Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 39, q. 3, a. 3; De Verit., q. 17, a. 4; Quodl., 3, q. 12, a. 2; 8, q. 6, a. 3; 9, q. 7, a. 2; In Rom., c. 14, lect. 2; In Gal., c. 5, lect. 1
Pare che la volontà che discorda dalla ragione [ o coscienza ] erronea non sia cattiva.
1. La ragione è la regola della volontà umana in quanto, come si è detto [ a. 4 ], deriva dalla legge eterna.
Ma la ragione erronea non deriva dalla legge eterna.
Quindi la ragione erronea non è la regola della volontà umana, per cui la volontà non è cattiva se discorda da tale ragione.
2. Secondo S. Agostino [ Serm. 62,8 ] il comando di un'autorità inferiore non obbliga se è contrario al comando dell'autorità superiore: come nel caso in cui un proconsole comandasse ciò che l'imperatore proibisce.
Ma la ragione che sbaglia talora propone delle cose che sono contro il precetto del superiore, cioè di Dio, la cui autorità è suprema.
Quindi il dettame della ragione erronea non obbliga.
E così la volontà non è cattiva se discorda dalla ragione erronea.
3. Ogni volere cattivo si riporta a una qualche specie di peccato.
Ma il volere che discorda dalla ragione erronea non può essere classificato in alcuna specie di peccato: nel caso, p. es., che la ragione erronea mostrasse che bisogna fornicare, il volere di chi non vuole fornicare non potrebbe essere classificato in alcuna specie di peccato.
Quindi il volere che discorda dalla ragione erronea non è cattivo.
Come si è detto nella Prima Parte [ q. 79, a. 13 ], la coscienza non è altro che l'applicazione della conoscenza a un atto particolare.
Ora, la conoscenza è nella ragione.
Quindi il volere che discorda dalla ragione erronea è contrario alla coscienza.
Ma ogni volere di questo genere è cattivo, poiché sta scritto [ Rm 14,23 ]: « È peccato tutto ciò che non è secondo la fede », vale a dire tutto ciò che è contro la coscienza.
Quindi il volere che discorda dalla ragione erronea è cattivo.
Domandarsi se il volere che discorda dalla ragione erronea sia cattivo equivale a domandarsi se sia obbligante la coscienza erronea: poiché la coscienza è come il dettato della ragione ( infatti nella Prima Parte [ q. 79, a. 13 ] si disse che è un'applicazione della conoscenza all'atto ).
E a questo proposito alcuni hanno distinto tre generi di atti: alcuni buoni nel loro genere, altri indifferenti, altri ancora cattivi nel loro genere.
Essi dunque concludono che se la ragione o la coscienza impone di compiere una cosa che è buona nel suo genere, non c'è errore.
E così pure se impone di non fare ciò che è cattivo nel suo genere: poiché per uno stesso motivo si comanda il bene e si proibisce il male.
Se invece la ragione o la coscienza dicesse a una persona che un uomo è tenuto a compiere per legge cose che sono per se stesse cattive, oppure che sono proibite cose per se stesse buone, allora la ragione o la coscienza sarebbe erronea.
E così pure sarebbe erronea se dicesse che è proibito o che è comandato ciò che di per sé è indifferente, come alzare una pagliuzza da terra.
Dicono dunque che la ragione o la coscienza che sbaglia in cose indifferenti, sia nel comandare che nel proibire, è obbligante: per cui il volere che non si uniforma a tale ragione erronea è cattivo, e si ha il peccato.
Invece la ragione, o la coscienza, che sbaglia comandando cose intrinsecamente cattive, o proibendo cose intrinsecamente buone e necessarie alla salvezza, [ dicono che ] non è obbligante: e che quindi in tali casi il volere che discorda dalla ragione o dalla coscienza erronea non è cattivo.
Ma questa conclusione non è ragionevole.
Infatti nelle cose indifferenti la volontà che è in disaccordo con la ragione o la coscienza erronea è cattiva in certo qual modo per l'oggetto, dal quale dipende la bontà o la malizia della volizione: non già per l'oggetto in se stesso, ma in quanto esso viene accidentalmente considerato dalla ragione come un male da farsi o da evitarsi.
E poiché l'oggetto della volontà è ciò che viene proposto dalla ragione [ cf. a. 3 ], se una cosa viene presentata dalla ragione come cattiva, la volontà nel perseguirla diventa cattiva.
Ora, ciò non si verifica soltanto nelle cose indifferenti, ma anche in quelle intrinsecamente buone o cattive.
Infatti non soltanto ciò che è indifferente può accidentalmente assumere la natura di bene o di male, ma il bene stesso può assumere l'aspetto di male, e il male l'aspetto di bene, in forza dell'apprezzamento della ragione.
Astenersi dalla fornicazione, p. es., è un bene: e tuttavia la volontà non può perseguire tale bene se non in base alla presentazione della ragione.
Se quindi ciò venisse presentato dalla ragione erronea come un male, verrebbe perseguito sotto l'aspetto di male.
Quindi la volontà sarebbe cattiva, poiché vorrebbe un male: un male che è tale non per se stesso, ma accidentalmente, cioè in forza dell'apprezzamento della ragione.
E così credere in Cristo è una cosa essenzialmente buona e necessaria alla salvezza: ma la volontà non può tendere a ciò se non in base alla presentazione della ragione.
Se quindi la ragione presentasse tale cosa come un male, la volontà non potrebbe volerla se non come un male: non perché sia un male per se stessa, ma perché è un male nella considerazione della ragione.
Per questo il Filosofo [ Ethic. 7,9 ] insegna che, « assolutamente parlando, incontinente è colui che non segue la retta ragione; tuttavia accidentalmente è incontinente anche colui che non segue la ragione falsa ».
Quindi bisogna concludere, assolutamente parlando, che ogni volere che discorda dalla ragione, sia retta che erronea, è sempre peccaminoso.
1. Sebbene il giudizio della ragione erronea non derivi da Dio, tuttavia questa presenta il suo giudizio come vero, e quindi come derivato da Dio, da cui dipende ogni verità.
2. Le parole di S. Agostino valgono nel caso in cui uno riconosca il comando dell'autorità subalterna come contrario al comando dell'autorità superiore.
Se uno invece credesse che il comando del proconsole è il comando dell'imperatore, disprezzando il comando del proconsole disprezzerebbe il comando dell'imperatore.
E similmente se un uomo conoscesse che la ragione umana detta una cosa contraria alla legge di Dio, non sarebbe tenuto a seguirla; ma allora la ragione non sarebbe del tutto erronea.
Quando invece la ragione propone una cosa come comandata da Dio, allora è la stessa cosa trasgredire il dettame della ragione e trasgredire la legge di Dio.
3. Quando la ragione apprende una cosa come cattiva, la considera sempre sotto una particolare ragione di male: per es. come cosa contraria a un comandamento di Dio, o come motivo di scandalo, o sotto altri aspetti consimili.
E allora tale volizione peccaminosa si riporta a questa particolare specie di peccato.
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