Lettere circolari

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Seconda lettera circolare

Sulla carità la quale deve fare dei nostri cuori un sol cuore in Gesù Cristo

Ad maiorem Dei gloriam

Parigi, 1 maggio 1799

« Multitudinis credentium erat cor unum et anima una ».

« La moltitudine dei credenti aveva un sol cuore ed un'anima sola ( At 4,32 ).

Ciò che ci proponiamo, voi lo sapete, è di ritrarre in questi ultimi tempi, una immagine della Chiesa nascente, di quella Chiesa formata dagli Apostoli, arricchita di tutti i doni dello Spirito Santo che discese visibilmente su di lei e tutta imporporata dal sangue ancora recente di Gesù Cristo.

Grande, ammirabile, sublime scopo; sorpassa gli sforzi della debolezza umana: il che ci dimostra che proviene da Dio.

Ci rianimi questo pensiero: noi non facciamo affatto conto sulle nostre proprie forze, ma soltanto nel Signore mettiamo la nostra fiducia.

Ci assisterà Lui per attuare ciò di cui si è degnato ispirarci il disegno, e se Egli ci sostiene con la sua onnipotente mano, c'è forse qualche cosa che noi non possiamo aspettarci?

« Omnia possum in eo qui me confortat ». « Io posso tutto in Colui che è la mia forza » ( Fil 4,13 ).

Non s'è affatto accorciato il braccio del Signore; la sua potenza e bontà sono sempre identiche; ciò che ha fatto agli inizi della sua Chiesa, può farlo ancora: inviarci altri apostoli, far discendere di nuovo il suo Santo Spirito sulla Chiesa, renderle la sua primitiva giovinezza e rinnovare dappertutto la faccia della terra.

Il sangue di Gesù Cristo è sempre tanto potente da ottenere questi insigni favori; perché essi non dovrebbero formare l'oggetto dei nostri desideri?

Il Salvatore del mondo non ha più lo stesso amore per la sua Sposa, la Chiesa, da Lui riscattata e lavata nel suo sangue?

Sarebbe geloso della sua bellezza?

Non dubitiamone! Vorrebbe ancora vedere in lei quel primitivo lustro, di cui fu formata nei giorni belli della sua infanzia.

È sempre pronto ad effondere su di lei le grazie che le abbisognano per ricuperarlo.

Quando i figli della sua Chiesa, decaduti dal loro antico fervore, si sono scostati dalla loro origine, quanti prodigi di misericordia non ha fatto per richamarveli?

Per convincervi di ciò basterebbe un'occhiata sulle diverse età della Chiesa.

Quale felice trasformazione abbiamo visto operarsi, quasi universalmente, in tutti gli Ordini della Chiesa al tempo dell'ultimo Concilio Ecumenico!

E possiamo affermare che, nei disegni di Dio, le diverse congregazioni religiose sono state suscitate affinché nella Chiesa di Gesù Cristo ci fossero sempre cristiani ferventi che, ripieni del suo primitivo spirito, servissero di modello agli altri fedeli e li eccitassero con il loro esempio a comportarsi secondo tale spirito.

I - La corruzione dei tempi presenti deve rafforzare la nostra fiducia

L'accecamnto e la corruzione eccessiva dei tempi presenti, lungi dallo scuotere la nostra fiducia, deve piuttosto infonderle un nuovo vigore.

Succede spesso che il Signore, quando i nostri delitti maggiormente provocano la sua collera, ci faccia ancor più provare gli effetti della sua misericordia.

« Cum iratus fueris, misericordia recordaberis ». « Quando sarai in collera, ti ricorderai della tua misericordia » ( Ab 3,2 ).

Quanto più sembrano incurabili le nostre piaghe, e tanto più mettono in risalto l'abilità della mano che si compiace di guarirle; e se la Chiesa per la malizia degli uomini, caduti nell'incredulità, viene a trovarsi, in questi ultimi tempi, in uno stato di apprensione e di persecuzione poco diversa da quella dei suoi primi tempi, non è forse assai conforme alla divina bontà che essa riceva grazie che siano proporzionate a quelle che ricevette allora, grazie il cui effetto sia di rinnovare la sua giovinezza come quella dell'aquila?

« Renovabitur ut aquila juuentus tua ». « La tua giovinezza sarà rinnovata come quella dell'aquila » ( Sal 103,5 ).

Entriamo in queste prospettive di misericordia del Signore; osiamo pure sperare che, senza guardare alla nostra debolezza.

Egli non disdegnerà di far di noi degli strumenti atti ad assecondare i suoi amabili disegni.

La scelta che già ha fatto di noi, è assai opportuna per ispirarci tale fiducia?

Non è per questo che ci ha tutti riuniti sotto le insegne e la invocazione del suo Divin Cuore, e che ha voluto che abbracciassimo una forma di vita, la quale ci obbliga a tendere alla più alta perfezione, senza separarci dai cristiani che vivono nel secolo, come avviene degli altri religiosi?

II - Quadro della Chiesa primitiva

1. Unione perfetta tra i primi cristiani

Ciò che distingue soprattutto i primi cristiani è la perfetta unione che regnava fra essi, unione tanto grande che tutti assieme, dice il sacro testo, non avevano che un cuore ed un'anima: « Multitudinis credentium erat cor unum et anima una ».

Ciò è pure quanto dobbiamo prepararci principalmente ad imitare.

