare e una terza più splendente della porpora.
Infinite altre potrebbero esservene, in gara con i fiori in quanto a varietà o, nei colori, simili al sole stesso.
Così è anche per i santi.
Mentre taluni di essi, quindi, praticano la loro ascesi unicamente per il loro perfezionamento; altri, invece, lo fanno a beneficio della Chiesa nel suo complesso.
Giovanni Crisostomo, Omelia sulla prima lettera a Timoteo, 14,6
Imitiamo anche noi l'apostolo Paolo e glorifichiamo sempre Dio con la rettitudine della nostra vita, senza confidare nelle virtù dei nostri antenati.
Fra i cristiani, infatti, non ha alcuna importanza il vincolo del sangue: ciò che conta è l'unità prodotta dallo Spirito.
Anche uno scita, dunque, può divenire figlio di Abramo, come viceversa, può anche esser diverso da un abitante della Scizia.
Non rifugiamoci, perciò, dietro le opere buone compiute dai nostri padri.
Se hai un padre straordinario, non ritenere che ciò sia sufficiente per la tua salvezza o per ottenere onore e gloria: dovrai, invece, essere simile a lui anche nelle opere.
Così pure, qualora tuo padre sia una persona riprovevole, non dovrai temere che questo ti procuri qualche danno né dovrai vergognartene, se conduci con rettitudine la tua esistenza.
Che cosa c'è, ad esempio, di più oltraggioso dei pagani?
Eppure costoro, in virtù della fede, sono divenuti parenti dei santi.
E che cosa vi era di più vicino a Dio dei giudei?
Ma essi, a causa della loro incredulità, se ne sono allontanati.
Il legame di sangue, infatti, è naturale e necessario; conformemente ad esso, siamo divenuti tutti in qualche modo parenti, giacché discendiamo tutti da Adamo e, in considerazione della comune provenienza da Adamo o da Noè o dalla terra, madre di tutti, ciascuno di noi possiede lo stesso grado di parentela.
Il legame davvero degno di ammirazione, invece, è quello che ci distingue dai peccatori.
Su questo terreno, infatti, non siamo tutti parenti ma lo sono unicamente coloro la cui condotta di vita appare simile: non chiamiamo, perciò, fratelli coloro che sono stati generati attraverso il medesimo utero che ha dato alla luce anche noi, ma soltanto coloro che manifestano il nostro medesimo zelo.
É con questo criterio che Cristo usa talora l'espressione di « figli di Dio » e talaltra di « figli del diavolo » ovvero « figli dell'incredulità », « figli della geenna », « figli della perdizione ».
Timoteo era figlio di Paolo dal punto di vista della sua virtù e come tale era davvero chiamato; non conosciamo, invece, neppure il nome del figlio di sua sorella, benché gli fosse parente sotto il profilo della natura, senza che questo fatto, però, gli sia stato di alcun vantaggio.
Colui il quale, viceversa, originario della città di Listri ( At 16,1-2 ), era lontano da Paolo sia dal punto di vista della natura che di quello della patria, gli divenne tuttavia più vicino di chiunque altro.
Cerchiamo anche noi, allora, di diventare figli dei santi; anzi, figli di Dio!
E proprio perché questo è possibile, ascolta ciò che ci dice il Signore: Siate dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli ( Mt 5,48 ).
Rivolgiamo, perciò, la nostra preghiera a quel Padre e scongiuriamolo di elargirci non soltanto la grazia, ma anche la virtù per non commettere nulla che sia indegno della nostra condizione di figli di Dio.
Ma com'è possibile - chiederai - che uno possa diventare figlio di Dio?
Lo potrà certamente, se si spoglierà di tutte le passioni, se si mostrerà paziente nei confronti di tutti coloro che lo insulteranno e l'oltraggeranno; anche il Padre tuo, infatti, si comporta a questo modo verso coloro che lo bestemmiano.
Il Signore rivolge assai spesso questa esortazione; in nessun'altra occasione tuttavia invita con maggior vigore ad esser simili a Dio, come nel momento in cui dice: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano ( Mt 5,44 ).
