Summa Teologica - I

Indice

Articolo 6 - Se Dio conosca le cose con una conoscenza propria

In 1 Sent., d. 35, q. 1, a. 3; C. G., I, c. 50; De Pot., q. 6, a. 1; De Verit., q. 2, a. 4; In De Causis, lect. 10

Pare che Dio non conosca le cose con una conoscenza propria.

Infatti:

1. Si è detto che Dio conosce le cose da sé distinte perché sono in lui.

Ma esse sono in lui come nella causa prima e universale.

Quindi saranno conosciute da Dio [ solo virtualmente ], come nella causa prima e universale.

Ma questo è un conoscere in modo generico, e non secondo una conoscenza propria e distinta.

Quindi Dio conosce le cose genericamente, e non secondo una conoscenza propria.

2. Quanto dista l'essenza della creatura dall'essenza divina, altrettanto dista l'essenza divina da quella della creatura.

Ora, mediante l'essenza della creatura non si può conoscere l'essenza divina, come fu dimostrato [ q. 12, a. 2 ].

Quindi neppure l'essenza della creatura può essere conosciuta per mezzo di quella divina.

E così, siccome Dio nulla conosce se non mediante la propria essenza, ne segue che non conosce la creatura secondo la natura di questa, in modo da conoscerne la quiddità, come è richiesto invece da una conoscenza propria.

3. Non si ha conoscenza propria di una cosa se non per mezzo della natura di essa.

Ora, siccome Dio conosce tutte le cose nella propria essenza, non pare che le conosca una per una, mediante il loro costitutivo formale, poiché un'unica e medesima realtà non può essere il costitutivo formale proprio di più cose diverse.

Quindi Dio non ha delle cose una conoscenza propria, ma generica: infatti conoscere le cose non secondo il loro costitutivo formale è un conoscere generico.

In contrario:

Avere delle cose una conoscenza propria è conoscerle non soltanto in generale, ma in quanto sono tra loro distinte.

Ora, Dio conosce le cose in questa maniera.

Per cui S. Paolo [ Eb 4,12s ] dice che « [ la parola di Dio ] penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.

Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui ».

Dimostrazione:

Su questo punto alcuni hanno errato, dicendo che Dio non conosce le cose distinte da sé se non in comune, cioè in quanto sono enti.

Come infatti il fuoco, se conoscesse se stesso quale principio del calore, conoscerebbe la natura del calore e tutte le altre cose in quanto sono calde così Dio, conoscendo se stesso come principio dell'essere, conosce la natura dell'ente e tutte le altre cose in quanto sono enti.

Ma ciò è impossibile.

Infatti conoscere una cosa in generale e non in particolare è conoscerla imperfettamente.

Per cui il nostro intelletto, quando passa dalla potenza all'atto, acquista delle cose una conoscenza generica e confusa prima di quella distinta e propria, come procedendo dall'imperfetto al perfetto, al dire di Aristotele [ Phys. 1,1 ].

Se dunque la conoscenza che Dio ha delle cose fosse soltanto in generale e non in particolare, ne verrebbe che il suo intendere non sarebbe perfetto sotto tutti gli aspetti, e per conseguenza neppure il suo essere: la qual cosa è in contraddizione con quanto sopra abbiamo spiegato [ q. 4, a. 1 ].

Perciò è necessario dire che egli conosce le cose con conoscenza propria: non solo in quanto sono enti, ma anche in quanto l'una è distinta dall'altra.

Vediamo di chiarire la cosa.

Alcuni, volendo dimostrare che Dio per mezzo di una sola idea conosce più cose, portano dei paragoni: p. es., se il centro di una sfera conoscesse se stesso, conoscerebbe tutte le linee che ne diramano; e ancora: se la luce conoscesse se stessa, conoscerebbe tutti i colori.

- Ma questi paragoni, sebbene valgano sotto un certo aspetto, in quanto indicano modi universali di causare, tuttavia non corrispondono in questo: che la molteplicità e la diversità sono causate da quell'unico principio universale non per ciò che le distingue, ma soltanto per ciò in cui esse convengono.

Infatti la diversità dei colori non è causata soltanto dalla luce, ma anche dalle diverse disposizioni del corpo diafano che la riceve; e parimenti la diversità delle linee deriva dalle differenti loro posizioni.

Ed è per questo che la loro diversità o la loro molteplicità non può essere conosciuta nella loro causa con una conoscenza propria, ma solo in comune.