Approfondiamo perciò il significato di queste parole; esaminiamo donde poteva provenire questa grande unanimità tra i primi cristiani; infine, consideriamo le virtù che essa esige e suppone.

Così potremo conoscere quanto dobbiamo fare, ciò che dobbiamo noi stessi essere per ritrarre tra noi una tale concordia e per diventare un'immagine della Chiesa nascente.

È evidente che questa unità di cuore e di anima non può essere presa che in senso morale e spirituale.

Ciascuno dei fedeli conservava le proprie qualità di spirito e quanto costituiva il suo carattere particolare; ma, diventando cristiano, prendeva talmente le abitudini ed i gusti dei cristiani, si spogliava così perfettamente di se stesso, che si sarebbe detto che tutti assieme erano uno stesso corpo che il medesimo spirito faceva agire e muovere a suo grado.

Questa unità di cuore ed anima è attribuita a tutta la moltitudine: « Multitudinis erat cor unum et anima una ».

E cioè questa grande unione di carità non era senza dubbio peculiare ad alcuni fra i più perfetti, ma era generale e nell'assemblea dei fedeli a stento vi poteva essere uno solo che non partecipasse a questa unione.

Forse è anche per insegnarci che, benché il numero dei fedeli non fosse ancora molto elevato, la loro concordia fin da allora li rendeva tanto formidabili alla potenza delle tenebre, che equivalevano ad una grande moltitudine; tanta è la forza che esercita l'unione dei cuori per garantirci dagli attacchi del nemico.

Ma ciò che soprattutto impariamo da questo fatto è che la nostra carità non deve essere circoscritta ad un piccolo numero di persone; il che la farebbe degenerare in rapporti particolari tendenti più a distruggere l'unione generale che a cementarla; ma invece bisogna, per conservare l'unità del corpo, che essa si estenda a tutti i mèmbri che la compongono, legati da essa gli uni con gli altri nell'unione più stretta.

Il nome di fedeli o di credenti, sotto cui sono qui designati i primi discepoli, ci dimostra quanto la credenza delle verità del Cristianesimo sia atta a portarci alla perfezione della carità.

Credere ed essere dotati della più perfetta carità era press'a poco la stessa cosa per i primi cristiani, in cui viva, penetrante ed efficace era la fede.

Abbiamo dunque una fede simile alla loro; tale fede produrrà in noi le stesse virtù e presto noi come essi non avremo che un cuore ed un'anima.

« Multitudinis credeniium erat cor unum et anima una ».

2. « Un cuore ed un'anima » perché?

Ma, infine, perché queste espressioni « un cuore ed un'anima »? Non bastava dire: uno stesso spirito?

Indubitabilmente questo vocabolo « spirito » quando si parla dell'uomo può bastare per indicare la sua anima tutt'intiera; ma le parole « cuore ed anima », specificando operazioni diverse dell'anima, permettono uno sviluppo che serve a farci ancor meglio comprendere tutta l'estensione, tutta l'intimità della carità dei primi cristiani.

È questo che merita soprattutto la nostra attenzione.

L'anima, considerata come parte dell'uomo diversa dal corpo, è essenzialmente una sostanza spirituale, indivisibile, unica, avendo tuttavia intimi rapporti con il corpo, a cui essa è unita e con cui compone il tutto che è l'uomo.

Quando l'anima è messa in opposizione con lo spirito o con il cuore, viene allora considerata unicamente secondo i suoi rapporti con il corpo che essa anima; è essa stessa, è l'uomo operante con i sensi ed occupantesi delle cose relative al corpo o semplicemente delle cose transitorie, in un modo basso e naturale.

Con lo spirito o con il cuore, messi in opposizione con l'anima, si intende questa stessa anima considerata secondo il suo essere spirituale, senza tener conto dei suoi rapporti con i sensi e con il corpo animato da lei.

Nel linguaggio biblico è l'anima, è l'uomo mosso dall'influsso dello spirito di Dio che lo fa agire per motivi soprannaturali, al di sopra di se stesso e di ogni considerazione temporale.

In questo ultimo senso, lo spirito ed il cuore sono spesso usati indifferentemente l'uno per l'altro; ma in questo nostro testo, la denominazione di cuore è più conveniente.

Lo spirito si riferisce più direttamente alle operazioni dell'intelletto, il cuore a quelle della volontà; ed è precisamente alla volontà e non all'intelletto che appartengono la carità, e tutte le altre virtù, in quanto libere e meritorie.

È nella volontà e non nell'intelletto che risiede l'uniformità che ci unisce gli uni agli altri.

È ben possibile che veri cristiani abbiano un cuore ed un'anima sola e pur tuttavia siano diversamente favoriti di forze intellettuali.

Il cuore, in generale, è dunque il nostro spirito in quanto agisce liberamente, merita o demerita, fa una buona o una cattiva scelta, s'attacca a Dio per amore o se ne separa per il peccato, abbraccia la pratica della virtù o del vizio.

In questo agire è lo spirito influenzato dalla grazia, che si eleva al di sopra di se stesso, che dirige verso Dio tutti i propri affetti, che ha solo mire sante e soprannaturali e che segue con amore il movimento impressogli dallo Spirito Santo, perché unicamente lo Spirito Santo può unire assieme gli uomini, ispirando loro lo stesso gusto, la stessa tendenza verso il bene.

Lo spirito delle tenebre o la natura corrotta non può che disunirli, anche quando ispira a loro lo stesso gusto, la stessa tendenza verso il male.