Fino a questo punto arriva la sua esortazione!
Nulla, infatti, ci rende vicini e simili a Dio, al pari di quest'opera sublime.
Quando perciò Paolo ammonisce: Siate imitatori di Dio ( Ef 5,1 ), è a quel modo che ci ordina di essere.
Dobbiamo compiere tutte le opere buone e, soprattutto, comportarci con generosità e pazienza; anche noi, infatti, abbiamo bisogno di essere trattati con generosità e pazienza, giacché cadiamo ogni giorno nel peccato in molti modi e abbiamo, perciò, bisogno di molta misericordia.
Molto o poco che sia, non ha importanza la misura di ciò che si dona: tutto è relativo alle possibilità del donatore.
Il ricco, perciò, non si inorgoglisca e il povero non sia disprezzato per aver dato poco: sovente, infatti, l'uno si è mostrato più generoso dell'altro.
Non dobbiamo, pertanto, stimarci infelici a motivo della nostra povertà: ciò, infatti, ci renderà maggiormente disposti all'elemosina.
Chi possiede molti beni è vittima della superbia e della smania di possedere sempre di più; chi, invece, ha poco, è libero da entrambe quelle tirannidi e, per questo, ha maggiori possibilità per compiere il bene.
Questi, infatti, può recarsi facilmente al carcere e a visitare gli ammalati, dando loro dell'acqua fresca da bere; il ricco, invece, orgoglioso com'è di tutti i suoi beni, non accetta di compiere nulla di tutto ciò.
Non rattristarti, dunque, per la tua povertà: essa, infatti, ti farà ottenere più facilmente il regno dei cieli.
Se non possiedi nulla, ma soltanto la tua anima che soffre, sta' infatti certo che anche di ciò sarai ricompensato.
É per questo che Paolo ha ordinato di piangere con chi piange ( Rm 12,15 ) e di essere imprigionati con chi è imprigionato.
La solidarietà nel dolore non serve unicamente a recare un certo sollievo a coloro che piangono, ma ad aiutare altresì quanti si trovano in difficoltà: nessuna parola di conforto, infatti, procura a chi è afflitto da qualche congiuntura maggior sollievo del denaro.
Per questo Dio ha ordinato di offrire denaro a chi ne abbia bisogno, non soltanto per aiutare i poveri, ma anche per insegnarci che dobbiamo partecipare alle sofferenze del prossimo.
Colui che ama il denaro, perciò, è odioso, non soltanto per il fatto che disprezza i bisognosi, ma anche perché si comporta in modo crudele e disumano.
Chi, invece, non si cura del proprio denaro e lo distribuisce ai poveri è amabile in quanto misericordioso e umano.
Cristo, d'altronde, nel chiamare beati i misericordiosi ( Mt 5,7 ), non si compiace soltanto di coloro che distribuiscono il loro denaro, ma anche di quanti lo fanno con tutto il loro cuore.
Disponiamoci, dunque, alla misericordia dal profondo del nostro cuore e ogni opera buona seguirà.
Chi, infatti, possiede un animo buono e misericordioso, se avrà del denaro, lo darà in elemosina; se vedrà qualcuno che soffre, piangerà e si rattristerà; se incontrerà qualcuno che sia stato trattato ingiustamente lo proteggerà; se s'imbatterà in uno che sia stato oltraggiato, gli offrirà il proprio aiuto.
Chi possiede il più prezioso di tutti i tesori, cioè un cuore generoso e misericordioso, lo donerà interamente ai fratelli e si renderà meritevole di ogni ricompensa predisposta da Dio.
Per ottenere anche noi tutto questo, rendiamo anzitutto mansueto il nostro animo: con questa disposizione, infatti, potremo compiere mille opere buone e conseguire così la corona celeste.
Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 19,8
A quanti, in Roma, siete prediletti da Dio e chiamati ad esser santi ( Rm 1,7 ) …
Giacché, infatti, era verosimile che, fra i credenti, certi provenissero dalla classe dirigente, mentre altri fossero privati cittadini e di modeste condizioni, Paolo, prescindendo da qualsiasi discriminazione di carattere sociale, si rivolge loro con un unico appellativo.
Se, d'altronde, nelle cose più importanti e di carattere spirituale, come l'amore di Dio, la vocazione, il Vangelo, l'adozione a figli di Dio, la grazia, la pace, la santificazione e tutto il resto; se in queste cose, dicevo, tutto è ugualmente accessibile tanto agli schiavi quanto agli uomini liberi, non sarebbe allora il colmo della follia ritenere che coloro che Dio ha unito e reso eguali nelle cose più importanti, debbano poi distinguersi l'uno dall'altro in considerazione della rispettiva posizione sociale?
Fin dall'esordio, perciò, il beato apostolo, nell'intento di stornare questo terribile vizio, invita i fedeli all'umiltà, madre di tutte le virtù.
Ciò rendeva, da un lato, migliori gli schiavi, giacché essi apprendevano a non temere alcun danno dalla loro schiavitù, dal momento che godevano dell'autentica libertà; i padroni, d'altra parte, venivano ammaestrati a non aspettarsi alcun vantaggio dalla loro libertà, se non avessero anteposto a tutto le cose riguardanti la fede.
Perché, d'altronde, tu comprenda che Paolo, nel far questo, non creava confusione né sconvolgeva ogni cosa, ma introduceva, anzi, un validissimo criterio di distinzione; perché tu comprenda questo, dicevo, egli non scrive semplicemente: « A tutti voi che siete a Roma » bensì esclusivamente « a quanti siete prediletti da Dio ».
Questa, infatti, è un'eccellente discriminante e, inoltre, mostra chiaramente donde provenga la santificazione.
Da dove, allora, proviene la santità? Dall'amore.
Dopo aver detto, infatti, « ai prediletti da Dio », Paolo soggiunge: … « chiamati ad esser santi »; mostrando, così, come questa sia la fonte di tutti i beni.
Per santi, poi, egli intende tutti i fedeli. Grazia e pace a voi! ( Rm 1,7 ).
Di quanto bene è foriero un augurio del genere!
Cristo stesso comanda agli apostoli di pronunciare anzitutto queste parole, all'atto di entrare in una casa.
Paolo, pertanto, è sempre in questo modo che esordisce, cioè dall'augurio di grazia e di pace.
La guerra che Cristo ha combattuto, infatti, non è stata piccola, ma incessante, molteplice e quotidiana; e ciò non certo per i nostri sforzi, ma per la sua grazia.
Poiché, dunque, l'amore ha recato la grazia, e la grazia a sua volta è stata portatrice di pace, Paolo prega, con quella sua forma di saluto, che la grazia e la pace persistano saldamente e non si scateni una nuova guerra.
Per questo rivolge la sua preghiera a colui che elargisce questi doni, affinché li conservi durevolmente, e lo implora con le parole: Grazia e pace a voi da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo ( Rm 1,7 ).
Ed ecco che, a questo punto, quel « da parte di » risulta riferito, allo stesso modo, sia al Padre che al Figlio: è come se Paolo indicasse, in questo modo, la fonte donde provengono la grazia e la pace.
Non ha detto, infatti: « Grazia e pace a voi da parte di Dio Padre per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo », ma « da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo ».
Che risultato straordinario ha ottenuto l'amore di Dio!
I nemici e i malvagi sono immediatamente divenuti santi e figli di Dio.
Quando il Padre chiama, infatti, è ai suoi figli che si rivolge, mostrando, così, tutto il tesoro dei suoi beni.
Cerchiamo di conservare, dunque, un patrimonio così prezioso, conducendo una vita degna e perseverando nella pace e nella santità.
Gli altri onori, infatti, sono destinati a sparire e passano insieme con la vita presente: anche con il denaro si possono acquistare.
Hanno soltanto il nome di prestigioso e affidano la loro forza allo sfarzo degli abiti e all'adulazione dei cortigiani.
