Summa Teologica - I |
In 2 Sent., d. 6, q. 1, a. 2
Pare che il peccato del primo angelo prevaricatore non abbia indotto gli altri a peccare.
1. La causa deve essere prima del causato.
Ma come dice il Damasceno [ De fide orth. 2,4 ], tutti gli angeli peccarono simultaneamente.
Quindi il peccato di uno non poteva indurre gli altri a peccare.
2. Come si è già spiegato [ a. 2 ], il primo peccato dell'angelo non poteva essere che la superbia; ma la superbia cerca la propria eccellenza.
Ora, a chi cerca la propria eccellenza ripugna maggiormente la sottomissione a un inferiore che a un superiore: non pare perciò che i demoni abbiano preferito sottoporsi a uno degli angeli superiori piuttosto che a Dio.
Ma il peccato del primo angelo sarebbe stato causa del peccato degli altri soltanto se li avesse indotti a sottomettersi a lui.
Non pare quindi che il peccato del primo angelo sia stato la causa del peccato degli altri.
3. È un peccato più grave volersi assoggettare a un altro contro Dio che voler comandare ad altri contro Dio: poiché nel primo caso c'è una minore attrattiva.
Se quindi il peccato del primo angelo fu causa del peccato degli altri in quanto egli li indusse a sottomettersi a lui, gli angeli inferiori avrebbero commesso un peccato più grave di quello dell'angelo supremo.
Ma ciò sarebbe contro la spiegazione che dà la Glossa a quelle parole del Salmo [ Sal 104,26 ]: « Il Leviatàn che hai plasmato »; dice infatti: « Colui che era superiore nell'essere fu anche più grande nella malizia ».
Quindi il peccato del primo angelo non fu causa del peccato degli altri.
Nell'Apocalisse [ Ap 12,4 ] si legge che il dragone trascinò con sé « la terza parte delle stelle ».
Il peccato del primo angelo fu causa di peccato per gli altri non costringendoli, ma quasi inducendoli con una specie di esortazione.
E ne abbiamo un indizio nel fatto che tutti i demoni sono sottomessi a quell'angelo supremo; come appare manifestamente dalle parole del Signore [ Mt 25,41 ]: « Andate, o maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli ».
L'ordine della giustizia divina vuole infatti che colui che acconsente con la colpa all'istigazione di un altro rimanga poi soggetto al potere di lui, in pena [ del suo peccato ], come sta scritto [ 2 Pt 2,19 ]: « Uno è schiavo di colui che l'ha vinto ».
1. Sebbene gli angeli abbiano peccato simultaneamente, tuttavia il peccato dell'uno poté essere la causa del peccato degli altri.
L'angelo infatti non ha bisogno di un certo tempo per scegliere, per esortare e per acconsentire; come invece accade per l'uomo, il quale ha bisogno di deliberare prima di scegliere e di acconsentire, e ha bisogno della parola per esortare: operazioni queste che si svolgono nel tempo.
È noto tuttavia che anche l'uomo, mentre nel suo cuore concepisce qualcosa, nell'istante stesso comincia a parlare.
E nell'ultimo istante del discorso uno può assentire a ciò che viene detto, non appena ha afferrato il pensiero di chi parla: il che è evidente soprattutto riguardo ai primi princìpi, « a cui ognuno acconsente non appena li ascolta » [ cf. Boezio, De hebdom., Prol. ].
Tolto quindi il tempo, indispensabile a noi per parlare e per deliberare, allorché il primo angelo espresse il suo desiderio con una locuzione intellettiva, anche gli altri poterono acconsentirvi nel medesimo istante.
2. Il superbo, a parità di condizioni, preferisce sottomettersi a un superiore anziché a un inferiore.
Se però sotto l'inferiore può raggiungere un'eccellenza che non potrebbe invece conseguire sotto il superiore, allora preferisce sottostare all'inferiore piuttosto che al superiore.
Quindi il fatto che i demoni vollero assoggettarsi a un essere inferiore accettandone il principato non contrasta con la loro superbia: essi infatti scelsero lui come principe e capo al fine di conseguire la loro beatitudine ultima con le forze naturali.
D'altra parte essi nell'ordine di natura erano già sottoposti all'angelo supremo.
3. Come si è spiegato sopra [ q. 62, a. 6 ], nell'angelo non vi è nulla che possa debilitarne l'operazione, ma con tutta la sua virtù egli si porta sull'oggetto verso cui si muove, sia che tenda al bene, sia che tenda al male.
Avendo perciò l'angelo supremo una virtù naturale maggiore degli altri, esso cadde in peccato con un volere più intenso.
E per questo fu superiore anche nella malizia.
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