Uomini viziosi, similmente inclinati al male potranno formare tra essi una società di vizio, ma non potranno mai avere uno stesso cuore; i loro cuori saranno disuniti sempre e tanto più lo saranno quando più sono viziosi.

Quanto all'anima, messa parallelamente al cuore e considerata secondo i suoi rapporti con il corpo, come comunicantegli e da lui ricevente impressioni sensibili, impressioni di amore o di odio, di gioia o di tristezza, di pena o di piacere, è indubitabile che le disposizioni non siano subordinate a quelle del cuore, che non ne dipendano e non ne deducano ogni loro merito o demerito; che conseguentemente le disposizioni di un'anima, la quale non respiri che la carità, provengano da un cuore ben disposto e pieghevole ai moti del divin Spirito.

Sarebbe stato sufficiente dire che i primi cristiani non avevano tutti assieme che un sol cuore; e se il testo sacro aggiunge che essi « non avevano che un'anima » è per farci più chiaramente comprendere che la loro carità non era concentrata nello spirito e nella volontà, ma che si tradiva esternamente con affetti sensibili e che tutta la condotta dei primi fedeli, i loro sentimenti, le loro opere, erano la prova e l'espressione di questa carità.

Compendiamo ora ciò che ci è significato da questa unità di cuore e di anima che regnava tra i primi cristiani; possiamo facilmente concludere da ciò quali fossero le loro disposizioni, sia interiori che esteriori, nei loro reciproci rapporti.

3. I primi cristiani avevano uno stesso cuore e una stessa anima

I primi cristiani avevano uno stesso cuore, e cioè non soltanto essi erano pervasi, gli uni verso gli altri, della più sincera e più intima carità, ma inoltre non c'era tra essi alcun germe di discordia e di divisione, nessun orgoglio che potesse portarli a preferirsi agli altri, nessun attaccamento alle proprie vedute, nessuna ambizione, nessun interesse particolare; nessun affetto per i beni della terra, nessun desiderio di vendetta, nessuna passione sregolata per alcuna cosa.

Unicamente occupati dalla premura di piacere al Signore, animati dallo stesso spirito, come veri figli di Dio, da Lui ricevevano tutti insieme il movimento e la vita. « Quicumque Spiritu Dei aguntur ii sunt filli Dei » « Sono figli di Dio quelli che vengono guidati dallo Spirito di Dio » ( Rm 8,14 ).

Così attuavano il precetto di Gesù Cristo, quello di amarsi gli uni e gli altri, come Lui stesso ci ha amati.

Si stimavano e si onoravano reciprocamente e si desideravano gli uni agli altri ogni sorta di beni.

Felice disposizione, costantemente e generalmente radicata in essi, perché, distaccati da se stessi, pieni di disprezzo per ciò che maggiormente lusinga la natura corrotta, al di sopra dei timori e delle speranze umane; dolci umili, pazienti, dotati d'ogni sorta di virtù, illuminati dai più puri raggi della fede; infine spogli di tutto il vecchio uomo e rivestiti del nuovo, e valutando per nulla ciò che non è eterno, avevano tutti gli stessi desideri, gli stessi affetti, gli stessi gusti, e non sospiravano tutti assieme che ai beni eterni, meritatici da Gesù Cristo con l'effusione del suo Sangue.

Avevano tutti una stessa anima e cioè sperimentavano e risentivano gli uni per gli altri tutto quanto di tenero ed affettuoso può ispirare una santa amicizia; una viva e dolce compassione rendeva comuni tra essi i sentimenti di gioia e di tristezza, di speranza e di timore; si prevenivano gli uni gli altri con attestazioni d'ogni sorta di benevolenza e di stima; la gioia più sensibile, la più dolce soddisfazione che potessero procurarsi era di soccorrere quelli che fossero, tra loro, nel bisogno; infine tendevano in tal maniera allo stesso fine, al medesimo scopo soprannaturale: la gloria di Dio, il bene della Chiesa, la propria salvezza e quella del prossimo, che, per quante strade diverse prendessero per arrivarvi e per quante diversità di beni e di gusti ci fosse tra loro, pareva tuttavia che lo stesso spirito li facesse agire e regolasse solo tutti i loro movimenti.

Tale era il grande spettacolo che la carità dei primi cristiani offriva alla Giudea; spettacolo che non è affatto cessato con i primi bei tempi del Cristianesimo e che molto dopo strappava l'ammirazione dei pagani e ne convertiva in grande numero, secondo le parole del nostro Divin Maestro: « In hoc cognoscent omnes quia discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad inuicem ». « È per questo contrassegno che tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri ». ( Gv 13,35 ).

III - Nella Chiesa deve essere così anche oggi

Questo spettacolo deve sempre sussistere nella Chiesa di Gesù Cristo; e nel desiderio che la sua grazia ci ispira di rinnovarlo in noi ed anche, per quanto c'è possibile, negli altri mèmbri della Chiesa, noi non dobbiamo stancarci di fissarvi gli occhi e di richiamarci quanto lo Spirito Santo ha voluto insegnarci con queste parole: « Multitudinis credentium erat cor unum et anima una ».

1. Sorgenti divine di questa unanimità

Non ci è meno necessario, carissimi Confratelli, considerare ciò che causava nei primi cristiani una unanimità così perfetta.

Questa ricerca ci fornirà nuovi motivi che vi porteranno ad imitarli.

