Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se qualche nome detto di Dio ne significhi l'essenza

In 1 Sent., d. 2, q. 1, a. 2; C. G., I, c. 31; De Pot., q. 7, a. 5

Pare che nessun nome detto di Dio ne indichi l'essenza.

Infatti:

1. Dice il Damasceno [ De fide orth. 1,9 ]: « Ciascuno dei nomi che si dicono di Dio non sta a significare ciò che egli è secondo l'essenza, ma a indicare ciò che non è, o una qualche relazione, o alcune di quelle cose che seguono la natura o l'operazione ».

2. Dionigi [ De div. nom. 1 ] afferma: « Troverai che tutti gli inni dei sacri dottori che dividono in lodi e manifestazioni gli appellativi di Dio sono diretti alle libere produzioni della potenza divina ».

E ciò significa che i nomi usati dai sacri dottori per la divina lode si distinguono in rapporto agli effetti che procedono dallo stesso Dio.

Ora, ciò che indica la produzione [ o l'effetto ] di una cosa non indica nulla di essenziale alla cosa stessa.

Quindi i nomi detti di Dio non esprimono la sua essenza.

3. Una cosa viene da noi nominata nel modo in cui è conosciuta.

Ma in questa vita noi non conosciamo Dio secondo la sua essenza.

Quindi neppure i nomi da noi imposti vogliono esprimere la natura di Dio.

In contrario:

Dice S. Agostino [ De Trin. 6,4.6 ]: « In Dio è tutt'uno essere ed essere forte, o essere sapiente, e qualsiasi altra cosa che vorrai affermare di quella semplicità per indicarne la sostanza ».

Quindi tutti questi nomi stanno a significare la sostanza [ o la natura ] di Dio.

Dimostrazione:

I nomi che vengono attribuiti a Dio in senso negativo, o che significano un suo rapporto con le creature, evidentemente non esprimono in alcun modo la sua essenza, ma indicano l'eliminazione di un qualcosa da lui, o la relazione di lui verso altre cose, o meglio di altre cose verso di lui.

Se però si tratta di nomi che si applicano a Dio in modo assoluto e affermativo, come buono, sapiente e così via, allora c'è diversità di opinioni.

Alcuni infatti sostennero che tutti questi nomi, sebbene si dicano di Dio affermativamente, sono stati trovati più per eliminare da Dio qualcosa che non per porre qualcosa in lui.

Quindi affermano che quando noi diciamo che Dio è vivente intendiamo dire che non esiste al modo delle realtà inanimate; e così andrebbero presi gli altri [ nomi ].

Così pensava Mosè Maimonide.

- Altri invece dicono che tali nomi sono stati dati per indicare dei rapporti esistenti fra Dio e le sue creature, in maniera che quando, p. es., diciamo che Dio è buono, il senso sarebbe questo: Dio è causa della bontà nelle cose.

E così per tutti gli altri casi.

Ma né l'una né l'altra di queste opinioni soddisfa, per tre motivi.

Prima di tutto perché nessuna di esse sarebbe sufficiente ad assegnare la ragione per cui si dicono di Dio alcuni nomi a preferenza di altri.

Dio infatti, come è causa dei beni, così è anche causa dei corpi: se quindi col dire: « Dio è buono » non si vuole significare altro se non che « Dio è causa del bene », si dovrebbe poter dire ugualmente che Dio è un corpo, essendo causa dei corpi.

Parimenti, dicendolo corpo, si esclude che sia un ente soltanto in potenza, come la materia prima.

- Secondo, poiché ne seguirebbe che tutti i nomi applicati a Dio si direbbero di lui per derivazione, come sano si dice della medicina per derivazione, poiché significa soltanto che essa è causa della sanità nell'animale, il quale invece è detto sano in senso pieno e inderivato.

- Terzo, poiché ciò è in contrasto con l'intenzione di chi parla di Dio.

Infatti chi dice che Dio è vivente non intende affermare semplicemente che è causa della nostra vita, o che differisce dai corpi inanimati.

Perciò bisogna dire diversamente, che cioè tali nomi significano la sostanza divina e vengono attribuiti all'essenza di Dio, ma la rappresentano in modo insufficiente.

E lo si dimostra in questo modo.

I vocaboli significano Dio in base alla conoscenza che di lui ha il nostro intelletto.

Ora, siccome il nostro intelletto conosce Dio attraverso le creature, lo conoscerà nella misura in cui le creature glielo rappresentano.

D'altra parte sopra [ q. 4, a. 2 ] si è dimostrato che Dio precontiene in se medesimo tutte le perfezioni delle creature, in quanto assolutamente e universalmente perfetto.

E così ogni creatura in tanto lo rappresenta e gli assomiglia in quanto possiede una qualche perfezione; non però in modo da rappresentarlo come un qualcosa della stessa specie o dello stesso genere, bensì come un principio trascendente, dalla cui forma gli effetti sono lontani, ma col quale tuttavia hanno una certa somiglianza: come [ ad es. ] le forme dei corpi inferiori rappresentano la virtù del sole.

E tutto ciò fu esposto sopra [ q. 4, a. 3 ], quando si trattò della divina perfezione.

Così, dunque, i predetti nomi significano la divina sostanza, però imperfettamente, come anche le creature la rappresentano in modo imperfetto.

Per cui, quando si dice: « Dio è buono », non si vuol dire che Dio è causa del bene, o che Dio non è cattivo, ma il senso è questo: « ciò che noi chiamiamo bontà nelle creature preesiste in Dio », e in un modo certamente più alto.

Quindi la bontà non conviene a Dio perché egli è causa del bene, ma piuttosto, al contrario, per il fatto che è buono Dio effonde la bontà nelle cose; secondo il detto di S. Agostino [ De doctr. christ. 1,32.35 ]: « In quanto è buono, noi esistiamo ».

Analisi delle obiezioni:

1. Il Damasceno dice che tali nomi non significano quello che Dio è perché nessuno di essi lo esprime perfettamente, ma ognuno lo indica imperfettamente, come anche imperfettamente lo rappresentano le creature.

2. Nella significazione delle parole talora non c'è corrispondenza fra la cosa da cui si desume un termine e quella per cui lo si adopera: p. es. il latino lapis ( pietra ) deriva da laedere pedem, offendere il piede; però non lo si adopera per indicare ciò che offende il piede, ma per significare un certo tipo di corpi: altrimenti tutto ciò che offende il piede sarebbe lapis ( pietra ).

Così dunque si deve dire che quei nomi divini sono desunti dagli effetti che derivano dalla divinità: come infatti le creature rappresentano Dio, per quanto imperfettamente secondo partecipazioni diverse di perfezioni, così il nostro intelletto conosce e nomina Dio secondo ciascuna di queste derivazioni.

Tuttavia esso non applica [ a Dio ] questi nomi per indicare le varie derivazioni, quasi che nel dire: « Dio è un vivente » volesse intendere: « da Dio deriva la vita », bensì per indicare lo stesso principio delle cose, in quanto in esso preesiste la vita, sebbene in modo più elevato di quello che noi possiamo capire o esprimere.

3. In questa vita noi non possiamo conoscere l'essenza di Dio come è in se stessa, ma la conosciamo nel modo in cui si trova rappresentata nelle perfezioni delle creature.

E così la designano i nomi da noi imposti.

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