Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se la relazione in Dio sia identica alla sua essenza

In 1 Sent., d. 33, q. 1, a. 1; C. G., IV, c. 14; De Pot., q. 8, a. 2; Quodl., 6, q. 1; Comp. Theol., cc. 54, 66, 67

Pare che in Dio la relazione non sia identica alla sua essenza.

Infatti:

1. S. Agostino [ De Trin. 5,5.6 ] dice: « Non tutto ciò che si predica di Dio sta a indicare la sostanza, poiché alcune cose si dicono di lui in ordine ad altro, come egli è detto Padre in ordine al Figlio; ora, queste [ espressioni ] non stanno a indicare la sua sostanza ».

Quindi la relazione non è l'essenza divina.

2. Lo stesso S. Agostino [ De Trin. 7,1 ] asserisce: « Nelle cose che sono denominate da una relazione, oltre a questa c'è in esse qualcos'altro, come nell'uomo-padrone e nell'uomo-servo ».

Se dunque in Dio ci sono delle relazioni bisogna che in lui, oltre alla relazione, ci sia anche qualche altra cosa.

Ma quest'altra cosa non può essere che l'essenza.

Quindi questa si distingue dalle relazioni.

3. L'essere di ogni cosa relativa è il riferirsi ad altro, come dice Aristotele [ Praed. 5,24 ].

Se dunque la relazione fosse identica all'essenza, ne seguirebbe che l'essere dell'essenza divina sarebbe una semplice relazione; ma ciò ripugna alla perfezione dell'essere divino, che è massimamente assoluto e sussistente, come si è detto [ q. 3, a. 4 ].

Quindi la relazione non è l'essenza divina.

In contrario:

Tutto ciò che non è l'essenza divina è una creatura.

Ma la relazione viene attribuita a Dio come qualcosa di reale.

Se dunque essa non si identifica con l'essenza divina, [ allora ] è qualcosa di creato, e come tale non meritevole di adorazione latreutica; il che va contro quanto si canta nel Prefazio: « Noi adoriamo la Trinità delle Persone, l'uguaglianza nella maestà divina ».

Dimostrazione:

È risaputo che Gilberto Porretano errò su questo argomento, ma poi ritrattò il suo errore nel Concilio di Reims.

Diceva infatti che le relazioni in Dio sono assistenti, ossia apposte dall'esterno.

Per chiarire questo punto è necessario osservare che in ognuno dei nove generi di accidenti si devono distinguere due elementi.

Il primo è l'essere che conviene a ognuno di tali generi in quanto accidenti.

E questo, comune a tutti [ e nove ], è l'essere nel soggetto, poiché l'essere dell'accidente è appunto l'essere in [ un soggetto ].

L'altro elemento a cui si deve badare è ciò che forma la ragione propria di ciascun genere e ne è l'elemento distinguente.

Ora, negli altri generi diversi dalla relazione, come nella quantità e nella qualità, anche questo elemento distinguente viene preso in rapporto al soggetto: poiché la quantità è detta misura della sostanza, e la qualità è una disposizione della sostanza.

Invece l'elemento distinguente della relazione viene preso in rapporto non al soggetto in cui si trova, ma a qualcosa di esterno.

Se dunque anche nelle creature consideriamo le relazioni secondo ciò che loro compete di proprio, cioè come relazioni, troviamo che sono assistenti, non fissate intrinsecamente: poiché allora significano il rapporto che, in certo qual modo, parte dalla stessa cosa che viene riferita per tendere verso un'altra.

Se invece le stesse relazioni vengono considerate come accidenti, allora sono inerenti al soggetto e hanno in esso un essere accidentale.

Ma Gilberto Porretano considerò le relazioni solo nel primo modo.

Ora, tutto ciò che nelle creature ha un essere accidentale, trasferito in Dio ne acquista uno sostanziale, poiché in Dio non c'è nulla di accidentale, ma tutto ciò che è in lui è la sua stessa essenza.

Così dunque la relazione che esiste realmente in Dio, da quel lato in cui nelle creature ha un essere accidentale, in Dio ha quello sostanziale dell'essenza divina, assolutamente identico ad essa.

Invece in quanto relazione non indica alcun ordine all'essenza, ma piuttosto al suo correlativo.

E così è chiaro che la relazione esistente realmente in Dio è realmente identica all'essenza; e non ne è distinta se non per una differenza concettuale, in quanto nella relazione è incluso l'ordine al termine correlativo, ordine che non è incluso nel concetto di essenza.

È dunque evidente che in Dio l'essere della relazione non è diverso da quello dell'essenza, ma è la stessa e identica cosa.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino con quelle parole non vuol dire che la paternità, od ogni altra relazione che si trova in Dio, non sia identica nel suo essere all'essenza divina, ma soltanto che non si predica come sostanza, cioè come esistente nel soggetto a cui viene attribuita, bensì in quanto si riferisce a un altro termine.

- E per questo si dice che in Dio non vi sono che due predicamenti.

Poiché gli altri comportano un ordine al soggetto di cui si predicano, tanto secondo il loro essere quanto secondo la loro ragione specifica, mentre invece nulla di quanto è in Dio, data la sua somma semplicità, può avere altro rapporto col soggetto in cui si trova che non sia quello di identità.

2. Come nelle creature che sono denominate da una relazione non c'è soltanto questa relazione, ma anche qualcos'altro di assoluto, così anche in Dio, sebbene in modo differente.

Nelle creature infatti ciò che si trova oltre a quanto è significato dal nome relativo è un'altra cosa; in Dio invece è la stessa e identica cosa, cioè la sostanza divina, la quale però non è perfettamente espressa dal nome relativo, non essendo limitata al significato di tale nome.

Si è detto infatti, parlando dei nomi divini [ q. 13, a. 2 ], che in Dio vi è assai più di quanto si possa esprimere con qualsiasi nome.

Quindi non segue che in Dio, oltre alle relazioni, vi sia qualche altra cosa realmente, ma soltanto se si considera la natura propria dei nomi.

3. Se la perfezione divina non contenesse nulla di più di quanto è significato dal nome relativo, il suo essere sarebbe imperfetto, poiché consisterebbe nella semplice relazione: come non sarebbe sussistente se non contenesse nulla di più di quanto viene significato con il nome « sapienza ».

Essendo invece la perfezione dell'essenza divina maggiore di quanto possa esprimersi a parole, se un nome relativo, o qualsiasi altro nome, non significa qualcosa di perfetto, non ne segue che l'essenza divina sia imperfetta: poiché, come si è detto [ q. 4, a. 2 ], essa racchiude in se stessa ogni genere di perfezione.

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