La prima e principale causa di questa unanimità ci è indicata dall'Apostolo quando ci rappresenta i fedeli come componenti tutti assieme uno stesso Corpo con Gesù Cristo e come membra gli uni degli altri: « Unum corpus sumus in Christo, singuli alter alterius membra ». « Non costituiamo tutti che un sol corpo in Gesù Cristo, essendo tutti assieme membra gli uni degli altri » ( Rm 12,5 ).

Gesù Cristo stesso per primo ci aveva insegnato ciò quando aveva detto che Egli era la vite e che noi ne siamo i tralci: « Ego sum vitis; vos palmites » ( Gv 15,5 ).

Gesù Cristo si univa ai primi cristiani; s'identificava, in qualche modo, con ciascuno di essi in una ineffabile maniera; ed essi, a loro volta, riempiti di Gesù Cristo, non omettevano nulla per stringere i legami che li univano a Lui.

Il suo Sangue divino operava in essi con tutta la sua forza; i doni ch'Egli incessantemente effondeva con profusione su di essi servivano a cementare sempre maggiormente l'unione che essi avevano con Lui e quella che avevano gli uni con gli altri.

Ecco il nodo sacro; sono queste le cause e le sorgenti divine di quella unanimità così perfetta che i primi cristiani avevano tra loro.

Chi potrebbe esprimere quanto sia intima l'unione di Gesù Cristo con il cristiano; quanto sia l'amore di Gesù per gli uomini?

Ne è misura la divina Onnipotenza.

È una specie di identità, di cui tutti i legami umani non riuscirebbero a darci la minima idea.

L'unione della natura divina con la natura umana nella persona del Verbo è una unione personale, la più grande che ci possa essere, da cui risulta un ammirabile composto: Gesù Cristo, Uomo-Dio.

La identica persona è Figlio unico del Padre e Figlio dell'uomo peccatore.

L'unione che Gesù Cristo contrae con il cristiano ha qualche somiglianza con questa unione.

Il figlio dell'uomo è fatto figlio di Dio, ha veramente Dio per Padre, partecipa alla sua natura divina e lo Spirito di Dio abita in lui.

Gesù Cristo è suo capo; egli è un membro vivente di Gesù.

Ciò che si fa al cristiano, Gesù Cristo lo considera come fatto a sé: « Ciò che voi fate all'ultimo dei miei fratelli, dice il Salvatore del mondo è a me stesso che voi lo fate ».

« Perché mi perseguiti? » diceva a Saulo sulla via di Damasco, quando questi era persecutore dei cristiani.

Quale unione poi viene operata nella Santa Eucaristia tra Gesù Cristo e l'anima che lo riceve!

Tale unione risponde ai prodigi che la preparano.

È vero che dopo la consumazione delle Sante Specie Gesù Cristo non è più in noi per una presenza sacramentale; ma il suo Spirito vi dimora e si produce, in virtù del sacramento, una tale unione delle sue due nature con la nostra, che Egli abita in noi e noi in Lui, noi viviamo della sua vita, come Egli vive della vita del suo Padre.

« Si quis spiritum Christi non habet, lue non est eius ». « Non si appartiene a Gesù, se non si ha in sé lo Spirito di Gesù Cristo ».

« Ora nessuno appartiene a Gesù Cristo, se non ha il suo Spirito » ( Rm 8,9 ).

Questo possesso cresce con la carità; quando questa è grande, la vita del cristiano è assorbita dalla vita di Gesù Cristo.

« Io non vivo più, dice egli con l'Apostolo, è Gesù Cristo che vive in me ». ( Gal 2,20 ).

I suoi pensieri, i suoi desideri, i suoi sentimenti sono quelli di Gesù Cristo.

Conformandosi in tutto alla volontà del Signore, diventa con Lui uno stesso spirito.

« Qui adhaeret Domino, unus Spiritus est ». « Colui che aderisce al Signore, è un medesimo Spirito con Lui ». ( 1 Cor 6,17 ).

Voler spiegare queste parole, sarebbe indebolirne il senso.

2. Questa unione con Cristo fu la base dell'unanimità dei primi cristiani

Questa unione così grande di Gesù Cristo con l'anima era la base ed il modello di quella dei primi cristiani tra loro.

Su essi si compiva la domanda che il Salvatore del mondo faceva a suo Padre la vigilia della Passione: « Come Tu, o Padre, sei in me ed io in Te, siano anch'essi in noi una stessa cosa, affinché il mondo creda che Tu mi hai mandato ».

« Sicut Tu, Pater, in me et ego in Te, ut et ipsi in nobis unum sint: iti credat mundus quia Tu me mislsti ». ( Gv 17,21 ).

Non c'era che l'Uomo-Dio che poteva esprimersi così.

Il Padre ed il Figlio sono una stessa cosa, una stessa natura divina.

Noi non possiamo essere così gli uni con gli altri; ma la maniera con cui si esprime il Figlio di Dio ci mostra come dev'essere intima la unione dei cristiani e come essa non possa essere formata che da quel medesimo Spirito, l'Amore consustanziale del Padre e del Figlio, il quale, unendoli strettamente a Gesù Cristo, li unisce similmente gli uni agli altri.

Tuttavia, per quanto potente fosse l'amore di Gesù, non avrebbe agito solo; bisognava che i primi cristiani, con la loro adesione a Gesù Cristo, lasciassero campo alla sua azione; è ciò che facevano con fedeltà.