Ma in Dio non è così.

In precedenza [ q. 4, a. 2 ] abbiamo infatti dimostrato che tutto ciò che vi è di perfezione in ogni creatura preesiste ed è contenuto in Dio in grado eminente.

Ora, non ha carattere di perfezione soltanto ciò in cui le creature convengono, cioè l'essere, ma anche ciò in cui si distinguono tra loro, come il vivere, l'intendere, ecc., per cui gli esseri viventi si distinguono dai non viventi, e quelli razionali dai non razionali.

E così pure ogni forma, per mezzo della quale ciascuna cosa è costituita nella propria specie, è una perfezione.

Così dunque tutte le cose preesistono in Dio non solo per ciò che hanno di comune, ma anche quanto a ciò per cui sono distinte.

Quindi, siccome Dio racchiude in sé tutte le perfezioni, l'essenza divina si rapporta a tutte le essenze delle cose non come un principio generico rispetto ai termini particolari, quali ad es. l'unità rispetto ai numeri o il centro rispetto alle linee, ma quale attualità perfetta rispetto alle imperfette, come se si dicesse uomo in rapporto ad animale, oppure sei, che è un numero perfetto, in rapporto ai numeri imperfetti che contiene.

Ora, è chiaro che con un atto perfetto si possono conoscere gli atti imperfetti non solo in generale, ma anche con conoscenza propria.

Come chi sa che cosa è un uomo sa anche con esattezza che cosa è un animale; e chi conosce il numero sei conosce, in modo distinto, il numero tre.

Così dunque, avendo l'essenza divina in sé quanto vi è di perfezione nell'essenza di ciascuna cosa, e molto di più, Dio può conoscere in se stesso, di conoscenza propria, tutte le cose.

Infatti la natura di ogni essere consiste precisamente nel partecipare, in qualche maniera, la perfezione di Dio.

Ma Dio non conoscerebbe perfettamente se medesimo se non conoscesse tutti i modi nei quali la sua perfezione può essere partecipata; e neppure conoscerebbe a perfezione la stessa natura dell'essere se non conoscesse tutti i modi di essere.

È quindi evidente che Dio conosce tutte le cose, nelle loro varietà e distinzioni, con una conoscenza propria.

Analisi delle obiezioni:

1. Conoscere una cosa come è nel soggetto conoscente può essere inteso in due maniere.

Se l'avverbio come designa il modo della conoscenza dal lato dell'oggetto conosciuto, allora ciò è falso.

Infatti non sempre il soggetto conoscente conosce l'oggetto secondo il modo di essere che questo ha nel conoscente: come l'occhio non conosce la pietra secondo l'essere che la pietra ha nell'occhio, ma piuttosto mediante l'immagine della pietra che ha in sé conosce la pietra secondo l'essere [ reale ] che essa ha fuori dell'occhio.

E anche se un soggetto conoscente conosce l'oggetto secondo l'essere che ha nel conoscente stesso, nondimeno lo conosce anche secondo l'essere che ha fuori del soggetto: come l'intelletto conosce la pietra secondo l'essere intelligibile che essa ha nell'intelletto, in quanto conosce di conoscere, ma conosce anche l'essere della pietra nella sua propria natura.

- Se invece l'avverbio come indica una modalità della conoscenza dal lato del soggetto conoscente, allora è vero che il soggetto conoscente conosce l'oggetto solo in quanto questo è nel conoscente: poiché quanto più perfettamente un oggetto di conoscenza è nel conoscente, tanto più perfetto è il modo della conoscenza.

- Così dunque si deve dire che Dio non soltanto conosce che le cose sono in lui ma, per il fatto che egli le contiene in sé, le conosce nella loro propria natura; e tanto più perfettamente quanto più perfettamente ciascuna cosa è in lui.

2. L'essenza della creatura sta in rapporto all'essenza di Dio come l'atto imperfetto a quello perfetto.

Quindi l'essenza della creatura non è sufficiente a condurre alla conoscenza dell'essenza divina, ma è vero l'inverso.

3. Una medesima cosa non può essere in maniera univoca il costitutivo formale di più cose diverse.

Ma l'essenza divina è qualcosa che trascende tutte le creature.

Quindi la si può considerare quasi come l'essenza e il costitutivo di ciascuna cosa, a seconda che può essere variamente partecipata da creature diverse.

Indice