Questo dono della santità e dell'adozione, appunto perché ottenuto da Dio, non ci verrà tolto con la morte, ma, dopo averci fatto risplendere in questo mondo, rimarrà insieme a noi anche nella vita futura.
Chi conserva l'adozione da parte di Dio, infatti, e custodisce premurosamente la propria santità, appare di gran lunga più splendido e più felice di colui che si cinge d'un diadema o si veste di porpora; nella vita presente egli gode di una grande tranquillità, nutrendo la buona speranza, non avendo alcuna occasione per turbarsi e angosciarsi e rimanendo, insomma, sempre felice.
Non la grandezza del potere, infatti, né la forza del denaro né l'ostentazione del lusso né l'energia del corpo né l'abbondanza dei cibi né lo sfarzo nel vestire né alcun'altra cosa umana valgono a donare il buonumore e l'allegria, ma soltanto la giusta dimensione spirituale e la buona coscienza.
Colui che ha cura di serbare questa pura, potrà anche esser vestito di stracci e tormentato dalla fame, ma sarà sempre più lieto di coloro che vivono nel lusso più smodato; chi, invece, è cosciente dei propri torti, benché circondato da grandi ricchezze, sarà il più infelice di tutti.
Per questo Paolo, a dispetto della continua fame e della nudità e delle frustate che ogni giorno era costretto a subire, era contento e felice più dei re; Acab, invece, pur regnando e godendo di ogni delizia, per il fatto di aver commesso quel peccato ( 1 Re 16,29ss ), piangeva, stava in apprensione e il suo volto appariva depresso, sia prima che dopo il peccato.
Se vogliamo, dunque, esser felici, fuggiamo anzitutto il male e pratichiamo la virtù, giacché non esiste altra via per conquistare la gioia, anche se salissimo sul trono stesso dei re.
É per questo che Paolo avvertiva: Il frutto dello Spirito è la carità, la gioia, la pace ( Gal 5,22 ).
Conservando, perciò, con cura questo frutto in noi, quaggiù potremo esser felici e, un giorno, ci renderemo meritevoli di conseguire il regno futuro.
Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 1,3-4
Guardate alla vostra vocazione, fratelli!
Perché non molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma gli stolti del mondo Dio ha scelto per confondere i sapienti; e i deboli del mondo Dio ha scelto per confondere i forti; e le cose ignobili del mondo Dio ha scelto, e quelle che non sono, come se fossero, per annientare quelle che sono ( 1 Cor 1,26-28 ).
Che vuole dire? Che cosa vuole dimostrare?
Il Signore nostro Dio, Gesù Cristo, è disceso per redimere il genere umano e per dare la sua grazia a quanti riconoscono che essa è data gratuitamente, non per i meriti dell'uomo, e, affinché nessuna persona avesse a gloriarsi della propria carne, si scelse dei deboli …
Il Signore, più tardi, sceglierà anche degli oratori; ma questi sarebbero saliti in superbia, se egli prima non avesse scelto dei pescatori.
Sceglierà dei ricchi; ma essi avrebbero detto di essere stati scelti per le loro ricchezze, se precedentemente non avesse scelto i poveri.
In seguito sceglierà anche degli imperatori; ma è meglio che l'imperatore venga a Roma e, deposta la corona, pianga sulla tomba del pescatore, piuttosto che il pescatore pianga sulla tomba dell'imperatore.
Insomma « Dio ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti; e ha scelto le cose ignobili del mondo e quelle che non sono, come se fossero, per annientare quelle che sono ».
Che cosa segue? L'Apostolo conclude: Affinché non si glori al cospetto di Dio alcuna carne ( 1 Cor 1,29 ).
Osservate in qual modo ci ha tolto la gloria per darci la gloria.
Ha tolto la gloria nostra, per darci la sua; ha tolto la gloria vana per darci quella piena; ha tolto la gloria che vacilla, per darci quella solida; quanto è più forte e più salda la nostra gloria, quando è in Dio!
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 66
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