Pieni di Gesù Cristo, non si stancavano di ammirare in Lui la sintesi di tutte le perfezioni divine ed umane.

Questo amore, che l'aveva attirato dal seno del Padre in quello della Santissima Vergine, che l'aveva spogliato della gloria e reso simile a noi in tutto, ad eccezione del peccato;

i misteri della sua nascita, della vita nascosta, dei suoi patimenti, della sua mente e della sua vita dopo la resurrezione;

le lezioni così sublimi e profonde, così luminose, sante, piene di dolcezza, che essi avevano sentito uscire dalla sua bocca;

i suoi esempi di cui erano stati testimoni;

la sua umiltà e dolcezza inalterabile, quella soprattutto che aveva esercitato con il perfido discepolo nel tempo stesso in cui questi consumava il tradimento;

la sua pazienza nel sopportare quanto la malizia dei nemici aveva potuto inventare di più atroce ed ignominioso;

il suo zelo per la gloria del Padre e la salvezza degli uomini;

tutto ciò suscitava in essi un'impressione sempre nuova.

Gesù Cristo era il grande oggetto che li occupava; la sua immagine si delineava nella loro anima.

Era su di lei che tendevano riformare se stessi, che regolavano i desideri, i pensieri, le parole, le azioni loro.

E poiché l'amore prevaleva in ogni cosa e perché dal Cuore di Gesù come da una fornace ardente uscivano ad ogni istante torrenti di fiamme, che li penetravano, li avvolgevano da ogni parte, essi non potevano contemplare questa immagine, senza trasformarsi insensibilmente in essa, senza prenderne i lineamenti e senza diventare, in proporzione, come Gesù Cristo, tutto amore e per Gesù Cristo e per il prossimo.

Un'altra sorgente della carità dei primi cristiani era l'efficacia del Sangue di Gesù Cristo che in essi si faceva sentire con tutta la sua forza.

Questo sangue era stato sparso sotto i loro occhi.

Dio voleva mostrarne la potenza agli uomini.

La forza dei demoni era si affievolita; i primi fedeli erano le primizie di questo Sangue; esso scorreva su loro con maggior abbondanza; nulla ne scemava ancora il vigore.

Ricevendo, con il santo battesimo, l'applicazione di questo sangue divino, si trovavano mutati in uomini nuovi, spogli dei loro primitivi istinti, staccati dalle cose visibili, elevati al di sopra di sé, pieni di sentimenti conformi alla loro nuova nascita, e degni della qualità di figli di Dio che essi avevano ricevuto.

Queste felici disposizioni erano perfezionate dallo Spirito Santo, comunicato a loro nel Sacramento della Confermazione e si fortificavano ogni giorno più mediante la partecipazione ai santi misteri.

Caratteristica di questo Sangue era di cementare l'unione che essi avevano con Gesù Cristo e di dare incessantemente nuovo ardore al fuoco della carità di cui erano accesi gli uni per gli altri.

Aggiungiamo a ciò i prodigi che si operavano cosi frequentemente: la discesa visibile dello Spirito Santo, il dono delle lingue, quello del miracoli, la conoscenza delle cose future, il potere di comandare agli spiriti delle tenebre; la presenza, i discorsi, gli esempi degli Apostoli; il fervore che regnava tra i fedeli; in una parola tutto ciò che serviva ad abbellire l'esistenza quotidiana della Chiesa nascente; tutto vi delineava l'immagine del cielo.

I suoi figli assomigliavano piuttosto ad Angeli del cielo che ad abitanti della terra, tanto erano puri i loro costumi, santi gli affetti, sublimi i pensieri, animati dallo Spirito di Dio i loro discorsi.

Gesù Cristo viveva in essi; essi lo vedevano nei loro fratelli; non conoscevano altre massime, altre inclinazioni che le sue; vivevano sulla terra con il corpo, ma nel cielo con lo spirito ed il cuore.

La fede rendeva presenti a loro gli oggetti più inaccessibili ai sensi; essa era la loro fiaccola, la loro forza, la loro vita; la speranza faceva loro gustare in anticipo i beni eterni; i più dolorosi sacrifici, gli ostacoli più grandi non riuscivano a frenare l'impetuosità del loro amore.

Cuori così purificati, così chiusi alle basse e terrestri inclinazioni, ammettevano senza mescolanza, senza opposizione, gli effetti della divina carità.

Essi vi rispondevano in tutta la loro estensione.

La più pura carità non poteva mancare di stabilire in loro il suo impero e di regnarvi da sovrana assoluta.

IV - Dobbiamo riprodurre l'immagine della Chiesa nascente

1. Le stesse cause devono produrre gli stessi effetti

Riposiamo con piacerei nostri spiriti su questo affascinante complesso; applaudiamo alla sorte del primi fedeli; ma non fermiamoci qui.

Ci servirebbe assai poco il conoscere ciò che fra essi causava un così perfetto accordo, se nello stesso tempo non considerassimo fino a qual punto le medesime cause possano appartenerci e produrre fra noi gli stessi effetti.

