Summa Teologica - I |
C. G., II, cc. 39-45; III, c. 97; De Pot., q. 3, a. 1, ad 9; a. 16; Comp. Theol., cc. 71, 72, 102; In 12 Metaph., lect. 2; In De Causis, lect. 24
Pare che la molteplicità e la distinzione delle cose non derivino da Dio.
1. L'uno e fatto per produrre una cosa unica.
Ma Dio e massimamente uno, come si e già dimostrato [ q. 11, a. 4 ].
Quindi egli non ha prodotto che un unico effetto.
2. Ciò che e stato modellato assomiglia al modello.
Ma Dio è causa esemplare [ cioè modello] dei suoi effetti, come sopra [ q. 44, a. 3 ] abbiamo spiegato.
Quindi, siccome Dio è uno, anche il suo effetto sarà uno, non già molteplice ed eterogeneo.
3. Le cose che tendono a raggiungere un fine sono proporzionate ad esso.
Ma il fine del creato e unico, cioè la bontà divina, come si e già dimostrato [ q. 44, a. 4 ].
Quindi l'effetto di Dio non può essere che unico.
Nel libro della Genesi [ Gen 1,4.7 ] è detto che Dio "distinse la luce dalle tenebre", e "divise le acque dalle acque".
Quindi la distinzione e la molteplicità delle cose vengono da Dio.
Nell'assegnare la causa della distinzione delle cose troviamo una molteplicità di opinioni.
Alcuni infatti la attribuirono alla materia soltanto, oppure ad essa in cooperazione con una causa agente.
Alla sola materia la attribuirono Democrito e tutti gli antichi naturalisti, i quali riconoscevano la sola causa materiale; e secondo loro la distinzione delle cose risulterebbe dal caso, in base al movimento della materia [ cf. Phys. 1,4; 3,4; 8,9 ].
Anassagora invece attribuì la distinzione e la molteplicità delle cose alla materia e insieme alla causa efficiente, poichè egli ammise un'intelligenza che distinse tra loro le cose, estraendole dalla materia nella quale si trovavano mescolate [ ib. ].
Ma tale opinione non può reggere per due motivi.
Primo, perche già sopra [ q. 44, a. 2 ] abbiamo dimostrato che la stessa materia è stata creata da Dio.
Quindi, anche se esistesse una distinzione dovuta alla materia, bisognerebbe riportarla a una causa superiore.
Secondo, perché la materia è per la forma e non viceversa.
Quindi la distinzione delle cose avviene per mezzo delle forme proprie.
Per cui non si ha la distinzione delle cose in forza della materia, ma viceversa esiste difformità nella materia creata proprio perche questa e destinata a forme diverse.
Altri invece attribuirono la pluralità delle cose alle cause seconde.
Per es. Avicenna [ Met. 9,4 ], il quale affermò che Dio nell'intendere se stesso produsse la prima intelligenza; e in questa, per il fatto che non è la sua stessa esistenza, necessariamente si ha la composizione di potenza e di atto, come chiariremo in seguito [ q. 50, a. 2, ad 3 ].
Cosi dunque la prima intelligenza nell'intendere la causa prima produsse la seconda intelligenza; nell'intendere invece se stessa come potenziale produsse il corpo del cielo che essa muove; nell'intendere infine se stessa per quello che ha di attuale produsse l'anima del cielo.
Ma tutto ciò non può reggere per due motivi.
Primo perché, come si e già dimostrato [ q. 45, a. 5 ], creare appartiene soltanto a Dio.
Quindi quanto viene causato solo per creazione viene prodotto esclusivamente da Dio: e tali sono quegli esseri che non sono soggetti al processo di generazione e corruzione.
Secondo, perché stando a questa opinione la molteplicità delle cose non dipenderebbe da un primo agente, ma solo dalla combinazione di molte cause efficienti.
Ora, noi diciamo che un fatto di questo genere deriva dal caso.
E cosi l'ultima perfezione dell'universo, che consiste nella varietà delle cose, verrebbe dal caso: il che e assurdo.
Perciò dobbiamo affermare che la distinzione e la molteplicità delle cose provengono dal primo agente, che e Dio.
Infatti egli ha prodotto le cose nell'essere per comunicare la sua bontà alle creature, e per rappresentarla per mezzo di esse.
E poiché questa non può essere sufficientemente rappresentata da una sola creatura, produsse molte e varie creature, perche ciò che manca a una per ben rappresentare la divina bontà sia supplito dall'altra: la bontà infatti, che in Dio e allo stato di semplicità e di unita, si trova nelle creature in modo complesso e frammentato.
Quindi tutto l'universo partecipa e rappresenta la divina bontà più perfettamente di qualsiasi creatura particolare.
E siccome la causa della distinzione delle cose proviene dalla divina sapienza, per questo Mose dice che le cose furono distinte tra loro dal Verbo di Dio, che è la concezione della sapienza.
Ed è quanto si dice nella Genesi [ Gen 1,3.4 ]: "Dio disse: Sia la luce. E divise la luce dalle tenebre".
1. Una causa naturale agisce in forza della forma che la costituisce, e che per ciascun essere e unica: perciò essa non produce che un solo effetto.
Ma un agente dotato di volontà quale è Dio agisce, come si e già spiegato [ q. 19, a. 4 ], in forza di una forma concepita intellettualmente.
Siccome dunque il fatto che Dio possa intendere più cose non ripugna alla sua unità e semplicità, come si e già dimostrato [ q. 15, a. 2 ], rimane che egli, sebbene sia uno, può fare molte cose.
2. L'argomento varrebbe se si trattasse di un esemplare che rappresentasse il modello perfettamente: allora l'esemplare non potrebbe essere moltiplicato altro che materialmente.
Per cui l'immagine increata, che è perfetta, e una soltanto.
Ma nessuna creatura rappresenta perfettamente il divino esemplare, che è l'essenza divina.
Quindi questa può essere rappresentata da molte cose.
D'altra parte, se si considerano le idee stesse come esemplari, troveremo corrispondere alla pluralità delle cose una pluralità di idee nella mente divina.
3. Nelle scienze speculative il termine medio della dimostrazione che dimostra perfettamente la conclusione e uno soltanto, ma i termini medi solo probabili sono molti.
E similmente in campo pratico: quando il mezzo per raggiungere il fine adegua, per cosi dire, il fine stesso, non se ne richiede che uno solo.
Ma la creatura non è in questo rapporto con quel fine che è Dio.
Quindi era necessario che le creature fossero molteplici.
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