Constatiamo innanzitutto che la prima e principale causa della grande unione dei primi cristiani ci è comune con loro;

che l'Uomo-Dio non vuole unirsi meno strettamente con noi;

che l'unione della natura divina con la nostra natura appartiene ugualmente ai cristiani di tutte le età;

che i misteri della sua vita non si sono meno operati per noi;

che i suoi sacramenti non sono stati istituiti meno per noi che per loro;

che nella santa Eucaristia Egli si unisce a ciascuno di noi in una maniera non meno ineffabile;

che pregava per noi come pregava per loro, quando domandava al Padre per i suoi discepoli un'unione ricalcata su quella delle divine Persone;

che noi non siamo meno di quello che essi lo fossero, i tralci della vite;

e che infine noi possiamo, come essi ben lo poterono, appropriarci le magnifiche espressioni di cui si serve l'Apostolo per farci comprendere, quanto è possibile, come sia perfetta l'unione dell'Umo-Dio con il cristiano.

Se dunque l'amore del divin Maestro non è minore nei nostri rapporti di quanto lo fosse nel confronti dei primi cristiani, se Egli vuole ugualmente unirsi a noi ed unirci in Lui gli uni con gli altri, ne consegue pure che il nostro amore per Lui, che il nostro amore vicendevole non deve essere meno grande del loro e deve produrre fra noi la medesima unione.

Non abbiamo visto Gesù Cristo che conversava con gli uomini; ma secondo la parola della stessa Verità, la fede supplisce abbondantemente all'accennato vantaggio.

I misteri della Redenzione non si sono operati sotto i nostri occhi, ma ne abbiamo una conoscenza più perfetta; i dogmi hanno per noi minor oscurità; noi controlliamo meglio l'adempimento delle profezie; siamo testimoni delle vittorie che la Chiesa ha successivamente riportato, in tutte le età, sull'idolatria, sull'eresia, sullo scisma, sull'empietà, sulla corruzione della morale.

Le sue vittorie passate sono una garanzia di quelle che riporterà sempre e ci assicurano che il suo dominio, basato sulle infallibili promesse di un Dio, è saldo come queste promesse.

Gesù Cristo ci mostra la sua divinità nello splendore della gloria, senza che le umiliazioni della sua Umanità possano offuscarne lo splendore; queste ora non servono che a mettere in risalto il valore del suo amore.

Quanto meno la carne percepisce le realtà e tanto più gli occhi della fede sono chiari e penetranti.

Chi potrebbe dunque impedirci di fissarli costantemente su Gesù Cristo, sulla sua adorabile persona, sulla sua Croce, e sul trono di gloria dove Egli siede alla destra del Padre?

Le sue parole non si rivolgono a noi meno che a quelli che le ascoltarono quando viveva sulla terra.

Ciò che i suoi contemporanei non vedevano che in parte, noi lo vediamo intieramente e nel suo complesso.

Noi vediamo con un'occhiata come in un quadro la sua pazienza, la sua dolcezza, la sua umiltà, Lui stesso con tutto ciò che può servire a farcelo amare e ad aderire sempre più a Lui.

Quali effetti potrebbe produrre questa contemplazione su di noi?

Quali effetti non produce su coloro che sono fedeli a contemplare così il Signore?

Costoro non possono separarsi da Lui; dovunque ed in ogni tempo conversano con Lui, si sforzano di imitarlo in tutto, nei loro pensieri, nelle loro parole, nelle loro azioni; in una parola, essi, come i primi cristiani, sono ripieni di Lui, animati da Lui, uniti a Lui, trasformati in Lui.

Il Sangue di Gesù Cristo non agisce su noi con altrettanta efficacia; i demoni hanno riacquistato quella loro forza che il mistero della Croce aveva abbattuto.

Ma perché? In se stesso il Sangue divino non ha perso nulla della sua efficacia, i sacramenti hanno la medesima virtù, i demoni non sono più forti in sé, ma lo sono perché siamo noi più deboli e viziosi.

Se con l'esercizio di una fede viva, di una speranza ferma, di una carità pura, desideriamo sinceramente essere veri discepoli di Gesù Cristo, come i primi cristiani; se noi portiamo ai Sacramenti le medesime disposizioni; se, come essi, combattiamo le inclinazioni della natura, le massime e gli esempi del mondo; se lottiamo con costanza contro lo spirito del inondo, noi proveremo che Gesù Cristo è oggi ciò che era ieri, ciò che sarà sempre.

« Jesus Christus iteri et hodie ipse et in saecula ». « Gesù Cristo era ieri, è oggi e sarà sempre lo stesso in tutti i secoli » ( Eb 13,8 ).

Che se la perversità del mondo è più grande, la malizia dei demoni più pertinace, però con la tentazione cresceranno i soccorsi della Grazia; ed i nostri sforzi per superare gli ostacoli non faranno che rendere più strepitosi i nostri trionfi e più fulgida la nostra corona.

I prodigi, che venivano compiuti a vantaggio dei primi cristiani, non si ripetono più per noi; ma non sono sempre ugualmente veri anche ora?

La fede non ce li rende attuali? Quelli che la consultano, non vi trovano sempre la stessa convinzione?

D'altronde non se ne fanno per noi in un numero abbastanza grande?

Non è un prodigio questo freno che Dio impone visibilmente alla malizia dei cattivi?

Essi hanno ogni potere, hanno il desiderio di sterminarci, fanno anche degli sforzi per questo: perché tali sforzi riescono vani?

Chi ne trattiene il braccio oppure ne frastorna i colpi?

Di quali esempi di punizione divina siamo stati testimoni!

Quali disposizioni di Provvidenza per distogliere dal più minaccioso pericolo coloro che Dio voleva preservare!

Lo stato presente della Chiesa non è forse l'avveramento delle antiche predizioni?

Ciò che Nostro Signore soffre nel suo Corpo mistico, non riproduce forse ciò che ha sofferto un tempo nel suo corpo naturale?

I disordini a cui si abbandonano i cristiani apostati, inauditi fino ai nostri giorni, non ci mostrano chiaramente in quale eccesso di sventura e di accecamento ci si immerge, non appena che ci si allontana da Gesù Cristo?

E se ciò ci pronostica la fine del mondo, l'avvicinarsi del sovrano giudice, cosa vi è di più indicato per rianimare la nostra vigilanza?

Qual motivo, può essere più forte per impegnarci potentemente a raddoppiare gli sforzi per delineare fra noi qualche immagine della Chiesa nascente?

2. Ragioni, speranze e stile della nostra carità

Ci devono bastare queste ragioni; ci fanno sentire il nostro obbligo in questo campo.

E Nostro Signore desidera vedere che noi lo compiamo con fedeltà.

Non dubitiamo punto che non versi su di noi e su questa Società, che comincia a formarsi, le grazie più abbondanti per aiutarci a farlo.

Non è invano che si è degnato ispirarcene il disegno; lo commuove lo stato della sua Chiesa.

Potremo credere che sia senza visioni degne del suo amore paterno che, in questi ultimi tempi, abbia voluto scoprirle con maggior chiarezza le ricchezze nascoste nel suo Divino Cuore?

Non ci sembra pure che la sua augusta Madre vuole far risplendere, a nostra vantaggio, la sua potenza e che la devozione per Lei si riaccenda in tutti coloro che sono rimasti fedeli?

Attendiamoci, se occorre, prodigi e miracoli per opporli ai furori ed alle tenebre dell'incredulità: non ci mancheranno, se sono necessari.

Nulla dunque abbatta il nostro coraggio.

Pieni di confidenza nella bontà del Signore; sicuri della protezione onnipotente della sua Santa Madre, che noi consideriamo come nostra Madre e nostro rifugio; introdotti da Lei nel Cuore adorabile di suo Figlio; decorati del nome di questo Cuore, nome che ci coprirà con la sua ombra come con uno scudo impenetrabile ai colpi del nemico, osiamo aspirare a quanto vi è di più eminente nella santità, a quella perfetta che caratterizzava i primi cristiani e che faceva sì che essi non avessero tutti assieme che « un cuore ed un'anima ».

3. Doti che deve avere la nostra carità

Ci resterebbe ancora da considerare, miei cari confratelli, ciò che dobbiamo essere, ciò che abbiamo da praticare per assomigliare a loro in ciò.

È quanto mi ero prefisso agli inizi di questa lettera; ma poiché non potrei svolgere a fondo questa materia, senza oltrepassare di molto i limiti che mi sono imposto, non farò, per così dire, che sfiorarla.

Ma osservo dapprima che la pratica di questa carità può trovarsi solo fra coloro i quali, come i primi cristiani, tendano generosamente alla perfezione evangelica: tali io suppongo quanti compongono questa Società del Cuore di Gesù.

Uno dei caratteri della carità cristiana è di essere universale; deve estendersi, senza eccezione, a tutti gli uomini; ma non si può, non si deve avere uno stesso cuore, una medesima anima con i cattivi.

Supposto ciò, è evidente che per praticare la carità vicendevole, gli uni verso gli altri, in quel modo perfetto con cui la praticavano tra loro i primi cristiani, bisogna che si compiano i doveri della carità generale, che consiste nel non fare agli altri ciò che potrebbe essere per essi un giusto motivo di lamento; e nel far loro invece tutto il bene che è in nostro potere di compiere.

Questi doveri sono di una estensione immensa; adempiendoli si compie tutta la legge: « Qui diligit proximum suum, legem impleuit ». « Chi ama il suo prossimo, ha compiuto» la legge» ( Rm 13,8 ).

E la si compie anche con tutta la perfezione da essa voluta: « Plenitiido legis dilectio ». « L'amore è la pienezza della legge » ( Rm 13,10 ).

Consideriamo dunque come un dovere imprescindibile la cura di evitare ogni sorta di difetti, di tenere a freno tute le nostre passioni, di applicarci con tutta lena a vincerle, o piuttosto ad esserne completamente i dominatori.

Potremmo infatti non offendere il prossimo in mille occasioni, se ci lasciassimo dominare dall'interesse, dall'orgoglio, dall'amore dei comodi e dei nostri agi, dall'invidia, dalla collera, dalla pigrizia e da qualunque altro vizio, poiché non ne esiste uno che non abbia la sua radice nell'amore disordinato di sé, amore direttamente opposto alla canta fraterna?

Non ci è meno necessario praticare le più sublimi virtù in un grado poco comune: la rinuncia alla propria volontà, il sacrificio del nostro giudizio particolare, lo spogliamente di noi stessi, il distacco dalle cose della terra, la più profonda umiltà, una inalterabile pazienza, una benevolenza universale, una tenera compassione per tutte le miserie altrui.

Come potersi reciprocamente scambiare gli uni con gli altri ogni specie di beni, senza l'unione e la pratica di queste virtù e di tutte le altre virtù cristiane?

Come sopportare con costanza i difetti vicendevoli, per quanto penoso ne possa essere il fardello?

« Alter alterius onera portate ». « Sopportate gli uni i fardelli degli altri » ( Gal 6,2 ).

Come regolare i propri sentimenti su quelli del prossimo, non preferire le proprie viste a quelle altrui, accondiscendere a quanti stanno sotto di noi e non appoggiarsi affatto alla propria prudenza.

« Idipsum inuicem sentientes; non alta sapientes, sed hiimilibus conscntientes. Nolite esse prudentes apud vosmetipsos ».

«Abbiate unità di sentimenti; non aspirate a quanto è elevato, ma adattatevi a ciò chdie vi è di più umile; non cercate di essere saggi ai vostri occhi » ( Rrn 12,16 ).

Come non entrare mai in contestazione con alcuno, non far nulla per vana gloria e trattarsi vicendevolmente come se gli altri fossero al di sopra di noi?

« Nihil per contentionem, neque per inanem gloriarti; sed in immilliate superiores sibi inuicem arbitrantes ». « Non fate nulla per spirito di contesa e di vana gloria, ma che ciascuno con umiltà reputi gli altri superiori a sé » ( Fil 2,3 ).

Come preferire ciò che riguarda gli altri a quanto riguarda noi stessi, il nostro onore, la nostra quiete, la nostra salute, la nostra vita?

« Non quae sua sunt singuli considerantes sed ea quae aliorum ». « Che ciascuno miri non ai propri interessi, ma a quelli degli altri ». ( Fil 2,4 )

Come aiutarsi vicendevolmente in tutti i propri bisogni, sia di anima che di corpo?

Come, infine, potrebbe esservi tra noi quello scambio di beni, di risorse, di aiuti e di vantaggi d'ogni specie, che deve trovarsi in una società di cristiani già perfetti o che tendono alla perfezione, battendo le orme del primi fedeli?

« Necessitaiibus sanctorm comunicantes ». « Assistete i Santi nei loro bisogni » ( Rm 12,13 ).

Non entro qui in maggiori particolari; quanto ho detto, o piuttosto le parole dell'Apostolo, che vi ho sottoposto, ci mostrano sufficientemente, in generale, come dobbiamo esercitare la carità fraterna gli uni verso gli altri.

L'ultimo punto e precisamente la comunicazione di ogni sorta di beni, quale deve sussistere nella vostra Società, esige una istruzione particolare, non solamente perché racchiude un dovere essenziale a cui siamo più specialmente obbligati in questa Società e per questa carità perfetta dei primi cristiani che ci proponiamo di riprodurre tra noi e per la povertà religiosa di cui voi fate professione, ma ancora perché ha bisogno di alcuni schiarimenti affinché non vi si manchi affatto o per eccesso o per difetto e affinché si sappia conciliare assieme i doveri della prudenza cristiana e quelli della carità.

Sarà questo l'argomento di un'altra lettera, se il Signore, nella sua misericordia, a ciò ci concederà il tempo ed i lumi di cui abbiamo bisogno.

Termino la presente con una riflessione che non è potuta mancare di presentarsi al vostro spirito nel corso di questa istruzione: tutte le disposizioni, che abbiamo richiesto, devono essere soprannaturali e solidamente stabilite in noi, ma esse lo saranno certamente in un grado conveniente di perfezione, se non perderemo di vista che questa carità che dobbiamo esercitare gli universo gli altri e che deve essere ricalcata su quella dei primi cristiani, deve, come la loro, aver per base la unione che Gesù Cristo stesso si degna di contrarre con noi e quella che noi stessi dobbiamo avere reciprocamente con lui; la carità di Gesù Cristo per noi è quella che deve regnare tra noi; se non siamo uniti tutti assieme a Gesù Cristo, la nostra unione vicendevole non può sussistere; la nostra unione con Gesù Cristo è la misura di quella che avremo gli uni per gli altri; e da ultimo è Gesù Cristo stesso che bisogna che noi amiamo, onoriamo vicendevolmente gli uni negli altri.

Quale elevatezza di pensieri e di sentimenti! Quale orrore delle più piccole mancanze! Quale santità!

Quale dimenticanza di noi stessi, quali attenzioni per il prossimo non produrrebbe in noi questa considerazione!

Potessimo tenerla presente sempre! Potesse riempire i nostri cuori, dirigere tutti i nostri sentimenti, regolare tutte le nostre parole, presiedere a tutte le nostre opere!

Potessimo ad ogni istante risentirne la meravigliosa forza!

Allora, essendo i nostri cuori lutti assieme riuniti nei Cuori di Gesù e di Maria con i legami della più perfetta carità, meriteremmo veramente di essere chiamati « la Società del Sacratissimo Cuore di Gesù » ; si potrebbe dire di questa Società, come di quella dei primi cristiani, che tra noi non v'è che un cuore ed un'anima sola.

« Multitudinis credentium erat cor unum et anima una ».

Quanta forza darebbe questa unanimità alla domanda che noi rivolgiamo ora al Signore!

Essa trionferebbe, non dubitiamone, sul cuore di Dio stesso; è per questo che non cessiamo mai di desiderarla, di domandarla con umile confidenza e con la più viva insistenza a Colui da cui ci scendono dall'alto i veri beni.

Per ottenerla, facciamo tutti insieme questa preghiera dell'Apostolo: « Si degni il Dio di pace venire prontamente in nostro aiuto, ci dia la forza di schiacciare Satana sotto i piedi e versi su noi con abbondanza i tesori della sua grazia ».

« Deus autem pacis conterai Satanam sub pedibus vestris velociter: gratta Domini nostri Jesu Christi vobiscum. Amen ».

1° maggio 1799

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